TAR Roma, sez. I, sentenza 2016-11-03, n. 201610852
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Testo completo
Pubblicato il 03/11/2016
N. 10852/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00896/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 896 del 2015, proposto da:
E S, rappresentata e difesa dagli avvocati prof. F G S C.F. SCCFNC35A07H501S, M C S C.F. SCCMCH68E67H501O e A S C.F. SNTNTN83L12H579D, con domicilio eletto presso lo Studio Legale Scoca in Roma, via G. Paisiello, 55;
contro
Ministero della Giustizia, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso cui domicilia in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti di
Alessandra Cioccetti, Francesca Maria Calegari, non costituite in giudizio;
per l'annullamento, previa sospensione,
- del verbale della Commissione di concorso n. 256 dell'8 luglio 2014, laddove esprime una valutazione di grave insufficienza, ai sensi dell'art. 11, comma 7, del D.Lgs. n. 166/2010, del primo elaborato, redatto dalla candidata ricorrente, con la conseguente mancata valutazione degli altri elaborati e non ammissione alla successiva prova orale;
- dell'elenco degli idonei a sostenere la prova orale, pubblicato il 14.11.2014, nella parte in cui non ricomprende anche la ricorrente;
- ove occorra, del verbale della Commissione n. 8 del 4.12.2013, in cui sono stati fissati i criteri per la correzione degli elaborati scritti.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia, con la relativa documentazione;
Vista l’ordinanza collegiale di questa Sezione n. 1294/15 del 26.3.2015;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del 5 ottobre 2016 il dott. I C e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso in epigrafe, ritualmente notificato e depositato, la dott.sa E S premetteva di aver partecipato al concorso per esame a 250 posti di notaio, indetto con decreto del Direttore Generale della Giustizia Civile del 22 marzo 2013, e di non essere stata inserita nell’elenco degli idonei ammessi a sostenere la prova l’orale.
La ricorrente, quindi, esponeva che la Commissione esaminatrice, dopo la disamina del primo elaborato concernente la redazione di un atto “mortis causa”, decideva di non proseguire nell’esame degli altri due, rilevando tre gravi insufficienze e una mera insufficienza, ai sensi dell’art. 11, commi 6 e 7, d.lgs. n. 166/2006.
In particolare, le specifiche tre “gravi insufficienze” consistevano in: a) “travisamento della traccia, consistito in relazione al capo c), nell’aver ritenuto la condizione ‘si sine liberis decesserit’ con conseguente costruzione di condizione risolutiva e sospensiva”;b) “incompletezza dell’atto, consistita nell’aver omesso la disposizione di cui alla lett. e)”, c) “incongruità delle soluzioni adottate, consistite in relazione al capo d), nell’aver qualificato il legato come alternativo;in relazione al capo f), per aver legato la proprietà a F/trustee;in relazione al capo g) con riferimento in caso di permuta all’art. 651 c.c.”.
L’ulteriore insufficienza era poi riscontrata in generale per “la non corretta tecnica notarile nella redazione dell’atto, in cui sono proposte più volte soluzioni alternative scritte anche ‘tra parentesi”.
Premesso ciò, la ricorrente chiedeva quindi l’annullamento, previa sospensione, dei provvedimenti in epigrafe, lamentando, in sintesi, quanto segue.
“ Violazione e falsa applicazione dell’art. 11, commi 6 e 7, del D. lgs. n. 166/2006, dei criteri fissati dalla Commissione con il verbale n. 8 del 4 dicembre 2013, dell’art. 97 della Cost. e dell’art. 3, comma 1, della legge n. 241/1990. Eccesso di potere nelle figure sintomatiche del difetto dei presupposti, del travisamento, dell’illogicità, dell’irrazionalità, dello sviamento dalla causa tipica, dell’ingiustizia manifesta, della carenza di motivazione istruttoria, disparità di trattamento” .
Secondo la ricorrente nel caso di specie la valutazione in ordine all’esistenza di un errore di diritto si palesava del tutto estranea ad ogni forma di inammissibile sindacato di merito, secondo le conclusioni giurisprudenziali riportate.
Applicando tale premessa, in relazione alla grave insufficienza sopra riportata sub a), la ricorrente precisava che la locuzione “si sine liberis decesserit”, con cui si istituiscono contestualmente una condizione risolutiva ed una condizione sospensiva, era ritenuta in origine inammissibile da gran parte della dottrina ma ultimamente era stata ritenuta valida, anche dalla prevalente giurisprudenza di legittimità.
Ne conseguiva che la soluzione adottata era assolutamente corretta, tenuto anche conto che, nella parte teorica dell’elaborato, la ricorrente aveva richiamato proprio la più recente giurisprudenza di legittimità sul punto.
Inoltre, l’incongruenza ed erroneità della decisione della Commissione era evidente mediante il confronto con altri elaborati di diversi candidati che avevano optato per la stessa soluzione e che erano stati dichiarati idonei alle successive prove orali.
In relazione alla grave insufficienza sopra descritta sub b), la ricorrente evidenziava che la richiamata lett. e) della traccia chiedeva di attribuire al figlio naturale Terzo il diritto di pretendere dagli eredi la liquidazione della quota a lui spettante a titolo di “legittima”.
In proposito rilevava che l’omissione riscontrata era effettivamente esistente ma che era da lei ritenuta giustificata in quanto, dalla traccia, non emergeva che Terzo fosse stato riconosciuto e perché comunque la sua designazione quale beneficiario dei beni in “trust” aveva dato luogo a una riabilitazione parziale ai sensi dell’art. 466, comma, 2 c.c. e alla possibilità di succedere nei limiti del mantenimento oggetto del “trust”.
In relazione alle gravi insufficienze sopra descritte sub c), la ricorrente riscontrava ugualmente erroneità nell’operato della Commissione, in quanto la qualificazione del legato come “alternativo”, nonché la scelta di legare la proprietà a F/trustee, erano state indicate anche da altri candidati ritenuti idonei, con conseguente contraddittorietà e carenza di motivazione, fermo restando che la soluzione legata a F/trustee era riscontrabile anche in notissimi manuali di dottrina e che la medesima ricorrente era stata autrice di un articolo pubblicato di recente su rivista settoriale di interesse notarile avente ad oggetto proprio la tecnica della nomina del “trustee” quale legatario, secondo impostazioni e soluzioni riscontrabili anche negli scritti di altri esponenti dottrinari.
Da ultimo, in relazione al richiamo all’art. 651 c.c. collegato alla permuta, la ricorrente nuovamente richiamava le conclusioni della dottrina in merito a fattispecie coincidente con quella in esame in cui il bene era oggetto di trattative contrattuali.
Per quanto riguardava la generale insufficienza in ordine alla non corretta tecnica notarile impiegata, la ricorrente richiamava un precedente di questo Tribunale secondo il quale era necessaria, sul punto, una più approfondita motivazione che fosse idonea a far comprendere nello specifico quali specifiche tecniche notarili erano state ritenute non corrette, fermo restando che anche altri candidati avevano inserito soluzioni “tra parentesi” senza vedersi destinatari di rilievi negativi sul punto.
Si costituiva in giudizio il Ministero della Giustizia, rilevando l’infondatezza del ricorso in specifica memoria per la camera di consiglio, in prossimità della quale anche la ricorrente provvedeva a depositare un ulteriore memoria esplicativa delle proprie censure.
Con l’ordinanza in epigrafe questa Sezione respingeva la domanda cautelare e la relativa statuizione risultava confermata dal Consiglio di Stato in sede di appello proposto dalla ricorrente, con ordinanza della Sezione Quarta n. 2478 del 5 giugno 2015.
In prossimità della pubblica udienza del 18 maggio 2016 la ricorrente depositava una nuova memoria, ritualmente notificata – a valere eventualmente quali motivi aggiunti - in relazione alle deduzioni della difesa erariale, ritenute quale inammissibile integrazione di motivazione (postuma) del giudizio della Commissione, nonché ad ulteriore sostegno delle proprie tesi difensive.
Rinviata d’ufficio tale udienza pubblica, a quella successiva del 5 ottobre 2016 la causa era quindi trattenuta in decisione.
DIRITTO
Il Collegio rileva che la ricorrente, nella sostanza, contesta le valutazioni sulla sussistenza di “gravi insufficienze” riscontrate nell’elaborato “mortis causa” dalla Commissione, in quanto asseritamente viziate da travisamento dei fatti e da profili di illogicità e irragionevolezza.
Il vaglio giurisdizionale sollecitato con le censure in questione suggerisce allora di soffermarsi preliminarmente sull’ambito entro il quale esso è consentito, al fine di parametrare l’ammissibilità delle doglianze sollevate concernenti l’esercizio della discrezionalità valutativa confluito nell’adozione del giudizio di “inidoneità”.
Ebbene, valga ricordare che è stato più volte evidenziato dalla giurisprudenza, anche di questa Sezione, che il giudizio di legittimità avverso i provvedimenti relativi alla mancata ammissione alle prove orali del concorso notarile non può trasmodare in un pratico rifacimento, ad opera dell'adito organo di giustizia, del giudizio tecnico-discrezionale già espresso dalla Commissione, con conseguente sostituzione alla stessa, per cui l'apprezzamento della Commissione è sindacabile soltanto ove risulti “macroscopicamente” viziato da illogicità, irragionevolezza o arbitrarietà (per tutte: TAR Lazio, Sez. I, 26.11.15, n. 13367 e n. 2467/12 e 26342/10;nonchè Cons. Stato, Sez. IV, 13.10.14, n. 5048).
Ciò perché il giudizio della Commissione, comportando una valutazione essenzialmente qualitativa della preparazione scientifica dei candidati, attiene alla sfera della discrezionalità tecnica, censurabile unicamente - sul piano della legittimità – per “evidente” superficialità, incompletezza, incongruenza, manifesta specifica disparità, laddove tali profili risultino emergenti dalla stessa documentazione e siano tali da configurare un palese eccesso di potere, senza che, con ciò, il giudice possa o debba entrare nel merito della valutazione (per tutte: Tar Lazio, sez. I, 6.9.13, n. 4626).
Il giudizio di legittimità non può, infatti, trasmodare in un rifacimento, ad opera dell'adito organo di giustizia, del giudizio espresso dalla Commissione, con conseguente sostituzione alla stessa, per cui deve ritenersi infondata una censura che miri unicamente a proporre una diversa valutazione dell’elaborato, atteso che in tal modo verrebbe a giustapporsi alla valutazione di legittimità dell'operato della Commissione una – preclusa – cognizione del merito della questione.
Applicando tali principi al caso di specie, il Collegio rileva l’assenza dei connotati della manifesta illogicità e irragionevolezza e l’assenza del “travisamento dei fatti” sotto i profili ora ricordati.
In primo luogo si ritiene che la censurata valutazione sia, nella sua sinteticità, sufficentemente motivata sotto ogni profilo contestato, con riferimento sia ai criteri di valutazione dalla stessa predeterminati sia alle plurime “gravi insufficienze” riscontrate.
Sotto tale profilo non si ritiene di concordare con l’impostazione di cui alla memoria (ritualmente notificata) della ricorrente, in quanto la motivazione di cui ai giudizi negativi riportati in narrativa era idonea a chiarire la portata della gravità della singola insufficienza rilevata, tanto che la stessa ricorrente è stata in grado, nel ricorso introduttivo, di proporre specifiche censure entrando “nel merito” della singola contestazione, in parte quanto sarà evidenziato in relazione alla riscontrata omissione di cui supra al punto b).
Si aggiunga in merito che, in ogni caso, essa era congrua rispetto alle esigenze di sinteticità proprie della espressione del giudizio valutativo di un concorso specialistico quale quello in oggetto (TAR Lazio, Sez. I, 11.4.13, n. 3685) e che le argomentazioni di cui alla memoria della difesa erariale non integravano o modificavano, aggiungendo elementi, l’orientamento della Commissione ma sviluppavano semplicemente quanto già sintetizzato nel giudizio contestato.
Si ricordi infatti che per esplicita disposizione di legge, di cui all’art. 11, comma 5, d.lgs. n. 166/06, il giudizio di non idoneità è sinteticamente motivato con formulazioni standard, predisposte dalla commissione quando definisce i criteri che regolano la valutazione degli elaborati, per cui nel caso di specie l’illustrazione di quanto sintetizzato – e perfettamente compreso dalla ricorrente – nei giudizi suddetti non configura alcuna ipotesi di integrazione postuma della motivazione mediante memoria depositata in sede giudiziale.
Passando ad esaminare le singole censure, il Collegio non può fare a meno di rilevare anche che, ai fini di quanto disposto dall’art. 11, comma 7, d.lgs. cit., è rilevante la presenza di gravi insufficienze per legittimare l’arresto del procedimento di correzione degli elaborati del medesimo candidato, in quanto un “grave errore” può essere anche quello afferente ad un singolo elaborato, ovviamente, ovvero riposare nella singola omessa trattazione (o errata trattazione) di un istituto giuridico, quale inidoneità dell’analisi (Cons. Stato, Sez. IV, 28.11.12, n. 6037).
Premesso ciò, il Collegio rileva che in relazione alla clausola “si sine liberis decesserit” è stato riscontrato che, secondo l’impostazione della ricorrente, nell’elaborato era indicato che il figlio Primo premorisse senza figli senza specificare che la morte dovesse avvenire prima del testatore in quanto la traccia riportava la dizione “mi premuoia senza figli”. Non è quindi l’analisi tematica della clausola ad essere stata contestata – secondo i riferimenti riportati nel ricorso e nelle successive memorie – ma un superficiale esame della traccia stessa.
Non può rilevare quindi quanto osservato dalla ricorrente in ordine alla implicita circostanza per la quale la disposizione testamentaria può riguardare solo la successione del testatore e quindi era superflua l’indicazione “mi” contenuta nella traccia, dato che nel concorso in esame prevale l’intendimento all’evidenza inteso a saggiare la consistenza della preparazione dei candidati e la padronanza degli istituti giuridici che gli stessi erano chiamati ad applicare, in relazione alla specifica impostazione della traccia e allo specifico atto da redigere.
Né risulta che la ricorrente abbia esternato le valutazioni che l’avevano guidata verso la soluzione prescelta, dato che la prova concorsuale scritta non si strutturava soltanto nella redazione dell’atto ma obbligava il candidato a illustrare anche, obbligatoriamente, una parte “teorica” ed una ulteriore parte “motivazionale”.
La ricorrente non può quindi essere seguita laddove indirizza le sue censure avverso i dirimenti rilievi formulati dalla Commissione sull’elaborato in rassegna, in quanto, pur denunciando un “travisamento” degli elementi da lei forniti, viene in realtà a confutare nel merito i rilievi che la Commissione ha sollevato in ordine alla interpretazione della traccia, alle tesi enunciate e alle soluzioni individuate.
Il Collegio non può dunque prendere cognizione delle contestate valutazioni della Commissione, non trattandosi nella fattispecie dell’accertamento di un fatto o del rilievo di una manifesta illogicità valutativa, quanto piuttosto del compimento stesso di un’attività valutativa e comparativa dell’elaborato della candidata in relazione ai rilievi della Commissione, a tutta evidenza preclusa in questa sede per quanto sopra richiamato.
Gli stessi profili non permettono di conferire rilevanza all’operazione, pure svolta dalla ricorrente, di messa a confronto del giudizio su singole parti del proprio elaborato con quello espresso su altre parti di elaborati di altri candidati valutati idonei per inferirne la disparità di trattamento ai propri danni.
La Commissione ha proposto temi che prevedevano non già soluzioni predeterminate in astratto, bensì più soluzioni possibili in concreto, purché correttamente costruite sul piano giuridico ed adeguatamente motivate;ne consegue che qualsiasi richiamo ad elaborati di altri candidati che abbiano astrattamente utilizzato gli stessi istituti giuridici non risulta in sé conferente, essendo di contro necessario verificare la concreta applicazione dell’istituto nel singolo atto e, di conseguenza, gli effetti che nel caso concreto ne derivano oltre che l’enunciazione delle ragioni giuridiche che ne giustificano l’impiego, dando luogo così, nuovamente, alla preclusa operazione di valutazione “nel merito” sopra evidenziata.
Non soccorre sotto tale profilo, in senso contrario, neanche il richiamo alla ritenuta disparità di trattamento, in quanto, per giurisprudenza costante, vi è la necessità di considerare l’intero percorso logico-giuridico seguito dai candidati nella prova presa a confronto e, comunque, un giudizio favorevole reso alla prova scritta di altro candidato non servirebbe a sanare gli errori in cui è incorsa la ricorrente (da ult. TAR Lazio, Sez. I, 10.11.15, n. 12704).
Infatti, in astratto, la configurabilità della disparità di trattamento tra diversi candidati del concorso notarile può ipotizzarsi solo raffrontando complessivamente tutti gli elaborati poiché la Commissione non tiene conto soltanto della soluzione giuridica prescelta, ma anche della capacità espositiva ed argomentativa di ciascuno dei candidati (Cons. Stato, Sez. IV, 13.10.14, n. 5048).
Tali conclusioni rilevano anche per le restanti censure ove la ricorrente tende a sostituire la propria considerazione critica al giudizio discrezionale della commissione in merito all’interpretazione della traccia.
Né può rilevare, in merito a quanto contestato sulla proprietà “F/trastee” e sulla circostanza per la quale la ricorrente aveva pubblicato su rivista di settore un articolo inerente proprio il “Trust testamentario in particolare”, non essendo quello in esame un concorso per titoli e sussistendo la necessità di valutare la preparazione del candidato in precise prove scritte e orali e non su quanto riconducibile a scritti precedenti.
Così pure il richiamo a conclusioni di dottrina che ricalcherebbero le soluzioni prescelte dalla candidata non possono avere rilevanza, a fronte delle precise e specifiche censure della Commissione, dato che è consolidato, infatti, l'indirizzo giurisprudenziale circa la sostanziale irrilevanza dei pareri “pro veritate” al fine di confutare il giudizio delle Commissioni di concorso, atteso che spetta in via esclusiva a queste ultime la competenza a valutare gli elaborati dei candidati e che, a meno che non ricorra l'ipotesi residuale del macroscopico errore logico – nel caso di specie non rilevabile per quanto detto - non è consentito al giudice della legittimità sovrapporre alle determinazioni da essa adottate il parere reso da un soggetto terzo, quale che sia la sua qualifica professionale ed il livello di conoscenze e di esperienze acquisite nella materia “de qua” (Cons.St., sez. IV, 17 aprile 2009, n. 1853;11 gennaio 2008, n. 71;30 maggio 2007, n. 2781;Tar Lazio, sez. I, 5 febbraio 2015, n. 2151;Tar Molise 15 dicembre 2014, n. 702;Tar Lazio, sez. I, 14 marzo 2012, n. 2503), essendo comunque contraddistinta la Commissione di cui alla procedura in esame, e in genere quella di ogni concorso notarile, dalla presenza di personalità di settore altrettanto prestigiose.
Tali conclusioni possono tanto più applicarsi all’ipotesi del richiamo di contributi dottrinari generali, come nel caso di specie (TAR Lazio, Sez. I, 9.5.13, n. 4626).
Da ultimo, non rilevano le censure sulla mera insufficienza per aver riscontrato una non corretta tecnica notarile nella redazione dell’atto, in quanto il giudizio “immediato” di inidoneità discende, ex art. 11, comma 7, d.lgs. cit., solo dalle riscontrate e più significative “gravi insufficienze” sopra esaminate.
Alla luce di quanto precede, il ricorso non può trovare accoglimento.
Le spese di giudizio, in considerazione della particolarità della vicenda contenziosa, possono comunque eccezionalmente compensarsi tra le parti.