TAR Torino, sez. I, sentenza 2022-10-10, n. 202200839

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Torino, sez. I, sentenza 2022-10-10, n. 202200839
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Torino
Numero : 202200839
Data del deposito : 10 ottobre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 10/10/2022

N. 00839/2022 REG.PROV.COLL.

N. 00062/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 62 del 2022, proposto da
-ricorrente-, rappresentato e difeso dall'avvocato G M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro-tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Torino, via dell'Arsenale, 21;
Ministero della Difesa, Direzione Generale per il personale Militare, non costituito in giudizio;

per l'annullamento

del decreto -OMISSIS-, notificato in data 21.10.2021, con il quale si dispone la perdita del grado per rimozione del M.llo E.I. -ricorrente-, all'esito di procedimento disciplinare;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 ottobre 2022 il dott. Raffaele Prosperi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso proposto il 20 dicembre 2021 dinanzi al Tribunale amministrativo del Piemonte il maresciallo dell’Esercito italiano -ricorrente- in forza al -OMISSIS- con sede in Cuneo impugnava, chiedendone l’annullamento, il decreto -OMISSIS-, notificatogli il successivo 21, con cui si era disposta la perdita del grado per rimozione all’esito di procedimento disciplinare, nonché di ogni altro atto connesso.

Il ricorrente esponeva in fatto di far parte dell’Esercito da quasi trent’anni ed in tale veste di essere Presidente dell’Associazione -OMISSIS- - -OMISSIS- - assentita con decreto del Ministero della Difesa in data 07.02.2018, avente lo scopo di concorrere al benessere degli associati e di aver promosso per questo una campagna mediatica contro i suicidi tra il personale in servizio nel Comparto Difesa e Sicurezza, fenomeno che l’interessato riconduceva a frequenti comportamenti vessatori dei superiori gerarchici, attivandosi quindi con iniziative di vario genere che ne causavano dapprima la sospensione dal servizio per 12 mesi impugnata con ricorso straordinario e successivamente al provvedimento radicale oggetto di questa controversia, determinato soprattutto da una lettera al Presidente della Repubblica, pur oggetto di deferimento del maresciallo -ricorrente- all’autorità giudiziaria.

Con il ricorso in esame venivano sollevati i seguenti motivi:

1. Difetto di motivazione. Violazione del legittimo affidamento.

2. Violazione del divieto di ne bis in idem .

3. Violazione dell’art. 1393, d.lgs. n. 66/2010.

4. Violazione dell’art. 21 della Costituzione, illogicità manifesta.

Il ricorrente concludeva per l’accoglimento del ricorso con vittoria di spese.

Il Ministero della Difesa si è costituito in giudizio, sostenendo l’infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.

Con ordinanza 12 febbraio 2022 n. 229 questo Tribunale respingeva la domanda di sospensione cautelare del provvedimento impugnato.

All’odierna udienza pubblica la causa è passata in decisione.

DIRITTO

Con il terzo motivo, che appare opportuno esaminare prioritariamente, il ricorrente si duole della violazione dell’art. 1393, d.lgs. n. 66 del 2010 - ordinamento militare. L’Amministrazione avrebbe adottato la sanzione disciplinare oggetto della controversia senza la previa sospensione obbligatoria del procedimento disciplinare, in attesa della definizione del procedimento penale in cui il ricorrente era imputato, nonostante l’evidente connessione – o, meglio, la sostanziale identità - tra le contestazioni elevate in sede disciplinare e le ipotesi di reato a lui ascritte.

La seconda parte del comma 1 dell’art. 1393 predetto recita testualmente: “ Per le infrazioni disciplinari di maggiore gravità, punibili con la consegna di rigore di cui all'articolo 1362 o con le sanzioni disciplinari di stato di cui all'articolo 1357, l'autorità competente, solo nei casi di particolare complessità dell'accertamento del fatto addebitato al militare ovvero qualora, all'esito di accertamenti preliminari, non disponga di elementi conoscitivi sufficienti ai fini della valutazione disciplinare, promuove il procedimento disciplinare al termine di quello penale .”

Nel caso di specie si tratta con tutta evidenza di una sanzione disciplinare di stato e va valutato se la fattispecie concreta può rientrare in quei casi di particolare complessità dell’accertamento del fatto addebitato, poiché è palese che non si possa fare questione di elementi conoscitivi;
ora il Collegio ritiene che l’autorità militare fosse tenuta a sospendere il procedimento disciplinare.

L’interpretazione corretta da darsi alla norma non è tanto quella che traspare dal mero significato letterale delle parole “accertamento del fatto addebitato”, dunque una ricostruzione meramente meccanica di una serie di fatti nel loro accadimento, ma in tale accertamento non può che rientrare anche una qualificazione giuridica di quanto addebitato, dovendosi ricadere altrimenti in interpretazione del tutto semplicistica: ora tale qualificazione che si è dimostrata indubbiamente complessa, visto che gli stessi fatti hanno dato luogo a più procedimenti penali, tanto davanti all’autorità giudiziaria militare, quanto dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria ed ambedue hanno dovuto riscontrare che quanto addebitato non rientrasse in plurime ipotesi di reati, sia militari, sia ordinari.

Successivamente al vaglio di questi controlli giurisdizionali quanto addebitato poteva ricevere una qualificazione appropriata.

Il terzo motivo è quindi fondato, ma l’esame della controversia può trovare una sua definizione, dati i giudizi esperiti, solo con il vaglio del quarto motivo, alla luce delle pronunce ora richiamate.

Al ricorrente viene addebitato di aver oltrepassato i confini del lecito diritto di critica, senza ricorrere, doverosamente, alla linea gerarchica ed alla riservatezza e la violazione di taluni doveri militari, di cui ai capi 1° e 2°, Titolo 8° del T.U. sulle disposizioni regolamentari militari, ed in particolare, alla violazione degli artt. 712, in riferimento all’art. 575;
713, co. 2 e 3;
715 co. 2;
717;
719 co. 1;
732.

Il ricorrente svolge lunghe considerazioni sul fatto che ampia giurisprudenza abbia affermato che anche i militari godono del diritto di critica garantito dall’art. 21 della Carta Costituzionale.

Se tale richiamo è in astratto assolutamente plausibile, va verificato innanzitutto quanto affermato nelle pronunce giurisdizionali che hanno riguardato le dichiarazioni del maresciallo -ricorrente- il quale, va rammentato, agito non tanto nella mera veste di sottufficiale ma di presidente di -OMISSIS-, unica associazione militare rivolta al personale appartenente al ruolo dei Graduati e dei Volontari delle Forze Armate e dei Corpi Armati, la quale si prefigge dall’altro come scopo statutario, di concorrere al benessere degli associati attraverso ogni iniziativa possibile e proprio per questo aveva promosso una campagna mediatica contro i suicidi tra il personale in servizio nel Comparto Difesa e Sicurezza, fenomeno di cui si è dato purtroppo ampiamente conto e che era stata centro di seminari e conferenze fino ad una missiva del ricorrente indirizzata al Presidente della Repubblica, missiva dalla quale era scaturito il procedimento disciplinare oggetto della attuale controversia ed i paralleli procedimenti penali di cui si darà ora conto.

Con provvedimento del giudice militare in sede di udienza preliminare del-OMISSIS-, il tribunale militare di Verona aveva ritenuto il proprio difetto di giurisdizione dinanzi all’imputazione di vilipendio delle Forze Armate aggravato, poiché le missive del maresciallo -ricorrente- in nessun passo avevano usato parole o espressioni di offesa, oltraggio, disprezzo, contumelia dirette alle Forze Armate quale istituzione, né erano dirette a negare rispetto e prestigio alla medesima Istituzione, né avevano identificato specifici soggetti nell’ambito della stessa Istituzione.

Il g.u.p. militare con la stessa sentenza aveva trasmesso gli atti al tribunale ordinario di Cuneo per verificare se quanto attribuito all’interessato ricadesse invece nelle previsioni di cui all’art. 656 c.p.: dunque era di conseguenza escluso che il ricorrente avesse commesso un reato militare ed andava quindi accertato se le missive rivestissero gli estremi della fattispecie punitiva nei riguardi di “ chiunque pubblica o diffonde notizie false, esagerate o tendenziose, per le quali possa essere turbato l’ordine pubblico ”, reato che andava scrutinato da parte del giudice ordinario.

Il pubblico ministero presso il giudice per le indagini preliminari di Cuneo ha condiviso le argomentazioni del giudice militare sull’assenza di contenuti minatori e al difetto di potenzialità offensiva della condotta e, dall’altro proprio la circostanza che non venissero chiamati in causa determinate persone, rappresentata i contenuti delle espressioni come rappresentazione contrasto di un fenomeno sociale;
oltretutto i messaggi del ricorrente erano indirizzati a soggetti che rivestivano cariche pubbliche sia civili, sia militari, che venivano così invitati a vigilare su fenomeni di allarme sociale.

Quindi non sussisteva turbamenti dell’ordine pubblico e la condotta incolpata era “ quantomeno scriminata dal diritto di critica ”, né infine vi erano elementi che potessero rappresentare il caso di diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose.

Il giudice delle indagini preliminari di Cuneo ha proceduto in data 22 all’archiviazione del procedimento in piena condivisione delle conclusioni al pubblico ministero.

Il Collegio condivide pienamente tali impostazioni e al di là delle note commendevoli che caratterizzano l’intera carriera militare del ricorrente, non può che ritenere che le affermazioni del maresciallo -ricorrente- siano espressioni del diritto di manifestazione del pensiero tutelato dall’art. 21 della Costituzione e dall’art. 1472 dell’ordinamento militare che ne costituisce l’attuazione;
nel caso di specie, infatti, non si tratta di argomenti di carattere riservato militare o di servizio, e nemmeno di un’espressione di una domanda interna all’ordinamento che deve trovare sviluppo nella catena gerarchica, ma di una serie di osservazioni del tutto esterne a fatti strettamente di servizio e non solo del tutto prive di offensività penale, ma espressioni del rilievo di alcune manifestazioni contrarie al benessere del personale militare che deve essere comunque assicurato ed è oggetto di tutela di associazioni come quella presieduta dal ricorrente, aventi uno scopo precisamente indicato nello statuto assentito dal Ministero della Difesa.

Le considerazioni fin qui svolte conducono all’accoglimento del ricorso e dal conseguente annullamento del provvedimento impugnato, rimanendo necessariamente assorbite le ulteriori secondarie censure.

Le spese di giudizio possono essere compensate, visto che le vicende del ricorrente sono sotto altri aspetti tuttora sub iudice .

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