TAR Roma, sez. 1Q, sentenza 2016-07-27, n. 201608611
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Testo completo
Pubblicato il 27/07/2016
N. 08611/2016 REG.PROV.COLL.
N. 07898/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7898 del 2014, proposto da:
-O-, rappresentata e difesa dagli avvocati A C C.F. CRLNTN48L06A944G e F B C.F. BNDFRC42P04D612E, con domicilio eletto presso l’avv. Adriano Giuffre' in Roma, via dei Gracchi, 39;
contro
Consiglio Superiore della Magistratura e Ministero della Giustizia, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
del decreto del Ministero della Giustizia del 21 febbraio 2014, con il quale le è stata irrogata la sanzione disciplinare della censura;
di tutti gli atti presupposti.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Consiglio Superiore della Magistratura e del Ministero della Giustizia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatrice la dott.ssa Laura Marzano;
Uditi, nell'udienza pubblica del giorno 19 luglio 2016, i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con il ricorso in epigrafe la dott.ssa -O- ha impugnato, unitamente a tutti gli atti presupposti, il decreto del Ministero della Giustizia del 21 febbraio 2014, con il quale le è stata irrogata la sanzione disciplinare della censura.
La ricorrente rappresenta i fatti di causa come segue.
Ella svolge funzioni di giudice di pace a -O-, addetta alle sezioni civili e, per breve periodo, a quelle penali;in due periodi, nel 2009 e nel 2010, le è stata assegnata dal Presidente del Tribunale anche la reggenza dell'ufficio di -O-.
Dal 2009 è assegnata anche alla Sezione stranieri, ed in tale incarico ha esaminato e deciso, fino alla fine del 2013, 673 procedimenti di convalida di decreti di trattenimento e di ricorsi contro provvedimenti prefettizi di espulsione, risultandole che nessuna delle sue decisioni sia mai stata riformata dalla Suprema Corte di cassazione.
Il Presidente Vicario della Corte d'Appello di -O-, con provvedimento del 3 giugno 2013, ha rinviato la ricorrente all'adunanza del 17 giugno 2013, davanti alla Sezione Autonoma del Consiglio giudiziario per i Giudici di Pace, proponendo a suo carico la irrogazione della sanzione della revoca o, in subordine, della censura, relativamente alle seguenti contestazioni disciplinari, riunite per connessione soggettiva: - n. 12/2012 Ris. G.d.P., relativa ad un esposto pervenuto il 7 novembre 2012 dall'avv.-O- (che ha lamentato la pronuncia di frasi offensive in udienza nei confronti di un suo assistito extracomunitario, colpito da provvedimento di espulsione);- n. 4/2013 Ris. G.d.P., relativa ad un esposto pervenuto il 25 febbraio 2013 dall'"-O-" (che ha lamentato la pronuncia di espressioni irriguardose in udienza nei confronti di due extracomunitari colpiti da provvedimenti di espulsione, e più in generale atteggiamenti discriminatori nei confronti degli extracomunitari);- n. 7/2013 Ris. G.d.P., relativa ad un esposto pervenuto il 6 marzo 2013 dal sig. -O- (che ha lamentato il rigetto di una sua opposizione a decreto ingiuntivo);- n. 8/2013 Ris. G.d.P., relativa ad un esposto pervenuto il 7 marzo 2013 dall'avv. -O- (che ha lamentato la mancata restituzione della patente di guida ad un suo assistito, colto alla guida di autoveicolo in stato di ebbrezza, costituente reato).
All’adunanza del Consiglio giudiziario la ricorrente, assistita dal proprio difensore, ha depositato memoria difensiva e documenti ed ha formulato richieste istruttorie, segnatamente in ordine agli addebiti n. 12/2012 e 4/2013, richiedendo l'escussione dei testi già indicati in precedenza ma non ammessi;la richiesta, tuttavia, è stata respinta dal Consiglio giudiziario "a maggioranza, ritenuta la pratica adeguatamente istruita".
Al termine della discussione, il Consiglio giudiziario ha espresso "all'unanimità parere di archiviazione relativamente ai procedimenti n. 7/2013 e 8/2013, in quanto gli addebiti contestati all'incolpata non sussistono in fatti o comportamenti aventi rilievo disciplinare, attinendo unicamente al merito di provvedimenti giudiziari non ritenuti abnormi".
Invece, sui due procedimenti n. 12/2012 e 4/2013 il Consiglio ha deliberato a maggioranza "di proporre la sanzione della censura, richiamando le motivazioni rappresentate nella proposta di sanzione del Presidente Vicario della Corte d' Appello".
Pendente il procedimento dinanzi al Consiglio Superiore della Magistratura, in data 14 ottobre 2013 la ricorrente ha inoltrato alla Sezione disciplinare una ulteriore memoria difensiva, con la quale ha contestato l’illegittimità dell'iter procedimentale seguito e, comunque, la totale infondatezza nel merito delle contestazioni mossele nei procedimenti n. 12/2012 e n. 4/2013.
In data 29 gennaio 2014 le è stata consegnata brevi manu e in forma accessibile a chiunque, da parte della cancelleria dell'Ufficio del Giudice di Pace, la comunicazione prot. n. P-1581/2014 (doc. 2), contenente la deliberazione con la quale il Consiglio Superiore della Magistratura "nella seduta del 22 gennaio 2014" aveva deciso "l'irrogazione della sanzione della censura alla dott.ssa -O-, giudice di pace nella sede di -O-".
Successivamente, il 6 febbraio 2014, le è stata consegnata brevi manu e sempre in forma accessibile, l’ulteriore comunicazione prot. n. 1795/2014 (doc. 3), con la quale il Segretario Generale del Consiglio Superiore della Magistratura, "ad integrazione e correzione della comunicazione prot. n. P-1581/2014", ha reso noto "che la sanzione disciplinare della censura non è stata applicata al giudice di pace, in quanto nella seduta del 22 gennaio 2014 l'Assemblea Plenaria ha deliberato il ritorno della pratica all'esame della competente Commissione".
Infatti l’ottava Commissione del C.S.M. aveva, nelle more, disposto lo stralcio degli atti del procedimento n. 12/2012 e la formazione di un fascicolo a parte.
Infine, il 24 marzo 2014, le è stato notificato, questa volta in maniera riservata, dalla Segreteria del Presidente del Tribunale di -O-, il decreto ministeriale 21 febbraio 2014 (doc. 1) con il quale, vista la delibera emessa dal Consiglio Superiore della Magistratura nella seduta del 19 febbraio 2014, ivi allegata, il Ministro della Giustizia ha deliberato di irrogare alla Dott.ssa-O- la sanzione della censura.
Il Consiglio Superiore della Magistratura, nella seduta del 19 febbraio 2014, ha deliberato: “a) ai sensi dell'art. 9 della legge 21 novembre 1991 n. 374 e successive modificazioni, l'irrogazione della sanzione della censura alla dott.ssa -O-, giudice di pace nella sede di -O-, per i fatti contestati con riferimento agli addebiti disciplinari di cui al punto sub. 2 di parte motiva (procedimento n. 4/2013 Ris. G.d.P.);b) l'archiviazione degli addebiti disciplinari di cui ai punti sub. 3 (procedimento n. 7/2013 Ris. G.d.P.) e sub 4 (procedimento n. 8/2013 Ris. G.d.P.)".
2. Ritenendo illegittimi gli atti del procedimento e la decisione che ne è scaturita la ricorrente li ha impugnati articolando quattro motivi di violazione di legge ed eccesso di potere, con i quali ha formulato le censure di seguito sintetizzate.
1) Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione dei principi di imparzialità, di indipendenza e di terzietà che devono presidiare l’istruttoria dei procedimenti disciplinari a carico dei giudici di pace.
Infatti, secondo la previsione dell'art. 9, comma 4, L. 374/1991 e dell'art. 17 D.P.R. 198/2000, l’istruttoria deve essere svolta dal Presidente della Corte d' Appello – nel caso di specie è stata svolta dal Presidente Vicario dott. -O- -, il quale rivolge al Consiglio giudiziario la proposta degli eventuali provvedimenti sanzionatori;tuttavia il Presidente della Corte di Appello, allo stesso tempo, ai sensi dell'art. 9 del D.Lgs. 25/2006, fa parte e presiede tale organo, così essendo in grado di condizionarne la decisione tanto che, nelle deliberazioni, in caso di parità di voti "prevale il voto del presidente" (art. 9 bis dello stesso decreto).
La violazione sarebbe tanto più grave atteso che, sebbene la decisione finale competa al Consiglio Superiore della Magistratura, tuttavia detto organo decide sulla base di una istruttoria svoltasi esclusivamente dinanzi al Consiglio giudiziario dinanzi al quale soltanto, ai sensi dell'art. 9 L. 21 novembre 1991 n. 374, si svolge l'attività difensiva e di discussione delle contestazioni.
Pertanto, in via pregiudiziale, la ricorrente ha eccepito l'illegittimità costituzionale degli artt. 9, comma 4, L. 374/1991 e 10 D.Lgs. 27 gennaio 2006 n. 25, per violazione degli artt. 3, comma 1 (per la evidente disparità di trattamento e le minori guarentigie rispetto ai magistrati ordinari), 24, comma 2, 111, commi 1 e 2, e 117 cost., nonché in relazione all'art. 6, comma 1, della C.E.D.U. quale "norma interposta".
In proposito ha contestato la motivazione (definita apparente) con cui il C.S.M. ha respinto la suddetta eccezione.
2) Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione del termine a difesa previsto dall'art. 17, comma 6, D.P.R. 10 giugno 2000 n. 198 in considerazione del fatto che lei ha avuto sì a disposizione i dieci giorni, previsti dall'art. 17, comma 6, D.P.R. 198/2000, per difendersi, tuttavia, non per uno ma per ben 4 procedimenti: ciò in violazione anche dell'art. 111, comma 3, cost., il quale dispone che nei procedimenti di natura penale (ai quali, l'art. 16 D.Lgs. 109/2006 assimila i procedimenti sanzionatori), l'accusato ha diritto di disporre "del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa" e, conseguentemente, dell'art. 24, comma 1, cost..
Anche su questo punto la ricorrente contesta la motivazione con cui il Consiglio Superiore della Magistratura ha respinto la relativa doglianza.
3) Con il terzo motivo la ricorrente denuncia un vizio procedimentale, ossia le gravi irregolarità intervenute nella fase istruttoria compiuta dal Presidente Vicario della Corte, il quale avrebbe disposto una parziale escussione dei testi.
Inoltre denuncia che, a valle del suddetto vizio procedimentale, vi sarebbe un macroscopico vizio di motivazione laddove il Consiglio giudiziario ha respinto, a maggioranza, la sua richiesta di integrazione dell'istruttoria condotta dal Presidente Vicario della Corte, dichiarando di ritenere "la pratica adeguatamente istruita", ma senza spiegare perché.
Anche in ordine a questo punto la ricorrente contesta la motivazione con cui il Consiglio Superiore della Magistratura ha respinto la sua doglianza con argomentazioni che denoterebbero il convincimento che sarebbe rituale, poiché rientrante nella corretta discrezionalità di chi conduce l'istruttoria, o di un organo giudicante, assumere la deposizione dei soli accusatori e non sentire, invece, nessuno dei testi indicati dalla difesa dell'accusato.
4) Con il quarto motivo la ricorrente denuncia un vizio sostanziale, ossia l’eccesso di potere sotto i profili dello sviamento, dell'illogicità manifesta, del travisamento dei fatti, del difetto di istruttoria e dell'ingiustizia manifesta per violazione del diritto di difesa, a causa del già evidenziato rifiuto del Consiglio giudiziario di integrare l’istruttoria ammettendo i testimoni indicati a discolpa.
La ricorrente ripercorre pedissequamente lo svolgimento dell'istruttoria svolta dal Presidente e dal Presidente Vicario della Corte d'Appello attraverso i verbali e ritiene che le motivazioni della delibera del Consiglio Superiore della Magistratura siano manifestamente illogiche, frutto di travisamento dei fatti e di sviamento di potere in quanto, oltretutto, non sorrette da prove positive oggettive.
Lamenta la ricorrente che il C.S.M. avrebbe dovuto svolgere o richiedere una adeguata e puntuale istruttoria, nella quale si sarebbero dovuti ascoltare anche i testimoni a difesa e si sarebbero dovute esaminare con cura le circostanze di fatto, risultanti dalla documentazione dei processi oggetto di indagine.
3. Le amministrazioni intimate, con memoria depositata il 15 giugno 2016, hanno contestato ogni singola censura, sostenendo la regolarità e correttezza del procedimento seguito.
Segnatamente fanno rilevare che non possa configurarsi alcuna lesione del diritto di difesa per effetto del provvedimento di riunione dei procedimenti disciplinari, essendo stata garantita la conoscenza tempestiva degli atti dei procedimenti e non essendovi alcuna previsione normativa che imponga la distinzione dei procedimenti.
Inoltre osservano che la delimitazione dei mezzi di prova costituisce espressione della discrezionalità valutativa dell’organo procedente e, come tale, è insindacabile in sede giudiziaria, salvo che per vizi di legittimità che, nel caso di specie, non sarebbero stati neanche prospettati.
La ricorrente ha replicato con memoria del 28 giugno 2016, insistendo per l’accoglimento del ricorso.
All’udienza pubblica del 19 luglio 2016, sentiti i difensori presenti, la causa è stata trattenuta in decisione.
4. E’ in contestazione il provvedimento, unitamente a tutti gli atti del procedimento, con il quale alla dott.ssa -O-, giudice di pace a -O-, è stata irrogata la sanzione della censura per ritenuta assenza dei requisiti di imparzialità, equilibrio e correttezza nei confronti delle parti, tale da pregiudicare il prestigio dell’Ordine Giudiziario e la credibilità delle funzioni esercitate.
4.1. L’art. 9, comma 3, della legge n. 374/1991 stabilisce che "Nei confronti del giudice di pace possono essere disposti l'ammonimento, la censura, o, nei casi più gravi, la revoca se non è in grado di svolgere diligentemente e proficuamente il proprio incarico ovvero in caso di comportamento negligente o scorretto".
Il relativo procedimento è tipizzato dal successivo comma 4 e prevede che il presidente della Corte d'Appello propone una delle predette sanzioni disciplinari al Consiglio giudiziario, integrato ai sensi del comma 2 dell'articolo 4, nonché da un rappresentante dei giudici di pace del distretto, il quale, sentito l'interessato e verificata la fondatezza della proposta, trasmette gli atti al Consiglio Superiore della Magistratura affinché provveda al riguardo.
La norma stabilisce, infine, al comma 5, che la sanzione disciplinare è adottata con decreto del Ministro della Giustizia.
I profili procedurali inerenti la sequenza degli atti suscettibili di condurre all'adozione di una delle determinazioni sanzionatorie come sopra introdotte dalla legge 374/1991 sono ulteriormente dettagliati dall'art. 17 del D.P.R. 10 giugno 2000, n. 198 (Regolamento recante norme di coordinamento e di attuazione del capo I della legge 24 novembre 1999, n. 468, concernente il giudice di pace).
5. Tratteggiate sinteticamente le norme di riferimento, va rammentato che il sindacato giurisdizionale sugli atti adottati dall'Organo di autogoverno della magistratura, connotati da ampia discrezionalità, è configurabile solo sotto il profilo dell'accertamento di illegittimità consistenti in un palese travisamento dei presupposti di fatto o di diritto.
In particolare, nel caso specifico dei giudici di pace, la legge assegna al CSM una valutazione che non è limitata all'accertamento di requisiti formali, ma è volta a verificare le stesse capacità del giudice onorario, il suo grado di indipendenza e prestigio e la sua preparazione professionale.
La valutazione del CSM in tale materia si configura quindi come valutazione di merito e pertanto, se essa è sindacabile sotto il profilo della congruità e ragionevolezza della motivazione, va tuttavia osservato come spetti esclusivamente al Consiglio la valutazione, in concreto, circa l'attitudine di determinati fatti o accadimenti ad incidere - o meno - sulle capacità del giudice onorario. T.A.R. Lazio, Roma, sez. I Quater , 5 agosto 2015, n. 10698).
6. Tanto preliminarmente osservato quanto alla latitudine dell’apprezzamento discrezionale rimesso al Consiglio Superiore della Magistratura e alla conseguente estensione della sindacabilità degli atti assunti da quest'ultimo in subjecta materia , va inquadrata la portata delle doglianze formulate in ricorso per verificare se l’atto deliberativo impugnato (il cui contenuto è poi refluito nel pure impugnato decreto ministeriale che ha irrogato la sanzione della censura) e gli atti procedimentali che lo hanno preceduto, evidenzino i profili di illegittimità denunciati dalla ricorrente.
La ricorrente, infatti, prima ancora di sollecitare la rivisitazione giudiziale della valutazione critica resa dal C.S.M. sulla propria posizione (prospettando l'erroneità delle valutazioni del Consiglio giudiziario prima e del C.S.M. dopo), a monte contesta la parzialità delle acquisizioni istruttorie procedimentali e l’immotivato diniego di ammissione delle prove da lei richieste.
Tali vizi avrebbero determinato innanzitutto una violazione del suo diritto di difendersi e, come conseguenza, un palese travisamento dei presupposti di fatto e di diritto stante il delinearsi di un quadro fattuale necessariamente parziale, poiché rappresentato dalle sole dichiarazioni testimoniali e dai soli pareri a lei sfavorevoli senza che le sia stato consentito di far ascoltare anche i testimoni e gli esperti informatici a sua discolpa.
7. Così inquadrato il thema decidendum , devono essere esaminati i singoli motivi.
7.1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione dei principi di imparzialità, di indipendenza e di terzietà che devono presidiare l’istruttoria dei procedimenti disciplinari a carico dei Giudici di pace in quanto un’istruttoria curata dal Presidente della Corte d'Appello, che è anche presidente del Consiglio giudiziario, non darebbe garanzie di imparzialità, essendo costui in grado di condizionarne la decisione.
Pertanto, in via pregiudiziale, la ricorrente ha eccepito l'illegittimità costituzionale degli artt. 9, comma 4, L. 374/1991 e 10 D.Lgs. 27 gennaio 2006 n. 25, per violazione degli artt. 3, comma 1 (per la evidente disparità di trattamento e le minori guarentigie rispetto ai magistrati ordinari), 24, comma 2, 111, commi 1 e 2, e 117 cost., nonché in relazione all'art. 6, comma 1, della C.E.D.U. quale "norma interposta".
7.1.1. Osserva il Collegio che, sulla base delle disposizioni di cui all'art. 9 comma 4, L. n. 374/1991 e dell'art. 17, D.P.R. 10 giugno 2000 n. 198, al Consiglio giudiziario non è rimessa la formulazione di una sorta di proposta vincolante, attenendo le relative competenze tipicamente ed esclusivamente a mere funzioni istruttorie e consultive, insuscettibili di incidere sull'autonomia di determinazione del C.S.M., pertanto le valutazioni e le proposte del Consiglio giudiziario possono essere legittimamente disattese dal C.S.M., al quale soltanto spetta il potere di valutare i fatti e di determinare la sanzione (T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 15 maggio 2013, n. 4863).
Ne discende che, quand’anche il Presidente della Corte di Appello possa aver condizionato la decisione del Consiglio giudiziario, la circostanza sarebbe irrilevante atteso che quest’ultima decisione non è in alcun modo vincolante per il Consiglio Superiore della Magistratura, al quale soltanto compete il potere valutativo e decisorio, che ben può esplicarsi in disaccordo con la proposta del Consiglio giudiziario.
7.1.2. Quanto alla sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 9 comma 4, L. n. 374 del 1991, per contrasto con gli artt. 3, 24, 111 e 117 Cost., se ne deve rilevare la manifesta infondatezza atteso che, come già in precedenza rilevato dalla Sezione (v. sentenza n. 10698/2015, cit.), ogni considerazione che poggia sulle norme che disciplinano il procedimento e le sanzioni disciplinari previste per i magistrati ordinari non è in alcun modo idonea a fungere da tertium comparationis , presupponendo le stesse lo status di magistrato togato e riferendosi, quindi, all'espletamento di un'attività eterogenea rispetto a quella dei giudici onorari, quali i giudici di pace.
Infatti, la circostanza che i giudici di pace siano soggetti, in caso di inosservanza dei relativi doveri, oltre che alla revoca, anche alle ulteriori sanzioni dell'ammonimento e della censura, rende ragione della presenza, nella disposizione sospetta di costituzionalità, di una adeguata graduazione della reazione dell'ordinamento alla diversa valenza dell'antigiuridicità rilevata nella condotta disciplinarmente rilevante.
Il primo motivo è, dunque, infondato.
7.2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione del termine a difesa avendo avuto a disposizione i dieci giorni, previsti dall'art. 17, comma 6, D.P.R. 198/2000, tuttavia per difendersi non in uno ma in 4 procedimenti.
7.2.1. Il motivo, così come prospettato, è inammissibile atteso che la ricorrente non indica quale sarebbe il vulnus che, in concreto, ella avrebbe sofferto a causa della denunciata violazione.
Invero la ricorrente neanche allega eventuali circostanze di fatto, prove documentali o prove testimoniali che non sarebbe stata in grado di far valere in giudizio a causa del limitato segmento temporale a disposizione.
Anzi, il tenore e il contenuto delle censure formulate nel prosieguo depongono nel senso che nessuna lesione la ricorrente abbia in effetti patito dal poco tempo di cui ha potuto disporre per difendersi, se non forse la probabile ansia di dover provvedere alle proprie difese in gran fretta;infatti, con gli ulteriori motivi la ricorrente si duole di aver compiutamente indicato i propri testimoni e di averne chiesto l’escussione, senza che la richiesta sia stata accolta.
Dunque, nonostante il breve tempo di cui ha potuto disporre, la ricorrente è riuscita a svolgere in modo adeguato tutte le sue difese.
7.3. Il rilievo che precede impone di passare all’esame del terzo e del quarto motivo.
Con il primo di tali due motivi la ricorrente denuncia irregolarità intervenute nella fase istruttoria, compiuta dal Presidente Vicario della Corte, consistenti nell’aver effettuato una parziale escussione dei testi;contesta, altresì, la successiva decisione, del tutto immotivata, assunta a maggioranza dal Consiglio giudiziario, di non procedere all’integrazione istruttoria richiesta dall’incolpata, mediante ammissione anche dei testi da lei indicati per confutare le accuse rivolte a suo carico.
In proposito la ricorrente contesta anche la motivazione con cui il Consiglio Superiore della Magistratura ha respinto la sua doglianza.
A sostegno della pregnanza della violazione procedimentale denunciata la ricorrente ha, poi, formulato il quarto motivo con il quale denuncia, ripercorrendo i fatti, gli effetti distorsivi e le pesanti ricadute che il difetto di istruttoria avrebbe avuto sulla decisione finale, determinando un palese travisamento dei presupposti di fatto e di diritto.
7.3.1. E’ necessario, a tal fine, riportare brevemente i fatti riferiti dalla ricorrente e tratteggiare le sue argomentazioni difensive.
I fatti.
Il 7 novembre 2012 l'avv.-O- ha presentato un esposto ascrivendo alla dott.ssa-O- di aver tenuto un atteggiamento di grave scorrettezza nei suoi confronti e del proprio assistito, cittadino ucraino, nel corso di due udienze di trattazione di un ricorso avverso un provvedimento di espulsione adottato dal Prefetto di -O-.
Il giudice di pace, secondo l’esposto, testualmente avrebbe usato "un linguaggio colorito e sconveniente e portato esempi estranei alla fattispecie oggetto del giudizio", "alterando sensibilmente i toni" e "battendo la mano sul tavolo";avrebbe avanzato commenti offensivi sia nei confronti del suo assistito, presente alla prima delle due udienze, sia in generale sugli immigrati, avverso i quali la dott.ssa-O- avrebbe avuto un atteggiamento di ostilità, evidenziato anche da commenti presenti sulla sua pagina Facebook;avrebbe infine respinto il ricorso con un provvedimento illegittimo che “verrà impugnato davanti alla Corte di cassazione".
Su questo esposto è stato aperto il procedimento disciplinare n. 12/2012 nel quale la ricorrente ha presentato osservazioni difensive deducendo la falsità dì quanto affermato dall'avv. -O- e facendo presente che il cliente dell'avv. -O- non era neanche presente alle udienze;ha quindi chiesto che venisse sentita in merito la dott.ssa -O-, Vice Prefetto di -O-, presente ad entrambe le udienze.
Dopo aver risentito l’avv. -O-, il Presidente della Corte, in data 6 febbraio 2013, ha assunto la deposizione del Vice Prefetto di -O-, dott.ssa -O-, la quale, ricevuta lettura dell’esposto, dopo aver confermato la sua presenza alle due udienze di discussione del ricorso in questione, ha testualmente dichiarato: "escludo con assoluta sicurezza che il giudice di pace-O- abbia mai pronunciato le frasi che le vengono attribuite, frasi che, se effettivamente pronunciate, me le sarei ricordate per tutta la vita. L'udienza si svolse normalmente senza tensioni. Ricordo che la-O- scriveva di suo pugno il verbale leggendo il testo ad alta voce, mancando in udienze siffatte il cancelliere".
La dott.sa-O- ha precisato che si occupa da circa due anni di procedimenti simili e di non aver “mai in tutta coscienza assistito a comportamenti impropri della dott.sa-O- nei confronti di immigrati extracomunitari" aggiungendo che "in genere l'immigrato straniero non compare in quelle udienze e nelle due udienze di cui ho parlato non era presente l'assistito della dott.sa -O-”.
Alla notazione che, secondo l'esposto, l’immigrato risultava essere presente almeno in una delle due udienze, la dott.sa-O- ha dichiarato: “io non l'ho visto e se l'avessi visto avrei chiamato la polizia".
Il 14 febbraio 2013 il Presidente ha riconvocato l'avv. -O- la quale, preso atto delle dichiarazioni del Vice Prefetto-O- che smentivano quanto da lei esposto, ha affermato che il Vice Prefetto non avrebbe detto il vero circa l'assenza del suo cliente, insistendo che questi "fu presente alla prima udienza" (ma aggiungendo poi di "poter pensare" che la dott.sa-O- "non se ne sia avveduta" ....);ha poi indicato, quali persone in grado di supportare le sue affermazioni, la sua assistente, sua figlia e la sua segretaria le quali, pur non presenti ai fatti, avrebbero potuto "riferire del mio stato d'animo nel momento in cui raccontavo quanto mi era accaduto".
Dopo tale ultima convocazione, il 25 febbraio 2013, cioè esattamente dieci giorni dopo che l'avv.to -O- era stata resa edotta dal Presidente della Corte che le sue affermazioni erano state smentite dal Vice Prefetto dott.sa-O-, è stato presentato un altro esposto da parte dell'associazione "-O-".
Tale associazione - riferisce la ricorrente di aver appreso dal suo sito Internet - costituisce un "Coordinamento migranti — Movimento del/delle migranti contro il razzismo e lo sfruttamento", il cui scopo consiste nel combattere il “razzismo istituzionale” rappresentato dalle politiche e dalle normative italiane ed europee in materia di immigrazione, nel tendere ad "abolire Frontex e sancire la possibilità di raggiungere liberamente lo spazio Schengen", nel combattere "contro la detenzione amministrativa nei CIE" e contro l’azione svolta "da Questure e Prefetture".
Con questo esposto, che ha assunto il n. 4/2013, gli esponenti di -O- hanno lamentato scorrettezze comportamentali del giudice-O- in occasione di due udienze tenutesi, rispettivamente, una nel procedimento relativo al cittadino tunisino sig.-O-, in data 6 maggio 2011, e l’altra, nel procedimento relativo alla cittadina nigeriana sig.ra -O-, in data 23 settembre 2010: udienze anteriori di due anni, la prima, e di quasi 3 anni, la seconda.
Il 14 maggio 2013 il Presidente Vicario della Corte ha sentito: la dott.ssa -O-, firmataria dell'esposto presentato dalla Associazione "-O-" e difensore della sig.ra -O-, pure firmatario dello stesso esposto e difensore della sig.ra -O-;l'avv.-O-, altra firmataria dell'esposto dell'associazione "-O-" e difensore del sig. -O-;il giorno successivo ha sentito anche il consulente dott. -O-, funzionario presso ISITEL S.p.a. con sede in Roma, il quale ha fatto presente che l'accesso alle pagine Facebook è normalmente "libero a meno di vincoli imposti dall'amministratore del computer utilizzato".
Il dott. -O- è stato nuovamente sentito il 20 maggio 2013 e ancora il 25 maggio 2013, sempre in ordine alla pubblicità o meno del profilo Facebook della dott.ssa-O-.
Informata anche di questo secondo esposto, il 27 maggio 2013 la ricorrente ha trasmesso al Presidente Vicario una memoria con la quale, dopo aver contestato ogni affermazione contenuta nell’esposto, ha chiesto che, in relazione a quanto avvenuto all'udienza del 6 maggio 2011 e alle altre udienze nelle quali era stata discussa la pratica relativa al sig. -O-, venissero sentiti i testi sìg.ri -O-, funzionari della Questura di -O-, presenti (a turno) alle udienze in questione, nonché il sig. -O-, interprete di lingua araba, pure presente alle stesse udienze;ha evidenziato, inoltre, che quanto esposto dall’associazione -O- sarebbe smentito anche nel verbale dell'udienza svoltasi il giorno 1 giugno 2011 davanti al Tribunale di -O-.
Ha inoltre chiesto che, in relazione alle fotocopie attribuite alla sua pagina Facebook, in gran parte disconosciute, venissero sentiti i testi -O- (esperto informatico che, già in relazione all'esposto dell'avv. -O-, aveva attestato "con elevato grado di certezza che quanto prodotto da controparte non può essere riconducibile all'utente Facebook, atteso che chiunque ed in qualsiasi momento può creare false rappresentazioni cartacee come quelle allegate all'esposto").
Inoltre, in ordine alla denuncia (anche questa analoga a quella già avanzata dall'avv. -O-), che i provvedimenti emessi dalla dott.ssa-O- sarebbero stati illegittimi perché assunti "in spregio alla normativa o alla giurisprudenza di legittimità", la ricorrente ha prodotto al C.S.M. la nota del Coordinatore dell'Ufficio del Giudice di Pace di -O-, dott. -O- (doc. 5), che attesta che nessun ricorso è stato presentato avverso i provvedimenti assunti dalla dott.ssa-O- nei tre procedimenti oggetto dei due esposti in questione.
La tesi difensiva.
Innanzitutto la ricorrente ritiene che i due procedimenti (--O- e -O-) siano stati artatamente selezionati tra le centinaia celebrati perché alle relative due udienze non era stata presente la dott.sa-O-;per tali due procedimenti gli esponenti hanno affermato che le decisioni assunte dalla dott.ssa-O- sarebbero risultate "in spregio alla normativa e alla giurisprudenza di legittimità". Hanno inoltre lamentato, analogamente all'avv. -O- e producendo le stesse fotocopie, che dall'esame della pagina Facebook della dott.ssa-O- sarebbe emersa la sua ostilità agli extracomunitari.
Ciò posto la ricorrente sostiene che siano false e non credibili le accuse rivoltele, circa presunte sue scorrettezze in udienza, sia perché prospettate solo ad anni di distanza da quando i fatti si sarebbero verificati, sia perché strumentali a suffragare il ricorso dell'avv. -O-, dopo che il relativo contenuto era stato smentito da parte del Vice Prefetto di -O-, sia perché provenienti dagli esponenti di una associazione che si pone dichiaratamente in contrasto con le politiche e le normative non solo italiane ma anche europee in tema di immigrazione e contro le attività svolte dalle istituzioni dello Stato che denunciano quale "razzismo istituzionale", sia perché non asseverate da alcun testimone presente alle udienze in questione, sia perché, in particolare, quanto esposto dal difensore del sig. -O- sarebbe smentito dal verbale di udienza del successivo procedimento svoltosi nei suoi confronti davanti al Tribunale di -O-;infine perché, se fossero state vere, avrebbero necessariamente dovuto indurre i difensori, pena l’ipotesi di infedele patrocinio, alla sua immediata ricusazione in udienza.
7.3.2. Dall’esame della documentazione in atti risulta che la dott.ssa-O- ha prospettato tutte le questioni dedotte in ricorso, segnatamente tutte le circostanze di fatto da ultimo riportate, sia nella memoria presentata al Consiglio giudiziario in vista dell’udienza del 17 giugno 2013 (doc. 9), sia nella memoria inoltrata al C.S.M. in data 8 ottobre 2013 (doc. 7).
Nella delibera della seduta del 20 febbraio 2014, che riproduce integralmente il contenuto della precedente in data 24 gennaio 2014 - salvo che per un passaggio (di seguito evidenziato) e conseguentemente per la parte dispositiva - il Consiglio Superiore della Magistratura, dopo aver riportato in premessa, in oltre 11 pagine, il contenuto dei quattro esposti e la sequenza degli atti compiuti nei relativi procedimenti riuniti, conclude, nelle ultime due pagine, esponendo le ragioni per le quali ha ritenuto infondate le deduzioni della ricorrente in ordine: all’eccezione di incostituzionalità della disciplina procedimentale relativa all’azione disciplinare nei confronti dei giudici di pace;alla denunciata lesione del diritto di difesa derivante dalla riunione dei procedimenti;alle denunciate gravi irregolarità intervenute nella fase istruttoria compiuta dal Presidente Vicario della Corte nei procedimenti n. 12/2012 e 4/2013.
In particolare, in relazione a tale ultimo profilo, la delibera così motiva: “L'individuazione, invero, dei testi da escutere e la valutazione circa la rilevanza ed indispensabilità operata dal Presidente della Corte, prima, e dal Consiglio giudiziario, poi, peraltro nel merito tutte condivisibili, non sono sanzionabili e non assurgono ad elemento di illegittimità di alcuna delle fasi del procedimento”.
Segue il periodo parzialmente modificato rispetto alla delibera del 24 gennaio 2014: “Nel merito, la complessiva proposta del Consiglio Giudiziario di archiviazione dei procedimenti disciplinari di cui ai punti sub 3. (procedimento n. 7/2013 Ris. G.d.P.) e sub 4. (procedimento n. 8/2013 Ris. G.d.P.) appare condivisibile, così come appare condivisibile la proposta di irrogazione della sanzione della censura in relazione unicamente agli addebiti disciplinari di cui al punto sub 2. (procedimento n. 4/2013 Ris. G.d.P.), avendo la Ottava Commissione, con riferimento agli addebiti di cui al punto sub 1 (procedimento n. 12/2012 Ris. G.d.P.) disposto lo stralcio dei relativi atti e la formazione di fascicolo a parte”.
Infine, sempre a seguire, la delibera riporta come le ragioni della irrogazione della sanzione disciplinare: "Come emerge dalla documentazione in atti la dott.ssa-O- è incorsa in gravi e significative violazioni dei doveri gravanti sul magistrato onorario con riferimento al complessivo svolgimento dell'attività di ufficio nel quale, indubbiamente, devono ricomprendersi le stesse condotte <personali>del magistrato direttamente incidenti sui requisiti dell'equilibrio e della imparzialità.
In particolare, emerge dall'istruttoria svolta che in diversi procedimenti e con diverse parti, la dott.ssa-O- ha formulato in udienza espressioni e giudizi nei confronti degli immigrati, interrompendo più volte il difensore, e mantenendo un atteggiamento ostile ed offensivo, creando nelle parti l'oggettiva percezione di un pregiudizio nei confronti degli immigrati.
Non è dunque contestabile che tali condotte abbiano connotato le modalità di esercizio delle funzioni onorarie: esse dunque denotano l'incapacità del giudice di pace svolgere diligentemente il proprio lavoro, di guisa che la condotta contestata assume indubbia rilevanza sotto il profilo disciplinare ex art. 9, commi 3 e 4, legge n. 374/91.
Orbene, nella fattispecie in esame è indubbio che la gestione di determinati procedimenti, le modalità di rapportarsi alle parti, la conduzione complessiva dell'udienza connotano un significativo periodo del percorso professionale della dott.ssa-O-, rispetto al quale appaiono di immediato e diretto rilievo le condotte e le opinioni espresse, non in quanto tali ma quali manifestazione concreta di carenza di imparzialità, di riserbo, nonché espressione di apparente pregiudizio tale da minare, indipendentemente dalla soggettiva convinzione, l'immagine esterna del magistrato.
Sotto tali profili, le deduzioni difensive, oltre che prive di oggettivo riscontro, non sono idonee a delineare cause di giustificazione per tali gravi condotte, essendosi limitata la dott.ssa-O- a contestare l'ostensibilità delle affermazioni postate sul suo profilo di face book, ed a negare, in fatto, il verificarsi di alcuni episodi descritti nel corpo delle denuncie” (così testualmente).
Prosegue la delibera: “Tali affermazioni difensive, oltre che prive di oggettivo riscontro, a fronte di chiare e precise dichiarazioni degli esponenti, non valgono di per se stesse a neutralizzare la portata degli addebiti ed in particolare ad impedire il formarsi di quel giudizio di carenza di imparzialità e di equilibrio sottesi alle contestazioni in esame.
Deve quindi ritenersi che per sistematicità ed entità le violazioni — oltre che per la diffusione della conoscenza delle stesse — accertate a carico della dott.ssa-O-, non possano definirsi occasionali o frutto di contingenti errori, costituendo manifestazione di una incapacità di gestione complessiva dell'udienza e della funzione, lesa da un contegno personale che, lungi dall'essere manifestazione di libera espressione del pensiero, scade nella lesione dei requisiti dell'imparzialità e dell'equilibrio del magistrato, e della correttezza nei confronti delle parti, tali da pregiudicare il prestigio dell'Ordine Giudiziario e la credibilità delle funzioni esercitate.
Sulla scorta delle considerazioni che precedono, si ritiene adeguata e proporzionata nel caso di specie la sanzione della censura”.
7.3.3. Rileva il Collegio che, in effetti, al di là della mera enunciazione teorica del principio, pur condivisibile in astratto, secondo cui rientra nel potere del Presidente della Corte, prima, e del Consiglio giudiziario, poi, l'individuazione dei testi da escutere e la valutazione circa la loro rilevanza ed indispensabilità, in concreto, tuttavia, la delibera non spiega il perché sia stato corretto non accogliere (ossia perché non siano state ritenute utili al fine di consegnare all’organo giudicante un quadro completo delle vicende in esame), le insistenti e ripetute richieste istruttorie dell’incolpata di escutere altri testimoni che avrebbero, in ipotesi, potuto fornire una diversa rappresentazione dei fatti, verosimilmente più favorevole alla ricorrente.
In proposito deve rilevarsi che la ricorrente ha chiesto di sentire altri testimoni su fatti precisi e circostanziati svoltisi durante le udienze “incriminate”, fatti che sono stati pedissequamente esposti nelle diverse memorie presentate: si tratta proprio dei fatti che la delibera impugnata ha poi ritenuto, in quanto così emersi “dall'istruttoria svolta”, essersi svolti proprio come affermato dai testimoni contrari alla ricorrente e soltanto da essi, in totale assenza di prova contraria e di testimoni a favore.
La delibera si limita a dire che l'individuazione dei testi da escutere e la valutazione circa la rilevanza ed indispensabilità operata dal Presidente della Corte, prima, e dal Consiglio giudiziario, sono “nel merito tutte condivisibili”, ma non ne spiega le ragioni;né le ragioni della non ammissione dei testimoni richiesti dalla ricorrente sono rinvenibili nel verbale del Consiglio giudiziario (doc. 5), né, infine, nella parte narrativa della delibera del C.S.M. ove si riporta il contenuto degli esposti e lo svolgimento dell’istruttoria.
Anche in ordine alle circostanze riguardanti la sua pagina facebook la ricorrente ha chiesto di poter sentire un altro esperto informatico, a confutazione di quanto affermato dal dott. -O-, funzionario presso ISITEL S.p.a., ma anche su tale punto le richieste sono state ignorate: in proposito l’impugnata delibera sostiene che la dott.ssa-O- si sarebbe limitata a contestare l'ostensibilità delle affermazioni postate sul suo profilo facebook.
In realtà dagli atti emerge che la ricorrente, a mezzo di un diverso esperto informatico, avrebbe voluto dimostrare, non già la non ostensibilità, bensì la non autenticità di quanto prodotto dalla controparte, ossia la non riconducibilità alla sua utenza Facebook delle fotocopie prodotte, ben potendo chiunque, in qualsiasi momento, creare false rappresentazioni cartacee come quelle allegate all'esposto.
7.3.4. Alla stregua delle superiori considerazioni il Collegio ritiene fondato il terzo motivo.
In sostanza, sono ravvisabili sia le irregolarità procedimentali denunciate dalla ricorrente, sotto il profilo del difetto di istruttoria, sia l’assenza di motivazione in ordine alla reiezione delle sue ripetute e circostanziate richieste istruttorie.
L’aver, prima il Presidente della Corte e poi il Consiglio giudiziario, immotivatamente obliterato le richieste istruttorie della ricorrente, oltre a generare una possibile lesione del diritto di difesa dell’incolpata, ha fatto sì che siano state prospettate all’organo deliberante esclusivamente le tesi dell’accusa, così precludendo una conoscenza a 360 gradi dell’accaduto e ponendo le basi per un travisamento dei presupposti di fatto e di diritto;invero, non può escludersi che la decisione finale potesse avere un contenuto diverso, più favorevole alla ricorrente, a fronte di un quadro probatorio più ampio e completo.
Per quanto precede, limitatamente al terzo motivo, il ricorso deve essere accolto e, per l’effetto, gli atti impugnati devono essere annullati, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione.
8. Le spese del giudizio, in considerazione dell’accoglimento parziale del ricorso, possono essere compensate.