TAR Napoli, sez. VI, sentenza 2010-07-15, n. 201016807

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. VI, sentenza 2010-07-15, n. 201016807
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201016807
Data del deposito : 15 luglio 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 06040/2006 REG.RIC.

N. 16807/2010 REG.SEN.

N. 06040/2006 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 6040 del 2006, proposto da:
G V, rappresentata e difesa dall'avv. B D M, con domicilio eletto in Ischia alla via Osservatorio n. 40;

contro

Comune di Forio (n.c.);

per l'annullamento dell’ordinanza di demolizione n. 292 del 18.5.2006 e di ogni altro connesso, preordinato e conseguente;


Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 aprile 2010 il Cons.Angelo Scafuri e udito per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La ricorrente si duole dell’ordinanza di demolizione ex art. 27 del DPR n. 380/2001 di opere abusive eseguite nel fabbricato di proprietà.

A sostegno del gravame l’interessata deduce profili di violazione di legge ed eccesso di potere.

Il Comune intimato non si è costituito in giudizio.

Alla pubblica udienza del 7 aprile 2010 la causa è stata introitata per la decisione.

DIRITTO

Le opere sanzionate sono consistite in lavori eseguiti in difformità dalla dia a suo tempo presentata ed in particolare nella “realizzazione del solaio ammezzato ad una quota dal piano di calpestio di mt 2,47 anziché di mt 3,20-apertura di un vano porta finestra largo mt 3,50.Sul lato sud realizzazione di una scala a giorno in muratura a due rampe larga cm 80 e lunga mt 2,60” (verbale del 27.6.2004) nonché “copertura avente una superficie di mq 13,00..Sul terrazzo pavimentato del secondo livello del preesistente fabbricato risulta una struttura interessante una superficie di mq 16,00 ed un’altezza di mt 2,80 circa..sulla quale poggia una copertura in grillage, fogli di plastica ed incannucciate” (verbale del 7.7.2005).

L’ordinanza di demolizione impugnata è stata motivata dalla mancanza dei necessari titoli abilitativi in zona vincolata, vale a dire, come esplicitato dai richiami normativi tra gli altri operati, dalla mancanza del permesso di costruire (art. 27 del DPR n. 380/2001) e dell’autorizzazione paesaggistica (art. 167 del D.Lgvo n. 42/2004).

Il ricorso è infondato alla luce delle censure dedotte, che non confutano la consistenza in fatto delle opere realizzate – d’altra parte risultanti dai richiamati accertamenti degli organi tecnici comunali,riportate nel provvedimento impugnato, ed in parte qua assistite da fede privilegiata fino a querela di falso - ma poggiano sulla diversa qualificazione delle medesime, non condivisibile in relazione sia appunto alla portata degli interventi edilizi operati sia alla loro mera asserzione, non suffragata da alcun supporto probatorio.

In particolare a sostegno del gravame l’interessata deduce l’incompetenza, il difetto di istruttoria – essendosi limitata “a ricostruire il precedente solaio intermedio ad una quota inferiore rispetto al preesistente” nonché ”alla ricostruzione fedele delle strutture fatiscenti” ed “alla mera sostituzione della preesistente tettoia di copertura del terrazzo pavimentato” e quindi trattandosi di interventi di manutenzione straordinaria ovvero di carattere pertinenziale –l’omessa valutazione della possibilità di procedere senza pregiudizio per le parti conformi od autorizzate, l’omessa comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 della legge n. 241/1990, l’insussistenza dei presupposti per l’applicabilità dell’art. 27 – trattandosi di opera completata – l’omessa motivazione sulle ragioni per le quali la sanzione del ripristino è stata preferita a quella pecuniaria nonché sulla sussistenza dell’interesse pubblico concreto e specifico, l’omessa considerazione della sanabilità delle opere.

Il ricorso è infondato.

In primo luogo in ordine alla censura volta a denunciare l’incompetenza del dirigente comunale a favore di quella del Soprintendente – profilo comunque ulteriore rispetto a quello urbanistico - basti osservare che l’art. 27 del d.P.R. n. 380/2001 limita la competenza della Soprintendenza ai beni culturali solo sugli immobili dichiarati monumento nazionale né la competenza del dirigente può ritenersi esclusa dall’art. 167 del d. lvo n. 42/2004 - ove si sancisce che “l’autorità amministrativa preposta alla tutela paesaggistica provvede d’ufficio per mezzo del Prefetto” - atteso che il tramite di altro organo per l’esecuzione materiale non elide il regime della competenza stabilito in via generale ex art. 27 del d.P.R. 380 (ex plurimis questa sezione n. 19429 del 10 novembre 2008).

Nel merito degli interventi realizzati, va rilevato che le opere sanzionate sono soggette al regime concessorio in quanto incidono – contrariamente all’assunto di parte - per numero, natura e consistenza sull’assetto edilizio preesistente.

Invero è indubbio che le modificazioni operate dai ricorrenti hanno reso lo spazio abitabile o più convenientemente utilizzabile, per cui – a prescindere dal comunque indimostrato carattere manutentivo o pertienenziale – non possono che essere qualificate come sensibile trasformazione delle preesistenze tali da comportare come detto il sicuro assoggettamento al regime concessorio.

Ciò tanto più in un territorio ove sussiste il vincolo paesaggistico-ambientale di cui ai D.Lgvi n. 490/1999 e n. 42/2004, espressamente richiamati nel provvedimento impugnato.

Ancora più specificamente sulla pretesa ricostruzione di manufatti preesistenti, la documentazione prodotta agli atti di causa a tutto concedere non comprova la legittimità urbanistico-edilizia.

In altri termini manca agli atti prova sicura e certa del necessario titolo abilitativo all’esecuzione delle opere di cui all’ordinanza impugnata.

Per converso come detto è proprio la natura e consistenza delle suddescritte opere a rendere necessario il loro assoggettamento al regime concessorio, in quanto incidenti sull’assetto edilizio.

Circa l’insussistenza dei presupposti per l’applicabilità dell’art. 27, va ricordato che l’indirizzo giurisprudenziale, peraltro minoritario, il quale facendo leva sul dato letterale dell’originaria formulazione della norma (“quando riscontri l’inizio”), subordinava la demolizione all’esistenza di due requisiti – che l’abuso fosse stato realizzato su aree soggette a vincolo di inedificabilità assoluta e che le opere non si trovassero in fase di avanzata realizzazione (sicchè l’iniziativa edificatoria potesse essere bloccata sul nascere) – non è più sostenibile alla luce delle modificazioni introdotte dall’art. 32 commi 44 e 45 del DL 30.9.2003 n.269, il cui testo letterale (“quando accerti l’inizio o l’esecuzione”) consente senza dubbio di procedere alla demolizione di ufficio per tutto il corso dell’esecuzione dell’opera abusiva e non più soltanto nella fase iniziale di essa.

D’altra parte la norma in questione è stata univocamente interpretata dalla giurisprudenza, in particolare di questo Tribunale, nel senso che lo specifico presupposto che differenzia il procedimento sanzionatorio previsto dall'art. 31 del TU dell’edilizia (ex art. 4 l. n. 47 del 1985), rispetto a quello di cui all'art. 27 del medesimo testo normativo (ex art. 7 della stessa legge 47/1985) va rinvenuto nella localizzazione delle opere abusive su aree assoggettate a vincolo di inedificabilità, ovvero destinate ad opere e spazi pubblici o ad interventi di edilizia residenziale pubblica e quindi nella necessità di reintegrare con immediatezza il bene protetto, pregiudicato dall'abusivo intervento edilizio, per cui l'ordine di demolizione deve seguire automaticamente all'accertamento dell'illecito, senza la necessità di una preventiva notifica della diffida a demolire e senza alcun margine per valutazioni discrezionali (anche in ordine alla scelta se procedere alla demolizione o unicamente alla acquisizione al patrimonio dell’ente), al fine di impedire che il trascorrere del tempo determini il consolidarsi di situazioni soggettive che potrebbero impedire l'applicazione della sanzione ripristinatoria (T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, n. 3780/2005 e n. 3862/2008).

Parimenti circa l’omessa valutazione sulla possibilità del ripristino senza pregiudicare la preesistenza edilizia, va osservato che proprio in virtù delle trasformazioni operate abusivamente il manufatto attualmente esistente presenta caratteristiche differenti da quello preesistente, con conseguente configurabilità di un unicum abusivo ovvero impossibilità di distinguere tra la parte (legittimamente) preesistente e quella successivamente (illegittimamente) edificata

D’altra parte in presenza di un intervento edilizio realizzato in assenza del prescritto permesso di costruire l’ordine di demolizione costituisce atto dovuto mentre la possibilità di non procedere alla rimozione delle parti abusive quando ciò sia di pregiudizio alle parti legittime costituisce solo un’eventualità della fase esecutiva, subordinata alla circostanza dell’impossibilità del ripristino dello stato dei luoghi (questo Tribunale sez. VII n. 1624 del 28.3.2008).

Dalla rilevata abusività delle opere sanzionate discende l’irrilevanza ex art. 21 octies legge n. 241/1990 della pretesa omissione della fase partecipativa a fronte della natura vincolata del potere esercitato, atteso che i ricorrenti non hanno evidenziato profili per i quali l’Amministrazione avrebbe potuto determinarsi diversamente.

L’incontestabile carattere abusivo con conseguente natura dovuta del provvedimento amministrativo sanzionatorio rende altresì prive di pregio le censure inerenti il difetto di motivazione, in particolare sull’interesse pubblico concreto e specifico, tenuto anche conto che per pacifica giurisprudenza l’ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive è sufficientemente motivata con riferimento all’oggettivo riscontro dell’abusività delle opere ed alla sicura assoggettabilità di queste al regime concessorio.

I provvedimenti che ordinano la demolizione di manufatti abusivi non abbisognano di congrua motivazione in ordine all’attualità dell’interesse pubblico alla loro rimozione che è in re ipsa consistendo nel ripristino dell’assetto urbanistico violato, anche se adottati a distanza di anni dalla realizzazione dell’abuso (questo Tribunale sez. IV n. 19341 del 7.11.2008).

D’altra parte in caso di abuso edilizio non sussiste un affidamento del privato tutelabile da parte dell’ordinamento, per cui l’ordinanza di demolizione non deve essere sorretta da alcuna specifica motivazione in ordine alla sussistenza dell’interesse pubblico a disporre la sanzione, non potendo l’abuso giustificare alcuna aspettativa del contravventore a veder conservata una situazione di fatto che il semplice trascorrere del tempo non può legittimare.

Del pari, per quanto riguarda la mancata esplicitazione delle ragioni per le quali la sanzione del ripristino è stata preferita a quella pecuniaria, va rimarcato che in caso di costruzione di un’opera abusiva la valutazione inerente alla possibilità di procedere o no alla demolizione e la conseguente scelta tra demolizione d’ufficio ed irrogazione di una pena pecuniaria attengono ad un contesto procedimentale autonomo e successivo rispetto a quello dell’ordinanza di demolizione.

Infine sull’invocata possibilità di sanare le opere realizzate ai sensi degli strumenti urbanistici vigenti, va osservato che prima di emanare l’ordine di demolizione il Comune non ha l’obbligo di verificarne la sanabilità, atteso che è rimessa all’esclusiva iniziativa della parte interessata l’attivazione del procedimento di accertamento di conformità urbanistica (Napoli VI n. 19290 del 6.11.2008).

La mancata costituzione in giudizio del Comune dispensa il Collegio dalla pronuncia sulle spese.

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