TAR Firenze, sez. I, sentenza 2018-01-02, n. 201800001

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Firenze, sez. I, sentenza 2018-01-02, n. 201800001
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Firenze
Numero : 201800001
Data del deposito : 2 gennaio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/01/2018

N. 00001/2018 REG.PROV.COLL.

N. 00206/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 206 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Società Cooperativa Edificatrice Pian di Mezzana, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati V C, F D M e F F, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Firenze, via de' Pucci 4;

contro

Comune di Scandicci, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato C B, domiciliato ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria del T.A.R. Toscana in Firenze, via Ricasoli 40;
Regione Toscana, non costituita in giudizio;

nei confronti di

Rosella Agnoloni, Claudia Brunacci, Paolo Di Giacomo, Saverio Gaglioti, Micaela Agata Barcotto, Maria Grazia Bartoli, Patrizia Cecchi, Gabriele Vignolini, Gianna Berti, Alessio Testi, Lucia Liccioli, non costituiti in giudizio;

per l'annullamento

- della nota prot. n. 41988, in data 29.11.2012, del Dirigente del Settore Edilizia e Urbanistica del Comune di Scandicci;

- della nota prot. n. 43437, in data 7.12.2012, del Dirigente del Settore Edilizia e Urbanistica del Comune di Scandicci;

e, per quanto occorrer possa ed in parte qua, per annullamento e/o accertamento della nullità:

- della delibera del Consiglio Regionale della Toscana n. 260, in data 23.5.1978;

- della “scheda di presentazione” del Piano Integrato di Intervento, comparto Badia a Settimo/S. Colombano, in data 2.2.1999;

- della delibera della Giunta Comunale di Scandicci n. 96 in data 25.3.1999 e dei relativi elaborati tra cui, in particolare, la relazione generale, la relazione tecnica, la relazione di stima, lo studio idrologico-idraulico/superamento del rischio idraulico ed il bando per la selezione dell’operatore privato;

- della delibera del Consiglio Comunale di Scandicci n. 73 in data 8.4.1999 e dei relativi elaborati tra cui, in particolare, la relazione generale, la relazione tecnica, la relazione di stima, lo studio idrologico-idraulico/superamento del rischio idraulico ed il bando per la selezione dell’operatore privato;

- della delibera del Consiglio Comunale di Scandicci n. 4 in data 18.1.2000;

- della delibera del Consiglio Comunale di Scandicci n. 134 in data 16.7.2002;

- della delibera del Consiglio Comunale di Scandicci n. 80 in data 24.7.2003;

- della delibera del Consiglio Comunale di Scandicci n. 101 in data 13.9.2005 e dell’atto di indirizzo della Giunta Comunale n. 10 in data 12.7.2005;

- della Convenzione stipulata di fronte al Segretario Generale del Comune di Scandicci il 2.3.2006, rep. n. 13017, fascicolo n. 882;

- della nota prot. n. 10807 in data 21.3.2011, del Dirigente del Settore Edilizia e Urbanistica e del Responsabile P.O. Supporto Pianificazione del Territorio del Comune di Scandicci;

- della nota prot. n. 16738 in data 29.4.2011, del Dirigente del Settore Edilizia e Urbanistica e del Responsabile P.O. Supporto Pianificazione del Territorio del Comune di Scandicci;

- della delibera della Giunta Comunale di Scandicci n. 162 in data 13.9.2011;

- del verbale della seduta del Consiglio Comunale di Scandicci in data 17.10.2011 (atto n. 124);

- della nota del Sindaco del Comune di Scandicci in data 8.2.2012;

- della nota riepilogativa (“resoconto”), in data 31.1.2012, del Dirigente del Settore Edilizia e Urbanistica del Comune di Scandicci e delle quattro elazioni tematiche allegate a tale nota (e, cioè, delle relazioni dell’Avvocatura comunale, a firma dell’Avv. B;
del Settore Risorse e Innovazione-Settore Patrimonio Immobiliare e Stime, a firma del Geom. F;
del Settore Opere Pubbliche, Manutenzione ed Espropri, Ambiente-Protezione Civile, a firma del Geom. C;
del Servizio Pianificazione Territoriale ed Urbanistica - Edilizia Pubblica, a firma della Dott.ssa R);

- del verbale della seduta del Consiglio Comunale di Scandicci in data 13.3.2012 (atto n. 41);

- di qualsiasi altro atto, comunque presupposto, connesso o consequenziale, ancorché ignoto alla ricorrente;

nonché per accertamento della non debenza (in tesi totale, in ipotesi almeno parziale) di qualsiasi somma di denaro che il Comune di Scandicci intenda richiedere, ai sensi dell’art. 9 della Convenzione in data 2.3.2006, rep. n. 13017, fascicolo n. 882, alla Cooperativa ricorrente.

Visti i motivi aggiunti depositati in data 21 maggio 2015, per l'annullamento:

- della nota in data 13.03.2015, del Dirigente del Settore Edilizia e Urbanistica del Comune di Scandicci;

- della nota in data 31.03.2015, del Dirigente del Settore Edilizia e Urbanistica del Comune di Scandicci;

- della nota prot. n. 21537, in data 14.06.2012, del Dirigente del Settore Edilizia e Urbanistica del Comune di Scandicci;

- della nota in data 8.08.2012, prot. n. 28631 del 9.08.2012, del Dirigente del Settore Edilizia e Urbanistica del Comune di Scandicci.

Visti i motivi aggiunti depositati in data 16 giugno 2016, per l'annullamento dell'ordinanza n. 211 del 7.04.2016 del Dirigente del Settore Edilizia e Urbanistica del Comune di Scandicci e della relativa nota di trasmissione in data 8.04.2016 del Responsabile P.O. Supporto Pianificazione del Territorio del Comune di Scandicci.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Scandicci;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 ottobre 2017 il dott. Pierpaolo Grauso e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La cooperativa ricorrente è uno degli operatori privati, che, in raggruppamento fra loro, hanno realizzato la parte più consistente delle opere previste dal Programma Integrato d’Intervento approvato dal Comune di Scandicci con deliberazione consiliare n. 73 dell’8 aprile 1999, costituita da ventidue sublotti del P.E.E.P. di Badia a Settimo/San Colombano, per complessivi duecentoquarantasette alloggi di edilizia convenzionata e 1.300 mc di spazi commerciali, oltre che da ingenti opere di urbanizzazione ed interventi per il superamento del rischio idraulico a scomputo dei corrispondenti oneri.

La delibera di approvazione del programma e il bando di indizione della procedura per la scelta del soggetto privato attuatore del programma avevano fissato, per quanto qui interessa, il prezzo massimo di prima cessione degli alloggi, distinguendo in relazione alle diverse tipologie edilizie e riconoscendone la possibilità di adeguamento mediante l’applicazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo.

Alla procedura aveva partecipato il solo raggruppamento del quale faceva parte la ricorrente, che se ne era reso aggiudicatario in forza di deliberazione comunale n. 4 del 18 gennaio 2000.

Nel corso della successiva e prolungata fase di elaborazione del progetto preliminare, è stata approvata dal Comune una variante urbanistica “di assestamento”, che ha comportato un incremento del numero di alloggi da realizzare, ferma restando la volumetria complessivamente assentibile.

Con deliberazione n. 80 del 24 luglio 2003, il Comune ha approvato infine il progetto preliminare e lo schema della convenzione destinata a regolare i rapporti con gli operatori privati, frattanto costituitisi nel Consorzio “Nuova Badia”.

La convenzione è stata sottoscritta il 2 marzo 2006, e prevedeva la cessione dei lotti edificabili in proprietà al Consorzio e alle cooperative assegnatarie, i corrispettivi delle cessioni, l’obbligo degli operatori privati di eseguire le opere di urbanizzazione e gli interventi necessari per il superamento del rischio idraulico. Ancora, essa prescriveva le caratteristiche tipologiche degli edifici da realizzare, i termini di ultimazione dei lavori e, all’art. 9, i criteri e le modalità per la determinazione del prezzo massimo di cessione dei singoli alloggi, ponendo a carico degli operatori privati, per l’ipotesi di inosservanza del prezzo massimo di cessione, penalità pecuniarie in misura da due a cinque volte la differenza tra il prezzo massimo stabilito dalla convenzione e quello effettivamente praticato.

Ottenuti i necessari titoli abilitativi, la cooperativa ricorrente ha eseguito i lavori di propria competenza e, nel corso dell’anno 2011, ha ceduto definitivamente gli alloggi realizzati ai soci assegnatari.

Nell’aprile dello stesso anno, il Comune di Scandicci ha informato il Consorzio Nuova Badia e le cooperative in esso riunite di aver verificato che i contratti di cessione di alcuni alloggi appartenenti al P.E.E.P. di San Colombano erano stati stipulati a prezzi non conformi a quanto stabilito dalla convenzione del 2006, e, nel richiamare al rispetto dei criteri convenzionali, ha sollecitato la trasmissione di copia integrale dei contratti di assegnazione, significando che la violazione del prezzo massimo avrebbe comportato l’applicazione delle penali convenzionalmente pattuite.

Con delibera di Giunta n. 162 del 13 settembre 2011, il Comune ha poi fissato l’entità delle penali dovute dagli operatori privati, per il caso di cessione degli alloggi a prezzo non conforme, nella misura convenzionale minima, pari a due volte la differenza tra il prezzo massimo stabilito dalla convenzione e quello effettivamente praticato, dando incarico agli uffici di verificare l’esistenza di eventuali violazioni.

Nel dicembre 2011, la ricorrente e le altre cooperative interessate, unitamente al Consorzio Nuova Badia, hanno presentato al Comune una memoria di carattere generale, relativa a tutti gli alloggi realizzati, allo scopo di dimostrare la congruità dei prezzi di cessione praticati e la conformità degli stessi alla convenzione.

Gli scambi fra le parti sono proseguiti durante il 2012, fino a quando il Comune, nell’aprile di quell’anno, non ha irrogato nei confronti di alcune cooperative – diverse dalla ricorrente – le penali relative ai prezzi praticati per la vendita di alcuni alloggi. Le sanzioni, nella forma dell’ordinanza-ingiunzione di pagamento prodromica alla riscossione coattiva ai sensi del R.D. 14 aprile 1910, n. 639, sono state impugnate dinanzi a questo stesso T.A.R. con separati ricorsi.

Alla cooperativa Pian di Mezzana è pervenuta invece la nota del 29 novembre 2012, attestante gli esiti dell’istruttoria condotta sui prezzi di vendita degli alloggi da essa realizzati, e con la quale il Comune evidenziava – contratto per contratto – la mancata corrispondenza con i prezzi risultanti dall’applicazione dei criteri stabiliti dalla convenzione del 2 marzo 2006, riservandosi di porre in essere tutti gli atti necessari a garantire il rispetto della convenzione medesima, in esito alla decisione del T.A.R. sui ricorsi pendenti.

Con successiva nota del 7 dicembre 2012, il Comune, precisando di avere erroneamente attribuito alla ricorrente l’avvenuta proposizione di ricorsi al T.A.R. avverso atti irrogativi di penali, confermava in ogni caso la propria volontà di adottare le iniziative necessarie ad assicurare il rispetto dei prezzi massimi di cessione degli alloggi, una volta conosciuta la decisione del giudice amministrativo.

Il contenzioso giurisdizionale, cui si fa cenno nelle note comunali appena menzionate, è stato definito da questo T.A.R. con le sentenze nn. 1923, 1951 e 1959 del 27 novembre 2014, e n. 1985 del 4 dicembre 2014, di parziale accoglimento dei ricorsi.

A seguito delle pronunce del T.A.R., il Comune di Scandicci con nota del 13 marzo 2015 ha comunicato alla ricorrente che avrebbe provveduto al ricalcolo delle penali relative al prezzo di cessione degli alloggi da essa costruiti, previa acquisizione dalla cooperativa di una serie di documenti. E, con successiva nota del 31 marzo 2015, ha indicato gli alloggi oggetto di verifica, reiterando la richiesta della documentazione a comprova della corretta applicazione dei criteri convenzionali di determinazione del prezzo di prima cessione.

Le verifiche condotte dal Comune sono infine confluite nell’ordinanza n. 211 del 7 aprile 2016, con la quale alla cooperativa Pian di Mezzana è stato ingiunto il pagamento delle penali riferite alla cessione di undici degli alloggi realizzati nell’ambito del P.E.E.P. a prezzo superiore a quello previsto dalla convenzione. Il complessivo importo delle penali ammonta ad euro 1.630.000,00.

1.1. Al susseguirsi delle iniziative assunte dal Comune di Scandicci nei confronti della cooperativa ricorrente, fa riscontro il progressivo ampliamento dell’oggetto del presente giudizio.

Il ricorso introduttivo investe, infatti, le note comunali del novembre-dicembre 2012, contenenti le prime contestazioni circa l’inosservanza dei criteri di determinazione del prezzo di cessione degli alloggi. La domanda di annullamento, e/o di accertamento della nullità degli atti impugnati in via principale e di quelli presupposti, si accompagna altresì alla domanda di accertamento della non debenza delle somme eventualmente pretese dal Comune a titolo di penalità ai sensi dell’art. 9 della convenzione inter partes del 2 marzo 2006.

Il primo atto di motivi aggiunti, dal canto suo, cade sulle note del marzo 2015, recanti la richiesta della documentazione utile ad accertare la congruità dei prezzi di prima cessione praticati dalla cooperativa ai propri soci, ai fini del ricalcolo delle penali: anche in questo caso, le conclusioni della ricorrente non si limitano all’annullamento, ovvero alla dichiarazione di nullità, ma includono l’accertamento negativo della pretesa patrimoniale avanzata dal Comune.

Identiche conclusioni sono rassegnate con il secondo atto di motivi aggiunti, proposto nei confronti dell’ordinanza n. 211/2016, con la quale il Comune intimato ha ingiunto anche alla odierna ricorrente il pagamento dell’importo dovuto a titolo sanzionatorio per aver praticato prezzi di cessione superiori a quanto convenzionalmente stabilito fra le parti.

1.2. Alle domande resiste il Comune di Scandicci, che eccepisce da un lato l’inammissibilità delle impugnative proposte con il ricorso introduttivo e con il primo atto di motivi aggiunti, perché indirizzate nei confronti di atti sprovvisti di contenuto provvedimentale, e, dall’altro, la tardività di tutte le censure volte a far valere profili di illegittimità della convenzione del 2 marzo 2006.

Nel merito, il Comune conclude per il rigetto del ricorso e dei motivi aggiunti. In subordine, chiede in via riconvenzionale accertarsi l’inadempimento della ricorrente all’art. 9 della convenzione e, per l’effetto, condannarsi la stessa al pagamento delle penali ivi pattuite, in misura corrispondente a quella determinata nell’ordinanza n. 211/2016.

1.3. Nella camera di consiglio del 13 luglio 2016, la cooperativa Pian di Mezzana ha rinunciato alla domanda cautelare formulata unitamente al secondo atto di motivi aggiunti, a fronte dell’impegno del Comune di non procedere con la riscossione coattiva in pendenza del giudizio.

1.4. La causa è stata discussa e trattenuta per la decisione nella pubblica udienza dell’11 ottobre 2017, preceduta dal deposito di documenti, memorie difensive e repliche.

2. L’oggetto sostanziale del giudizio è costituito dalla debenza – o meno – delle penalità pecuniarie applicate dal Comune di Scandicci alla cooperativa ricorrente con l’ordinanza-ingiunzione n. 211/2016, sul presupposto del mancato rispetto della convenzione intercorsa fra le parti il 2 marzo 2006. Questa, all’art. 9, obbligava gli operatori privati esecutori del comparto P.E.E.P. di Badia a Settimo/San Colombano ad alienare gli alloggi realizzati al prezzo massimo determinato secondo i criteri ivi indicati, aggiornabile sulla base dell’indice ISTAT a decorrere dal 18 gennaio 2000, data di affidamento dell’intervento;
e al contempo prevedeva, per l’ipotesi di alienazione a prezzo superiore, l’applicazione a carico del venditore di una “ penalità a favore del Comune da due a cinque volte la differenza fra il prezzo stabilito dalla presente convenzione e quello effettivamente praticato ”.

La pretesa esercitata dal Comune resistente attiene, dunque, alla corretta esecuzione del rapporto originato dalla convenzione, fattispecie la cui cognizione appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a norma dell’art. 133 co. 1 lett. a) n. 2 e lett. f) c.p.a., trattandosi di convenzione accessiva al programma integrato di intervento a suo tempo approvato dal Comune e afferente: come tale, essa è riconducibile non solo al modello generale della convenzione urbanistica disciplinata dall’art. 28 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, ma anche alla previsione di cui all’art. 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, l’una e l’altra a loro volta rispondenti al paradigma dell’accordo amministrativo disciplinato dall’art. 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241.

Sulla natura giuridica degli accordi amministrativi e, conseguentemente, sulla natura delle prerogative che ne derivano in capo alle parti si ritornerà più avanti.

Sin da ora può essere affermata l’inammissibilità, per difetto di interesse, delle domande di annullamento proposte con il ricorso introduttivo e con i primi motivi aggiunti avverso atti, che, come risulta dalla narrativa in fatto, sono sprovvisti di qualsivoglia contenuto provvedimentale e immediatamente pregiudizievole. Nella stessa prospettiva pubblicistica propugnata dalla ricorrente, le impugnate note di fine 2012 e del marzo 2015 si atteggiano infatti come comunicazioni e richieste istruttorie interne al procedimento conclusosi con l’adozione dell’ordinanza n. 211/2016;
mentre, nella diversa prospettiva privatistica, esse integrano atti paritetici di contestazione dell’inadempimento alla convenzione, di per sé insuscettibili di annullamento.

Residua, di contro, l’interesse alla decisione sulle domande di accertamento della nullità degli atti e provvedimenti impugnati, e su quelle di accertamento negativo della pretesa del Comune, pure contenute nel ricorso e nei primi motivi aggiunti, le quali ben possono essere riunite alle identiche domande proposte con il secondo atto di motivi aggiunti. La trattazione sarà dunque circoscritta a questi ultimi, tenuto conto che essi replicano non soltanto le azioni, ma anche le censure in diritto già svolte in precedenza, salvo estenderle all’ordinanza-ingiunzione n. 211/2016.

La sola doglianza non riprodotta dal secondo atto di motivi aggiunti, depositato il 15 giugno 2016, è quella articolata con il primo motivo del ricorso introduttivo, relativamente alla pretesa violazione degli artt. 7 e seguenti della legge n. 241/1990. In quanto posto a sostegno della domanda di annullamento delle note indirizzate dal Comune alla ricorrente nel dicembre 2012, il motivo non si sottrae alla già rilevata inammissibilità dell’azione.

L’elemento di novità del secondo atto di motivi aggiunti è costituito da un ampliamento del thema decidendum che risente, e si arricchisce, anche delle considerazioni occasionate dalla sopravvenuta definizione, da parte del T.A.R., dei precedenti giudizi promossi da altre cooperative appartenenti al Consorzio Nuova Badia avverso le omologhe penali irrogate dal Comune di Scandicci nei loro confronti (si è detto in narrativa che il T.A.R., con le sentenze nn. 1923, 1951, 1959 e 1985/2014, ha deciso quei giudizi accogliendo, ancorché solo parzialmente, i ricorsi).

2.1. Con il primo dei motivi aggiunti depositati il 15 giugno 2016, la cooperativa Pian di Mezzana ricorda che le decisioni del T.A.R. sono state impugnate in appello dalle cooperative interessate e sostiene che dall’auspicato accoglimento dei gravami conseguirebbe l’invalidità dell’ordinanza n. 211/2016, la cui motivazione espressamente rinvia al contenzioso pregresso e si fonda su quei profili delle sentenze appellate che hanno respinto la tesi delle parti private, secondo cui il Comune avrebbe irrogato le penali versando in una situazione di carenza assoluta di potere.

Con i successivi motivi si deduce quindi, in estrema sintesi, che:

- l’ordinanza n. 211/2016 non avrebbe tenuto conto delle memorie istruttorie e delle relazioni tecniche presentate dalla cooperativa nel corso del procedimento, incorrendo in violazione degli artt. 1, 3, 7 e 10 della legge n. 241/1990, dell’art. 97 Cost., dell’art. 107 co. 6 del d.P.R. 18 agosto 2000, n. 267, nonché in eccesso di potere per carenza di motivazione, contraddittorietà, illogicità, difetto di istruttoria (secondo motivo);

- il Comune – violando gli artt. 1 e 2 della legge n. 241/1990, i principi generali dell’azione amministrativa, e nuovamente incorrendo in eccesso di potere sotto vari aspetti – non avrebbe neppure preso in esame le istanze della cooperativa volte a dimostrare la conformità del prezzo di cessione degli alloggi all’art. 9 della convenzione del 2 marzo 2006, se correttamente interpretato, venendo con ciò anche meno all’impegno, formalmente assunto, di effettuare le valutazioni e gli approfondimenti necessari onde verificare se i prezzi di cessione praticati dalla cooperativa avessero effettivamente violato lo spirito e la ratio della convenzione (terzo motivo);

- l’ordinanza n. 211/2016 non sarebbe stata preceduta dalla comunicazione delle ragioni ostative all’accoglimento delle tesi della cooperativa, prescritta dall’art. 10- bis della legge n. 241/1990, e, comunque, la reiezione delle istanze e delle tesi avanzate dalla ricorrente nel corso del procedimento sarebbe priva di idonea motivazione (quarto motivo);

- il Comune avrebbe inteso azionare poteri sanzionatori di stampo pubblicistico, irrogando vere e proprie sanzioni amministrative, pur in assenza di copertura legislativa: nessuna norma di legge contemplerebbe, infatti, una potestà sanzionatoria comunale per l’ipotesi di violazione dei limiti massimi del prezzo di cessione degli alloggi di edilizia convenzionata, né all’uopo potrebbero invocarsi l’art. 35 della legge n. 865/1971, ovvero l’art, 8 della legge n. 10/1977 (quinto motivo);

- le sentenze del T.A.R. Toscana del 2014, nel respingere motivi di impugnazione analoghi a quelli sino ad ora illustrati, avrebbero erroneamente qualificato i poteri esercitati dal Comune in termini privatistici, individuandone il fondamento nell’art. 9 della convenzione del 2006 e nella disciplina civilistica delle penali contrattuali (art. 1382 c.c.);

- trattandosi di sanzioni amministrative, il Comune avrebbe violato l’art. 28 della legge 24 novembre 1981, n. 689, in forza del quale il diritto a riscuotere le relative somme si prescrive in cinque anni dal giorno in cui la violazione è stata commessa (sesto motivo);

- indipendentemente dalla natura delle penali applicate dal Comune a norma dell’art. 9 della convenzione, nessun comportamento colposo o inadempimento imputabile potrebbe ravvisarsi a carico della cooperativa ricorrente, la quale avrebbe praticato prezzi di cessione degli alloggi congrui rispetto alle caratteristiche e qualità degli stessi, ampiamente giustificati, e inferiori ai prezzi di mercato, nel rispetto delle finalità dell’edilizia residenziale pubblica. Il formale superamento dei prezzi stabiliti ai sensi della convenzione, contestato dal Comune, sarebbe frutto di una serie di fattori estranei alla volontà e al comportamento della cooperativa, a partire dal lunghissimo intervallo di tempo intercorso fra l’approvazione del bando per la scelta dell’operatore privato cui affidare la realizzazione del P.I.I., nel 1999, e la stipula della convenzione, nel 2006: lasso di tempo durante il quale si sarebbe verificato un forte incremento dei costi di costruzione per l’aumento del prezzo delle materie prime e per il passaggio alla moneta unica europea, sarebbero intervenute modifiche della normativa tecnica implicante maggiorazione di spese, sarebbe stato necessario adeguare l’intervento agli standard costruttivi, sarebbero cresciuti gli oneri finanziari dell’operazione (interessi passivi sui costi già sostenuti), e l’amministrazione avrebbe richiesto modifiche relative alla qualità architettonica degli edifici. All’incremento dei costi avrebbero contribuito: i maggiori oneri sostenuti per l’acquisto delle aree da parte del Comune, e riversati sugli operatori;
l’esorbitante incremento dei costi gli oneri di allacciamento e quelli per la bonifica bellica;
le migliorie richieste dai singoli acquirenti;
gli interessi di preammortamento del mutuo;
la variazione dell’indice ISTAT dei costi di costruzione. Tenuto conto di tutti i fattori indicati, la cooperativa sarebbe stata costretta a incrementare i prezzi di cessione degli alloggi, coerentemente con le norme e i principi che disciplinano la materia dell’edilizia economica e popolare (art. 35 l. n. 865/1971;
art. 8 l. n. 10/1977;
art. 18 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380;
delibera del Consiglio Regionale della Toscana n. 260 del 23 maggio 1978 e ulteriori delibere regionali in materia). La correttezza dei rilievi sin qui esposti sarebbe confermata dalla consulenza tecnica d’ufficio disposta dal T.A.R. nei giudizi definiti dalle sentenza del 2014, sopra richiamate, e dalle stesse sentenze, che avrebbero appunto evidenziato l’enorme aumento dei costi dell’intervento verificatosi tra il 1999 e il 2006, salvo respingere – per ragioni non condivisibili, secondo la prospettazione – le censure anche in quella sede sviluppate dagli operatori interessati (settimo motivo);

- la non imputabilità alla ricorrente dell’aumento dei costi, e, di conseguenza, dei prezzi di cessione degli alloggi, dimostrerebbe l’assenza di intenti speculativi e, al contempo, la conformità dei prezzi praticati alla disciplina dell’edilizia residenziale pubblica, di modo che nessun pregiudizio sarebbe ravvisabile a carico degli interessi la cui tutela compete al Comune di Scandicci. Vengono censurati gli argomenti utilizzati dal T.A.R., con le più volte citate sentenze del 2014, per affermare la debenza delle penali ai sensi dell’art. 1382 c.c. anche a prescindere dall’esistenza di un danno (ottavo motivo);

- i prezzi stabiliti secondo i criteri dettati dal bando del 1999 sarebbero disancorati dal reale valore degli alloggi, e per questo illogici e irragionevoli. Da ciò la contrarietà della pretesa azionata dal Comune ai principi sanciti dall’art. 97 Cost., come del resto riconosciuto all’esito del giudizio arbitrale intercorso fra la cooperativa Unica e gli assegnatari di alcuni alloggi realizzati nell’ambito del P.E.E.P. in questione (il lodo avrebbe respinto le domande degli assegnatari volte a conseguire la restituzione della differenza tra il prezzo corrisposto per l’acquisto degli immobili e i prezzi massimi stabiliti secondo l’art. 9 della convenzione: nono motivo);

- in virtù del principio mutualistico sotteso alla costituzione e all’attività della cooperativa ricorrente, nei rapporti tra soci e cooperativa non avrebbe alcun rilievo il prezzo massimo di cessione determinato ai sensi della convenzione intervenuta tra la cooperativa e il Comune, ed, anzi, tale prezzo massimo sarebbe del tutto privo di rilevanza giuridica, per la sua inidoneità a coprire i costi dell’intervento (decimo motivo);

- volendo ammettere, in subordine, che la fonte del potere sanzionatorio esercitato dal Comune vada rinvenuta nell’art. 9 della convenzione, questo dovrebbe essere inteso nel senso di consentire l’adeguamento del prezzo massimo di cessione degli alloggi al loro costo effettivo di realizzazione. Dalla relazione generale al programma integrato d’intervento, si ricaverebbe il principio secondo cui il prezzo massimo deve garantire l’equilibrio dei costi e dei ricavi dell’operazione, remunerando anche il livello qualitativo degli edifici realizzati e assicurando agli operatori privati il conseguimento di un utile. Le norme sull’integrazione e l’interpretazione del contratto e il principio civilistico di buona fede oggettiva imporrebbero di rivedere il prezzo massimo stabilito dalla convenzione al fine di tenere conto dell’aumento dei costi maturato nel periodo 1999 – 2006, onde garantire l’equilibrio costi/ricavi dell’intervento: la stessa convenzione, all’art. 6 co. 5 lett. f), conterrebbe una previsione che, consentendo di apportare agli edifici migliorie ulteriori rispetto a quelle indicate in sede di gara, dietro remunerazione, implicherebbe più in generale la non immodificabilità dei prezzi massimi di cessione. Anche su questo punto, la ricorrente mostra di non condividere la diversa posizione assunta dal T.A.R. per respingere, con le ormai note sentenze del 2014, censure di analogo tenore: a fronte di un apparente contrasto tra l’art. 9 della convenzione, se inteso nel senso di non garantire un prezzo di cessione realmente remunerativo, e la relazione generale al P.I.I., laddove riconosce inderogabilmente il diritto dell’operatore privato all’utile, dovrebbe accedersi a un’opzione ermeneutica che attenui il rigore letterale dell’art. 9, per renderlo coerente con la relazione e con il contesto normativo proprio degli alloggi realizzati su aree P.E.E.P. (undicesimo motivo);

- in ulteriore subordine, l’art. 9 della convenzione e tutti gli atti connessi, tra cui la relazione generale al P.I.I., sarebbero viziati nella parte in cui fissano il prezzo massimo di cessione degli alloggi e i relativi criteri di adeguamento. In primo luogo, essi sarebbero affetti da nullità per mancanza di causa, ex art. 1418 c.c., stante il difetto di equivalenza e corrispettività delle prestazioni cui darebbero luogo, né in contrario potrebbero condividersi le argomentazioni spese dal T.A.R. per negare l’esistenza di uno squilibrio rilevante e per affermare che l’applicazione dei prezzi stabiliti ai sensi della convenzione avrebbe comunque prodotto un utile, ancorché modesto (il T.A.R. avrebbe anche errato nel valutare le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio). L’art. 9 della convenzione sarebbe altresì nullo per contrasto con norme imperative e per illiceità della causa, e anche in relazione a tali profili non potrebbe condividersi la posizione assunta dal T.A.R. nel 2014 (dodicesimo motivo);

- per l’ipotesi di mancato accoglimento dei precedenti motivi di impugnazione, verrebbero in rilievo i vizi dell’ordinanza n. 211/2016 relativi alla erronea determinazione delle sanzioni/penali e all’erroneo ricorso, da parte del Comune, all’istituto della riscossione coattiva ai sensi del R.D. n. 639/1910. Quanto al primo aspetto, l’entità delle sanzioni, o penali, stabilita dal Comune sarebbe di poco inferiore all’importo percepito dalla cooperativa per la cessione degli alloggi, risultando perciò manifestamente iniqua, oltre che sproporzionata rispetto alla dimensione degli interessi pregiudicati. Il principio di necessaria proporzionalità discenderebbe, per le sanzioni amministrative, dall’art. 11 della legge n. 689/1981, e, per le penali contrattuali, dall’art. 1384 c.c., e troverebbe applicazione anche agli accordi amministrativi di cui all’art. 11 della legge n. 241/1990, come chiarito dalla giurisprudenza amministrativa;
pertanto, anche ad ammettere la astratta fondatezza della pretesa comunale, gli importi richiesti dovrebbero essere congruamente ridotti, anche in applicazione del potere giudiziale riconosciuto dall’art. 1384 cit.. La ricorrente ricorda che, nei giudizi definiti dal T.A.R. nel 2014, il Comune non si sarebbe opposto alla domanda di riduzione delle sanzioni o penali, e la riduzione non potrebbe essere negata alla stregua di quanto invece affermato nelle sentenze nn. 1923, 1951, 1959, 1985/2014 circa la proporzionalità e ragionevolezza del criterio del doppio della maggiorazione di prezzo, applicato dal Comune per determinare le penali (tredicesimo motivo);

- l’ordinanza impugnata non avrebbe preso in esame, ai fini della determinazione delle sanzioni/penali, le migliorie apportate dalla cooperativa rispetto agli standard riguardanti le dotazioni impiantistiche, il risparmio energetico, le qualità prestazionali degli edifici, pur consentite dalla convenzione, e a diverse conclusioni non potrebbe pervenirsi sulla base delle sentenze del 2014, dalle quali si ricaverebbe la rilevanza di tutte le migliorie apportate agli immobili ai fini dell’incremento del prezzo massimo di cessione, ivi comprese quelle generali di cui all’art. 6 co. 1 lett. f) della convenzione (l’ordinanza impugnata si porrebbe, per questo aspetto, in contrasto con le decisioni del T.A.R.: quattordicesimo motivo);

- l’amministrazione resistente avrebbe errato nell’individuare la superficie complessiva degli alloggi, elemento essenziale per determinarne il prezzo di cessione a norma dell’art. 9 della convenzione. Ad avviso della ricorrente, il valore da utilizzare dovrebbe essere comprensivo nella loro integralità delle superfici extra sagoma, nonché di vani scala, mansarde, terrazzi e coperture piane: il riferimento normativo sarebbe rappresentato dall’art. 6 del d.m. 5 agosto 1994, come richiamato dall’art. 9 della convenzione, fermo restando che la superficie complessiva degli alloggi andrebbe parametrata a quanto effettivamente realizzato, senza tenere conto dei limiti stabiliti dalla convenzione per la superficie non residenziale e per i parcheggi. Se è vero, infatti, che l’art. 6 della convenzione prevede che le superficie non residenziale e quella per parcheggi non possono eccedere il 60% della superficie utile abitabile, e che comunque di esse, ai fini della determinazione della superficie complessiva, si tiene conto nei limiti del 60%, il Comune, nel rilasciare i titoli edilizi abilitativi dell’intervento, non avrebbe mai sollevato obiezioni in ordine al superamento dei limiti quantitativi, né vietato la fruizione delle superfici non residenziali eccedenti il 60% della superficie utile. D’altronde, se al limite del 60% dovesse attribuirsi carattere inderogabile, allora la previsione convenzionale sarebbe invalida per contrarietà all’art. 35 della legge n. 865/1971, all’art. 8 della legge n. 10/1977, all’art. 18 del d.P.R. n. 380/2001;
e, ad escludere dal computo delle superfici effettivamente realizzate quelle non residenziali eccedenti il 60% delle superfici utili abitabili, non varrebbe quanto sostenuto dal T.A.R. con le sentenze del 2014, che hanno respinto censure analoghe. L’ordinanza n. 211/2016 sarebbe altresì illegittima per carenza assoluta di motivazione circa le misurazioni e i calcoli effettuati per determinare la superficie degli alloggi (quindicesimo motivo);

- il Comune, nel determinare i prezzi di cessione, non avrebbe tenuto conto delle migliorie personali apportate da ciascun assegnatario e documentate nel corso del procedimento (sedicesimo motivo);

- l’ordinanza impugnata avrebbe errato nel far decorrere l’aggiornamento ISTAT dei prezzi massimi di cessione dal gennaio 2000, come stabilito dalla convenzione, anziché dell’aprile 1999, come previsto dalla normativa di settore (diciassettesimo motivo);

- l’ordinanza n. 211/2016 non avrebbe tenuto conto degli oneri di preammortamento del mutuo e dei maggiori oneri di esproprio, documentati dalla cooperativa, né degli interessi legali maturati su detti importi (diciottesimo motivo);

- il sovrapprezzo accertato dall’ordinanza impugnata ai fini del calcolo della sanzione/penale sarebbe il risultato dell’applicazione di una serie di parametri totalmente errati, i quali, se opportunamente corretti, porterebbero ad affermare che i prezzi praticati dalla cooperativa ricorrente non sono affatto superiori al massimo calcolato ai sensi dell’art. 9 della convenzione. Il prezzo massimo di cessione indicato nell’ordinanza n. 211/2016 sarebbe, inoltre, inferiore anche al prezzo determinato dal C.T.U. in seno ai contenziosi definiti nel 2014 (diciannovesimo motivo);

- il Comune non avrebbe potuto ricorrere all’istituto della riscossione coattiva, giacché le sanzioni in questione non costituirebbero crediti certi, liquidi ed esigibili, condizioni imprescindibili per fare luogo alla procedura disciplinata dal R.D. n. 639/1910 (ventesimo motivo);

- infine, e in via di subordine, la riscossione coattiva non potrebbe riguardare un credito nascente da un atto convenzionale non autoritativo, e non da una norma di legge (ventunesimo motivo).

2.2. Le questioni e i motivi di diritto così riassunti, fatta eccezione per quelli che investono il ricorso da parte del Comune alla procedura di riscossione coattiva, sono perfettamente sovrapponibili a quelli sollevati nei contenziosi decisi con le sentenze nn. 1923, 1951, 1959, 1985/2014: la circostanza è pacifica e, come si è visto, trova esplicito riscontro nella stessa prospettazione della ricorrente, intesa a contestare non soltanto l’operato dell’amministrazione procedente, ma anche le ragioni poste dal T.A.R. a fondamento di quelle sentenze, che, lo si ricorda, hanno solo parzialmente accolto i ricorsi proposti da altre cooperative appartenenti al Consorzio Nuova Badia avverso le analoghe penali irrogate nei loro confronti dal Comune in applicazione dell’art. 9 della convenzione del 2 marzo 2006.

L’accoglimento, in particolare, ha riguardato la reclamata applicazione dell’art. 6 del d.m. 5 agosto 1994, come richiamato dalla convenzione, ai fini della determinazione della superficie da assumere a base del calcolo del costo di alienazione degli alloggi, nonché la considerazione, ai medesimi fini, degli oneri di preammortamento, dei costi per le migliorie personali e dei maggiori oneri di esproprio. Alla stregua di tali criteri, il T.A.R. ha stabilito che le sanzioni impugnate dovessero venire ricalcolate.

Nelle more del presente giudizio, gli appelli proposti avverso le sentenze nn. 1923, 1959 e 1985/2014 sono stati peraltro decisi dal Consiglio di Stato, che, con sentenze della IV Sezione nn. 2256, 2257 e 2258 del 15 maggio 2017, ha respinto le impugnazioni principali delle cooperative interessate e quelle incidentali spiegate dal Comune di Scandicci, confermando le pronunce di primo grado, sia pure con diversa motivazione.

Per quanto qui interessa, il giudice d’appello ha:

- riconosciuto natura si sanzioni amministrative alle penali disciplinate dall’art. 9 della convenzione del 2 marzo 2006, da ritenersi irrogate dal Comune nell’esercizio di una potestà pubblicistica, in ciò accogliendo la tesi prospettata dalle parti private;

- escluso, nondimeno, che il riconoscimento di natura provvedimentale alle ordinanze mediante le quali il Comune ha esercitato i propri poteri sanzionatori comportasse la riforma delle sentenze impugnate, stante l’infondatezza delle censure articolate dagli operatori interessati;

- rinvenuto nell’art. 35 della legge n. 865/1971 e nell’art. 1382 c.c. il fondamento del potere autoritativo esercitato dal Comune, e giudicato tale ricostruzione conforme ai principi generali di tipicità e determinatezza enunciati, in materia di sanzioni amministrative, dall’art. 1 della legge n. 689/1981;

- acclarato il corretto svolgimento del procedimento di irrogazione delle sanzioni e ritenuto idonea la motivazione dei provvedimenti impugnati, integrata ex se dal ricorrere dei presupposti indicati dall’art. 9 della convenzione (cessione degli alloggi a prezzo superiore a quello stabilito a norma dello stesso art. 9), al contempo escludendo che le sanzioni dovessero venire precedute dalla comunicazione prevista dall’art. 10- bis della legge n. 241/1990;

- respinto le censure con cui le parti private avevano contestato il meccanismo di determinazione del prezzo massimo di cessione stabilito dall’art. 9 della convenzione, sul presupposto della loro tardività e, comunque, della loro ininfluenza ai fini della verifica di legittimità delle sanzioni concretamente irrogate (afferma il Consiglio di Stato che “ la “norma sanzionatoria”, ormai consolidata, costituisce essa stessa il parametro di legittimità dell’atto emanato in relazione al caso concreto ”);

- precisato, ancora, che il meccanismo di determinazione del prezzo di cessione, come riportato nella convenzione, è frutto delle previsioni del bando per la selezione degli operatori privati e dello schema generale di convenzione approvati dal Comune, atti non impugnati dalle cooperative, le quali vi hanno anzi prestato acquiescenza sottoscrivendo la convenzione;

- chiarito che un’eventuale riconsiderazione del prezzo di cessione degli alloggi avrebbe dovuto semmai formare oggetto di un procedimento di autotutela precedente al perfezionarsi degli illeciti sanzionati con le penali di cui all’art. 9 della convenzione;

- affermato, in ogni caso, l’irrilevanza dei fattori di aumento dei costi maturati tra il 1999 e il 2006 anche nell’ottica privatistica, mostrando di condividere, sul punto, quanto statuito dalle sentenze impugnate;

- riconosciuto nella compromissione dell’interesse pubblico il presupposto per l’esercizio del potere sanzionatorio;

- negato l’applicabilità alla fattispecie del potere di riduzione della penale ex art. 1384 c.c., ma anche il sindacato di legittimità sugli atti determinativi della concreta misura delle sanzioni, applicate nel minimo in virtù dell’autolimite che il Comune si è imposto;

- individuato la “superficie complessiva”, da assumere a base di calcolo per la definizione del prezzo di cessione degli alloggi, nella somma degli addendi rappresentati dalla superficie utile abitabile e dal 60% della somma della superficie non residenziale e della superficie parcheggi, prese ciascuna di esse per intero secondo le modalità di calcolo prescritte, a norma della convenzione e del d.m. 5 agosto 1994;

- respinto, conseguentemente, i motivi di ricorso principale diretti a far valere l’illegittimità del calcolo posto dal Comune a fondamento della pretesa punitiva, e il motivo di ricorso incidentale con il quale si censuravano le sentenze impugnate nelle parti in cui esse, fondandosi sulla CTU, avrebbero determinato un errato computo della superficie complessiva presa a riferimento per il calcolo del prezzo di cessione come da convenzione;

- confermato la distinzione, operata dalle sentenze impugnate, tra migliorie “personali”, richieste dai singoli assegnatari degli alloggi, e migliorie rispetto agli standard costruttivi, realizzate facoltativamente dalle cooperative ai sensi dell’art. 6 co. 1 lett. f) della convenzione e sottoposte al limite del prezzo massimo di cessione, salvo precisare che, nell’ipotesi in cui l’acquirente abbia espressamente accettato in contratto migliorie (facoltative) agli standard, in quanto rispondenti a una volontà di miglioramento individuale del proprio alloggio, anche queste debbono essere considerate come migliorie personali;

- puntualizzato che l’accertamento dei maggiori oneri di esproprio, dei quali tenere conto ai fini della determinazione del prezzo massimo di cessione, come ritenuto dalle sentenze impugnate, costituisce modalità attuativa che non inficia il relativo capo di pronuncia, respingendo perciò lo specifico motivo di ricorso incidentale spiegato dal Comune;

- respinto l’appello incidentale anche sul punto relativo all’aggiornamento del prezzo di cessione secondo gli indici ISTAT, che le sentenze impugnate avevano fatto decorrere dal gennaio 2000, e non dall’aprile 1999, come erroneamente ritenuto dal Comune.

2.3. Preso atto dell’intervento del Consiglio di Stato, la cooperativa ricorrente vorrebbe – in questo senso, si veda la memoria difensiva depositata l’8 settembre 2017 – che il T.A.R. ne recepisse la statuizione inerente la natura di sanzioni amministrative delle penali previste dall’art. 9 della convenzione, ma affermasse l’illegittimità e/o la nullità delle sanzioni per violazione della riserva di legge in materia. Ad avviso della ricorrente, infatti, la posizione espressa dal Consiglio di Stato non potrebbe essere condivisa nella parte in cui rinviene il fondamento del potere sanzionatorio esercitato dal Comune nell’art. 35 della legge n. 865/1971.

Buona parte della stessa memoria difensiva è quindi dedicata alla confutazione delle argomentazioni adoperate dal Consiglio di Stato in contrasto con le tesi svolte dalle parti ricorrenti, e ribadite nel presente giudizio. Ancora una volta, il T.A.R. è sollecitato a disattendere quelle argomentazioni, con specifico riferimento: ai vizi procedimentali e motivazionali denunciati a carico dell’ordinanza impugnata, che il Consiglio di Stato avrebbe erroneamente escluso;
all’interesse tutelato delle cooperative edilizie alla remuneratività del prezzo di vendita degli alloggi, qualificabile come diritto soggettivo vero e proprio anche al cospetto del potere sanzionatorio dell’amministrazione;
alla tempestività e rilevanza delle contestazioni sollevate dalla cooperativa nei confronti del meccanismo di determinazione del prezzo massimo di cessione degli alloggi: contrariamente a quanto affermato dal Consiglio di Stato, la ricorrente non avrebbe avuto ragione, né possibilità, di impugnare gli atti contenenti la previsione generale relativa alla determinazione del prezzo e della conseguente sanzione, fino a quando la sanzione non fosse stata in concreto applicata, e, inoltre, a escludere l’applicabilità delle sanzioni starebbe l’insussistenza di un inadempimento colposo e imputabile della cooperativa, a prescindere dalla immediata impugnazione della “norma sanzionatoria”;
alla possibilità di pervenire alla determinazione del corretto e congruo prezzo di vendita degli alloggi attraverso l’interpretazione dell’art. 9 della convenzione, ancora una volta indipendentemente dalla impugnativa del meccanismo sanzionatorio, fermo restando che la ricorrente non avrebbe potuto formulare riserve in sede di sottoscrizione della convenzione;
all’assenza di pregiudizio all’interesse pubblico protetto dall’art. 9 della convenzione;
all’invalidità, per difetto di causa, del meccanismo sanzionatorio in questione;
al difetto di proporzionalità delle somme pretese dal Comune e all’erroneo rifiuto del Consiglio di Stato di valutarne la legittimità;
alle modalità di calcolo degli incrementi del prezzo degli alloggi dovuti alla variazione dell’indice ISTAT dei costi di costruzione.

2.3.1. Le sollecitazioni della ricorrente non possono trovare accoglimento.

Il collegio – sullo sfondo di una questione, quella della natura giuridica e della disciplina degli accordi di cui all’art. 11 della legge n. 241/1990, che resta comunque assai dibattuta e non si presta a soluzioni univoche – ritiene che non giovi insistere sulla qualificazione in termini privatistici del potere esercitato dal Comune di Scandicci in forza dell’art. 9 della convenzione stipulata fra le parti il 2 marzo 2006. A favore dell’adesione all’opposto convincimento, fatto proprio dal giudice d’appello, militano evidenti ragioni di opportunità, che derivano dalla sostanziale sovrapponibilità della controversia in esame a quelle già definite dal Consiglio di Stato (fatta salva la diversa identità delle parti private) e rispondono all’esigenza di fornire una risposta di giustizia orientata a criteri razionali di uniformità di trattamento, di prevedibilità delle decisioni, di economia dei mezzi processuali e di complessiva efficienza della giurisdizione.

Nel nome dei criteri appena enunciati, l’adesione va tuttavia estesa a tutte le conseguenze che il Consiglio di Stato ha tratto dalla ricostruzione in termini pubblicistici delle sanzioni e, in primo luogo, al positivo riscontro del fondamento legislativo dell’autorità esercitata dal Comune: autorità che per il giudice d’appello non riposa unicamente sull’art. 35 della legge n. 865/1971, ma anche su quello stesso art. 1382 c.c. che già il T.A.R., nelle sentenze del 2014, aveva indicato quale fonte delle penali comminate alla ricorrente e che, nella lettura del Consiglio di Stato, ben può operare anche in funzione punitiva a garanzia dell’interesse pubblico perseguito attraverso la stipula dell’atto convenzionale (è appena il caso di accennare che, in parte qua , la divergenza tra l’impostazione del T.A.R. e quella del Consiglio di Stato è più apparente che reale, ove si consideri che anche secondo le menzionate decisioni del T.A.R. la penale è posta a tutela dell’interesse generale al perseguimento degli obiettivi sociali dell’intervento di edilizia residenziale pubblica).

Né si intende rimettere in discussione alcuno dei numerosi, ulteriori profili sui quali la ricorrente richiama l’attenzione, considerato a tacer d’altro che – sia pure attraverso un percorso motivazionale differente – le decisioni del Consiglio di Stato hanno confermato, e non riformato, gli esiti dei giudizi di prime cure.

Richiamando, perciò, le statuizioni di cui alle citate sentenze nn. 2256, 2257 e 2258/2017, per come sopra sintetizzate e comunque nella loro integralità, l’impugnazione proposta avverso l’ordinanza-ingiunzione n. 211/2016 può essere accolta nei soli limiti in cui il Comune di Scandicci non si è rigorosamente attenuto alle indicazioni promananti dalle sentenze del T.A.R. del 27 novembre e del 4 dicembre 2014, respinto ogni altro motivo di impugnazione e con le puntualizzazioni che seguono.

2.3.2. Con la medesima memoria ex art. 73 c.p.a., la cooperativa Pian di Mezzana insiste nell’affermare che, una volta assodata la natura di sanzioni amministrative delle penali, la pretesa del Comune dovrebbe considerarsi prescritta per decorso del termine di cinque anni decorrente dal momento della sottoscrizione degli atti di prenotazione da parte dei soci assegnatari, e non dalla stipula dei contratti di cessione.

In contrario, sia sufficiente osservare che l’illecito sanzionato dal Comune è rappresentato, ai sensi dell’art. 9 della convenzione, dalla “ alienazione a prezzo superiore a quello determinato secondo i criteri di cui sopra ”. Sul piano letterale, l’alienazione non può che aversi con la stipula del contratto di cessione/acquisto degli alloggi;
e, del resto, anche sul piano sistematico non si vede come la condotta sanzionabile potrebbe reputarsi perfezionata in seguito alla sottoscrizione dell’atto di prenotazione, privo di efficacia traslativa e per questo non soltanto estraneo alla nozione di “alienazione”, ma di per sé inidoneo a determinare una lesione effettiva e attuale dell’interesse protetto dalla previsione sanzionatoria.

In altri termini, l’anticipazione della soglia di tutela al momento della prenotazione sarebbe non solo incompatibile con il principio di tipicità delle sanzioni amministrative, ma finirebbe per colpire una condotta ancora inoffensiva, perché solo potenzialmente violativa degli interessi protetti dalla sanzione (il pregiudizio si verifica solo con il trasferimento della proprietà dell’alloggio, in mancanza del quale il diritto della cooperativa venditrice al prezzo non sorge).

2.3.3. La ricorrente sostiene, per altro verso, che secondo le decisioni del Consiglio di Stato, ai fini del calcolo del prezzo di cessione, la superficie utile degli alloggi non potrebbe subire la limitazione del 60% della superficie non residenziale e della superficie a parcheggi fissata dalla convenzione. La superficie complessiva da prendere a riferimento sarebbe, dunque, quella effettivamente realizzata, con l’aggiunta dell’integrale valutazione degli extra sagoma, dei vani scala, delle terrazze e delle coperture piane.

Replica il Comune di Scandicci che il Consiglio di Stato avrebbe confermato la legittimità del limite del 60% della superficie effettivamente realizzata, come già statuito dal T.A.R., al punto da aver respinto i corrispondenti motivi di appello principale.

In proposito, è utile riportare per esteso i passaggi rilevanti delle decisioni che ciascuna parte invoca a proprio favore (par. 13.2. delle sentenze nn. 2256, 2257 e 2258/2017): “ Con il motivo sub lett. i) l’appellante ritiene che la sentenza deve essere censurata “nella parte in cui non assume la superficie complessiva effettivamente realizzata (“Sc”)” ai fini del calcolo del prezzo (e dunque della conseguente penalità). Inoltre, la sentenza è contestata per il fatto che “non contiene l’integrale valutazione delle superfici extrasagoma (quindi senza la limitazione del 50% effettuata dal CTU) e non computa correttamente i vani scala, le mansarde ed i terrazzi e le coperture piane in copertura (e quindi recepisce le riduzioni operate dal CTU)”.

Quanto alla sua prima parte, il motivo di appello si presenta come censura della sentenza, nella misura in cui la stessa – stante la sua equivocità sul punto – possa essere interpretata nel senso che la stessa consideri, ai fini del calcolo della superficie onde definire il prezzo di cessione, una delle due superfici indicate dal CTU, e precisamente la (meno vantaggiosa per parte appellante) “Sc*” rispetto alla (più vantaggiosa) “Sc”.

La sentenza impugnata (nell’accogliere, peraltro, proprio un motivo di ricorso proposto dall’attuale appellante), ponendosi anche in parziale difformità dalle conclusioni rassegnate dal CTU, ha affermato che l’art. 9 della convenzione “prevede espressamente l’impegno . . . ad alienare gli alloggi realizzati al prezzo massimo derivante dall’applicazione del prezzo unitario massimo prestabilito per mq. di superficie complessiva (D.M. 5 agosto 1994, art. 6)” (pag. 54 sent.).

Secondo il predetto art. 6, “la superficie complessiva (Sc) è costituita dalla superficie utile abitabile aumentata del 60% della somma della superficie non residenziale e della superficie parcheggi”.

Giova osservare che:

- per “superficie utile abitabile” deve intendersi “la superficie di pavimento degli alloggi misurata al netto dei muri perimetrali e di quelli interni, delle soglie di passaggio e degli sguinci di porte e finestre”;

- per “superficie non residenziale” deve intendersi “la superficie risultante dalla somma delle superfici di pertinenza degli alloggi – quali logge, balconi, cantinole e soffitto – e di quelle di pertinenza dell’organismo abitativo – quali androne d’ingresso, porticati liberi, volumi tecnici, centrali termiche e altri locali a servizio della residenza, misurato al netto dei muri perimetrali e di quelli interni”;

- per “superficie complessiva” deve intendersi la superficie risultante “dalla superficie utile abitabile aumentata del 60% della somma della superficie non residenziale e della superficie parcheggi”.

Tanto precisato, anche alla luce delle argomentazioni emergenti dalla corretta lettura della sentenza impugnata e di quanto previsto dalla convenzione e dal richiamato D.M. 5 agosto 1994, deve ritenersi che la “superficie complessiva”, da assumere a base di calcolo per definire il costo di alienazione degli alloggi, è costituita dalla somma degli addendi rappresentati: a) dalla superficie utile abitabile e b) dal 60% della somma della superficie non residenziale e della superficie parcheggi, prese ciascuna di esse per intero secondo le modalità di calcolo prescritte.

Si intende affermare, per maggior chiarezza, che il 60% della somma della superficie non residenziale e della superficie parcheggi deve essere calcolata sul valore assoluto di detta somma, e non già calcolato entro il limite del 60% della superficie utile

Tanto precisato in ordine all’esatta lettura della sentenza impugnata, in questi termini risulta infondato il profilo del motivo in esame, nella parte in cui con esso si censura la definizione della superficie complessiva da valutarsi ai fini della definizione del prezzo di cessione ”.

Come si vede, il Consiglio di Stato sembra muovere dall’assunto secondo cui le sentenze impugnate presenterebbero profili di equivocità nell’individuare i legittimi criteri di determinazione della superficie utile rilevanti per il calcolo del prezzo di cessione degli alloggi;
e ne fornisce l’esatta lettura, pervenendo al rigetto dei motivi di gravame sulla base di una conclusione che, obiettivamente, non lascia adito a dubbi circa le modalità di calcolo della superficie non residenziale e della superficie a parcheggi da utilizzare nel computo della superficie utile complessiva (sul valore assoluto della somma della superficie non residenziale e della superficie parcheggi, e non già entro il limite del 60% della superficie utile).

Non importa qui stabilire se la “corretta lettura” operata in questi termini si mantenga nei limiti dell’interpretazione delle sentenze impugnate, ovvero ne contraddica in qualche modo l’impostazione (si ricorda che il T.A.R. aveva stabilito che le sanzioni dovessero venire ricalcolate sulla base di prezzi di cessione determinati a partire da superfici non residenziali e a parcheggi contenute entro il limite del 60% della superficie utile abitabile). Anche nella seconda ipotesi, il contrasto fra dispositivo e motivazione delle sentenze del Consiglio di Stato (il primo è di conferma delle sentenze impugnate, la seconda finirebbe per essere di parziale riforma) non sarebbe tale da impedire di comprendere la portata del comando concretamente impartito dal giudice e potrebbe, se del caso, essere superato mediante la procedura di correzione dell’errore materiale, stante la chiarezza delle sentenze nella parte in cui affermano che la somma della superficie non residenziale e della superficie a parcheggi va calcolata come valore assoluto, e non entro il limite del 60% della superficie utile.

Per le già evidenziate ragioni di opportunità, e per evitare il trattamento difforme di situazioni del tutto sovrapponibili, la piana statuizione del Consiglio di Stato costituirà anche ai fini della presente decisione il parametro della valutazione di legittimità dell’operato del Comune resistente.

2.3.4. Come risulta dall’impugnata ordinanza n. 211/2016, ed è confermato dalle difese in giudizio dell’amministrazione (pag. 11 della memoria di replica depositata il 9 settembre 2017), il computo delle superfici utili è stato eseguito in applicazione di criteri difformi da quelli dettati dalle sentenze del T.A.R. del 2014, prendendo a riferimento la superficie complessiva di cui ai permessi di costruire, senza conteggiare né le superfici extrasagoma, né le soffitte prive di altezza minima di 2,70 ml.

Il Comune si è invece adeguato alle sentenze del 2014 nell’applicare l’aggiornamento ISTAT con decorrenza dal gennaio 2000 e nel detrarre dalla differenza fra prezzi massimi di cessione e prezzi effettivamente praticati dalla ricorrente gli importi relativi agli oneri di preammortamento, il costo delle migliorie personali richieste dai singoli assegnatari, i maggiori oneri di esproprio.

Quanto alle migliorie personali, deve escludersi che esse ricomprendano – quasi per una sorta di automatismo – anche quelle inerenti gli standard costruttivi, realizzate ai sensi dell’art. 6 co. 1 lett. f) della convenzione, mancando la prova che abbiano formato oggetto di specifica contrattazione e accettazione. La prova carente non può infatti essere supplita dalla clausola contrattuale di accettazione cumulativa delle caratteristiche migliorative rispetto a quelle minime previste dalla legge n. 457/1978, la quale non esprime il desiderio di “miglioramento individuale” dell’assegnatario, come richiesto dal Consiglio di Stato, ma l’accettazione di incrementi qualitativi unilateralmente apportati dalle cooperative costruttrici agli edifici, che non si vede come gli assegnatari avrebbero potuto rifiutare, se non rinunciando all’acquisto degli alloggi. Non va dimenticato che il combinato disposto degli art. 6 co. 1 lett. f) e 9 della convenzione, pur consentendo di realizzare migliorie “facoltative”, lasciava fermo verso il Comune il vincolo del prezzo massimo di cessione, di modo che – per potersi parlare di miglioria “personale”, rilevante nei soli rapporti fra impresa costruttrice e socio assegnatario – dovrebbe dimostrarsi che la modifica, e il conseguente superamento del prezzo massimo di cessione, non soltanto sono stati accettati dagli assegnatari, ma anche individualmente richiesti, o comunque contrattati;
mentre i negozi di cessione attestano unicamente la presa d’atto e il riconoscimento, da parte dei soci assegnatari, del fatto che il prezzo di vendita è stato determinato (dalla cooperativa) tenendo conto dei costi sostenuti, ivi compresi quelli “ per la realizzazione del progetto con caratteristiche e tipologie diverse e migliorative rispetto a quelle minime previste dalla L. 457/78 e connessa disciplina ”.

Manca, in definitiva, la dimostrazione che quei miglioramenti facoltativi siano in concreto assimilabili a migliorie individuali, risultando dirimente al riguardo il fatto che, a differenza di queste ultime, essi non distinguono il singolo alloggio dagli altri (ricadono sull’intero edificio).

Si aggiunga che l’impegno del socio assegnatario a riconoscere la maggiorazione del prezzo di cessione rispetto ai parametri previsti dalla legge n. 457/1978 e dalla convenzione con il Comune, presente negli atti di prenotazione degli alloggi, non è stato riprodotto nei contratti di alienazione, la cui stipula integra la violazione sanzionata dall’art. 9 della convenzione.

2.3.5. Restano da esaminare i motivi di gravame mediante i quali è dedotto dalla ricorrente il cattivo uso della procedura di riscossione coattiva disciplinata dal R.D. n. 639/1910, questione non trattata nei giudizi ora definiti in appello dal Consiglio di Stato.

Al riguardo si osserva che, accedendo alla qualificazione pubblicistica delle penalità di cui all’art. 9 della convenzione, il ricorso alla procedura in questione per il recupero di sanzioni amministrative è da ritenersi autorizzato dall’art. 36 co. 2 del d.l. 31 dicembre 2007, n. 248, norma che era stata dapprima abrogata dall’art. 7 co. 2 lett. gg- septies ) n. 3) del d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, salvo l’abrogazione essere venuta meno per effetto della riscrittura del suddetto art. 7 co. 2 lett. gg- septies n. 3) ad opera dell'art. 5 co. 8- bis del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44.

Né può ragionevolmente sostenersi che l’importo delle sanzioni irrogate dal Comune non sia certo, liquido ed esigibile, essendo predeterminato in misura fissa (il doppio della differenza incassata in eccesso dalla cooperativa rispetto al prezzo massimo di cessione degli alloggi) in virtù degli atti e provvedimenti dei quali si è ampiamente dato conto (la circostanza che l’accertamento dei presupposti per l’applicazione della sanzione costituisca il frutto di valutazioni complesse e controvertibili non toglie che, una volta completato l’accertamento, la sanzione sia determinabile nel suo ammontare mediante un semplice calcolo aritmetico).

3. In forza di tutte le considerazioni che precedono, il ricorso può essere accolto limitatamente alle doglianze che investono le modalità di computo delle sanzioni, le quali dovranno essere ricalcolate dal Comune alla stregua dei criteri già enunciati da questo Tribunale con le sentenze 1923, 1951, 1959, 1985/2014, nella lettura datane dal Consiglio di Stato con le sentenze nn. 2256, 2257 e 2258/2017. In particolare, i prezzi massimi di cessione a norma dell’art. 9 della convenzione del 2 marzo 2006 saranno calcolati a partire dalla “superficie complessiva” determinata secondo le precisazioni del Consiglio di Stato (si veda il precedente paragrafo 2.3.3.), e aggiornati secondo gli indici ISTAT a decorrere dal gennaio 2000;
e le differenze tra i prezzi massimi così ricalcolati e quelli effettivamente praticati dalla ricorrente saranno decurtate degli oneri di preammortamento dei mutui, dei costi per le migliorie personali (nel senso indicato al precedente paragrafo 2.3.4.), e dei maggiori oneri di esproprio.

3.1. Le spese del giudizio possono essere compensate, stante la obiettiva complessità delle questioni trattate.

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