TAR Torino, sez. I, sentenza 2021-04-06, n. 202100364

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Torino, sez. I, sentenza 2021-04-06, n. 202100364
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Torino
Numero : 202100364
Data del deposito : 6 aprile 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 06/04/2021

N. 00364/2021 REG.PROV.COLL.

N. 00348/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 348 del 2020, proposto da
Ristorart Toscana s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati G G, M G, L G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Torino, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati D S, S T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Eutorist New s.r.l., non costituito in giudizio;

per l'annullamento

del provvedimento n. 1021 del 30.3.2020 della Divisione Servizi Educativi del Comune di Torino, con il quale è stato disposto l’annullamento d’ufficio in autotutela della determinazione dirigenziale n. 2018 00303/007 del 29.1.2018 e di tutti gli atti approvati e conseguenti della procedura aperta n.20/2018 relativi all’affidamento del servizio di ristorazione scolastica per il periodo 1.9.2018 – 31.8.2021;

nonchè per la condanna ex art. 112, comma 3, cpa o ex art. 30 cpa del Comune di Torino al risarcimento per equivalente di tutti i danni subiti.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Torino;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 marzo 2021 la dott.ssa P M e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La ricorrente ha impugnato il provvedimento con il quale è stato disposto l’annullamento d’ufficio in autotutela degli atti della procedura aperta n. 20/2018 relativa all’affidamento del servizio di ristorazione scolastica sul territorio del Comune di Torino per il periodo 1.9.2018-31.8.2021.

Ha dedotto che, con bando pubblicato il 16.2.2018, la città ha indetto la citata procedura per l’affidamento del servizio di ristorazione scolastica nelle scuole dell’obbligo, d’infanzia e nidi del territorio comunale per il complessivo importo a base d’asta di € 95.444.321,40, suddiviso in sei lotti territoriali.

La ricorrente presentava offerta per i lotti da 2 a 5.

In data 30.5.2018 la stazione appaltante comunicava proposta di aggiudicazione dei lotti 2 e 5 in favore di Ristorart Toscana s.r.l. e, in data 8.6.2018, veniva pronunciata in suo favore l’aggiudicazione.

In data 20.7.2018 la ricorrente veniva raggiunta da una informazione antimafia negativa emessa dalla Prefettura di Prato e la stazione appaltante avviava procedimento di revoca, poi pronunciata con determinazione dirigenziale del 3.8.2018.

La ricorrente impugnava innanzi al Tar Toscana l’informativa antimafia e innanzi al Tar Piemonte la conseguente revoca dell’aggiudicazione.

Con sentenza del 21.3.2019 il Tar Toscana annullava l’informativa antimafia;
conseguentemente, in data 12.4.2019, il Comune di Torino revocava la pregressa revoca e questo TAR, con sentenza n. 470/2019, dichiarava cessata la materia del contendere con riferimento al contenzioso avverso tale ultimo atto;
tale pronuncia è passata in giudicato.

Contestualmente alle vicende soggettive che hanno interessato la ricorrente, avverso la determina di aggiudicazione del giugno 2018, altra concorrente proponeva un ricorso cumulativo censurando gli esiti della gara per i lotti 1, 2, 5, 3, 4;
il ricorso veniva dichiarato inammissibile con sentenza TAR Piemonte n. 504/2019, confermata dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 526/2020;
la concorrente Dussmann Service s.r.l. impugnava a sua volta l’aggiudicazione per il lotto 1 e il ricorso veniva accolto con sentenza TAR Piemonte n. 503 del 29.4.2019, confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 8562/2019. In tali ultime pronunce veniva dichiarato illegittimo il criterio di attribuzione dei punteggi delle offerte, criterio previsto dalla legge di gara per tutti i lotti.

Nel marzo 2020 la stazione appaltante procedeva quindi alla qui contestata autotutela in forma di annullamento degli atti della procedura rilevando, tra l’altro, come il contenzioso introdotto da Dussmann Service s.r.l. avesse interessato degli elementi della legge di gara comuni a tutti i lotti e come l’ANAC avesse, a sua volte e in sede di vigilanza, mosso al comune osservazioni simmetriche alle problematiche riscontrate nel giudizio ma con riferimento all’intera procedura di gara.

Lamenta parte ricorrente:

1) la nullità ex art. 21 septies della l. n. 241/90 e la violazione o elusione del giudicato portato dalla sentenza del TAR Piemonte n. 470/2019;
con tale ultimo provvedimento è stata dichiarata cessata la materia del contendere in relazione al contenzioso promosso dalla ricorrente avverso la precedente revoca dell’aggiudicazione disposta in conseguenza dell’emissione nei suoi confronti dell’informazione interdittiva antimafia;
tale decisione avrebbe attitudine di giudicato idonea ad impedire all’amministrazione un nuovo sindacato amministrativo sull’aggiudicazione;

2) violazione dell’art. 21 novies l. n. 241/90;
eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti;
erronea lettura delle sentenze n. 503/2019 del Tar Piemonte e n. 8256/2020 del Consiglio di Stato;
le citate pronunce hanno annullato il criterio di aggiudicazione limitatamente al lotto 1 mentre l’amministrazione avrebbe illegittimamente esteso l’effetto del giudicato anche ad altri lotti;
né sarebbe a tal fine pertinente l’argomento dell’esistenza in relazione alla procedura di una indagine ANAC;

3) violazione dell’art. 21 novies l. n. 241/90;
violazione del termine di 18 mesi dalla data di adozione del provvedimento di aggiudicazione;
l’aggiudicazione sarebbe stata pronunciata l’8.6.2018 mentre la revoca è intervenuta il 30.3.2020, ben oltre il termine di legge;

4) violazione dell’art. 21 novies l. n. 241/90;
violazione dell’art. 1 della l. n. 241/90;
violazione del principio dell’affidamento e di proporzionalità;
in ogni caso la stazione appaltante avrebbe ingenerato in capo alla ricorrente un legittimo affidamento circa la legittimità della procedura e tanto la avrebbe indotta a compiere una serie di atti prodromici alla partenza del servizio. In ogni caso tra più misure ugualmente appropriate al conseguimento di un fine l’amministrazione dovrebbe selezionare quella meglio proporzionata.

Ha pertanto chiesto pronunciarsi la nullità del provvedimento impugnato o, in subordine, il suo annullamento e, conseguentemente, condannarsi l’amministrazione al risarcimento del danno per equivalente in luogo di quello in forma specifica, sussistendo i presupposti di legge per la responsabilità dell’amministrazione;
ha quantificato il danno nella somma di € 83.696,20 a titolo di costi sostenuti ed € 506.068,52 a titolo di mancato utile.

In subordine ha chiesto riconoscersi un risarcimento pari alla perdita di chance di aggiudicazione e quindi pari quantomeno al 50% dell’utile che avrebbe conseguito oltre che delle spese sostenute, per complessivi € 590.037,81.

Si è costituita l’amministrazione resistente contestando in fatto e diritto gli assunti di cui al ricorso introduttivo.

Con le memorie depositate per l’udienza di merito le parti hanno approfondito le problematiche di quantificazione del danno.

All’udienza del 24.3.2021 la causa è stata discussa e decisa nel merito.

DIRITTO

Le vicenda in fatto appare sostanzialmente pacifica.

La procedura oggetto di revoca risale al 2018;
la ricorrente è risultata aggiudicataria, nel giugno 2018, di 2 lotti;
tuttavia, la sua specifica posizione, ha subito una immediata battuta di arresto in ragione di una informazione antimafia negativa emessa nei suoi confronti dalla Prefettura di Prato in data 20.7.2018. Tanto comportava una revoca dell’aggiudicazione disposta il 3.8.2018 mentre, contestualmente, la ricorrente impugnava sia l’informazione antimafia che la revoca.

L’informazione antimafia veniva annullata con sentenza del Tar Toscana n. 401/2019. Conseguentemente il comune di Torino procedeva alla “revoca della revoca” con atto del 12.4.2019 e, nel correlato giudizio pendente innanzi al Tar Piemonte, con sentenza n. 470/2019, veniva dichiarata cessata la materia del contendere.

Con il primo motivo di ricorso la ricorrente intende far discendere da tale ultima decisione effetti di giudicato ostativi ad ogni ulteriore valutazione della posizione della ricorrente da parte dell’amministrazione, invocando in conseguenza la nullità dell’atto impugnato.

La tesi prova troppo;
il giudicato si può al più essere formato in relazione alla sussistenza di un requisito soggettivo di capacità contrattuale (unico oggetto del contendere nel giudizio definito con la sentenza n. 470/2019);
è infatti nella fisiologia del processo amministrativo il formarsi anche progressivo del giudicato in relazione agli specifici motivi dedotti in ricorso.

Nessuna generalizzata inibizione di qualsivoglia ulteriore valutazione inerente la gara può invece essere fatta discendere dall’invocata sentenza;
tanto meno possono desumersi dalla rivalutazione di aspetti del tutto avulsi dall’oggetto del contendere profili di violazione di una sentenza definitiva resa su contestazioni del tutto eterogenee.

Ne consegue l’infondatezza del primo motivo di ricorso.

Con il secondo motivo di ricorso si contesta il provvedimento impugnato sotto il profilo della carenza di effettiva sussistenza di un vizio di legittimità della procedura e di interesse pubblico all’annullamento.

E’ del tutto pacifico che il criterio di aggiudicazione previsto per la gara qui in contestazione, dettato dall’art. 14 del capitolato e comune a tutti i lotti, è stato definitivamente censurato in due gradi di giudizio in quanto si è ritenuto che, nonostante l’apparente opzione per il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, la strutturazione dei criteri di aggiudicazione fosse interamente di tipo on/off, quindi tale da condurre ad esiti meccanici, contrari al senso stesso della tipologia di criterio scelto.

Rileva parte ricorrente come le pronunce che hanno riscontrato questa illegittimità in primo e secondo grado fossero circoscritte al lotto 1 e si siano correttamente premurate di specificare che i propri effetti erano destinati a dispiegarsi nel solo interesse della ricorrente.

La considerazione è ovvia, essendo il giudizio amministrativo un giudizio ad istanza di parte in una giurisdizione di carattere prettamente soggettivo, quindi fisiologicamente indirizzata alla soddisfazione della pretesa del ricorrente e non certo alla tutela della legalità generalizzata nella pubblica amministrazione.

Diversa tuttavia non può che essere la posizione della pubblica amministrazione che, preso atto da un punto di vista oggettivo di una illegittimità della complessiva struttura della gara, si è del tutto ragionevolmente posta problematiche (queste sì generalizzate) di buon andamento e parità di trattamento che presidiano l’intera azione amministrativa. Tanto più che, come risulta dall’ampia motivazione del provvedimento impugnato, la procedura è stata anche, e per lo stesso profilo, oggetto di un intervento in vigilanza da parte dell’ANAC, funzionalmente preposta proprio anche alla tutela di forme di legalità oggettiva nell’evidenza pubblica. Non si tratta quindi tanto di valutare effetti caducanti delle pronunce rese rispetto ad altri lotti, quanto di valutare la ragionevolezza di un intervento proprio dell’amministrazione a fronte di una pur emersa illegittimità.

In tale contesto l’amministrazione ha ritenuto di prendere oggettivamente atto che: il comune criterio di aggiudicazione aveva di fatto portato ad aggiudicazioni secondo parametri non coerenti con il senso dell’offerta economicamente più vantaggiosa e quindi viziati;
l’azione demolitoria del GA rendeva quantomeno indispensabile la riedizione della gara per il lotto 1;
contestualmente anche l’ANAC aveva attivato sullo specifico punto i propri poteri di vigilanza;
l’omogeneità del servizio (la cui divisione in lotti rispondeva unicamente a criteri territoriali, ferma l’identità della prestazione) abbinata alla delicatezza dello stesso (mense scolastiche) ed alle ragionevoli aspettative di parità di trattamento dei cittadini (certamente quantomeno sotto il profilo della qualità dell’offerta) avrebbero potuto comportare ovvie e poco giustificabili disparità di trattamento. La gestione di un servizio di notevoli dimensioni e complessità richiedeva, come per altro scelto fin dalla procedura del 2018, una organizzazione e strutturazione quanto più possibili coerenti.

Pare al collegio che l’amministrazione abbia correttamente esplicitato la sussistenza di plurimi profili tanto di illegittimità che di interesse pubblico e che il provvedimento sia, anche per questo aspetto, esente da censure.

Con il terzo motivo di ricorso si contesta che l’amministrazione avrebbe provveduto all’autotutela decorso il termine di 18 mesi dall’aggiudicazione previsto dell’art. 21 novies della l. n. 241790;
la ricorrente individua il dies a quo ai fini dell’applicazione del termine nel primo provvedimento di aggiudicazione dell’8.6.2018.

Il qui impugnato provvedimento di autotutela è datato 3.3.2020.

Tuttavia occorre evidenziare che, nella propria ricostruzione, la ricorrente omette del tutto di considerare che dal 20.7.2018 (quindi ancor prima che si compisse il termine di sessanta giorni dall’aggiudicazione previsto dall’art. 32 del d.lgs. n. 50/2016 per la stipulazione del contratto) la ricorrente era in condizione di obiettiva incapacità di contrarre con la pubblica amministrazione per causa del tutto indipendente da una scelta della stazione appaltante e della quale, quest’ultima, non poteva che prendere atto.

Solo con la revoca della revoca, a tutto concedere, si è ripristinata una condizione di fisiologica posizione di aggiudicataria suscettibile di verifica e, in caso positivo, capace di stipulare il contratto. Pertanto solo da quel momento può al più dirsi applicabile il termine per l’autotutela.

Senonchè la revoca della revoca è intervenuta in data 12.4.2019 e l’autotutela qui contestata risale al 30.3.2020, quindi a meno di un anno dopo da quando la ricorrente si è venuta a trovare in una condizione che effettivamente le avrebbe consentito il consolidarsi di un affidamento, presupposto imprescindibile dell’applicabilità del termine dettato dall’art. 21 novies della l. n. 241/90.

Così ragionando il termine non sarebbe certamente stato violato. La stessa giurisprudenza eurounitaria invocata in ricorso commisura il termine ragionevole di autotutela all’adozione di un atto idoneo a suscitare un affidamento, prescrivendo che quantomeno l’atto sia valido ed efficace o almeno apparentemente tale e non certo un atto inesistente in quanto oggetto di revoca. Sempre la giurisprudenza eurounitaria in materia di affidamento onera il privato che lo invoca di una condotta “prudente ed accorta”, escludendolo quando l’operatore economico “sia in grado di prevedere l’adozione di un provvedimento idoneo a ledere i suoi interessi” e precisando che, in tal caso, il privato “non può invocare il detto principio nel caso in cui il provvedimento venga adottato. Inoltre, gli operatori economici non possono fare legittimamente affidamento sulla conservazione di una situazione esistente che può essere modificata nell’ambito del potere discrezionale delle autorità nazionali” (Corte di Giustizia sentenze 15 luglio 2004, Di Lenardo e Dilexport, in cause riunite C 37/02 e C 38/02;
Corte di Giustizia, 7 settembre 2006, Spagna/Consiglio, in causa C 310/04).

E’ palese che la ricorrente non poteva attendersi nessuna stipulazione del contratto sin tanto che non era neppure in condizione di sottoscriverlo per ragioni del tutto indipendenti dalla stazione appaltante e, quando si è vista ripristinare l’aggiudicazione, decorso quasi un anno dall’originaria aggiudicazione, veniva per di più immediatamente resa edotta dall’amministrazione (cfr. nota del comune di Torino del 27.5.2019 in atti sub. doc. 2 di parte resistente) di essere diffidata dal porre in essere qualunque attività volta all’esecuzione del contratto;
non solo ma, sempre in quella fase, risultava pendente un ricorso proposto da altra concorrente avverso la revoca della revoca mentre, il 18.12.2019, passava in giudicato la sentenza con la quale veniva dichiarato illegittimo il criterio di aggiudicazione che aveva governato l’assegnazione di tutti i lotti.

Ad abundantiam il collegio dubita anche che il termine di cui all’art. 21 novies sia de plano applicabile alla revoca dell’aggiudicazione, quando non sia stato stipulato alcun contratto né posta in essere alcuna attività di esecuzione, anche anticipata, del servizio;
la disciplina invocata in ricorso, infatti, circoscrive, ai fini dell’applicazione del termine di 18 mesi per l’autotutela e nell’ambito di tutti i provvedimenti astrattamente favorevoli al privato (quale certamente è l’aggiudicazione), in specifico quelli di “autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici”. L’aggiudicazione non attribuisce alcun immediato e diretto vantaggio economico che deriverà invece dalla stipulazione del contratto o potrebbe derivare, in caso di esecuzione anticipata, dalla consegna del servizio che, per altro e per legge, non attribuisce di per sé un diritto neppure alla conclusione del contratto ma, in caso di servizi e forniture, “al rimborso delle spese sostenute per le prestazioni espletate su ordine del direttore dell'esecuzione”.

D’altro canto il codice dei contratti, nella disciplina ratione temporis vigente, dettava una espressa regolamentazione per evitare una indeterminata situazione di incertezza in capo all’aggiudicatario prevedendo che, in caso di mancata stipulazione del contratto entro sessanta giorni, il privato potesse (come per altro può tuttora) “mediante atto notificato alla stazione appaltante, sciogliersi da ogni vincolo o recedere dal contratto. All'aggiudicatario non spetta alcun indennizzo, salvo il rimborso delle spese contrattuali documentate”.

In sostanza, in base ad una disciplina specifica di settore, risulta esplicitato dal legislatore che l’aggiudicazione non equivale alla stipulazione di un contratto e non è immediatamente attributiva di alcun vantaggio economico;
il privato, ove l’amministrazione tardi a stipulare il contratto, non è affatto vincolato ad una dannosa attesa indeterminata ma è legittimato a sciogliersi da ogni obbligo, reclamando le spese contrattuali documentate. La diversa scelta attendista dell’impresa non è quindi necessaria e non pare potersi tradurre in un vantaggio persino potenzialmente superiore a quello che la legge avrebbe attribuito al concorrente che, nei termini previsti, avesse voluto liberarsi da ogni obbligo o fosse stato indotto all’esecuzione anticipata;
tanto meno la scelta attendista, frutto ragionevolmente di una valutazione di maggior convenienza che solo all’impresa spetta, può fondare un legittimo affidamento sostanzialmente autoindotto da parte del privato il quale non aveva alcun obbligo di sopportare quell’attesa ed era anzi stato diffidato dal compiere atti esecutivi.

L’incoerenza della ricostruzione proposta in ricorso diviene più evidente nel caso di specie là dove, decorsi i sessanta giorni, la stessa concorrente si trovava in una condizione di incapacità di contrarre non imputabile alla stazione appaltante e tale da rendere l’attesa per lei non solo vantaggiosa ma addirittura indispensabile. D’altro canto la giurisprudenza invocata dalla ricorrente a sostegno della tesi opposta non appare conferente in quanto, a fronte della peculiarità del caso di specie, nessuna delle ipotesi ivi analizzate prescindeva del tutto dalla stipulazione di un contratto o svolgimento di una attività contrattuale. Infatti le sentenze Cons. St. n. 1320/2021 e Tar Catanzaro n. 959/2020 hanno analizzato fattispecie in cui vi era stata la stipulazione del contratto;
la sentenza Cons. St. n. 2129/2019 ha analizzato una fattispecie in cui era stata stipulata la convenzione conseguente all’aggiudicazione;
la sentenza Tar Campania n. 4528/2020 ha avuto ad oggetto un contratto che aveva avuto esecuzione anticipata in via d’urgenza;
la sentenza Tar Lombardia n. 515/2020 aveva ad oggetto un concessione, la cui disciplina giuridica risulta difforme;
la sentenza Tar Abruzzo n. 347/2020 ha interessato una gara di progettazione rispetto alla quale la concorrente aveva, per la tipologia di gara, già necessariamente posto in essere una attività progettuale poi non approvata dall’amministrazione.

In definitiva pare al collegio che neppure da tutta la giurisprudenza invocata dalla ricorrente possa desumersi un pacifico principio di “indiscussa” applicabilità dell’invocato termine di diciotto mesi ed ogni caso di autotutela espressa su una aggiudicazione mai seguita da alcuna attività contrattuale o esecutiva e per contro seguita da obiettive impossibilità di stipulazione imputabili alla parte e da esplicite diffide rispetto ad ogni forma di esecuzione.

Il terzo motivo di ricorso deve quindi essere respinto.

Da ultimo parte ricorrente lamenta che l’amministrazione non avrebbe fatto buon governo del principio di proporzionalità e non avrebbe tenuto in debito conto i suoi interessi.

A tali censure si è sostanzialmente già replicato nell’analisi del secondo motivo di ricorso, là dove si è chiarito perché, alla luce della tormentata dinamica che ha caratterizzato la procedura, non si ritiene che la ricorrente possa aver maturato alcun ragionevole affidamento e tantomeno un diritto alla stipulazione in ogni caso del contratto. Infatti: nessuna attività contrattuale o esecutiva era stata posta in essere tra le parti;
l’attività svoltasi prima dell’interdizione a contrarre che ha colpito la società è stata vanificata da un evento proprio della sfera giuridica della concorrente stessa e del tutto indipendente dall’amministrazione;
al momento di ripristino dell’aggiudicazione pendeva un giudizio avverso la stessa e l’amministrazione diffidava formalmente la ricorrente dallo svolgere qualsiasi attività esecutiva;
ogni attività dopo tale momento svolta non risulterebbe quindi assistita da alcuno spendibile affidamento;
nel frattempo, il 18.12.2019, si formava il giudicato che accertava, se pur per altro lotto, l’illegittimità del criterio di aggiudicazione che aveva governato la procedura e l’amministrazione avviava, con nota del 17.2.2020, la procedura di revoca. Nel procedimento di revoca si evidenziava, tra l’altro che, nelle more, i prezzi di aggiudicazione erano verosimilmente divenuti fuori mercato e le concorrenti sarebbero state nella condizione/necessità di invocare una immediata revisione dei prezzi, con possibile anche diseconomia dell’attività contrattuale oltre che disallineamento della struttura dei vari lotti.

In tale contesto, e ribadito che la ricorrente non era gravata da alcun obbligo di attendere le determinazioni dell’amministrazione oltre i 60 giorni dall’aggiudicazione previsti dalla legge nonchè che l’amministrazione ha evidenziato plurime obiettive ragioni di interesse pubblico contrario alla stipulazione senza indurre alcun tipo di affidamento, pare al collegio che la ritenuta prevalenza dell’interesse pubblico non possa essere tacciata di sproporzione né aver indebitamente ingenerato alcuna attività prodromica.

La complessiva infondatezza delle censure comporta la reiezione tanto della domanda di nullità quanto di quella di annullamento.

Restano quindi assorbite le contestazioni circa l’eventuale quantificazione del danno non riconoscibile nè in termini di mancato guadagno o perdita di chance né in termini di spese sostenute, posto che la parte ha formulato la propria richiesta sul presupposto di una asserita illegittimità della revoca, illegittimità che non si ritiene sussistere.

Il ricorso deve essere complessivamente respinto.

Le spese, liquidate come in dispositivo, vengono poste a carico di parte ricorrente soccombente.

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