TAR Venezia, sez. I, sentenza 2014-06-24, n. 201400913

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Venezia, sez. I, sentenza 2014-06-24, n. 201400913
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Venezia
Numero : 201400913
Data del deposito : 24 giugno 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01625/2008 REG.RIC.

N. 00913/2014 REG.PROV.COLL.

N. 01625/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1625 del 2008, proposto da:
Z G e Z M G, rappresentato e difeso dagli avv. M G, R S, C C, con domicilio eletto presso Cosimo Damiano Cisternino in Venezia, S.Polo 2988;

contro

Comune di Verona - (Vr), rappresentato e difeso dagli avv. G C, F S, con domicilio presso l’intestato Tribunale ai sensi dell’art. 25, I comma del DLgs n. 104/2010;

per l'annullamento

per l'accertamento della responsabilità civile del Comune in merito all'intervenuta occupazione acquisitiva sul terreno di proprietà dei ricorrenti;
nonchè per il risarcimento dei danni;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Verona - (Vr);

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2014 il dott. C R e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con DGC 17.11.1988 n. 4244 il Comune di Verona approvava il progetto esecutivo dei tronchi T3 (Verona est-centro), T4 (via Albere-Spianà) e T9 (Spianà-tangenziale ovest, casello VR nord) della strada di grande scorrimento detta “mediana”, dichiarava la pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle opere e stabiliva che “le procedure espropriative e i lavori dovranno iniziare entro tre anni dalla data di esecutività del presente provvedimento e terminare entro cinque anni”.

In data 9.5.1989 l’Amministrazione comunale si immetteva nel possesso dell’area contraddistinta al Fg. 263, mapp. 39/p e 40/p, e in data 13.6.1989 nel possesso dell’area di cui al mapp. 51/p, entrambe di proprietà degli odierni ricorrenti.

Con delibera 24.6.1994 n. 1583 il Commissario straordinario prorogava, ai sensi dell’art. 13 della legge n. 2359 del 1865, i termini per l’ultimazione delle procedure espropriative.

Con provvedimento 7.3.1995 n. 313 la Commissione provinciale espropri determinava l’indennità definitiva di esproprio, che, comunicata agli interessati, questi non accettavano ed impugnavano avanti alla Corte d’Appello di Venezia.

Con decreto 15.10.1996 n. 545 la Provincia disponeva l’esproprio delle predette aree in favore del Comune di Verona.

Con determinazione 27.5.1997 n. 409 la Commissione provinciale espropri quantificava anche l’indennità definitiva di occupazione.

Entrambe le indennità, ritualmente depositate, venivano incassate (con riserva) dagli interessati il 3.7.1999.

Nelle more, con sentenza 6.4.1998 n. 613 la Corte d’Appello, accertata la tardiva emanazione del provvedimento espropriativo, dichiarava la propria incompetenza in ordine alla domanda di liquidazione dell’indennità, indicando come competente il Tribunale secondo le regole ordinarie.

Con atto di citazione notificato il 21.12.2001, pertanto, gli odierni ricorrenti convenivano in giudizio il Comune avanti al Tribunale di Verona per sentirlo condannare al risarcimento del danno conseguente alla illegittima sottrazione dei terreni, giudizio (ove si costituiva il Comune di Verona eccependo il difetto di giurisdizione del giudice adito) che si concludeva con sentenza 1.7.2003 n. 2360 che dichiarava il difetto di giurisdizione, “essendo la materia del contendere devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo”.

Donde la riassunzione del giudizio avanti all’intestato Tribunale.

Resisteva il Comune di Verona manifestando, preliminarmente, talune perplessità in ordine alla giurisdizione del giudice amministrativo e comunque rilevando, nel merito, la correttezza, sotto il profilo temporale, della contestata procedura espropriativa.

La causa è passata in decisione all’udienza del 28 maggio 2014.

DIRITTO

1.- Quanto alla giurisdizione, va osservato che mentre le controversie risarcitorie per il danno da occupazione appropriativa iniziate in periodo antecedente al 1° luglio 1998 rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario alla stregua del criterio di riparto diritti soggettivi/interessi legittimi (così come le stesse controversie iniziate nel periodo dal 1° luglio 1998 al 10 agosto 2000, data di entrata in vigore della legge n. 205/2000, per effetto della sentenza n. 281 del 2004 della Corte costituzionale che, ravvisando nell’art. 34 del DLgs n. 80 del 1998 anteriormente alla riscrittura effettuata con l’art. 7 della legge n. 205 un eccesso di delega, ha dichiarato l'incostituzionalità delle nuove ipotesi di giurisdizione esclusiva), sono invece attribuite alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie risarcitorie per il danno sopportato dalla parte privata in conseguenza dello spossessamento dell'area di sua proprietà iniziate dal 10 agosto 2000, data di entrata in vigore dell’art. 34 del DLgs n. 80/1998, come riformulato dall’art. 7 della legge n. 205/2000, ma non perchè la dichiarazione di pubblica utilità sia di per sè idonea ad affievolire il diritto di proprietà (l'occupazione e la trasformazione del suolo in assenza di decreto di espropriazione comporta lesione del diritto soggettivo), ma perchè ricomprese nella giurisdizione esclusiva in materia urbanistico-edilizia (l'esistenza di una valida dichiarazione di pubblica utilità, mediante il riferimento, sia pure indiretto, al potere espropriativo, vale semplicemente a giustificare la legittimità costituzionale della creazione di una nuova ipotesi di giurisdizione esclusiva): la stessa giurisdizione, peraltro, è attribuita dall’art. 53 del DPR n. 327 del 2001, se la dichiarazione di pubblica utilità sia intervenuta dal 1° luglio 2003, data di entrata in vigore del TU sulle espropriazioni (cfr., da ultimo, SS.UU. 17.2.2014 n. 3660).

2.- Acclarata, dunque, la giurisdizione dell’intestato Tribunale, va ora sottolineato – ai fini dell’ammissibilità dell’istanza risarcitoria degli odierni ricorrenti, che non avevano previamente impugnato gli atti della procedura espropriativa - che anche prima dell'entrata in vigore dell'art. 30 del DLgs n. 104/2010 (che ha espressamente sancito l'autonomia, sul versante processuale, della domanda di risarcimento rispetto al rimedio impugnatorio) poteva essere chiesto innanzi al giudice amministrativo il risarcimento del danno senza la preventiva impugnazione del provvedimento ritenuto illegittimo e dannoso (cfr., ex pluribus, CdS, Ap, 23.3.2011 n. 3), purché entro il termine prescrizionale di cinque anni (cfr. CdS, IV, 6.12.2011 n. 6403): il principio della non necessità della pregiudiziale impugnativa del provvedimento amministrativo era stato già affermato, infatti, dalle Sezioni Unite della Cassazione con riferimento al sistema normativo conseguente alla legge n. 205 del 2000 (cfr. SS.UU. 16.12.2010 n. 25395).

3.- Ciò precisato, deve a questo punto verificarsi se sussistono i presupposti per il risarcimento del danno, se cioè le aree di proprietà dei ricorrenti siano effettivamente state illegittimamente occupate dal Comune ed altrettanto illegittimamente asservite alla realizzazione di dell’opera pubblica.

La risposta, alla luce della consecuzione temporale degli atti della procedura espropriativa, non può che essere affermativa.

3.1.- Premesso, invero, che la dichiarazione della pubblica utilità è l'atto autoritativo che fa emergere il potere pubblicistico in rapporto al bene privato e costituisce al tempo stesso origine funzionale della successiva attività giuridica e materiale di utilizzazione dello stesso per scopi pubblici previamente individuati, il decreto di esproprio deve essere emanato entro il termine di scadenza di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità (art. 13, u.c. della legge n. 2359 del 1865), termine che può essere prorogato in caso di forza maggiore o per altre ragioni indipendenti dalla volontà dei concessionari (art. 13 cit., II comma): nel caso di specie, entro cinque anni dalla data di esecutività della DGC 17.11.1988 n. 4244 (cfr. la delibera stessa) o, quanto meno – versandosi in materia di “realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria” (in tali categorie è certamente riconducibile la costruzione dei previsti tratti stradali) - dalla data di immissione nel possesso, atteso che nella specie trova applicazione la specifica disciplina recata dalla legge n. 865/1971 (cfr. gli artt. 9 e 20, vigenti all’epoca dei fatti) che, appunto, aggancia espressamente la conclusione del procedimento ablatorio al diverso termine di adozione dell’atto che verbalizza l’immissione in possesso dell’immobile oggetto di occupazione (cfr. CdS, IV, 4.2.2014 n. 495).

3.2.- Il termine previsto per la conclusione della procedura ablatoria, coincidente con la data di adozione del provvedimento che pronuncia l’esproprio, assume i connotati della perentorietà, di guisa che l’inutile decorso del termine “de quo” comporta la inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità e la illegittimità dell’intera procedura espropriativa per cattivo esercizio del potere ablatorio da parte della PA.

Orbene, nel caso di specie, ancorchè si computi il termine di cinque anni dall’immissione del Comune nel possesso dell’area di cui al Fg. 263, mapp. 51/p, avvenuta in data 13.6.1989 e si tenga conto che il predetto termine è stato prorogato ( ex lege , giusta l’art. 22 della legge n. 158/1991) per il tempo di due anni, ebbene, anche così il decreto di esproprio risulta adottato (il 15.10.1996) oltre il termine complessivo di sette anni dal “dies a quo” (13.6.1989).

Con conseguente perdita di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità e conseguente patologia dell’intero procedimento.

3.3.- Allo stato, dunque, va osservato che i ricorrenti conservano tutt’ora la titolarità delle predette aree in quanto la perdurante occupazione delle stesse, pur asservite alla realizzata opera pubblica, continua ad essere “sine titulo” e si caratterizza come fatto illecito permanente (cfr. Cass. civ., I, 21.6.2010 n. 14940).

In assenza, infatti, di un formale atto traslativo di natura privatistica ovvero di un atto legittimo di natura ablatoria (la c.d. “acquisizione sanante” prevista dall’art. 42-bis del DPR n. 327/2001), l’Amministrazione non può acquistare a titolo originario la proprietà di un’area altrui, pur quando su di essa abbia realizzato in tutto o in parte un’opera pubblica: una tale acquisizione, invero, contrasterebbe palesemente con la Convenzione europea sui diritti dell’uomo che ha una diretta rilevanza nell’ordinamento interno, poiché per l’art. 117, I comma della Costituzione le leggi devono rispettare i "vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario". Principio, questo, ulteriormente rafforzato dalla nuova formulazione dell’art. 6 del Trattato dell’Unione Europea (modificato dal Trattato di Lisbona) che prevede che "l’Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali" (II comma) e che "i diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali" (III comma).

Donde l’assoluta impossibilità di ricorso alla “occupazione acquisitiva” o ad istituti analoghi.

Nel caso, pertanto, in cui l’Amministrazione decidesse di restituire le aree, anziché di acquisirle (negozialmente o autoritativamente) pagandone il corrispettivo, non farebbe altro che far cessare l’illecito permanente causativo del danno, fermo restando l’obbligo del risarcimento per il periodo di occupazione abusiva sino al momento della restituzione.

In mancanza, dunque, di un apposito atto negoziale o autoritativo la condotta dell'ente pubblico occupante continua a mantenere i connotati di illiceità in quanto ingiustificatamente lesiva del diritto di proprietà che permane in capo ai privati proprietari i quali, entro il termine generale dell'usucapione ventennale, possono agire per la restituzione del bene o per la cessione bonaria.

3.5.- Venendo al merito della illegittima, perdurante occupazione del bene, appare evidente la sussistenza, nel caso in esame, di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità civile invocata dalla parte ricorrente nella sua richiesta di risarcimento dei danni, atteso il grave inadempimento dell'Amministrazione, responsabile della sottratta disponibilità dei beni e del mancato ristoro al proprietario, donde la ricorrenza di tutti gli estremi previsti dall'art. 2043 c.c. (comportamento omissivo, colpa dell'Ente procedente, danno ingiusto e nesso di causalità) in presenza dei quali è possibile affermare la responsabilità extracontrattuale per fatto illecito delle resistenti, consistente, per l'appunto, nella suindicata sottrazione abusiva della disponibilità dei beni.

La qualificazione della condotta della PA in termini di illecito civile impone, quindi, l’individuazione di rimedi a tutela del privato coerenti coi principi di cui alla disciplina generale prevista dagli artt. 2043 segg. c.c.

Ed allora l’Amministrazione dovrà risarcire il danno facendo cessare la situazione di permanente, illegittima occupazione (recte: sottrazione) anzitutto in forma specifica, provvedendo alla restituzione al legittimo proprietario dei terreni utilizzati per la realizzazione dell’opera pubblica opportunamente rimessi in pristino (e, naturalmente, corrispondendo l’indennizzo per il periodo di abusiva occupazione).

3.6.- La definizione della richiesta risarcitoria implica, pertanto, un passaggio intermedio consistente nell'assegnazione di un termine all'Amministrazione perché definisca la sorte della titolarità dei beni illecitamente appresi, cui potrà seguire, ma in posizione inevitabilmente subordinata, la condanna risarcitoria secondo il criterio generale ed esaustivo previsto dall’art. 2043 c.c.

Termine durante il quale l’Amministrazione, qualora ritenesse eccessivamente oneroso il risarcimento in forma specifica, potrebbe optare per l’acquisizione dei beni avvalendosi dell’art. 42-bis del DPR n. 327/2001 corrispondendo il previsto indennizzo per il pregiudizio patrimoniale (determinato in misura corrispondente al loro valore venale: cfr. il III comma) e non patrimoniale (liquidato forfetariamente nella misura del dieci per cento del valore venale: cfr. il I comma), fermo restando il risarcimento per il periodo di occupazione senza titolo (da calcolarsi, in difetto della prova di un maggior danno, nella misura del cinque per cento annuo sul medesimo valore venale: cfr. il III comma).

4.- Su tali premesse, pertanto, in ordine alla quantificazione del danno il Collegio ritiene opportuno fare ricorso al meccanismo di cui all'art. 34, IV comma del DLgs n. 104/2010, in base al quale l'Amministrazione - fatta salva l'ipotesi che essa decida di restituire le aree apprese - dovrà attenersi nel prosieguo alla seguente regola d'azione:

a) entro il termine di novanta giorni (decorrente dalla comunicazione in via amministrativa della presente decisione o dalla notificazione, ove anteriore) l’Amministrazione da una parte ed il ricorrente dall’altra potranno addivenire ad un accordo con effetti traslativi in favore dell'Amministrazione della proprietà delle aree definitivamente occupate (e non restituite), mentre al ricorrente verrà corrisposta la somma specificamente individuata nell'accordo stesso, somma che dovrà essere determinata in base al valore venale dei terreni, nel rispetto del principio del ristoro integrale del danno subito e comprensiva, altresì, del danno per il periodo della loro mancata utilizzazione nella forma degli interessi corrispettivi sul capitale rivalutato: essa, ovviamente, andrà depurata di ogni corresponsione di somme medio tempore eseguita in favore della parte ricorrente, a titolo indennitario, in relazione alla vicenda ablatoria per cui è causa;

b) ove siffatto accordo non sia raggiunto nel termine indicato l’Amministrazione, entro i successivi novanta giorni, dovrà emettere formale provvedimento con cui disporrà la restituzione delle aree a suo tempo occupate, opportunamente ripristinate, impregiudicate le questioni consequenziali in ordine al ristoro relativo all’occupazione illegittima, che dovrà essere regolato secondo quanto disposto al punto sub 3.6: in alternativa, invero, potrà acquisire le aree in questione ai sensi dell’art. 42-bis del DPR n. 327/2001 corrispondendo gli indennizzi per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, nonchè il risarcimento per il periodo di occupazione senza titolo nelle misure ivi stabilite;

c) qualora le parti in causa non concludano alcun accordo e l’Amministrazione neppure adotti un atto formale di restituzione o di acquisizione delle aree in questione, decorsi i termini sopra indicati, parte ricorrente potrà chiedere all’intestato Tribunale l'esecuzione della presente sentenza per l'adozione delle misure consequenziali, con possibilità di nomina di un Commissario ad acta che provveda in luogo dell’Amministrazione inadempiente, riservata la trasmissione degli atti alla Corte dei Conti per le valutazioni di sua competenza.

5.- Le spese possono essere compensate tra le parti in ragione della particolarità della controversia.

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