TAR Roma, sez. 3S, sentenza 2021-01-13, n. 202100485

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 3S, sentenza 2021-01-13, n. 202100485
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202100485
Data del deposito : 13 gennaio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/01/2021

N. 00485/2021 REG.PROV.COLL.

N. 03691/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Stralcio)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3691 del 2013, proposto da
-OMISSIS-, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, -OMISSIS-, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l’ufficio legale Codacons in Roma, viale Mazzini, 73;

contro

Ministero della Salute, Ministero dello Sviluppo Economico, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la condanna

delle Amministrazioni resistenti al risarcimento dei danni subiti dalle ricorrenti per effetto della violazione degli obblighi di cui alla normativa di settore, con conseguente omessa vigilanza sulla circolazione, commercializzazione ed utilizzo delle protesi mammarie di gel di silicone della Poly Implant Prothèse.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Salute e del Ministero dello Sviluppo Economico;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore il dott. N D P nell'udienza di smaltimento del giorno 11 dicembre 2020, svoltasi in videoconferenza secondo quanto disposto dall'art. 4, comma 1, D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, dalla Legge 25 giugno 2020, n. 70, per come richiamato dall’art. 25, comma 1, D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con il mezzo di gravame all’esame le ricorrenti – costituite da due associazioni con finalità di tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini e da persone fisiche che si sono sottoposte, a far data dal 2001, a interventi di mastoplastica additiva con utilizzo di protesi al silicone prodotte dall’azienda francese Poly Implant Prothése (d’ora in poi, per brevità, “P.I.P.”) – espongono che:

- il 29 marzo 2010 l'Agenzia francese responsabile per i dispositivi medici (FSSAPS) comunicava al Ministero della Salute italiano, e a tutti le competenti autorità europee, di avere disposto la sospensione della commercializzazione, distribuzione, esportazione ed utilizzazione degli impianti per protesi mammarie riempiti con gel di silicone prodotti dalla P.I.P., nonché il richiamo dei prodotti già presenti sul mercato francese, sulla scorta di una ispezione effettuata presso lo stabilimento di produzione tra il 16 ed il 18 marzo 2010, originata dall'incremento delle segnalazioni di incidente, da cui era emerso che a far data dal 2001 le predette protesi erano state riempite con un gel di silicone differente rispetto a quello indicato nel procedimento di autorizzazione all’immissione in commercio;

- in conseguenza di tale comunicazione, il successivo 1 aprile 2010 il Ministero della Salute disponeva la sospensione della commercializzazione ed utilizzazione, nonché il ritiro di tutti i suddetti dispositivi medici, richiedendo altresì agli operatori sanitari di mettere in quarantena quelli ancora disponibili, nonché di segnalare eventuali incidenti correlati all'uso degli stessi;
contestualmente invitava la G.F. Electromedics, distributore del prodotto, a ritirare le protesi P.I.P. dal mercato;

- il Consiglio Superiore di Sanità, richiesto dal Ministero della Salute di valutare la necessità di fornire indicazioni per la gestione delle pazienti portatrici di tali protesi, con parere reso in data 8 giugno 2010, conformemente alle decisioni di altri paesi, riteneva necessario sensibilizzare i medici a contattare le proprie pazienti ed a sottoporle a follow up ravvicinato, al fine di diagnosticare precocemente eventuali rotture, effettuare i controlli tramite esami ecografici, più idonei ed economici, nonché invitare le stesse, attraverso opportune vie di divulgazione, a contattare medico e struttura presso cui l'impianto protesico era avvenuto, per verificare se le protesi usate fossero state prodotte dalla P.I.P., nonché a sottoporsi a controlli routinari previsti per tutti i tipi di protesi;

- lo stesso organo riteneva comunque necessario disporre ulteriori accertamenti sul materiale contenuto nelle protesi, al fine di interfacciare i dati con quelli provenienti dalle altre autorità sanitarie, riservandosi di riesaminare la problematica nel caso in cui fossero emersi rischi al momento non ipotizzabili e si determinasse la necessità di promuovere un'eventuale campagna di richiamo e sostituzione delle protesi impiantate;

- il 30 giugno del 2010 il Ministero della Salute emanava una comunicazione nella quale raccomandava quanto consigliato dal Consiglio Superiore di Sanità;

- a seguito di ulteriore istruttoria, in data 29 dicembre 2011 il Ministero della Salute emanava una ordinanza di necessità ed urgenza con la quale stabiliva che solo alle portatrici di protesi a cui fossero state diagnosticate contrattura capsulare, sospetto di rottura, rottura intra ed extracapsulare, essudazione, infiammazione periprotesica andasse proposto l’espianto delle protesi (con onere a carico del SSN), mentre, in assenza di segni clinici diagnostici, qualora la persona portatrice presentasse una persistente preoccupazione relativa alla rottura delle protesi o alle conseguenze della rottura della stessa ed il medico ritenesse la preoccupazione ragionevole, anche in considerazione del tempo trascorso dall'impianto, veniva attribuita al medico la valutazione e proposta dell'espianto, anche per il solo benessere psichico della persona, garantendo comunque un supporto psicologico in caso di preoccupazione o convinzioni persistenti ritenute dal medico non ragionevoli e non risolvibili con l'espianto;

- tale provvedimento veniva impugnato dalle stesse associazioni odierne ricorrenti avanti questo TAR il quale, con ordinanza n. -OMISSIS-/2012, ordinava al Ministero della Salute il riesame delle proprie determinazioni e la valutazione della possibilità, per tutte le portatrici di protesi P.I.P., di ottenere l'intervento di espianto a carico del SSN (tale giudizio è stato poi definito con sentenza n. 10296 dell’11 dicembre 2012).

2. Ciò premesso in fatto, con il presente gravame le ricorrenti persone fisiche, affermando di avere subito - per effetto sia del comportamento della società produttrice, sia in ragione dell’omissione, da parte dei Ministeri convenuti, i quali non avrebbero adempiuto ai propri obblighi di controllo, prima, e di intervento rapido ed efficace poi - ingenti danni di natura sia economica che non patrimoniale, hanno invocato la condanna degli stessi Ministeri al relativo risarcimento.

2.1. A supporto delle proprie ragioni, in diritto, espongono che le citate amministrazioni avrebbero violato gli obblighi previsti dal d.lgs. 46/1997 e dalla direttiva 93/42 CE del 14 giugno 1993, i quali regolamentano l'immissione in commercio dei dispositivi medici, considerato che le protesi mammarie sono state collocate nella classe III (cioè quella di massima pericolosità e di massimo controllo) dall'art. 1 della direttiva CE 2003/12 del 3 febbraio 2003.

2.2. Affermano, sul punto, che qualora le ispezioni sul prodotto fossero avvenute periodicamente, come previsto dalla normativa, già dal 2001 si sarebbe riusciti ad impedire la commercializzazione, la distribuzione e l'utilizzo delle protesi in questione.

2.3. Lamentano, peraltro, che le Amministrazioni conoscevano, o quanto meno avrebbero dovuto conoscere, essendo impossibile il contrario, la pericolosità e inidoneità delle protesi P.I.P. e, dunque, procedere tempestivamente al relativo ritiro dal mercato.

2.4. Infatti il produttore delle protesi in questione aveva già ricevuto nel marzo del 2000 una warning letter da parte della Food and Drug Administration , per alcune irregolarità nella fabbricazione di protesi saline destinate al mercato statunitense, tanto che dal 1992 al 2006 non era ivi consentita la vendita delle protesi al silicone;
pertanto anche le autorità italiane avrebbero dovuto assumere provvedimenti analoghi.

2.5. Affermano inoltre che, a prescindere dalla normativa di settore inerente i dispositivi medici, comunque incombevano sulle PP.AA. resistenti obblighi di natura generale, per effetto del principio generale del neminem laedere e della disciplina fondamentale in tema di sanità, quale la legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, che impone in ogni caso la tutela della salute dei cittadini.

2.6. Infine, anche il principio di precauzione di cui all’art 174 del Trattato CE imponeva alle amministrazioni convenute di intervenire tempestivamente ed evitare l’impianto delle protesi nocive per la salute umana.

3. Il danno subito, nella prospettazione di parte ricorrente, è in primo luogo di natura patrimoniale e consiste nella “ esigenza di essere sottoposte a nuovo intervento chirurgico per rimuovere le protesi, non potendo attendere l’esito di studi scientifici sui possibili effetti ” a carico del SSN.

3.1. Viene inoltre lamentato un danno non patrimoniale - consistente nella sofferenza subita dalle ricorrenti in ragione della consapevolezza di avere nel proprio organismo una protesi costituita da materiale non idoneo per uso umano, la cui potenzialità nociva è sconosciuta -, fondato, con richiamo a quanto disposto dall’art. 2059 cod. civ., sulla asserita sussistenza dei presupposti del reato di cui all’art. 441 c.p., nella forma del concorso omissivo, nonché, con riferimento alla giurisprudenza in materia, sul rilievo che la posizione giuridica soggettiva lesa avrebbe rango costituzionale, impattando sul diritto alla salute.

4. Si sono costituiti in giudizio, tramite l’Avvocatura dello Stato, i Ministeri convenuti, per chiedere la reiezione della domanda.

5. In vista dell’udienza per la discussione del giudizio, l’Avvocatura dello Stato ha depositato articolata memoria con la quale ha chiesto che sia dichiarato il difetto di legittimazione passiva del Ministero dello Sviluppo Economico in ordine alla richiesta di risarcimento danni, nonché la carenza di legittimazione attiva delle associazioni ricorrenti;
con dovizia di argomenti ha insistito per la reiezione della domanda proposta evidenziando come siano state poste in essere tutte le attività prescritte dalla normativa vigente.

6. All’udienza di smaltimento dell’11 dicembre 2020, il ricorso è stato trattenuto in decisione, previo avviso alle parti ex art. 73, comma 3, c.p.a. circa la questione, rilevata ex officio , di possibile inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione.

7. Osserva il Collegio che il G.A. è privo di giurisdizione sulla controversia in esame.

7.1. Consumatori e associazioni di consumatori chiedono la condanna delle amministrazioni resistenti al risarcimento dei danni subiti dalle ricorrenti per effetto della violazione degli obblighi di cui alla normativa di settore, lamentando eminentemente illegittime omissioni nel potere di controllo e di vigilanza da parte degli enti evocati in giudizio sulla circolazione, commercializzazione ed utilizzo delle protesi mammarie di gel di silicone della P.I.P.

7.2. Più volte le Sezioni Unite della Cassazione (v. sentenze n. 6324/2020;
n 15916/2005 e n. 3134/2001) hanno affermato la giurisdizione in capo al G.O. in controversie, analoghe alla presente (vigilanza Consob e Banca d’Italia nei confronti delle banche e degli intermediari) involgenti l’omessa, inadeguata o ritardata vigilanza degli enti di controllo, affermando che nei rapporti tra il consumatore (lì il risparmiatore) e l'Autorità di vigilanza è configurabile una posizione di diritto soggettivo, atteso che non vi è alcuna relazione “diretta” di questo con il potere della P.A.

7.3. Non viene, dunque, in rilievo la contestazione (in via diretta) di poteri amministrativi, ma di comportamenti "doverosi" delle Autorità di controllo del settore, previsti in ultimo a favore di coloro che fruiscono dell’attività controllata, sicché dette autorità sono tenute a rispondere nei confronti degli utenti delle conseguenze della violazione dei canoni comportamentali della diligenza, prudenza e perizia, nonché delle norme di legge e regolamentari relativi al corretto svolgimento dell'attività di vigilanza, quali espressione del principio generale del « neminem laedere ».

8. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo, rientrando la controversia nella giurisdizione del Giudice ordinario.

8.1. Ai sensi dell’art. 11, co. 2, c.p.a. deve assegnarsi alla parte interessata il termine di tre mesi dal passaggio in giudicato della presente decisione per la riproposizione del giudizio dinnanzi al Giudice ordinario, competente per grado e territorio, per la eventuale traslatio iudicii .

8.2. Sussistono giusti motivi, alla luce dei dubbi sulla giurisdizione, risolti nel tempo dalle Sezioni Unite, per compensare tra le parti le spese di lite.

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