TAR Roma, sez. II, sentenza 2016-02-11, n. 201601962

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. II, sentenza 2016-02-11, n. 201601962
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201601962
Data del deposito : 11 febbraio 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 09578/1999 REG.RIC.

N. 01962/2016 REG.PROV.COLL.

N. 09578/1999 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9578 del 1999, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avv.ti prof. C E G e M C, con domicilio eletto presso lo studio del secondo, in Roma, Via P.G. Da Palestrina, 63;

contro

Ministero delle Finanze, Comando Generale della Guardia di Finanza, rappresentati e difesi ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege , in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

per l'ottemperanza

alla sentenza pronunziata dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sez. II^, in data 1° luglio 1996, n. 1204, confermata dal Consiglio di Stato, con decisione della Sezione IV^, 17 marzo 1998, n. 957, che ha annullato il decreto del Ministro delle Finanze, 7 aprile 1995, n. 3969, che ha disposto la perdita di grado del deducente, già Finanziere Scelto, e per ogni ulteriore consequenziale statuizione.


Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero delle Finanze;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore alla pubblica udienza del giorno 13 gennaio 2016 il Cons. Silvia Martino;

Uditi gli avv.ti, di cui al verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

1. L’odierno ricorrente – già finanziere scelto della Guardia di Finanza - veniva condannato alla pena della reclusione per il delitto di concussione, con la sentenza del Tribunale di Torino del 20 gennaio 1984 (confermata dalla Corte d’appello in data 2 novembre 1984, e divenuta definitiva con la sentenza della Corte di cassazione, che in data 31 gennaio 1986 respingeva il suo ricorso).

Veniva poi sottoposto a un ulteriore processo penale per associazione a delinquere finalizzata all’acquisto, alla vendita, al procacciamento, alla detenzione, distribuzione e trasporto di sostanze stupefacenti, al termine del quale veniva prosciolto per insufficienza di prove, con la sentenza del giudice istruttore presso il Tribunale di Torino del 27 giugno 1987, divenuta irrevocabile.

L’Amministrazione odierna resistente:

a) dapprima disponeva la destituzione di diritto per perdita di grado, con un provvedimento del Comandante Generale della Guardia di Finanza, emesso in data 17 febbraio 1988;

b) respingeva, poi, l’istanza di riammissione in servizio formulata ai sensi dell’art. 10 della legge n. 19 del 1990 (il rigetto di tale istanza veniva annullato da questo TAR con la sentenza n. 1550 del 1992, parzialmente confermata dal Consiglio di Stato, con decisione n. 691 del 1994, che faceva salvi gli ulteriori provvedimenti disciplinari):

c) a seguito della decisione n. 691 del 1994, sottoponeva il militare al procedimento disciplinare per la ravvisata condanna di concussione, disponendo la sanzione della perdita del grado per rimozione, con provvedimento in data 7 aprile 1995.

Anche questo provvedimento veniva annullato dal TAR Lazio, con la sentenza n. 1204 del 1996, confermata dal Consiglio di Stato con decisione n. 957 del 1998.

Conseguentemente, in esecuzione di tale decisione, l’interessato veniva reintegrato nel grado di Finanziere, con d.m. 6 agosto 1998, e riammesso in servizio a far data dal 17 marzo 1998.

L’amministrazione disponeva la reintegrazione dell’odierno ricorrente con il grado di Finanziere Scelto ai soli fini giuridici, con decorrenza 1° gennaio 1980 e, ai fini giuridici ed economici, a far data dal 1° settembre 1995.

Egli, tuttavia, adiva nuovamente questo TAR, al fine di ottenere l’integrale ricostruzione di carriera e gli emolumenti arretrati, oltre rivalutazione e interessi.

Sosteneva infatti che la propria carriera avrebbe dovuto essere interamente ricostruita a far data dal 1980 e che, pertanto, al 1° gennaio 1985 avrebbe dovuto essere promosso, per anzianità, al grado di appuntato e successivamente - in forza del riassetto delle carriere degli appartenenti anche alla Guardia di Finanza, di cui al d.lgs. 12 maggio 1995, n. 199 - al grado di brigadiere, avendo maturato, a quella data, più di 22 anni di servizio.

Rivendicava, inoltre, l’erogazione del nuovo trattamento economico corrispondente alle suddette qualifiche.

Nella more di tale vicenda contenziosa, in relazione al procedimento penale conclusosi con sentenza del Tribunale di Torino in data 24 giugno 1987, veniva avviato nei confronti del Rettore un nuovo procedimento disciplinare di stato, conclusosi con provvedimento in data 3.12.1998, n. 319956 del Comandante generale della Guardia di Finanza, che irrogava nuovamente la perdita del grado per rimozione.

Il presente ricorso, passava una prima volta in decisione alla camera di consiglio del 15.12.1999.

Con sentenza n. 825 dell’8.2.2000, la Sezione disponeva la sospensione del processo, ai sensi dell’art. 295 c.p.c. Tanto, in ragione della pendenza innanzi a questo stesso TAR, del ricorso avverso il nuovo provvedimento espulsivo, la cui definizione era ritenuta pregiudiziale al fine di verificare la sussistenza dell’interesse a ricorrere.

Il TAR del Lazio respingeva siffatta ulteriore impugnativa, con sentenza n. 2526 del 16 marzo 2004, confermata dal Consiglio di Stato con decisione n. 3754 del 27 giugno 2007.

In data 5.6.2013, con decreto n. 12932, il Presidente della Sezione, pronunciava la perenzione del ricorso in esame ai sensi dell’art. 1, comma 1, Allegato 3, al d.lgs. 2 luglio 2010 n. 104.

Il ricorso veniva peraltro rimesso sul ruolo ordinario avendo il ricorrente successivamente manifestato il proprio perdurante interesse alla decisione, così come previsto dal comma 2 della medesima disposizione.

In vista della pubblica udienza del 2.12.2015, con memoria del 29.10.2015, parte ricorrente ha ribadito le conclusioni e le richieste in precedenza rassegnate.

Alla pubblica udienza del 2.12.2015, la Sezione ha rappresentato, ai sensi dell’art. 73, comma 3, del

c.p.a., l’esistenza di possibili profili di improcedibilità del ricorso, per effetto dell’applicazione dell’art. 297 c.p.c..

La pubblica udienza di discussione è stata quindi differita al 13.1.2016.

Con memoria dell’11.12.2015, parte ricorrente ha depositato le proprie controdeduzioni.

Anche l’amministrazione ha depositato una memoria.

Il ricorso, infine, è stato trattenuto per la decisione alla pubblica udienza del 13 gennaio 2016.

2. In via preliminare, il Collegio reputa che il presente processo fosse già estinto nel momento in cui è stato adottato il decreto di perenzione.

Infatti, come già chiarito nel paragrafo precedente della presente decisione, esso venne sospeso in data 8.2.2000 sull’assunto che la definizione del ricorso avverso il nuovo provvedimento espulsivo fosse pregiudiziale rispetto alla definizione delle presente controversia.

Tale ricorso è stato poi definito con sentenza n. 2526 del 16 marzo 2004, confermata dal Consiglio di Stato con decisione n. 3754 del 27.6.2007, passata in giudicato, quantomeno, a far data dallo spirare del termine previsto per il ricorso in Cassazione ai sensi dell’art. 362, comma 1, c.p.c., e quindi - anche tenendo conto del termine lungo di cui all’art. 327, comma 1, c.p.c. - almeno dalla fine del 2008.

Ai sensi dell’art. 297 c.p.c., nella versione vigente prima delle modifiche apportate dall’art. 46, comma 12, della l. n. 269/2009, «Se col provvedimento di sospensione non è stata fissata l'udienza in cui il processo deve proseguire, le parti debbono chiederne la fissazione entro il termine perentorio di sei mesi dalla cessazione della causa di sospensione di cui all'art. 3 del Codice di procedura penale o dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce la controversia civile o amministrativa di cui all'articolo 295».

L’applicabilità di tale disposizione anche al caso che occupa, deriva, a parere del Collegio, dalle seguenti considerazioni.

Come noto, prima dell’entrava in vigore del codice del processo amministrativo, mancava una regola espressa che disciplinasse modalità e termini di prosecuzione del giudizio dopo la sospensione dello stesso (per regolamento di giurisdizione, querela di falso, incidente di costituzionalità, sospensione ex art. 295 c.p.c. etcc).

All’epoca di cui si verte, si era peraltro consolidata la regola pretoria secondo cui, per effetto dei principi di economia processuale ed effettività della tutela, dovessero trovare applicazione analogica gli artt. 297 e 367 c.p.c..

Pertanto, per la prosecuzione del processo dopo la cessazione di qualsivoglia causa di sospensione, era sufficiente (ma contemporaneamente necessario), depositare un’istanza di fissazione entro sei mesi dalla conoscenza legale della circostanza che aveva determinato la cessazione della causa di sospensione (Cons. St., sez. VI, sentenza n. 3829 del 15.6.2009).

Un regola del tutto analoga è stato poi introdotta anche nel d.lgs. n. 104/2010, secondo il quale, “In caso di sospensione del giudizio, per la sua prosecuzione deve essere presentata istanza di fissazione di udienza entro novanta giorni dalla comunicazione dell’atto che fa venire meno la causa di sospensione” (art. 80, comma 1).

Pertanto, se è vero, come dedotto dal ricorrente nelle proprie memorie difensive, che non era necessario provvedere alla riassunzione, per evitare l’estinzione del processo avrebbe però dovuto essere presentata istanza di fissazione di udienza nel termine di sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza del Consiglio di Stato n. 3754/2007.

Nel caso di specie, invece, dopo il passaggio in giudicato di tale sentenza, non risulta più alcuna attività processuale dell’istante, eccezion fatta per la manifestazione di interesse fatta pervenire dopo la comunicazione del decreto di perenzione in data 21.10.2013.

Né, ovviamente, può ritenersi che il decreto di perenzione abbia potuto in qualche modo resuscitare un processo già estinto. Si tratta, semplicemente, di un atto “ inutiliter datum ”, inidoneo, quindi, a creare qualsivoglia affidamento nell’istante.

3. Ciò posto, ad ogni buon conto, il ricorso è anche infondato nel merito e deve essere respinto.

La riammissione in servizio del ricorrente è infatti avvenuta in esecuzione dell’art. 10 della l. n. 19 del 1990, il quale, per quanto qui interessa, dispone che: “[...] 2. I pubblici dipendenti che anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge siano stati destituiti di diritto sono, a domanda, riammessi in servizio.

3. La riammissione è concessa solo se all'esito del procedimento disciplinare, che deve essere proseguito o promosso entro novanta giorni dalla ricezione della domanda di riammissione da parte dell'amministrazione competente e che deve essere concluso entro i successivi novanta giorni non venga inflitta la destituzione.

4. Il dipendente riammesso è reintegrato nel ruolo, con la qualifica, il livello e l'anzianità posseduti alla data di cessazione del servizio. [...]”.

E’ pertanto evidente che l’amministrazione odierna resistente si è limitata a fare applicazione del quarto comma della disposizione testé riportata, secondo cui al pubblico dipendente destituito di diritto e poi reintegrato in servizio, non spetta l’integrale ricostruzione ex tunc della carriera, bensì soltanto la reintegrazione nel ruolo, con la qualifica, il livello e l’anzianità posseduti alla data di cessazione dal servizio.

Secondo la giurisprudenza (cfr., ad esempio, Cons. St., sez. IV^, sentenza n. 5628 del 5.11.2012), il cit. art. 10 è sostanzialmente “una norma di favore nei confronti dei soggetti già destituiti di diritto, tendente, nonostante la loro posizione fosse ormai factum praeteritum , a permettere agli stessi, qualora lo avessero voluto, di rientrare nei ruoli dell'Amministrazione”.

La disposizione in esame è espressione di una rilevante esigenza di pubblico interesse alla concreta e rapida definizione delle situazioni pendenti e, come tale, regola la materia prevalendo su ogni altra precedente (cfr. Cass., Sez. lav., 9 marzo 2010, n. 5711).

In altri termini, “alla reintegrazione in ruolo segue la ricostruzione della posizione di status (attribuzione della qualifica, livello e anzianità posseduti alla data della precedente cessazione dal servizio), mentre non vi è restitutio in integrum relativamente al trattamento retributivo che, in base al principio di sinallagmaticità, va erogato a fronte dell'effettività della prestazione lavorativa (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 27 dicembre 2006, n. 7978)”.

Peraltro, proprio perché la norma accorda un beneficio, questo “può essere calibrato dal legislatore nella misura più opportuna e più equilibrata”.

Per tale ragione, si è concluso anche che la norma non è incostituzionale nella parte in cui, pur ipotizzando la possibilità della riammissione in servizio dei soggetti originariamente destituiti di diritto, ha comunque limitato gli effetti della suddetta riammissione (così ancora la sentenza ult.cit., che richiama anche Corte cost., sentenza n. 415 del 19 novembre 1991, n. 415).

A ciò, sia consentito aggiungere che la promozione dei militari della Guardia di Finanza, anche ove avvenga per anzianità, non è comunque automatica, spettando soltanto a quanti abbiano bene assolto le funzioni del grado rivestito e posseggano i necessari requisiti morali, intellettuali, fisici e di cultura per bene esercitare le funzioni del grado cui aspirano (Cons. St., sez. IV, sentenza n. 7219 del 20.12.2005).

In tale ottica, la restitutio in integrum non potrebbe comunque spingersi sino al punto da comportare in sede di avanzamento “una valutazione positiva del servizio nel periodo in cui non è stato, di fatto, prestato alcun servizio, in quanto ogni valutazione di idoneità all'avanzamento ad anzianità dei militari in servizio impone uno specifico giudizio in ordine alla qualità del servizio medesimo prestato dal candidato, atteso che tale servizio costituisce un elemento essenziale ai fini dell'apprezzamento dell'effettivo soddisfacimento delle esigenze di pubblico interesse poste a fondamento di tutti i provvedimenti di promozione dei dipendenti pubblici. Tale valutazione, pertanto, non può che essere ancorata ad un servizio svolto effettivamente e non solo figurativamente” (TAR Toscana, sez. I^, sentenza n. 1120 del 25.6.2009).

4. In definitiva, per quanto appena argomentato, il ricorso deve essere respinto.

Le spese seguono come di regola la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi