TAR Trieste, sez. I, sentenza 2021-12-16, n. 202100374
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.
Segnala un errore nella sintesiSul provvedimento
Testo completo
Pubblicato il 16/12/2021
N. 00374/2021 REG.PROV.COLL.
N. 00116/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 116 del 2021, proposto da
M P, E P, V R, V S, G S, rappresentati e difesi dagli avvocati E C, L M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale Trieste, domiciliataria ex lege in Trieste, piazza Dalmazia, 3;
Inps - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato P B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l’accertamento
del diritto patrimoniale della parte ricorrente al riconoscimento dei sei scatti contributivi fra le voci computabili al fine della liquidazione dell'indennità di fine servizio
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Inps - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 novembre 2021 il dott. L E R e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. I ricorrenti, già in servizio presso la Guardia di Finanza e collocati in quiescenza a domanda, agiscono per l’accertamento del diritto al riconoscimento del beneficio di cui all’art. 6- bis del decreto-legge 21 settembre 1987, n. 387 (conv. in l. 20 novembre 1987, n. 472) e quindi per ottenere l’inclusione nella base di calcolo dell’indennità di buonuscita dei sei scatti stipendiali di cui alla disposizione. Domandano contestualmente l’annullamento degli atti mediante i quali l’INPS ha negato la spettanza del beneficio.
2. Nella prospettazione dell’INPS, in particolare, l’art. 6- bis citato non sarebbe riferibile al personale della Guardia di Finanza, cui si deve invece applicare l'art. 1, comma 15- bis del decreto-legge 16 settembre 1987, n. 379 (conv. in l. 14 novembre 1987, n. 468). Tale ultima disposizione attribuisce il beneficio dei 6 scatti stipendiali ai fini dell'indennità di buonuscita esclusivamente nei casi in cui la cessazione dal servizio sia avvenuta per limiti di età, per invalidità o per decesso, non facendo alcun riferimento alla cessazione a domanda.
3. In questo giudizio, inoltre, INPS fa presente che gli stessi requisiti per il collocamento in quiescenza menzionati dal comma 2 dell’art. 6- bis del d.l. 387 del 1987 ( “55 anni di età e trentacinque anni di servizio utile”) andrebbero aggiornati all’intervenuto innalzamento dell’età pensionabile, operato da successivi interventi normativi (art. 12, comma 12 bis, del d.l. 78 del 2010, conv. in l. 122 del 2020;d.l. n. 201 del 2011, conv. in 214 del 2011, c.d. riforma “Monti Fornero”;D.M. 06.12.2011;D.M. 16.12.2013). Attualmente, infatti, l’accesso alla pensione di anzianità è possibile solo a fronte di un’anzianità contributiva non inferiore a 35 anni e con un’età anagrafica di almeno 57 anni e 7 mesi, requisito quest’ultimo non posseduto dai ricorrenti.
4. All’udienza del 06.10.2021 il Tribunale, ricordato il proprio precedente ( sent. 23 aprile 2021, n. 133 ) in senso favorevole agli odierni ricorrenti, contro cui INPS ha proposto appello di fronte al Consiglio di Stato (R.G. 6073/2021), ha richiamato l’attenzione delle parti sull’articolato e disomogeneo quadro normativo potenzialmente applicabile alla fattispecie, non integralmente considerato dalla stessa amministrazione nelle proprie difese .
4.1. L’indennità di buonuscita del personale militare della Guardia di Finanza appare infatti regolata, in via concorrente, dall’art. 6- bis del d.l. 387 del 1987, su cui i ricorrenti fondano le proprie pretese, dall’art. 1, comma 15 bis del d.l. 379 del 1987, ritenuto invece applicabile dall’INPS, dall’art. 4 del d.l. 165 del 1997 e, infine, dall’art. 1911 del Codice dell’ordinamento militare (d.lgs. 66 del 2010), disposizioni tutte attualmente in vigore.
4.2. Il Tribunale ha sollevato, inoltre, la questione relativa alla possibile decadenza dei ricorrenti dal beneficio, giacché lo stesso art. 6- bis , comma 2 del d.l. 387 del 1987, ove si ritenga applicabile, richiede che la domanda sia presentata nel rispetto di un preciso termine temporale ( “la domanda di collocamento in quiescenza deve essere prodotta entro e non oltre il 30 giugno dell’anno nel quale sono maturate entrambe le predette anzianità”) .
4.3. Conseguentemente, ha invitato le parti ad argomentare circa le questioni di cui sopra, rinviando la trattazione del giudizio all’udienza pubblica del 24.11.2021. Le parti hanno prodotto memorie.
4.4. All’udienza del 24.11.2021 la causa è stata trattenuta in decisione.
5. In primo luogo, si rileva il difetto di legittimazione passiva del Ministero dell’Economia e delle Finanze, con conseguente declaratoria di inammissibilità del ricorso nei suoi confronti.
5.1. Come già evidenziato da questo Tribunale nella sentenza non definitiva 25 novembre 2020, n. 401, infatti, solo l’Ente previdenziale è titolare della competenza a calcolare, liquidare e corrispondere il trattamento di fine servizio, a nulla rilevando che, ai fini della sua quantificazione, esso si avvalga di atti formati dall’amministrazione di provenienza del dipendente, i quali non assumono rilevanza esterna ( Cons. Stato, sez. IV, 21 giugno 2007, n. 3365 ).
6. Nel merito, deve essere preliminarmente affrontata la questione relativa all’applicabilità, per il personale militare della Guardia di Finanza che sia stato collocato in quiescenza a domanda, dell’art. 6- bis del d.l. 387 del 1987. Proprio in punto di disciplina applicabile – vista l’apparente concorrenza delle altre disposizioni menzionate al precedente par. 4.1. – si riscontra un acceso contrasto giurisprudenziale, tra pronunce favorevoli all’estensione del beneficio dei sei scatti stipendiali al caso de quo (oltre al precedente di questo Tribunale, si possono menzionare Tar Lombardia, Milano, sez. IV, 13 maggio 2021, n. 1183 e Tar Sicilia, Catania, sez. III, 7 ottobre 2021, n. 2962 ) e pronunce che opinano in senso opposto ( Tar Trento, 1° luglio 2021, n. 114 e Tar Campania, Napoli, sez. VI, 12 novembre 2021, n. 2021 ).
6.1. L’art. 6- bis del d.l. 387 del 1987, per quanto di interesse (commi 1 e 2), così recita:
“1. Al personale della Polizia di Stato appartenente ai ruoli dei commissari, ispettori, sovraintendenti, assistenti e agenti, al personale appartenente ai corrispondenti ruoli professionali dei sanitari e del personale della Polizia di Stato che espleta attività tecnico-scientifica o tecnica ed al personale delle forze di polizia con qualifiche equiparate, che cessa dal servizio per età o perché' divenuto permanentemente inabile al servizio o perché' deceduto, sono attribuiti ai fini del calcolo della base pensionabile e della liquidazione dell’indennità di buonuscita, e in aggiunta a qualsiasi altro beneficio spettante, sei scatti ciascuno del 2,50 per cento da calcolarsi sull'ultimo stipendio ivi compresi la retribuzione individuale di anzianità e i benefici stipendiali di cui agli articoli 30 e 44 della legge 10 ottobre 1986, n. 668, all'articolo 2, commi 5, 6 e 10 e all'articolo 3, commi 3 e 6 del presente decreto.
2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche al personale che chieda di essere collocato in quiescenza a condizione che abbia compiuto i 55 anni di età e trentacinque anni di servizio utile;la domanda di collocamento in quiescenza deve essere prodotta entro e non oltre il 30 giugno dell'anno nel quale sono maturate entrambe le predette anzianità;per il personale che abbia già maturato i 55 anni di età e trentacinque anni di servizio utile alla data di entrata in vigore della presente disposizione, il predetto termine è fissato per il 31 dicembre 1990”.
7. A tale proposito, secondo la tesi da ultimo valorizzata dall’INPS, la congerie di disposizioni in materia di scatti stipendiali, stratificatasi nel tempo e in precedenza diversificata tra i diversi corpi di Polizia, tra quelli e le Forze armate, nonché all’interno delle stesse Forze armate (a seconda del grado rivestito), sarebbe stata razionalizzata e ricondotta ad uniformità dall’art. 4 del d.lgs. 30 aprile 1997, n. 165, che dovrebbe dunque trovare applicazione in luogo dell’art. 6- bis menzionato.
7.1. La disposizione, rubricata “maggiorazione della base pensionabile” prevede:
“1. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo i sei aumenti periodici di stipendio di cui all'articolo 13 della legge 10 dicembre 1973, n. 804, all'articolo 32, comma 9-bis, della legge 19 maggio 1986, n. 224, inserito dall'articolo 2,comma 4, della legge 27 dicembre 1990, n. 404, all'articolo 1, comma 15-bis, del decreto-legge 16 settembre 1987, n. 379, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1987, n. 468, come sostituito dall'articolo 11 della legge 8 agosto 1990, n. 231, all'articolo 32 del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 196, e all'articolo 21 della legge 7 agosto 1990, n. 232, sono attribuiti, in aggiunta alla base pensionabile definita ai sensi dell'articolo 13 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, all'atto della cessazione dal servizio da qualsiasi causa determinata, con esclusione del collocamento in congedo a domanda, e sono assoggettati alla contribuzione previdenziale di cui al comma 3.
2. Gli aumenti periodici di cui al comma 1 sono, altresì, attribuiti al personale che cessa dal servizio a domanda previo pagamento della restante contribuzione previdenziale di cui al comma 3, calcolata in relazione ai limiti di età anagrafica previsti per il grado rivestito.
3. Ai fini della corresponsione degli aumenti periodici di cui ai commi 1 e 2, a tutto il personale comunque destinatario dei predetti aumenti, compresi gli ufficiali "a disposizione" dei ruoli normali e speciali, l'importo della ritenuta in conto entrate del Ministero del tesoro a carico del personale il cui trattamento pensionistico è computato con il sistema retributivo, operata sulla base contributiva e pensionabile come definita dall'articolo 2, comma 9, della legge 8 agosto 1995, n. 335, è progressivamente incrementato secondo le percentuali riportate nella tabella A allegata al presente decreto. Ai medesimi fini per il personale il cui trattamento pensionistico è liquidato in tutto o in parte con il sistema contributivo di cui alla citata legge n. 335 del 1995, la predetta ritenuta opera nella misura ordinaria sulla maggiorazione figurativa del 15 per cento dello stipendio.
4. La contribuzione sulla maggiorazione figurativa dello stipendio di cui al comma 3, si applica agli stessi fini, anche nei confronti del personale che esercita la facoltà di opzione prevista dall'articolo 1, comma 23, della citata legge n. 335 del 1995.”
7.2. Secondo l’INPS, dunque, l’attribuzione del beneficio in contestazione sarebbe sempre subordinata ad uno specifico pagamento dell’interessato ( “della restante contribuzione previdenziale di cui al comma 3, calcolata in relazione ai limiti di età anagrafica previsti per il grado rivestito” ), di cui i ricorrenti non forniscono prova.
7.3. Il Tribunale ritiene però che la disposizione non riguardi la questione di cui al presente giudizio. L’art. 4 del d.lgs. 165 del 1997 ha ad oggetto, infatti, la “base pensionabile definita ai sensi dell'articolo 13 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503” , mentre l’art. 6- bis del d.l. 387 del 1987 ha riguardo, al contempo, al calcolo della “base pensionabile e della liquidazione dell’indennità di buonuscita” .
7.4. Non può ritenersi che l’articolo di legge citato, nel fare espresso – ed esclusivo – riferimento al calcolo della “ base pensionabile ” abbia inteso applicarsi anche al calcolo della “ indennità di buonuscita ”. Si osserva, in primo luogo, che il richiamo alla “ base pensionabile ” è accompagnato dalla menzione di una disposizione (l’art. 13 del d.lgs. 503 del 1992) relativa al “calcolo delle pensioni” , cui è del tutto estraneo l’istituto del trattamento di fine servizio. In generale, nessuna menzione di tale prestazione si rinviene nel d.lgs. 503 del 1992, che si occupa in via esclusiva del “ sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici ”. Contro l’inclusione del “indennità di buonuscita” nel perimetro dell’art. 4, malgrado il riferimento alla sola “base pensionabile”, milita anche la diversità delle due attribuzioni, aventi funzione e natura giuridica non omogenee (al TFS non è infatti estraneo il carattere di retribuzione differita, cfr. Corte cost. 25 giugno 2019, n. 159) . Non sussiste, del resto, un principio per il quale la base di calcolo della prestazione pensionistica e quella dell’indennità di buonuscita debbano necessariamente corrispondere.
7.5. Né ad una diversa soluzione conduce l’analisi delle disposizioni legislative puntualmente richiamate dall’art. 4 del d.lgs. 165 del 1997, tra cui anche l’art. 6- bis (seppur in via indiretta, attraverso la menzione dell’art. 21 della l. 7 agosto 1990, n. 232, modificativa dello stesso). Si tratta infatti di disposizioni che, pur se riferite a diverse categorie di Forze Militari e di Polizia, disciplinano tutte, al contempo, sia la base pensionabile che l’indennità di buonuscita, per le quali dunque l’intervento innovativo del d.l. 165 del 1997, alla luce del suo univoco riferimento alla prima, deve ritenersi limitato alla prestazione previdenziale in senso proprio.
8. In subordine, l’amministrazione afferma che al personale della Guardia di Finanza dovrebbe comunque applicarsi, in forza del principio di specialità, l’art. 1, comma 15- bis del d.l. 379 del 1987, che, diversamente dall’ art. 6- bis del d.l. 387 del 1987, non contiene alcun riferimento alle ipotesi di congedo anticipato a domanda. La disposizione infatti recita:
“15-bis. Ai sottufficiali delle Forze armate, compresi quelli dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza sino al grado di maresciallo capo e gradi corrispondenti, promossi ai sensi della legge 22 luglio 1971, n. 536, ed ai marescialli maggiori e marescialli maggiori aiutanti ed appuntati, che cessano dal servizio per età o perché divenuti permanentemente inabili al servizio incondizionato o perché deceduti, sono attribuiti, ai soli fini pensionistici e della liquidazione dell’indennità di buonuscita, sei scatti calcolati sull'ultimo stipendio, ivi compresi la retribuzione individuale di anzianità e gli scatti gerarchici, in aggiunta a qualsiasi altro beneficio spettante. Detto beneficio si estende anche ai sottufficiali provenienti dagli appuntati che cessano dal servizio per gli stessi motivi sopra specificati a condizione che abbiano compiuto trenta anni di servizio effettivamente prestato. Del predetto beneficio non si tiene conto per il calcolo dell’indennità di ausiliaria di cui all'articolo 46 della legge 10 maggio 1983, n. 212”.
8.1. Il Tribunale ritiene che la disposizione non sia più in vigore. Infatti, l’art. 2268 del Codice dell’ordinamento militare (rubricato “ Abrogazione espressa di norme primarie ”) ha espunto dall’ordinamento (punto 872 dell’elencazione: “legge 8 agosto 1990, n. 231, esclusi articoli 4;5, commi 1 e 2;7;9 e 10” ) l’art. 11 della l. 231 del 1990, che aveva integralmente sostituito tale comma 15- -bis .
8.2. Non può invece sostenersi che l’abrogazione della sola disposizione modificativa abbia riportato in vigore la versione originaria della norma. Secondo i principi affermati – in materia di referendum abrogativo, ma con indubbia portata generale – da Corte cost., 24 gennaio 2012, n. 13 , infatti, “La tesi della reviviscenza di disposizioni a séguito di abrogazione referendaria non può essere accolta, perché si fonda su una visione «stratificata» dell’ordine giuridico, in cui le norme di ciascuno strato, pur quando abrogate, sarebbero da considerarsi quiescenti e sempre pronte a ridiventare vigenti. Ove fosse seguìta tale tesi, l’abrogazione, non solo in questo caso, avrebbe come effetto il ritorno in vigore di disposizioni da tempo soppresse, con conseguenze imprevedibili per lo stesso legislatore, rappresentativo o referendario, e per le autorità chiamate a interpretare e applicare tali norme, con ricadute negative in termini di certezza del diritto;principio che è essenziale per il sistema delle fonti e che, in materia elettorale, è «di importanza fondamentale per il funzionamento dello Stato democratico» (sentenza n. 422 del 1995” . Pertanto, “Il fenomeno della reviviscenza di norme abrogate, dunque, non opera in via generale e automatica e può essere ammesso soltanto in ipotesi tipiche e molto limitate (…). Peraltro, sia la giurisprudenza della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato, sia la scienza giuridica ammettono il ripristino di norme abrogate per via legislativa solo come fatto eccezionale e quando ciò sia disposto in modo espresso. Per questo le «Regole e raccomandazioni per la formulazione tecnica dei testi legislativi» della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica stabiliscono che «se si intende far rivivere una disposizione abrogata o modificata occorre specificare espressamente tale intento» (punto 15, lettera d, delle circolari del Presidente della Camera dei deputati e del Presidente del Senato della Repubblica, entrambe del 20 aprile 2001;analoga disposizione è prevista dalla «Guida alla redazione dei testi normativi» della Presidenza del Consiglio dei ministri, circolare 2 maggio 2001, n. 1/1.1.26/10888/9.92). E anche in altri ordinamenti (quali ad esempio quello britannico, francese, spagnolo, statunitense e tedesco) il ripristino di norme a sèguito di abrogazione legislativa non è di regola ammesso, salvo che sia dettata una espressa previsione in tal senso: ciò in quanto l’abrogazione non si limita a sospendere gli effetti di una legge, ma toglie alla stessa efficacia sine die”.
8.3. Al contempo, si rileva che l’art. 2267 del medesimo Codice dispone comunque l’abrogazione di “tutte le disposizioni incompatibili o comunque afferenti alle materie indicate nell'articolo 1, commi 1 e 3, a eccezione di quelle richiamate dal codice o dal regolamento” . Nessun richiamo è operato dal Codice all’art. 1 comma 15- bis del d.l. 379 del 1987, mentre all’art. 6- bis del d.l. 387 del 1987 fa espresso e puntuale riferimento l’art. 1911, comma 3.
9. La norma da ultimo citata ( “Attribuzione dei sei aumenti periodici di stipendio ai fini del trattamento di fine servizio” ) recita, infatti: “Al personale delle Forze di polizia a ordinamento militare continua ad applicarsi l'articolo 6-bis, del decreto-legge 21 settembre 1987, n. 387, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 1987, n. 472” .
9.1. L’appartenenza del Corpo della Guardia di finanza alla Forze di polizia ad ordinamento militare è espressamente sancita dall’art. 1 del d.lgs. 19 marzo 2001, n. 68 ( “Il Corpo della Guardia di finanza è forza di polizia ad ordinamento militare con competenza generale in materia economica e finanziaria sulla base delle peculiari prerogative conferite dalla legge” ).
9.2. Ciò premesso, non è possibile sostenere che l’art. 1911, comma 3 del Codice sia privo di qualsiasi portata dispositiva, giacché – questa la tesi dell’INPS – “continua” ad applicare una norma che, essendo riferita al solo personale della Polizia di Stato, non è mai stata applicabile al personale delle Forze di polizia ad ordinamento militare. Tale interpretazione, implica infatti che il legislatore del Codice, nell’ambito di un intervento volto al riordino della materia, abbia introdotto una disposizione inutile e irragionevole, ab origine neutralizzata nei suoi effetti, e ciò in forza di un fraintendimento del quadro normativo previgente.
9.3. Ad avviso del Tribunale è invece necessario muovere dall’opposta presunzione di razionalità del legislatore e di effettivo impatto della disposizione di legge sull’ordinamento vigente, in conformità a quel criterio di conservazione degli effetti delle manifestazioni di volontà che, pur se dettato in materia contrattuale (art 1367 c.c.: “Nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno” ), deve ritenersi applicabile anche nell’interpretazione della legge, quale precipitato del fondamentale principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.).
9.4. Alla locuzione “continua ad applicarsi” può quindi attribuirsi, anziché la portata neutralizzante voluta dall’INPS, il significato di individuare un nuovo fondamento giuridico per “l’attribuzione dei sei aumenti periodici di stipendio ai fini del trattamento di fine servizio” successivo all’abrogazione delle disposizioni che in precedenza disciplinavano la determinazione del TFS per il personale di polizia ad ordinamento militare, riferendo quindi il rapporto di continuità non all’art. 6- bis in sé, ma alla fattispecie considerata.
9.5. Infine, contro l’interpretazione dell’INPS si evidenzia anche che essa avrebbe l’effetto di rendere applicabile al personale della Polizia ad ordinamento militare un trattamento diverso e deteriore rispetto a quello applicabile alla Polizia di Stato, in aperto contrasto con il principio di equiparazione del trattamento economico delle diverse Forze di Polizia, sancito da Corte cost., 12 giugno 1991, n. 277 .
10. Per quanto sopra esposto, si ritiene che la liquidazione dell’indennità di fine servizio da corrispondere al personale della Guardia di Finanza sia disciplinata dall'articolo 6- bis , del decreto-legge 21 settembre 1987, n. 387, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 1987, n. 472, richiamato dall’art. 1911 del Codice dell’ordinamento militare.
11. Nel quadro di detta disposizione, non può attribuirsi rilievo all’intervenuto innalzamento dell’età pensionabile, ma debba farsi esclusivo riferimento al dato anagrafico (“ 55 anni di età” ) e a quello contributivo (“ 35 anni di servizio” ) esplicitamente individuati.
11.1. Si richiama sul punto quanto già affermato nella pronuncia Tar Friuli-Venezia Giulia, 23 aprile 2021, n. 133: “6.1. La corrispondenza un tempo esistente tra i relativi requisiti, anche ammesso che l’intenzione originaria del legislatore fosse quella di operare un parallelismo tra gli istituti, non può portare ad affermare che gli stessi permangano inscindibilmente connessi anche a fronte di sopravvenienze normative e che quindi la disciplina dell’art.