TAR Roma, sez. 2B, sentenza 2019-08-05, n. 201910309
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Pubblicato il 05/08/2019
N. 10309/2019 REG.PROV.COLL.
N. 05800/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5800 del 2009, proposto da Zoofe sc, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato L R, con domicilio eletto presso lo studio di E M in Roma, via G. Bettolo, 17;
contro
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Comitato Nazionale dell’Albo dei Gestori Ambientali e Sezione Regionale Abruzzo dell’Albo dei Gestori Ambientali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi secondo legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la condanna
dell’Amministrazione al risarcimento del danno, da perdita subita e mancato guadagno, pari a €2 milioni o, in subordine, da liquidarsi in via equitativa.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, del Comitato Nazionale dell’Albo dei Gestori Ambientali e della Sezione Regionale Abruzzo dell’Albo Gestori Ambientali;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 aprile 2019 il dott. S L e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
Zoofe sc, cooperativa operante nel settore della depurazione delle acque, in data 17 maggio 1996 presentava domanda di iscrizione all’Albo Nazionale delle imprese esercenti il servizio di smaltimento dei rifiuti, per le categorie e classi 2/E, 3/D, 6/D, 11/D.
Con atto del 23 marzo 1998 la Sezione Abruzzo dell’Albo respingeva la suddetta richiesta, perché l’oggetto sociale riportato sul certificato della Camera di Commercio non era aggiornato secondo l’art.11, comma 2c del D.M. n.324 del 1991 e perché la perizia di idoneità tecnica non era conforme alle prescrizioni vigenti.
La Società presentava ricorso gerarchico avverso la predetta determina.
Il Comitato dell’Albo Nazionale rigettava il ricorso, con decisione del 19 aprile 1999, perché l’impresa non risultava iscritta alla Camera di Commercio come esercente attività di smaltimento rifiuti, secondo quanto previsto nel D.M. n.324 del 1991.
Zoofe sc presentava allora ricorso giurisdizionale col quale impugnava le decisioni del 19 aprile 1999 e del 23 marzo 1998.
Con sentenza TAR Lazio, II bis, n.4169 del 2006, poi passata in giudicato, veniva accolto il gravame e per l’effetto annullati gli atti impugnati;il Giudice amministrativo in detta sede rilevava che la Zoofe sc, quale azienda che operava nel settore di depurazione delle acque, doveva essere considerata impresa di “nuova costituzione” nel settore dello smaltimento dei rifiuti, ex art.11, comma 2c del D.M. n.324 del 1991 e che dunque ben poteva essere iscritta prima all’Albo e poi, per tale ultima specifica attività, registrata alla Camera di Commercio, ai sensi dell’art.10, comma 2 del D.M. n.406 del 1998.
Zoofe sc presentava dunque un nuovo ricorso per la condanna del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, del Comitato Nazionale dell’Albo dei Gestori Ambientali e della Sezione Regionale Abruzzo al risarcimento del danno conseguente, pari a €2 milioni o, in subordine da liquidarsi in via equitativa, per la perdita subita, il mancato guadagno, il danno esistenziale, la lesione all’immagine, il mancato ammortamento di attrezzature e macchinari.
La ricorrente in particolare ha fatto presente che le era stato impedito lo sviluppo nel settore di attività dei rifiuti, previsto in attuazione di una pianificazione strategica imprenditoriale;che rimanevano inutilizzati n.3 autocarri e un’area attrezzata previsti per detta attività, azzerandosi il relativo assetto imprenditoriale;che non si era potuta giustificare la mancata iscrizione all’Albo per l’attività di smaltimento, dinanzi al Consorzio Acquedottistico Marsicano;che per tali ragioni erano tramontate le trattative, già avviate, con Segen spa, per l’affidamento del servizio di smaltimento di percolato nei Comuni dove già gestiva gli impianti di depurazione, con conseguenti mancati introiti per il periodo 1998-2007.
Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, il Comitato Nazionale dell’Albo dei Gestori Ambientali e la Sezione Regionale Abruzzo si costituivano in giudizio per la reiezione del gravame, deducendone l’infondatezza nel merito.
Con memoria la ricorrente ribadiva i propri assunti;sosteneva poi che con il sistema del servizio idrico integrato, per depurare le acque, occorreva poi anche smaltire i rifiuti conseguenti (fanghi);segnalava che da detta situazione traeva vantaggio CAM spa, società partecipata dai Comuni della Marsica;richiedeva complessivamente per il danno subito la somma di €14 milioni.
Nell’udienza del 29 aprile 2019, nel corso della quale veniva indicata, quale questione rilevata d’ufficio, ex art.73, comma 3 c.p.a., la possibile inammissibilità e irricevibilità della memoria in ultimo depositata dalla ricorrente, la causa veniva discussa e quindi trattenuta in decisione.
Il Collegio rileva in primo luogo che la memoria depositata dalla parte ricorrente in data 27 marzo 2019, laddove amplia il petitum della pretesa risarcitoria a €14 milioni, è inammissibile, perché non notificata alle controparti e irricevibile, giacchè presentata tardivamente, ovvero oltre il termine di decadenza di giorni 120, ex art.30, comma 3 c.p.a..
Nel merito il ricorso è fondato, sussistendo tutti gli elementi costitutivi della pretesa risarcitoria, ex art.2043 c.c., e dunque l’Amministrazione va condannata al risarcimento del danno nei confronti della Zoofe sc, nei limiti e con le precisazioni che seguono.
Occorre premettere che nel servizio idrico integrato, come ambito ottimale di attività, in base all’art.4 della Legge n.36 del 1994, erano da ricomprendere sia l’attività di depurazione delle acque, già svolta dalla ricorrente, che quella di fognatura e che tale profilo di compenetrazione tra servizio di depurazione delle acque e servizio di smaltimento dei conseguenti rifiuti (fanghi) veniva ribadito nell’art.7 del D.Lgs. n.22 del 1997.
Tanto precisato, quanto alla condotta illecita del Soggetto pubblico, la stessa emerge dal reiterato diniego di iscrizione della ricorrente all’Albo Nazionale delle imprese esercenti il servizio di smaltimento dei rifiuti, per le categorie e classi 2/E, 3/D, 6/D, 11/D, sostanziatosi con l’emissione degli atti del 23 marzo 1998 e del 19 aprile 1999, annullati mediante la sentenza TAR Lazio, II bis, n.4169 del 2006, passata in giudicato, per violazione dell’art.11, comma 2c del D.M. n.324 del 1991 e dell’art.10, comma 2 del D.M. n.406 del 1998, con conseguente lesione della relativa posizione giuridica soggettiva volta alla suddetta iscrizione.
E’ riscontrato anche l’elemento del danno, sotto il profilo delle perdite subite, vista la compenetrazione prevista nell’introdotto sistema idrico integrato tra attività di depurazione già svolta da un lato e di smaltimento dei rifiuti per cui mancava l’iscrizione dall’altro, nonchè dei mancati guadagni, per la perduta possibilità di un ulteriore sviluppo delle attività, secondo i piani aziendali, nel settore rifiuti.
Sussiste inoltre il nesso di causalità tra la condotta tenuta dall’Amministrazione e il pregiudizio subito dalla ricorrente, rinvenibile nell’impedita iscrizione all’Albo per lo smaltimento dei rifiuti.
Risulta in ultimo la colpevolezza del Soggetto pubblico, sub specie di colpa per imperizia, considerato il chiaro dettato normativo evincibile dall’art.11, comma 2c del D.M. n.324 del 1991, secondo cui le ditte di nuova costituzione, quale era da considerarsi la ricorrente, che fino ad allora aveva svolto solo attività di depurazione delle acque, non dovevano essere registrate previamente presso la Camera di Commercio per la specifica attività dello smaltimento, ai fini dell’iscrizione all’Albo de quo;nella disposizione era inoltre espressamente specificato che l’iscrizione alla Camera di Commercio sarebbe avvenuta, in tal caso, dopo quella all’Albo;mentre, conformemente con il suddetto quadro, nell’art.10, comma 2 del D.M. n.406 del 1998 era prevista unicamente una previa generica iscrizione nel registro delle imprese, senza ulteriori specificazioni;emerge anche la colpa per negligenza, tenuto conto che l’Autorità ha mantenuto ferma la sua posizione, tramite gli atti annullati del 23 marzo 1998 e del 19 aprile 1999, oltre che nelle difese dinanzi a questo TAR.
Per quanto attiene alla quantificazione del pregiudizio da risarcire, richiamata l’inammissibilità e irricevibilità della memoria sul petitum, va rilevato che la parte ricorrente richiede una somma pari a €2 milioni o, in subordine da liquidarsi in via equitativa, ripartita tra perdita subita e mancato guadagno;che, in mancanza di ulteriori specificazioni sul punto, può procedersi a detta liquidazione ripartendo l’importo in parti uguali, in conto danno emergente da un lato e lucro cessante dall’altro (arg. ex art.2055 c.c.).
Orbene, assunto come base di partenza l’importo di €1 milione per la perdita subita, lo stesso va equitativamente ridotto del 20%, scomputando dallo stesso il pregiudizio dedotto per lesione all’immagine, danno esistenziale e mancato ammortamento di attrezzature e macchinari, in quanto generico e non dimostrato;la somma risultante di €800mila va inoltre dimezzata, tenuto conto della presenza di CAM spa, l’altro soggetto operante nel settore;occorre in ultimo ridurre la somma così ottenuta di €400mila all’importo da risarcire di €100mila, non risultando chiaramente documentata nel quantum la perdita subita in relazione all’attività di depurazione (cfr. documentazione depositata dalla parte ricorrente).
Per il mancato guadagno l’importo di €1 milione va dimezzato, considerata parimenti CAM spa, quale altro soggetto operante nel settore;la somma risultante di €500mila va ulteriormente dimezzata in via equitativa a €250mila, dovendosi considerare, quale imprescindibile elemento di valutazione, anche il rischio d’impresa;non risultando poi del pari ben chiara la prova sul quantum (cfr. ancora documentazione depositata dalla parte ricorrente), l’importo finale da risarcire in conto lucro cessante va ridotto ad €100mila.
Ne discende che la somma complessiva da risarcire alla ricorrente e a carico dell’Amministrazione ammonta a €200.000,00 (Duecentomila/00).
In considerazione dell’esito della controversia, sussistono giusti motivi per compensare le spese di giudizio tra le parti.