TAR Catania, sez. I, sentenza 2023-06-06, n. 202301792

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Catania, sez. I, sentenza 2023-06-06, n. 202301792
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Catania
Numero : 202301792
Data del deposito : 6 giugno 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 06/06/2023

N. 01792/2023 REG.PROV.COLL.

N. 01139/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1139 del 2016, proposto da
Cortile Arabo di Paternostro Santo e Ventura Luca S.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato G S, con domicilio eletto presso il suo studio, in Catania, via V. Giuffrida 37;

contro

Assessorato Beni Culturali e Identità Siciliana della Regione Sicilia, Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di Siracusa, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria in Catania, via Vecchia Ognina 149;

per l'annullamento

nei limiti dell’interesse della società ricorrente, del decreto del 17.08.2015, n. 2300, comunicato dal Comune di Pachino con atto dell’8 aprile 2016, prot. 11157, notificato il successivo 11 aprile, con cui il dirigente generale dell’Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana ha dichiarato di interesse culturale il manufatto denominato “Grandi Latomie di Marzamemi”;

di ogni ulteriore atto o provvedimento, antecedente o successivo comunque presupposto connesso o

consequenziale.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Assessorato Beni Culturali e Identità Siciliana della Regione Sicilia e della Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di Siracusa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza telematica del giorno 17 aprile 2023 il dott. A G A e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con l’odierno ricorso, notificato in data 6 giugno 2016 e depositato in data 22 giugno 2016, la società Cortile Arabo di Paternostro Santo e Ventura Luca S.n.c., agisce per l’annullamento dell’atto di vincolo meglio indicato in epigrafe, che impugna nei limiti di interesse.

In punto di fatto, la società ricorrente rappresentava di aver chiesto all’Assessorato Regionale Territorio ed Ambiente - A.R.T.A., nel 2013, il rilascio di una concessione demaniale marittima per l’occupazione di un’area sita in località Marzamemi (Comune di Pachino), consistente nel posizionamento di una pedana in legno amovibile destinata ad ospitare manufatti leggeri (sedie, tavolini, ombrelloni) al servizio del “Cortile Arabo”, ristorante gestito dalla stessa società ricorrente.

Con atto n. 1625 del 5 maggio 2014, l’A.R.T.A., espletata l’istruttoria sull’istanza ed acquisiti i necessari pareri, rilasciava la concessione demaniale richiesta, con scadenza stabilita al 31 dicembre 2019.

Ottenuta in data 16 maggio 2014 anche l’autorizzazione edilizia del Comune di Pachino, la società ricorrente provvedeva all’installazione della pedana in legno, utilizzata durante il corso delle stagioni estive 2014 e 2015, smontandola durante il periodo autunnale e invernale.

Con nota del 5 aprile 2016, in vista della stagione estiva, la ricorrente comunicava nuovamente l’inizio dei lavori di montaggio della pedana al Comune di Pachino il quale, tuttavia, con atto prot. 1157 dell’8 aprile 2016, ne inibiva l’esecuzione, sul presupposto della sopravvenuta decadenza dell’autorizzazione edilizia in conseguenza del decreto oggetto dell’odierno gravame, recante la dichiarazione di interesse culturale del manufatto denominato “Grandi Latomie di Marzamemi”, nel quale insisterebbe l’area di 81,20 mq all’epoca dei fatti in concessione alla ricorrente.

In tale circostanza, dunque, la società ricorrente veniva a conoscenza del predetto decreto avverso il quale, ravvisandovi una illegittima lesione delle proprie aspettative ad eventuali future modifiche o variazioni, deduce le seguenti ragioni di censura.

I) Violazione dell’art. 14, decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. Eccesso di potere per difetto dei presupposti. Il procedimento di dichiarazione di interesse culturale sarebbe stato viziato per omessa comunicazione di avvio dello stesso alla società ricorrente, quale concessionaria di parte dell’area e dunque “detentrice” ai sensi della normativa in rubrica, alla quale sarebbe stato pertanto precluso di partecipare e di presentare osservazioni a tutela dei propri interessi.

II) Violazione dell’art. 10 e 142, decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. Eccesso di potere per difetto dei presupposti e di motivazione. Illogicità manifesta. Secondo la società ricorrente, la relazione tecnico-scientifica allegata al decreto di dichiarazione di interesse culturale avrebbe presentato un contenuto generico e non avrebbe indicato quelle caratteristiche di “interesse storico ed etnoantropologico particolarmente importante” al cui ricorrere era subordinato il legittimo esercizio del potere vincolistico. Inoltre, investendo un’area precedentemente vincolata ai sensi dell’art. 142 d.lgs. n. 42/2004, il decreto gravato avrebbe condotto ad una moltiplicazione di vincoli e ad un innalzamento del livello di tutela privo di giustificazione. Infine, secondo la società ricorrente sarebbe stata illogica la decisione di sottoporre ad ulteriore regime vincolistico un’area costiera di estensione pari a 36.800 mq - già sottoposta a tutela ai sensi della Parte III del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio - sul solo presupposto che il costone “si presenta tutto intagliato geometricamente da numerosi ed estesi reticoli delle trinche di estrazione”;
nel rispetto anche degli interessi privati, l’Amministrazione avrebbe dovuto limitarsi a selezionare le sole zone particolarmente significative.

Evidenziava altresì come, nelle more della proposizione del gravame, il Comune avesse revocato il diniego comunicato con nota dell’8 aprile 2016, consentendo pertanto il rimontaggio della pedana per la stagione estiva 2016.

Il 7 luglio 2016 costituivano in giudizio, con memoria di stile, le Amministrazioni intimate.

All’udienza telematica del 17 aprile 2023 il ricorso veniva definitivamente trattenuto in decisione.

Tutto ciò premesso, il Collegio può prescindere da pur prospettabili questioni preliminari di rito, perché nel merito il ricorso è infondato.

Ai fini dell’inquadramento giuridico della vicenda, va evidenziato come l’art. 10, comma 1, del Codice - nella formulazione ratione temporis vigente, non dissimile da quella attuale - stabilisce che «1. Sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, […], che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico».

L’art. 12 del Codice (sempre avuto riguardo alla formulazione ratione temporis vigente), per quanto in questa sede rileva stabilisce inoltre che «1. Le cose indicate all'articolo 10, comma 1, […] sono sottoposte alle disposizioni della presente Parte fino a quando non sia stata effettuata la verifica di cui al comma 2.

2. I competenti organi del Ministero, d'ufficio o su richiesta formulata dai soggetti cui le cose appartengono e corredata dai relativi dati conoscitivi, verificano la sussistenza dell'interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico nelle cose di cui al comma 1, sulla base di indirizzi di carattere generale stabiliti dal Ministero medesimo al fine di assicurare uniformità di valutazione.

[..] 4. Qualora nelle cose sottoposte a verifica non sia stato riscontrato l'interesse di cui al comma 2, le cose medesime sono escluse dall'applicazione delle disposizioni del presente Titolo.

[...] 7. L'accertamento dell'interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico, effettuato in conformità agli indirizzi generali di cui al comma 2, costituisce dichiarazione ai sensi dell'articolo 13 ed il relativo provvedimento è trascritto nei modi previsti dall'articolo 15, comma 2. I beni restano definitivamente sottoposti alle disposizioni del presente Titolo».

Come evidenziato dalla giurisprudenza, a differenza dei beni culturali di proprietà privata, la cui sottoposizione a tutela è subordinata alla previa dichiarazione di interesse culturale ai sensi dell’art. 13 del Codice, per il patrimonio culturale di proprietà pubblica «è previsto un sistema di tutela che può definirsi reale, in quanto vige una presunzione di interesse storico ed artistico ai sensi del d.lgs. n. 42 del 2004, art. 12, comma 1, il quale prevede che siano da considerarsi beni culturali ai fini del godimento della tutela codicistica, le cose mobili o immobili appartenenti allo Stato, alle Regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente o istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici, che presentino un semplice interesse storico, artistico, archeologico o etnoantropologico. La presunzione di culturalità dei suddetti beni, che si ricava dal complesso di norme in esame, può essere definita provvisoria, in quanto sussiste fino a quando non sia stata effettuata una verifica da parte del Ministero competente, che può avvenire d'ufficio o su istanza dei soggetti a cui le cose appartengono, circa la effettiva sussistenza dell'interesse culturale del bene. […] La proprietà pubblica, quindi, gode sempre delle disposizioni di tutela previste dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, mentre la proprietà privata ne gode solo allorquando sul bene sia intervenuta una dichiarazione di interesse storico, artistico, archeologico o etnoantropologico, da parte della Soprintendenza (Cassazione civile, sez. V, 5 ottobre 2016, n. 19878;
31 ottobre 2017, n. 25947)» (cfr. T.A.R. Lazio, Sez. II, 30.10.2018, n. 10465).

Per il patrimonio culturale di proprietà pubblica, in sostanza, è stabilita una «presunzione legale relativa di culturalità» (cfr. Cons. St., Sez. IV, 16 luglio 2015, n. 3560), ossia una sottoposizione al regime di bene culturale fino a quando il procedimento di verifica disciplinato dall’art. 12 non si concluda con la conferma, in via definitiva, del regime medesimo (producendo gli effetti di un’ordinaria dichiarazione di interesse culturale ai fini della successiva trascrizione del vincolo) ovvero, di contro, con la sua negazione (rilevante ai fini dell’eventuale sdemanializzazione, ai sensi del quinto comma).

Per questa ragione, ritenuta la diversità funzionale tra il procedimento di verifica di cui all’art. 12 e il procedimento di dichiarazione di interesse culturale disciplinato dall’art. 14 per i beni di proprietà privata, la giurisprudenza ha ritenuto non estensibile al primo procedimento l’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento previsto dall’art. 14, comma 1, per il secondo. Quest’ultima, infatti, comporta l’assoggettamento pro futuro dei beni privati vincolandi a misure di salvaguardia, non necessarie, invece, per i beni di proprietà pubblica di cui all’art. 10, comma 1, in quanto soggetti alle prescrizioni di tutela anche prima e indipendentemente dalla verifica di cui all’art. 12 (si veda al riguardo T.A.R. Lazio n. 10465/2018 cit., per cui «In particolare, poiché la verifica non comporta alcun mutamento di regime di circolazione e di tutela, il bene resta sottoposto alle disposizioni di tutela già applicabili, con conseguente non necessità, per il legislatore, della comunicazione dell'avvio del procedimento al Comune e alla Città metropolitana»).

Ne consegue, dunque, la reiezione della prima censura, in quanto per il procedimento di verifica dell’interesse culturale di cui all’art. 12 non è previsto alcun obbligo di comunicazione di avvio del procedimento nei confronti degli eventuali possessori e detentori del bene pubblico, considerato che, in ogni caso, tale procedimento si conclude con l’eventuale definitivo “consolidamento” del regime di tutela preesistente e non - contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti in seno alla seconda censura - con un ulteriore “aggravio” dello stesso, tale da esigere la necessaria partecipazione degli utilizzatori, a qualsiasi titolo, dei beni pubblici sottoposti a verifica.

Altresì destituita di fondamento è la seconda censura in quanto, contrariamente a quanto sostenuto dalla società ricorrente, per i beni culturali di cui all’art. 10, comma 1, del Codice non è richiesto l’accertamento di un interesse storico ed etnoantropologico “particolarmente importante”, necessario, invece, nel caso di beni culturali appartenenti a soggetti privati.

Piuttosto, ai fini della positiva conclusione della verifica di cui all’art. 12 del Codice è sufficiente che la cosa «sia dimostrata possedere un interesse culturale semplice ("senza aggettivazioni", come dice la relazione di accompagnamento al Codice), non già quell'interesse qualificato» (cfr. Cons. St., Sez. VI, 3560/2015 cit.).

Nel caso in esame, la relazione tecnico-scientifica allegata al decreto assessorile gravato, richiamata la letteratura scientifica e premesso che la latomia si presentava in origine «come una grande cava a cielo aperto, la cui parte occidentale non è più visibile perché obliterata dall’edificato moderno. Il vastissimo banco roccioso […] si presenta tutto intagliato geometricamente da numerosi ed estesi reticoli delle trinche di estrazione. Le modalità di estrazione dei blocchi (moltissimi dei quali ancora in situ ), sono quelle tramite cunei o con la tecnica del c.d. pointillè, che è quella maggiormente utilizzata in età greca. […] La cronologia delle fasi di coltivazione della latomia è stata stabilità sulla base del confronto delle dimensioni e delle caratteristiche litologiche tra i blocchi estratti e quelli utilizzati in monumenti noti in aree bizantine e sicuramente datate [..]», perviene alla conclusione per cui la latomia di Marzamemi rappresenta «una singolare testimonianza di cava a cielo aperto coltivata lungo la costa, attiva già nel V sec. a. C. e con successivi utilizzi nei secoli successivi e, in particolare, in età bizantina (VI.IX sec.). Essa fornisce importanti dati sia sui raffronti metrologici che sulle tecniche di estrazione utilizzate in antico».

La motivazione che sorregge la conferma dell’interesse culturale del sito - anche ai sensi dell’art. 10, comma 4, del Codice, il quale specifica alcune categorie di beni ricomprese nel comma 1, includendovi alla lett. h) anche «i siti minerari di interesse storico od etnoantropologico» - seppure succinta, non appare né inadeguata, né incongrua, né inattendibile, considerato peraltro l’ampio margine di discrezionalità tecnica che connota il potere esercitato, sindacabile dal Giudice Amministrativo esclusivamente sotto i profili di logicità, coerenza e completezza della valutazione ( ex multis , da ultimo, Cons. St., Sez. VI, 3.03.2022, n. 1510;
id., 25.01.2022, n. 497;
Cons. giust. amm. Sicilia, Sez. giurisd., 7.05.2021, n. 406).

Infine, va evidenziato come l’ampiezza dell’estensione del vincolo storico-artistico non comporta di per sé alcun profilo di eccesso di potere potendo anche tale vincolo essere posto su un’ampia estensione quando la finalità sia quella di conservare la consistenza materiale del bene nella sua interezza (cfr. T.A.R. Lazio n. 10465/2018 cit.;
Cons. Stato, Sez. VI, 3 luglio 2012, n. 3893).

Alla luce delle superiori argomentazioni, il ricorso resta infondato nel merito e va conclusivamente respinto.

Da ultimo, le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

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