TAR Perugia, sez. I, sentenza 2020-11-06, n. 202000486

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Perugia, sez. I, sentenza 2020-11-06, n. 202000486
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Perugia
Numero : 202000486
Data del deposito : 6 novembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 06/11/2020

N. 00486/2020 REG.PROV.COLL.

N. 00154/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA IALIANA

IN NOME DEL POPOLO IALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 154 del 2020, proposto dai sig.ri G A e L F, rappresentati e difesi dall'avvocato F D, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Perugia, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati L Z, R M e S M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato L Z in Perugia, via Oberdan, 50;

nei confronti

Tefim s.r.l. non costituito in giudizio;

per l'annullamento

- dell’ordinanza n. 1 del 10.1.2020 del dirigente dell’Area Risorse Ambientali - Smart City e Innovazione del Comune di Perugia con la quale è stato ordinato ai ricorrenti, congiuntamente alla comproprietaria TEFIM s.r.l., la demolizione di un pozzo ad uso domestico ubicato al foglio 268, part.lla 3036 del Comune di Perugia, asseritamente realizzato senza titolo abilitativo;

- nonché di ogni altro atto presupposto e/o connesso e/o consequenziale.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Perugia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 ottobre 2020 la dott.ssa D C e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITO

1. Gli odierni ricorrenti sono comproprietari di un pozzo ad uso domestico ubicato nel Comune di Perugia (foglio 268, particella 3036);
la quota di proprietà pari ad ½ è stata acquistata nel 1987 unitamente ad un appartamento e due rate di terreno, mentre la restante quota di proprietà del pozzo è attualmente di proprietà della TEFIM s.r.l., subentrate alla originaria società venditrice Luigi Tegliucci s.p.a.

Il Comune di Perugia, con nota del 12 dicembre 2019 prot. 282985, comunicava agli odierni ricorrenti e alla società TEFIM s.r.l., l’avvio del procedimento di emanazione di ordinanza di demolizione e remissione in pristino del pozzo, perché realizzato senza il titolo abilitativo costituito dalla Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA), titolo al quale viene subordinata la realizzazione dei pozzi ad uso domestico e non domestico dall’art. 124, comma 1, lett. g), della legge regionale n. 1 del 2015.

Con ordinanza n. 1 del 10 gennaio 2020 (notificata il 16 gennaio 2020) il Comune di Perugia ha ordinato agli odierni ricorrenti e alla TEFIM s.r.l. la demolizione del pozzo in oggetto entro 30 giorni dal ricevimento dell’ordinanza, con avvertenza che decorso inutilmente il termine stabilito per la demolizione, l’ordinanza sarà eseguita a cura del Comune e a spese dei destinatari.

2. Avverso la citata ordinanza gli odierni ricorrenti hanno articolato un unico motivo in diritto per violazione dell’art. 124, comma 1, lett. g), della l.r. n. 1 del 2015 in relazione all’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale.

Riferiscono i ricorrenti che, con riferimento al pozzo oggetto dell’ordinanza di demolizione (il medesimo fatto oggetto della compravendita del 1987), in data 16 agosto 2018 il sig. A ha chiesto al Comune di Perugia se lo stesso risultasse censito come pozzo domestico. Con lettera di risposta del 23 agosto 2018 prot. 185924 l’Amministrazione comunale rappresentava che il pozzo era stato denunciato nel 1994 in occasione di un censimento e inserito nella particella n. 1298 del fg. 268, allegando planimetria catastale con indicazione dei pozzi censiti.

Pertanto il pozzo in questione, già esistente al tempo della compravendita, deve ritenersi realizzato in data anteriore all’entrata in vigore della legge regionale 21 gennaio 2015, n.

1. Trattandosi pacificamente di un pozzo ad uso domestico, la sua realizzazione non sarebbe sottoposta dalla normativa nazionale ad alcun titolo abilitativo, essendo la relativa disciplina è contenuta ancora ed esclusivamente nell’art. 93 del Regio decreto del 11.12.1933, n. 1775, il quale dispone che “ Il proprietario di un fondo, anche nelle zone soggette a tutela della pubblica amministrazione, a norma degli articoli seguenti, ha facoltà, per gli usi domestici, di estrarre ed utilizzare liberamente, anche con mezzi meccanici, le acque sotterranee nel suo fondo, purché osservi le distanze e le cautele prescritte dalla legge. Sono compresi negli usi domestici l’innaffiamento di giardini e orti inservienti direttamente al proprietario ed alla sua famiglia e l’abbeveraggio del bestiame ”.

Diversamente dal legislatore nazionale, il legislatore regionale umbro ha introdotto la previsione di un necessario titolo abilitativo, la SCIA, per la realizzazione dei pozzi ad uso domestico, con l’art. 124, comma 1, lett. g) della l.r. n. 1 del 2015, non applicabile al caso in esame ai sensi dell’art. 11 delle preleggi, per cui “ la legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo ”.

2. Si è costituito in giudizio il Comune di Perugia, richiamando il disposto degli artt. 11 e 12 della l.r. n. 9 del 1979, vigente al tempo dell’atto notarile del 1987 che dava per esistente il pozzo in discorso, ed evidenziando che l’obbligo di conseguire un titolo espresso è stato poi reiterato con D.G.R. Umbria n. 499/2000 e successivamente sostituito con quello di produrre apposita Segnalazione Certificata di Inizio Attività per i pozzi ad uso domestico e non domestico, contemplato dall’art. 124, comma 1, lett. g) della l.r. Umbria n. 1 del 2015. La difesa comunale ha contestato l’assunto avversario per cui l’art. 93 del r.d. n. 1775 del 1933 qualificherebbe come libero l’intero ambito in questione, concernendo piuttosto detta disposizione la sola attività estrattiva e non invece la realizzazione dei pertinenti manufatti, che (già) nel 1987 non consisteva, come non consiste a tutt’oggi, in una attività liberalizzata.

La difesa dell’Amministrazione ha evidenziato che, da una più approfondita istruttoria, è emerso che insistono in loco tre pozzi di cui due legittimi e al tempo denunciati e l’ultimo, quello dei ricorrenti, contiguo ad uno dei due regolari ma mai autorizzato né denunciato;
con la conseguenza che la primitiva comunicazione comunale del 23 agosto 2018, che aveva dato (erroneamente) per censito il pozzo dei ricorrenti, è frutto di una (all'epoca) incompleta conoscenza dello stato dei luoghi e dei connessi atti amministrativi, solo successivamente colmata a seguito di ulteriori approfondimenti istruttori (come emerge dal processo verbale del 10.12.2019). Ha, altresì, evidenziato la difesa comunale che gli interessati, a fronte sia di un primo avviso sia della notizia di avvio del procedimento repressivo loro partecipata con nota del 12 dicembre 2019, non hanno fatto pervenire alcuna osservazione in merito;
è dunque seguita l’ordinanza di ripristino in questa sede impugnata.

3. A seguito della trattazione in camera di consiglio, con ordinanza n. 45 del 2020 è stata accolta l’istanza cautelare, avuto particolare riguardo ai “ profili afferenti il prospettato periculum in mora, risultando il pozzo da demolire la principale fonte di approvvigionamento idrico per gli usi domestici di parte ricorrente ”.

4. Le parti hanno depositato ulteriori memorie e repliche in vista della trattazione in pubblica udienza.

4.1. La parte ricorrente ha controdedotto alle difese comunali, evidenziando la natura non edilizia della l.r. n. 9 del 1979 richiamata dalla resistente, eccependo, altresì, l’inammissibile integrazione in sede giudiziarie delle ragioni poste a fondamento del provvedimento gravato.

5. All’udienza pubblica del 6 ottobre 2020, preso atto dell’istanza congiunta depositata dalle parti, a causa è stata trattenuta in decisione.

6. Oggetto del contendere è la legittimità dell’ordinanza comunale con cui il Comune di Perugia, ai sensi degli artt. 124 e 146 l.r. n. 1 del 2015, ha ordinato agli odierni ricorrenti, congiuntamente alla comproprietaria TEFIM s.r.l., la demolizione di un pozzo ad uso domestico ubicato al foglio 268, part.lla 3036, realizzato senza titolo abilitativo.

7. Il ricorso è infondato.

Preliminarmente è opportuno chiarire come nel caso di specie non rilevi la previsione dell’art. 93 del r.d. n. 1775 del 1933 invocato dalla ricorrente, in quanto tale disposizione, posta nell’ambito del “ Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici ”, disciplina la sola attività estrattiva per gli usi domestici e non la realizzazione dei relativi impianti.

Allo stesso modo appare inconferente il richiamo effettuato dalla difesa resistente alla disciplina autorizzativa prevista dall’art. 11 della l.r. Umbria n. 9 del 1979 (ovvero di mera denuncia della eventuale preesistenza entro un anno dalla entrata in vigore di tale disposizione ai sensi del successivo art. 12), anch’essa non avente natura edilizia, essendo piuttosto volta a finalità igienico-sanitarie di prevenzione dei pericoli di inquinamento delle acque sotterranee, e oltre a non essere richiamata nel provvedimento gravato.

Ciò posto, la parte ricorrente non contesta che il pozzo sia stato realizzato in assenza di titolo abilitativo edilizio, affermando, piuttosto, che anteriormente all’entrata in vigore della l.r. n. 1 del 2015 tale titolo non fosse necessario. La ricostruzione di parte ricorrente non può essere condivisa.

Ai sensi dell'art. 1, l. 28 gennaio 1977 n. 10 (che ha modificato e integrato le disposizioni contenute negli art. 32, l. 17 agosto 1942 n. 1150 e 10, 6 agosto 1967 n. 765), è soggetta al rilascio della concessione edilizia ogni attività che comporti la trasformazione del territorio mediante l'esecuzione di opere comunque attinenti agli aspetti urbanistici ed edilizi ove il mutamento e l'alterazione abbiano un qualche rilievo ambientale ed estetico o anche solo funzionale (C.d.S. sez. VI, 26 settembre 2003, n.5502;
Id., sez. V, 14 dicembre 1994, n. 1486;
Id. 23 gennaio 1991, n. 64;
Id., 21 ottobre 1985, n. 343);
pertanto, il titolo abilitativo edilizio è richiesto sia nel caso di realizzazione di opere murarie sia quando si intenda realizzare un intervento sul territorio che, pur non richiedendo opere in muratura, comporti la perdurante modifica dello stato dei luoghi. Per contro l’elenco degli interventi che possono eseguirsi senza alcun titolo abilitativo, ora contenuto all’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001, deve ritenersi tassativo e non vi rientra l’escavazione di pozzi ad uso domestico. Di conseguenza per la realizzazione dell’intervento in esame, esistente al 1987, non poteva dirsi sottratta alla necessaria previa acquisizione del titolo edilizio.

Quanto all’applicabilità della l.r. n. 1 del 2015, giova rammentare che l'illecito edilizio ha natura permanente giacché viola con la sua realizzazione l'ordinato e programmato assetto urbanistico del territorio, con la conseguenza che colui che ha realizzato l'abuso mantiene inalterato nel tempo l'obbligo di eliminare l'opera abusiva;
di conseguenza, stante il carattere permanente dell'infrazione della norma edilizia, anche il potere di repressione può essere esercitato con riferimento a fatti verificatisi prima dell'entrata in vigore della norma che disciplina tale potere. Con riferimento all'applicabilità all’atto della repressione degli abusi edilizi della normativa non vigente all'epoca della loro commissione, difatti, la prevalente giurisprudenza amministrativa ha affermato che “ l'illecito edilizio ha natura permanente (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 30 giugno 2014, n. 3281;
sez. IV 27 giugno 2014 n. 3242 e 18 aprile 2014 n. 1994), violando con la sua realizzazione l'ordinato e programmato assetto urbanistico del territorio, con la conseguenza che colui che ha realizzato l'abuso mantiene inalterato nel tempo l'obbligo di eliminare l'opera abusiva. Stante, quindi, il carattere permanente dell'infrazione della norma edilizia, anche il potere di repressione può essere esercitato con riferimento a fatti verificatisi prima dell'entrata in vigore di detta norma che disciplina tale potere;
conferma di tale orientamento è data dal dettato normativo della stessa l. n. 47 del 1985, la quale espressamente ha inteso estendere il nuovo regime sanzionatorio anche alle opere ultimate prima della data del 1º ottobre 1983 e non condonate. Costituisce invero regola giurisprudenziale prevalente quella della retroattività delle sanzioni urbanistiche (specie se di natura rispristinatoria e non meramente afflittiva), introdotte dalla l. n. 47/1985, come evincibile dal tenore degli artt. 32, sesto comma, 33, terzo comma, e 40, primo comma della l. n. 47/1985, concernenti gli immobili per i quali o non viene chiesta la sanatoria o questa è negata, secondo cui il recupero dell'ordine urbanistico violato va effettuato secondo la normativa del tempo in cui l'Amministrazione acquisisce cognizione dell'esistenza delle opere prive di titolo abilitativo
” (C.d.S., sez. V, 7 agosto 2014 n. 4213).

8. Per quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.

Si ravvisa la sussistenza di giusti motivi per la compensazione delle spese, stante la peculiarità della fattispecie in esame.

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