TAR Torino, sez. I, sentenza 2018-07-04, n. 201800815

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Torino, sez. I, sentenza 2018-07-04, n. 201800815
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Torino
Numero : 201800815
Data del deposito : 4 luglio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 04/07/2018

N. 00815/2018 REG.PROV.COLL.

N. 00830/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 830 del 2013, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato A F, con domicilio eletto presso lo studio di costei in Torino, via Talucchi, 1;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata ex lege in Torino, via Arsenale, 21;

per l'annullamento

del provvedimento emesso dallo Sportello Unico per l'Immigrazione presso la Prefettura di Torino in data -OMISSIS- (prot. n. P-TO/L/N/-OMISSIS-), che ha disposto il rigetto dell'istanza di emersione;

nonché di ogni altro atto preordinato, successivo o comunque collegato.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 20 giugno 2018 la dott.ssa Roberta Ravasio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con istanza del 28 settembre 2012 il sig. -OMISSIS-ha presentato domanda di regolarizzazione ex art. 5 D. L.vo 109/2012 nell’interesse del ricorrente.

Con il provvedimento in epigrafe indicato l’istanza è stata respinta non risultando il datore di lavoro aver presentato una dichiarazione dei redditi per l’anno 2011, rimanendo conseguentemente indimostrata la capacità reddituale richiesta in capo allo stesso dall’art. 3 comma 1 del D.M. 29/08/2012, emanato ai sensi dell’art. 5 comma 7 del D. L.vo 109/2012.

Con il ricorso in epigrafe indicato il ricorrente ha impugnato l’indicato provvedimento per violazione della indicata norma, eccesso di potere, anche in relazione alla sopravvenuta entrata in vigore del D.M. 29/08/2012: dal tenore del provvedimento impugnato non è dato comprendere se il datore di lavoro non abbia presentato la dichiarazione dei redditi relativi all’anno di imposta 2010 o 2011, inoltre si tratterebbe comunque di causa imputabile esclusivamente al datore di lavoro che legittimava il rilascio di un permesso di soggiorno in attesa di occupazione.

Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio per resistere al ricorso.

Alla camera di consiglio dell’11 settembre 2013 il Collegio ha respinto la domanda cautelare rilevando che “ la capacità reddituale del datore di lavoro costituisce uno dei presupposti essenziali ai fini della regolarizzazione dello straniero, ai sensi dell’art. 5 comma 7 del D. Lgs. 109/2012, laddove nel caso di specie la sussistenza di tale requisito non sembra essere stata provata dagli interessati in sede procedimentale;
la previsione di cui all’art. 5 comma 11-bis del D. Lgs. 109/2012 (introdotto dall’art. 9 comma 10 del D.L 28 giugno 2013 n. 76, convertito con modificazioni dalla L. 9 agosto 2013, n.99) non è applicabile alla fattispecie in esame, sia perché è entrata in vigore in data successiva a quelle di adozione e di notifica dell’atto impugnato, sia perchè essa presuppone, in ogni caso, ai fini del rilascio allo straniero di un titolo di soggiorno per attesa occupazione, che sia stata accertata da parte dello sportello unico per l’immigrazione “la sussistenza del rapporto di lavoro, dimostrata dal pagamento delle somme di cui al comma 5”, laddove nel caso di specie anche tale requisito non è stato provato dagli interessati, neppure nel presente giudizio.”.

In mancanza di deposito di ulteriori memorie il ricorso è stato chiamato per la discussione del merito alla pubblica udienza del 20 giugno 2018, allorché è stato introitato a decisione.

Esso è infondato per le ragioni già indicate nella ordinanza cautelare, dalle quali il Collegio non vede ragione di discostarsi.

L’art. 5 comma 11 bis, del D. L.vo 102/2012, infatti, nello specificare che “ Nei casi in cui la dichiarazione di emersione sia rigettata per cause imputabili esclusivamente al datore di lavoro, previa verifica da parte dello sportello unico per l'immigrazione della sussistenza del rapporto di lavoro, dimostrata dal pagamento delle somme di cui al comma 5, e del requisito della presenza al 31 dicembre 2011 di cui al comma 1, al lavoratore viene rilasciato un permesso di soggiorno per attesa occupazione ”, presuppone che sia stata effettivamente dimostrata la ricorrente di un rapporto di lavoro tra il datore di lavoro richiedente ed il cittadino extracomunitario interessato, il quale deve essersi protratto, per definizione e continuativamente, negli ultimi tre mesi anteriori alla data di entrata in vigore del D. L.vo 109/2012 e continuare ad esistere alla data di presentazione della domanda di regolarizzazione.

Ciò rammentato il Collegio ritiene che le “ cause esclusivamente imputabili al datore di lavoro ”, che consentono il rilascio del permesso di soggiorno in attesa di occupazione, possono essere integrate solo da circostanze diverse da quelle che l’art. 5 individua quali condizioni di regolarizzazione, venendosi altrimenti a svuotare completamente di significato la previsione legislativa, laddove individua le condizioni che consentono al datore di lavoro di regolarizzare il rapporto di lavoro, tra le quali sono da annoverarsi, appunto, anche le condizioni di reddito. Né ad accreditare la contraria opzione varrebbe obiettare che il cittadino extracomunitario interessato alla regolarizzazione finirebbe altrimenti per subire le conseguenze negative del comportamento scorretto del datore di lavoro, che abbia taciuto le circostanze ostative. Il D. L.vo 109/2012, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 25 luglio 2012, è entrato in vigore il 14 agosto successivo;
di conseguenza il rapporto di lavoro determinante ai fini della regolarizzazione doveva essere iniziato quantomeno a far data dal 14 maggio 2012, protraendosi quantomeno sino al 15 settembre successivo, momento a partire dal quale potevano essere presentate le domande di regolarizzazione. E’ dunque evidente che la tempestiva conoscenza di cause ostative alla regolarizzazione non era comunque idonea a consentire al lavoratore di accedere alla regolarizzazione con diverso datore di lavoro, e ciò per la ragione che il D. L.vo 109/2012 ha consentito la regolarizzazione di rapporti pregressi e che, correlativamente, la rilevanza ostativa di determinante circostanze poteva essere percepita come tale solo dopo la pubblicazione in G.U. del D. L.vo 109/2012, quando la parte più rilevante del rapporto di lavoro doveva essersi già svolta, per definizione, con il datore di lavoro attinto dalle cause ostative.

Ritiene dunque il Collegio che per “ cause esclusivamente imputabili al datore di lavoro ” che non consentono la regolarizzazione debbono intendersi solo i comportamenti del datore di lavoro, o le circostanze al medesimo riferibili, diversi da quelli già considerati dal legislatore quale condizione ostativa (ad esempio la commissione di reati), che si siano verificati in epoca posteriore alla presentazione della domanda di regolarizzazione, in un momento, cioè, in cui il lavoratore aveva virtualmente già maturato il diritto alla regolarizzazione sussistendone le condizioni: così interpretando l’art. 5 comma 11 bis del D. L.vo 109/2012 il permesso di soggiorno in attesa di occupazione, ivi divisato, risulta innestato su un titolo di soggiorno preesistente, il che vale a rendere la fattispecie di permesso di soggiorno in attesa di occupazione in esame omogenea rispetto alle altre ipotesi di permesso di soggiorno in attesa di occupazione previste dall’ordinamento.

Ciò premesso in punto di diritto, va ancora sottolineato che il ricorrente non ha prodotto alcuna prova del reddito del datore di lavoro, di guisa che non sussiste alcuna ragione per affermare che il provvedimento impugnato sia affetto da errore di fatto o di diritto.

La mancanza del reddito richiesto dal combinato disposto dell’art. 5 comma 5 D. L.vo 109/2012 e del D.M. 29/08/2012 costituiva ragione di per sé sufficiente a negare la regolarizzazione, trattandosi di requisito tassativo per l’accesso a tale beneficio;
conseguentemente il ricorso va respinto in quanto manifestamente infondato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi