TAR Venezia, sez. III, sentenza 2010-12-13, n. 201006450

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Venezia, sez. III, sentenza 2010-12-13, n. 201006450
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Venezia
Numero : 201006450
Data del deposito : 13 dicembre 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02093/2007 REG.RIC.

N. 06450/2010 REG.SEN.

N. 02093/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2093 del 2007, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Amore di Laggia Alfredo &
C. Sas, rappresentato e difeso dall'avv. F Z, con domicilio eletto presso il suo studio in Venezia - Mestre, via Cavallotti, 22;

contro

Comune di Venezia, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti M B, G G, A I, M M, N O e G V, con domicilio eletto in Venezia, nella sede Municipale;

per l'annullamento

A) quanto al ricorso originario:

- del provvedimento della nota prot. n. 348529 del 22 agosto 2007, ricevuta il 4 settembre 2007, della direzione attività produttive, sviluppo economico SUAP servizi amministrativi – U.O.C. pubblici servizi del comune di Venezia, avente ad oggetto “richiesta di nuova autorizzazione” con cui è stata denegata la richiesta di autorizzazione al pubblico esercizio di tipo “B” richiesta dalla ditta ricorrente;

- dell’ordinanza sindacale n. 384 del 20 luglio 2007 avente ad oggetto “disciplina dell’insediamento dei pubblici esercizi nel territorio comunale”;

- dell’ordinanza sindacale n. 60 del 10.2.2006;

- dell’ordinanza n. 157 del 16 aprile 2007;

- dell’ordinanza n. 36876, non conosciuta.

B) quanto ai primi motivi aggiunti:

- della nota prot. n. 238874 del 4 giungo 2008, conosciuta in data 11 giugno 2008, avente ad oggetto: “richiesta di nuova autorizzazione per pubblico esercizio di tipo B in Venezia San Marco prot. n. 0289544 del 6.7.2007 – Archiviazione istanza – Ordinanza del C.d.S. n. 1751/08 – Riesame pratica – Diniego autorizzazione”;

- dell’ordinanza sindacale n. 384 del 20 luglio 2007 avente ad oggetto “disciplina dell’insediamento dei pubblici esercizi nel territorio comunale”;

C) quanto ai secondi motivi aggiunti:

- della deliberazione del Consiglio comunale n. 117 del 6 ottobre 2009, conosciuta il 10 febbraio 2010, avente ad oggetto “approvazione parametri e criteri di programmazione e procedure per l’insediamento sul territorio comunale di nuove attività di somministrazione di alimenti e bevande in attuazione della legge regionale 21 settembre 2007, n. 29 e lo studio del COSES (Consorzio ricerca e formazione) che costituisce l’allegato A) della deliberazione.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Venezia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 novembre 2010 il dott. S M e uditi per le parti i difensori F Z per la parte ricorrente e M B per il Comune resistente;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La Società ricorrente il 6 luglio 2007, ha presentato al Comune una domanda per ottenere l’autorizzazione all’apertura di una pubblico esercizio di somministrazione alimenti e bevande nel centro storico di Venezia, nel Sestiere di San Marco, in un immobile in passato già adibito a negozio per la vendita di frutta e verdura.

Il Comune di Venezia con provvedimento prot. n. 348529 del 22 agosto 2007, ha respinto l’istanza con la motivazione che, come previsto dall’ordinanza sindacale n. 60 del 19 febbraio 2006, le domande devono essere presentate solo nei mesi di marzo, giugno, settembre e dicembre.

Al provvedimento il Comune ha anche allegato copia dell’ordinanza sindacale n. 384 del 20 luglio 2007, che disciplina il rilascio delle licenze di pubblico esercizio nel territorio comunale, reintroducendo per l’intero territorio il contingentamento numerico delle licenze previsto dalla legge 25 agosto 1991, n. 287, e dall’art. 2 della legge 5 gennaio 1996, n. 25, in precedenza oggetto di annullamento da parte della decisione del Consiglio di Stato, Sez. V, 21 giugno 2007, n. 3330.

L’ordinanza prevede che le autorizzazioni di pubblico esercizio possano essere rilasciate solo nei casi di cessazione, revoca o decadenza, e pone particolari limitazioni relativamente al Sestiere di San Marco per motivi di salvaguardia del centro storico.

Il diniego e l’ordinanza sono impugnati con il ricorso originario, con domanda di risarcimento dei danni subiti, per le seguenti censure:

A) relativamente al diniego prot. n. 348529 del 22 agosto 2007:

I) violazione dell’art. 10 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, per l’omessa acquisizione dell’apporto procedimentale del destinatario del diniego;

II) carenza di istruttoria e motivazione, perché la presentazione della domanda fuori termine avrebbe dovuto comportare la sospensione del suo esame e non un diniego;

III) illegittimità derivata dall’illegittimità dell’atto presupposto, costituito dall’ordinanza sindacale n. 384 del 20 luglio 2007;

B) relativamente all’ordinanza sindacale n. 384 del 20 luglio 2007:

IV) violazione delle statuizioni contenute nella decisione del Consiglio di Stato Sez. V, 21 giugno 2007, n. 3330, per la quale sono abrogate le norme che consentono il contingentamento degli esercizi pubblici di somministrazione alimenti e bevande a far data dall’entrata in vigore del Dlgs. 31 marzo 1998, n. 114, e carenza di motivazione per la mancata attualizzazione delle stime circa il fabbisogno della domanda e delle esigenze attuali dell’utenza;

V) violazione del giudicato formatosi per la decisione del Consiglio di Stato Sez. V, 21 giugno 2007, n. 3330, e conseguente violazione dell’art. 21 septies della legge 7 agosto 1990, n. 241;

VI) violazione dell’art. 2 del Dlgs. 31 marzo 1998., n. 114, e dei principi di concorrenza e di iniziativa economica;

VII) carenza di motivazione e difetto di istruttoria perché il mercato viene valutato sulla base delle condizioni presenti in anni precedenti, senza considerare i mutamenti nel frattempo intervenuti;

VIII) violazione dell’art. 2 della legge 5 gennaio 1996, n. 25, e della legge 25 agosto 1991, n. 287, per l’omessa acquisizione del parere della commissione consultiva.

Si è costituito in giudizio il Comune di Venezia il quale eccepisce l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, in quanto è stato impugnato un atto non provvedimentale, e ne chiede la reiezione perché infondato.

Con ordinanza della Sezione n. 857 del 21 novembre 2007, è stata respinta la domanda cautelare, accolta invece in appello con ordinanza della V Sezione del Consiglio di Stato n. 1751 del 1 aprile 2008.

In sede di riesame della domanda cui è stato dato corso in esecuzione della citata ordinanza cautelare del Consiglio di Stato, il Comune di Venezia con provvedimento prot. n. 238874 del 4 giugno 2008, ha nuovamente respinto l’istanza richiamandosi alle leggi 25 agosto 1991, n. 287 e 5 gennaio 1996, n. 25, nonché alla legge regionale 21 settembre 2007, n. 29, che ha ridisciplinato il settore della somministrazione alimenti e bevande, ed infine alla sopra citata ordinanza sindacale n. 384 del 20 luglio 2007, che ha reintrodotto il principio del contingentamento numerico delle licenze.

Con motivi aggiunti tale diniego, unitamente all’ordinanza sindacale da esso richiamata, con domanda di risarcimento dei danni subiti, è impugnato per le seguenti censure:

A) relativamente all’ordinanza sindacale n. 384 del 20 luglio 2007:

IX) violazione delle statuizioni contenute nella decisione del Consiglio di Stato Sez. V, 21 giugno 2007, n. 3330, per la quale sono abrogate le norme che consentono il contingentamento degli esercizi pubblici di somministrazione alimenti e bevande a far data dall’entrata in vigore del Dlgs. 31 marzo 1998, n. 114, e carenza di motivazione per la mancata attualizzazione delle stime circa il fabbisogno della domanda;

X) violazione del giudicato formatosi con riguardo alla decisione del Consiglio di Stato Sez. V, 21 giugno 2007, n. 3330, e conseguente violazione dell’art. 21 septies della legge 7 agosto 1990, n. 241;

XI) violazione dei principi comunitari di libera concorrenza, degli artt. 2 e 4 del Dlgs. 31 marzo 1998, n. 114, violazione dell’art. 41 della Costituzione, violazione della segnalazione 7 giugno 2007 dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, violazione dell’art. 3 del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, in legge 4 agosto 2006, n. 248, nonché violazione dell’art. 117, secondo comma, lett. e) della Costituzione;

XII) carenza di motivazione e difetto di istruttoria, per l’omessa indicazione dei profili in base ai quali l’amministrazione afferma di tutelare la collettività;

XIII) violazione dell’art. 2 della legge 5 gennaio 1996, n. 25, e della legge 25 agosto 1991, n. 287, per l’omessa acquisizione del parere della commissione consultiva.

B) relativamente al diniego disposto con provvedimento prot. n. 238874 del 4 giugno 2008:

XIV) violazione dell’art. 21 septies della legge 7 agosto 1990, n. 241, per violazione del giudicato formatosi a seguito della decisione del Consiglio di Stato Sez. V, 21 giugno 2007, n. 3330;

XV) violazione dei principi comunitari di libera concorrenza, degli artt. 2 e 4 del Dlgs. 31 marzo 1998, n. 114, violazione dell’art. 41 della Costituzione, violazione della segnalazione 7 giugno 2007 dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, violazione dell’art. 3 del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, in legge 4 agosto 2006, n. 248, nonché violazione dell’art. 117, secondo comma, lett. e) della Costituzione, ed invalidità derivata dall’illegittimità dell’ordinanza sindacale n. 384 del 20 luglio 2007;

XVI) contraddittorietà, illogicità, difetto di motivazione, violazione del principio di trasparenza e difetto di istruttoria, perché l’Amministrazione non poteva formulare un ulteriore diniego in contrasto con l’ordinanza cautelare della V Sezione del Consiglio di Stato n. 1751 del 1 aprile 2008;

XVII) violazione dell’art. 2 della legge 5 gennaio 1996, n. 25, e, in particolare, dell’art. 6, per l’omessa acquisizione del parere della commissione consultiva.

XVIII) violazione degli artt. 7, 8, 10 e 10 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, per l’omessa acquisizione dell’apporto procedimentale della ricorrente;

XIX) violazione del principio tempus regit actum per la pretesa applicazione della sopravvenuta legge regionale 21 settembre 2007, n. 29, ad un procedimento che, seppure non concluso, ha avuto avvio a seguito della domanda presentata antecedentemente all’entrata in vigore della stessa, il 6 luglio 2007.

Con ordinanza n. 559 del 16 luglio 2008, è stata respinta la domanda cautelare, atteso che nel frattempo il Tribunale, con ordinanza collegiale 10 luglio 2008, n. 1979, aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 38 della legge regionale 21 settembre 2007, n. 29.

Alla pubblica udienza 17 luglio 2008, per la medesima ragione, in attesa della pronuncia della Corte Costituzionale, con ordinanza collegiale 14 gennaio 2009, n. 5, è stata disposta la sospensione del processo ai sensi dell’art. 295 c.p.c..

Nel frattempo la Corte Costituzionale con ordinanza 24 aprile 2009, n. 122, ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 33, comma 1, 34, comma 1, e 38, comma 1, della legge regionale 21 settembre 2007, n. 29, sollevata con ordinanza collegiale 10 luglio 2008, n. 1979.

La parte ricorrente, venuta a conoscenza solo in data 10 febbraio 2010, che il Comune di Venezia, con deliberazione consiliare n. 117 del 6 ottobre 2009, ha approvato i nuovi parametri e criteri di programmazione per l’insediamento sul territorio delle attività di somministrazione di alimenti e bevande in attuazione della legge regionale 21 settembre 2007, n. 29, ha impugnato con motivi aggiunti anche questa deliberazione per le seguenti censure:

XX) violazione dell’art. 21 septies della legge 7 agosto 1990, n. 241, per violazione dell’ordinanza cautelare della V Sezione del Consiglio di Stato n. 1751 del 1 aprile 2008;

XXI) violazione dell’art. 21 septies della legge 7 agosto 1990, n. 241, per violazione del giudicato formatosi a seguito della decisione del Consiglio di Stato Sez. V, 21 giugno 2007, n. 3330;

XXII) violazione dei principi comunitari di libera concorrenza, degli artt. 2 e 4 del Dlgs. 31 marzo 1998, n. 114, violazione dell’art. 41 della Costituzione, violazione della segnalazione 7 giugno 2007 dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, violazione dell’art. 3 del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, in legge 4 agosto 2006, n. 248, nonché violazione dell’art. 117, secondo comma, lett. e) della Costituzione, ed invalidità derivata dall’illegittimità dell’ordinanza sindacale n. 384 del 20 luglio 2007;

XXIII) difetto di istruttoria e motivazione in quanto la deliberazione consiliare n. 117 del 6 ottobre 2009, nel dettare i nuovi parametri e criteri a tutela dell’ordine pubblico, della pubblica sicurezza, della salute, della conservazione e salvaguardia del paesaggio e del patrimonio storico artistico, non fornisce un’adeguata motivazione alle valutazioni compiute;

XXIV) violazione degli artt. 7, 8, 10 e 10 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, per l’omessa acquisizione dell’apporto procedimentale della ricorrente;

Alla pubblica udienza dell’11 novembre 2010, in prossimità della quale le parti hanno depositato memorie a sostegno delle proprie difese, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Preliminarmente deve essere dichiarata la sopravvenuta carenza di interesse all’esame delle censure proposte avverso l’atto prot. n. 348529 del 22 agosto 2007, impugnato con il ricorso originario.

Infatti il Consiglio di Stato ha accolto la domanda cautelare di sospensione del primo provvedimento di diniego, adottando un’ordinanza di tipo propulsivo, cui è conseguita, da parte dell’Amministrazione comunale, l’adozione del nuovo provvedimento di diniego prot. n. 238874 del 4 giugno 2008, impugnato con motivi aggiunti.

Il carattere pretensivo della situazione giuridica soggettiva azionata, e l’adozione di un nuovo diniego, sostitutivo del primo, svoltosi nell’ambito di un rinnovato iter istruttorio e motivazionale, e che ha pertanto caratteri di autonomia rispetto alla mera esecuzione della pronuncia giurisdizionale, escludono residui una qualche utilità all’esame delle censure proposte con il ricorso originario avverso il primo diniego.

1.2 Come eccepito dalle difese del Comune deve invece essere dichiarata l’inammissibilità per carenza di interesse delle censure contenute nei secondi motivi aggiunti proposti avverso la deliberazione consiliare n. 117 del 6 ottobre 2009, con cui sono stati approvati i nuovi parametri e criteri di programmazione per l’insediamento delle attività di somministrazione di alimenti e bevande, in quanto gli stessi non incidono sul diniego impugnato, che è antecedente alla loro adozione. Poiché da un eventuale annullamento della deliberazione consiliare n. 117 del 6 ottobre 2009, la parte ricorrente non potrebbe trarre alcun vantaggio attuale, le censure contenute nei secondi motivi aggiunti devono essere dichiarate inammissibili per carenza di interesse.

2. Poste tali premesse, deve allora rilevarsi che l’oggetto del giudizio va limitato alle censure proposte avverso il provvedimento di diniego prot. n. 238874 del 4 giugno 2008, ed avverso l’ordinanza sindacale n. 384 del 20 luglio 2007.

2.1 Nell’ambito del quarto e quinto motivo del ricorso originario, e con il primo, il secondo e il sesto dei motivi aggiunti (sopra rubricati come IX, X e XIV), la Società ricorrente lamenta la violazione del giudicato o comunque delle statuizioni contenute nella decisione del Consiglio di Stato Sez. V, 21 giugno 2007, n. 3330.

La doglianza non è fondata.

2.2 La censura è analoga a quella già scrutinata e respinta con le sentenze della Sezione 14 ottobre 2008, n. 3209, e 21 aprile 2010, n. 1494, le cui argomentazioni, ad avviso del Collegio, sono condivisibili, non essendo sufficienti, per una soluzione di segno opposto, le tesi prospettate nell’odierno giudizio dalla Società ricorrente, che in parte debbono peraltro ritenersi superate dalla sopravvenuta decisione del Consiglio di Stato, Sez. V, 5 maggio 2009, n. 2808.

2.3 Al fine di rendere più chiaro il significato della tesi prospettata dalla ricorrente, è necessario premettere che, con deliberazione consiliare 4 maggio 1993, n. 70, il Comune di Venezia aveva demandato al Sindaco la definizione del numero di nuovi pubblici esercizi autorizzabili in ciascuna delle tre macrozone del territorio comunale (costituite dal Centro storico, l’Estuario e la Terraferma).

In seguito l’ordinanza sindacale 17 marzo 1997, n. 36876, confermate le tre macrozone, aveva rideterminato il numero di autorizzazioni assentibili.

La predetta deliberazione consiliare e, in via derivata l’ordinanza sindacale, sono state annullate dalla decisione 21 giugno 2007, n. 3330, della V Sezione del Consiglio di Stato, per la considerazione che il Dlgs. 31 marzo 1998, n. 114, recante la riforma della disciplina concernente il settore del commercio, avrebbe tacitamente abrogato per incompatibilità tutte le disposizioni su cui si fondava il contingentamento degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande.

Il Comune di Venezia, ritenendo non condivisibili le argomentazioni della decisione, con l’ordinanza sindacale 20 luglio 2007, n. 384, ha motivatamente disposto che nel territorio del Comune possono essere rilasciate nuove autorizzazioni di pubblico esercizio esclusivamente nei casi di cessazione, revoca o decadenza.

La tesi che l’ordinanza sindacale 20 luglio 2007, n. 384 comporterebbe una violazione o elusione del giudicato non può essere condivisa, in quanto muove da un’erronea commistione tra quelli che sono gli effetti caducatori derivanti dall’annullamento dell’atto indivisibile a contenuto generale, i quali, pur senza intaccare il potere dell'Amministrazione di provvedere, espandono la propria efficacia erga omnes, e gli effetti conformativi del giudicato, che statuiscono vincoli e limiti alla successiva azione amministrativa, producendo effetti preclusivi - e vietando pertanto di assumere nuovi provvedimenti di contenuto analogo a quelli annullati - solo nei confronti di coloro che sono stati parti in quel giudizio.

Infatti, come è stato osservato (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 15 giungo 2004, n. 3939) “ la sfera di efficacia soggettiva di una pronuncia giurisdizionale amministrativa di annullamento va differenziatamente individuata a seconda che si abbia riguardo alla sua parte dispositiva - cassatoria dell'atto, ovvero a quella ordinatoria - prescrittiva, statuente limiti e vincoli per la successiva azione dell'Amministrazione. Infatti, in ordine alla prima parte, in quanto comportante l'eliminazione dal mondo giuridico di una entità obiettiva quale il provvedimento impugnato, la pronuncia non può che operare, necessariamente, erga omnes, essendo l'istituto dell'annullamento ontologicamente insuscettibile di produrre la caducazione di un atto per taluni e non per altri (fenomeno, questo, cui è nell'ordinamento preordinato il diverso istituto della disapplicazione degli atti illegittimi, quale notoriamente contemplato dagli artt. 4 e 5 L. 20 marzo 1865 n. 2248, all. E;
circa la sfera soggettiva di efficacia delle decisioni di annullamento nella parte cassatoria, cfr. in particolare Cons. Stato, V Sez., 28 dicembre 1989 n. 910;
V Sez., 1 marzo 1989 n. 153;
V Sez., 25 novembre 1988 n. 749;
VI Sez., 12 maggio 1981 n. 211;
VI Sez., 16 febbraio 1979 n. 81;
VI Sez., 24 ottobre 1978 n. 1093;
VI Sez., 12 maggio 1978 n. 628). Al contrario, relativamente alla parte ordinatoria - prescrittiva, la pronuncia si atteggia come tipicamente inerente al rapporto giuridico dedotto in giudizio (al rapporto, cioè, corrente tra la potestà pubblica riguardata, segnatamente, nei limiti di legittimità imposti alla sua esplicazione e l'interesse legittimo della parte privata azionato), che viene esaminato ed in ordine al quale prescrizioni e vincoli sono posti negli stretti limiti degli interessi sostanziali fatti valere dall'istante, delle censure dedotte e delle contrapposte eccezioni sollevate. Donde l'applicabilità in parte qua, per ragioni ermeneutiche e sistematiche suffragate dal canone costituzionale di cui all'art. 24, primo comma, Cost., del principio proprio delle pronunce giurisdizionali civili - pur esse, di norma, tipicamente inerenti a rapporti - secondo cui il giudicato fa stato unicamente fra le parti, i loro eredi ed aventi causa (art. 2909 Cod. civ.;
cfr. in questo senso: Cons. Stato, IV Sez., 6 marzo 1990 n. 169)
”.

Pertanto, riferendosi agli atti oggetto d’impugnazione in questa sede, non è corretto affermare che essi siano stati emessi in violazione ovvero in elusione del giudicato formatosi a seguito della decisione della V Sezione del Consiglio di Stato 21 giugno 2007, n. 3330, atteso che il Comune, com’era nei suoi poteri, rispetto a soggetti che, come la parte ricorrente dell’odierna controversia, non erano parti in quel giudizio, ha deciso di non recepire l’interpretazione proposta dal Consiglio di Stato con quella che, allo stato, resta una decisione isolata, che deve peraltro intendersi superata sia dalla normativa statale e regionale sopravvenute, quali il decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, in legge 4 agosto 2006, n. 248 e la legge regionale 21 settembre 2007, n. 29, che dalla stessa giurisprudenza del medesimo Consiglio di Stato, il quale, con la decisione della Sez. V, 5 maggio 2009, n. 2808, ha ricondotto la liberalizzazione del settore non al Dlgs. 31 marzo 1998, n. 114, ma al decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, in legge 4 agosto 2006, n. 248.

Le censure di violazione del giudicato e dell’art. 21 septies della legge 7 agosto 1990, n. 241, devono pertanto essere respinte.

3. Con l’ottavo dei motivi aggiunti, sopra rubricato come XVI), la Società ricorrente lamenta la contraddittorietà, il difetto di motivazione, e di istruttoria, perché l’Amministrazione non avrebbe potuto legittimamente formulare un ulteriore diniego in contrasto con l’ordinanza cautelare della V Sezione del Consiglio di Stato n. 1751 del 1 aprile 2008, resa nell’ambito del medesimo processo.

La doglianza non può essere accolta.

In linea generale deve osservarsi che anche le ordinanze cautelari comportano per l’Amministrazione un effetto conformativo. Tuttavia, per quelle, come nel caso all’esame con cui é stata sospesa l’efficacia di un diniego, di tipo propulsivo rese nella forma del remand, l’effetto conformativo (salvo diverse statuizioni puntuali) si esaurisce nell’ordine di riesaminare la decisione, con la conseguenza che può essere legittimamente adottato un secondo diniego basato su ragioni diverse ed eventualmente più articolate di quelle poste a base di un primo provvedimento negativo, che è quanto è avvenuto nel caso di specie.

Infatti il provvedimento prot. n. 238874 del 4 giugno 2008, costituisce il riesercizio del potere amministrativo sollecitato dal provvedimento giurisdizionale, ma si fonda su una più articolata motivazione che consegue ad una rinnovata attività istruttoria.

Ne discende che non è ravvisabile la dedotta violazione dell’ordinanza cautelare della V Sezione del Consiglio di Stato n. 1751 del 1 aprile 2008.

4. Con l’ottavo motivo del ricorso originario, nonché il quinto ed il nono dei motivi aggiunti, sopra rubricati come XIII) e XVII), la Società ricorrente, dopo aver premesso che l’art. 2 della legge 5 gennaio 1996, n. 25, attribuisce in via transitoria ai sindaci la competenza a fissare parametri numerici degli esercizi, osserva che tale potere è tuttavia esercitatile solo previa acquisizione del parere della commissione consultiva prevista dall’art. 6 della legge 25 agosto 1991, n. 287, e lamenta che nel caso all’esame illegittimamente tale parere non è stato acquisito.

La censura deve essere respinta, atteso che l’art. 11, comma 1, del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, in legge 4 agosto 2006, n. 248, ha espressamente disposto la soppressione di detta commissione prevedendo che le relative funzioni siano svolte dalle amministrazioni titolari dei relativi procedimenti amministrativi.

5. Nell’ambito del quarto e sesto motivo del ricorso originario, e del terzo e settimo dei motivi aggiunti, sopra rubricati come XI) e XV), la Società ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del Dlgs. 31 marzo 1998, n. 114, sostenendo che i principi di liberalizzazione in materia di commercio contenuti nel decreto, avrebbero comportato l’abrogazione tacita della regola della programmazione e del contingentamento degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande previsti dalle leggi 25 agosto 1991, n. 287 e 5 gennaio 1996, n. 25, già alla data di entrata in vigore del citato Dlgs. 31 marzo 1998, n. 114.

Nell’ambito del terzo, quarto e settimo dei motivi aggiunti, sopra rubricati come XI), XII) e XV), la Società ricorrente sostiene invece la tesi, alternativa alla prima, che è stata la liberalizzazione del settore degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande operata dal decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, in legge 4 agosto 2006, n. 248, ad aver abrogato la regola della programmazione e del contingentamento degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande previsti dalle leggi 25 agosto 1991, n. 287 e 5 gennaio 1996, n. 25, con conseguente abrogazione degli atti di programmazione comunale fondati sul rispetto di predeterminati limiti quantitativi.

Nell’un caso o nell’altro, afferma l’illegittimità dell’ordinanza sindacale n. 384 del 20 luglio 2007, perché è intervenuta ad reintrodurre parametri e criteri ispirati al contingentamento incompatibili con la normativa vigente al momento della sua adozione.

5.1 Quanto alla dedotta incompatibilità della programmazione comunale con il Dlgs. 31 marzo 1998, n. 114, deve osservarsi che analoghe censure sono state già esaminate e giudicate non fondate con la sentenza della Sezione 4 marzo 2010, n. 1495.

Come già osservato in quella sede, per il loro esame è necessario svolgere alcune premesse di carattere generale.

Nell’ambito della materia del commercio la disciplina degli esercizi pubblici di somministrazione di alimenti e bevande ha storicamente sempre avuto una rilevanza autonoma:

- per la diversa natura della prestazione ricevuta dal consumatore che non si esaurisce nell’attività di rivendita di merci precedentemente acquistate, ma in un più complesso servizio, ove le materie prime sono spesso soltanto una componente talvolta marginale, che è ordinariamente usufruito in appositi locali dotati di attrezzature idonee a consentire la consumazione sul posto;

- per le peculiari problematiche legate alla natura dei prodotti venduti, atteso che dagli alimenti e dagli alcolici possono derivare diverse criticità per la sicurezza dei consumatori, per il contesto urbano o per l’ordine pubblico;

- per la funzione di aggregazione sociale svolta da tale tipologia di esercizi, cui si riconnettono le norme volte ad assicurare la sorvegliabilità dei locali e una speciale disciplina degli orari volta anche a prevenire pregiudizi per la quiete pubblica.

Tali elementi di specialità hanno impedito (ed impediscono tutt’ora) di ritenere il settore della somministrazione alimenti e bevande interamente sovrapponibile alla materia del commercio.

La stessa legge 11 giugno 1971, n. 426, sul commercio, al suo interno teneva separate le norme sul commercio in senso stretto, all’ingrosso ed al dettaglio, da quelle riguardanti la somministrazione al pubblico di alimenti o bevande in sede fissa.

In seguito i caratteri di specialità si sono accentuati con l’approvazione delle leggi 25 agosto 1991, n. 287 e 5 gennaio 1996, n. 25.

Il Dlgs. 31 marzo 1998, n. 114, ha liberalizzato la materia del commercio, ma non è intervenuto sul settore della somministrazione di alimenti e bevande, che ha continuato ad essere regolato sulla base dei principi del contingentamento e della programmazione economica previsti dalle leggi 25 agosto 1991, n. 287 e 5 gennaio 1996, n. 25.

Tale conclusione è confermata dalla definizione dell’ambito di applicazione del Dlgs. 114 cit. (l’art. 4, comma 1, lett. b, afferma che per “commercio al dettaglio” si intende “l’attività svolta da chiunque professionalmente acquista merci in nome e per conto proprio e le rivende, su aree private in sede fissa o mediante altre forme di distribuzione, direttamente al consumatore finale”) e dalla mancata abrogazione espressa delle norme sulla somministrazione ad opera dell’art. 26, comma 6, del Dlgs. 31 marzo 1998, n. 114, il quale, all’opposto, menziona la legge 25 agosto 1991, n. 287, al solo fine di fare salve dall’abrogazione le norme in materia di iscrizione al registro degli esercenti il commercio per l'attività di somministrazione contenute nella legge 11 giugno 1971, n. 426, e del DPR 4 agosto 1988, n. 375, recante il relativo regolamento di esecuzione.

Può pertanto affermarsi che il Dlgs. 31 marzo 1998, n. 114, non ha abrogato la normativa relativa alla disciplina della somministrazione alimenti e bevande (cfr. Tar Veneto, Sez. III, 4 ottobre 2008, n. 3209).

In senso contrario si era espressa una pronuncia rimasta isolata (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 21 giugno 2007, n. 3330) e che deve intendersi superata sia dalla normativa statale e regionale sopravvenute (cfr. il decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, in legge 4 agosto 2006, n. 248 e la legge regionale 21 settembre 2007, n. 29), che dalla stessa giurisprudenza del medesimo Consiglio di Stato, il quale, con decisione della Sez. V, 5 maggio 2009, n. 2808, nell’applicare la medesima normativa ad una fattispecie del tutto analoga a quella precedentemente scrutinata, ha ricondotto l’effetto abrogativo della previgente normativa in materia di somministrazione alimenti e bevande non al Dlgs. 31 marzo 1998, n. 114, che riguarda il commercio, ma al decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, in legge 4 agosto 2006, n. 248, che per sua espressa previsione si applica anche al settore dei pubblici esercizi di somministrazione di alimenti e bevande.

Ciò comporta che devono essere respinte le censure con le quali la Società ricorrente lamenta la violazione dei principi in materia di liberalizzazione previsti dal Dlgs. 31 marzo 1998, n. 114.

5.2 Quanto alla dedotta incompatibilità della programmazione comunale con il decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, in legge 4 agosto 2006, n. 248, il Collegio osserva quanto segue.

Il decreto legge all’art. 3, comma 1, ha disposto che le attività commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e quelle di somministrazione di alimenti e bevande, sono svolte senza “il rispetto di limiti riferiti a quote di mercato predefinite o calcolate sul volume delle vendite a livello territoriale sub regionale”.

Il seguente comma 3, ha abrogato, dalla sua entrata in vigore, e, cioè, dal 4 luglio 2006, “le disposizioni legislative e regolamentari statali di disciplina del settore della distribuzione commerciale incompatibili con le disposizioni di cui al comma 1”. Il comma 4, infine, ha disposto che “le regioni e gli enti locali adeguano le proprie disposizioni legislative e regolamentari ai principi e alle disposizioni di cui al comma 1 entro il 1 gennaio 2007”.

Come ha ora chiarito la sopra citata pronuncia del Consiglio di Stato, Sez. V, 5 maggio 2009, n. 2808, che ha confermato la sentenza Tar Lombardia, Milano, Sez. IV, 12 novembre 2007 n. 6259 e costituisce oggi un sicuro punto di riferimento per la ricostruzione della normativa vigente in materia, le norme regionali e degli enti locali fondate sul rispetto di predeterminati limiti quantitativi non più compatibili con la legislazione statale in materia di concorrenza (che ai sensi dell’art. 117, primo comma, lett. e, della Costituzione e dell’art. 1, comma 2, della legge 5 giugno 2003, n. 131, prevale ed ha effetto abrogante delle difformi normative statali e locali anche di dettaglio) dal 1 gennaio 2007 hanno perso efficacia.

Ai fini della disamina del caso controverso è tuttavia necessario delimitare con precisione il significato e la portata delle disposizioni del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, in legge 4 agosto 2006, n. 248, e della pertinente disciplina del Comune di Venezia, in quanto l’abrogazione implicita della normativa locale presuppone vi sia una relazione di obiettivo contrasto fra norma successiva e norma precedente, tale da rendere impossibile, per incompatibilità, la contemporanea applicazione di entrambe alla medesima fattispecie.

5.3 Contrariamente a quanto sostiene la Società ricorrente nelle proprie difese, l’art. 3, al comma 1, lett. d), del decreto legge non ha vietato, in un’ottica di deregolamentazione del settore, qualsiasi intervento programmatorio o autoritativo da parte dei pubblici poteri in materia, ma si è limitato ad eliminare atti di pianificazione fondati sul rispetto di predeterminati limiti quantitativi, disponendo che le attività di somministrazione di alimenti e bevande debbono potersi svolgere senza “il rispetto di limiti riferiti a quote di mercato predefinite o calcolate sul volume delle vendite a livello territoriale sub regionale”.

Ne discende che, come ha ora chiarito al punto 7 in diritto la pronuncia del Consiglio di Stato, Sez. V, 5 maggio 2009, n. 2808, eventuali “limitazioni all’apertura di nuovi esercizi commerciali sono astrattamente possibili purché non si fondino su quote di mercato predefinite o calcolate sul volume delle vendite, ossia, in altri termini, sull’apprezzamento autoritativo dell’adeguatezza dell’offerta alla presunta entità della domanda”.

Debbono pertanto ritenersi senz’altro abrogati e non più proponibili limitazioni di programmazione economica di stampo dirigistico fondate sul rispetto di predeterminati limiti quantitativi non conformi al principio della libera concorrenza, ma resta ferma invece la possibilità di altri interventi limitativi collegati alla tutela di valori di rango equivalente al principio di libera iniziativa economica, che non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale.

5.4 Sotto questo profilo deve rilevarsi che non tutte le disposizioni limitative comunali richiamate dal diniego impugnato e dall’ordinanza sindacale n. 384 del 20 luglio 2007, si ispirano al fine di limitare l’autonomia imprenditoriale con finalità di programmazione economica.

5.5 La presenza o meno di esercizi commerciali e ancor più di esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, produce rilevanti conseguenze di carattere urbanistico e sociale (che gli economisti definiscono come esternalità) anche negative sul territorio, delle quali si è fatto carico l’art. 4 del decreto-legge 9 dicembre 1986, n. 832, convertito, con modificazioni, in legge 6 febbraio 1987, n. 15, per il quale “al fine di tutelare le tradizioni locali ed aree di particolare interesse del proprio territorio, i comuni possono stabilire voci merceologiche specifiche nell'ambito delle tabelle di cui all'art. 37 della legge 11 giugno 1971, n. 426, e nuove classificazioni in deroga a quelle previste dall'art. 3 della legge 14 ottobre 1974, n. 524, nonché, limitatamente agli esercizi commerciali, agli esercizi pubblici ed alle imprese artigiane, le attività incompatibili con le predette esigenze”.

Tale norma, è stata sì abrogata dall’art. 26, comma 6, del Dlgs. 31 marzo 1998, n. 114, ma per essere sostituita, in una linea di sostanziale continuità, da altre disposizioni di analoga valenza previste dal medesimo decreto legislativo, atteso che i processi di superamento della pianificazione economica a vantaggio della concorrenza, rafforzano l’esigenza di evitare che le liberalizzazioni possano andare a discapito dell'ordinato assetto del territorio e del perseguimento di altre esigenze pubbliche di interesse generale.

Infatti il Dlgs. 31 marzo 1998, n. 114, mira ad una regolamentazione del settore finalizzata a contemperare i principi e i valori della concorrenza con la salvaguardia delle aree urbane, dei centri storici, della pluralità tra diverse tipologie delle strutture commerciali e della funzione sociale svolta dai servizi commerciali di prossimità.

Per l’art. 1, comma 3, lett. b), d), ed e) del Dlgs. 31 marzo 1998, n. 114, la disciplina sul commercio persegue anche le finalità della “tutela del consumatore, con particolare riguardo (…) alla possibilità di approvvigionamento, al servizio di prossimità”, del “pluralismo ed equilibrio tra le diverse tipologie delle strutture distributive e le diverse forme di vendita”, e della “valorizzazione e salvaguardia del servizio commerciale nelle aree urbane, rurali, montane, insulari”.

L’art. 6 attua tali principi prevedendo una programmazione della rete distributiva che:

- renda “compatibile l'impatto territoriale e ambientale degli insediamenti commerciali con particolare riguardo a fattori quali la mobilità, il traffico e l'inquinamento e valorizzare la funzione commerciale al fine della riqualificazione del tessuto urbano, in particolare per quanto riguarda i quartieri urbani degradati al fine di ricostituire un ambiente idoneo allo sviluppo del commercio” (art. 6, comma 1, lett. c);

- salvaguardi e riqualifichi “i centri storici anche attraverso il mantenimento delle caratteristiche morfologiche degli insediamenti e il rispetto dei vincoli relativi alla tutela del patrimonio artistico ed ambientale” (art. 6, comma 1, lett. d);

- favorisca “gli insediamenti commerciali destinati al recupero delle piccole e medie imprese già operanti sul territorio interessato, anche al fine di salvaguardare i livelli occupazionali reali e con facoltà di prevedere a tale fine forme di incentivazione” (art. 6, comma 1, lett. f);

- individui “i limiti ai quali sono sottoposti gli insediamenti commerciali in relazione alla tutela dei beni artistici, culturali e ambientali, nonché dell'arredo urbano, ai quali sono sottoposte le imprese commerciali nei centri storici e nelle località di particolare interesse artistico e naturale” (art. 6, comma 2, lett. b);

- tenga conto dei “centri storici, al fine di salvaguardare e qualificare la presenza delle attività commerciali e artigianali in grado di svolgere un servizio di vicinato, di tutelare gli esercizi aventi valore storico e artistico ed evitare il processo di espulsione delle attività commerciali e artigianali” (art. 6, comma 3, lett. c).

E’ pertanto alla luce del contemperamento operato dallo stesso legislatore statale tra la pluralità di questi interessi che deve essere considerata anche l’operatività della liberalizzazione degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, la quale può pertanto subire limitate restrizioni da parte della disciplina regionale e locale in materia di commercio, giustificate, nello stretto rispetto di principi di proporzionalità ed adeguatezza, dalla necessità di salvaguardare tali obiettivi di interesse generale (cfr. Tar Veneto, Sez. III, 20 dicembre 2004, n. 4393).

Alla luce di tali premesse appaiono tutt’ora compatibili con il nuovo regime atti programmatori comunali di individuazione di aree di particolare interesse storico ed artistico, archeologico ed architettonico, o di particolare interesse ambientale o ancora caratterizzate da consolidate tradizioni locali, nelle quali l’attività di somministrazione di alimenti e bevande sia vietata o sottoposta a limitazioni in ragione dell’incompatibilità con la natura di dette aree.

5.6 Come sopra sottolineato, il diniego di cui al provvedimento prot. n. 238874 del 4 giugno 2008, impugnato con i primi motivi aggiunti, si fonda su due autonomi capi di motivazione, posto che non si limita a richiamare solo il contingentamento numerico previsto dalle leggi 25 agosto 1991, n. 287, e 5 gennaio 1996, n. 25, ma, richiamandosi all’ordinanza sindacale n. 384 del 20 luglio 2007, fa riferimento anche alla peculiare disciplina dettata per una limitata porzione del centro storico della città di Venezia, il Sestiere di San Marco, per la quale, come già osservato nella sentenza della Sezione 21 aprile 2010, n. 1495, in applicazione dell’art. 4 del decreto-legge 9 dicembre 1986, n. 832, convertito, con modificazioni, in legge 6 febbraio 1987, n. 15, è stata dettata una specifica disciplina restrittiva introdotta con l’ordinanza sindacale n. 406 del 17 dicembre 2003.

Infatti, il punto 2 del dispositivo dell’ordinanza sindacale n. 384 del 20 luglio 2007, prevede che “per i motivi di tutela e salvaguardia del centro storico, nel Sestiere di San Marco non possono essere comunque consentiti trasferimenti che comportino un aumento del numero dei locali” e, come già osservato nella citata sentenza della Sezione 21 aprile 2010, n. 1495, la precedente ordinanza sindacale n. 406 del 17 dicembre 2003, perseguendo le medesime finalità di tutela, aveva precisato che:

- vi è l’opportunità di stabilire “per il sestiere di San Marco una particolare tutela al fine di evitare la progressiva espansione di attività monoculturali legate al turismo a danno della possibilità della residenza di rimanervi o di insediarsi”;

- “l’effetto più rilevante di questa conformazione monotematica del territorio del sestiere di San Marco ha portato e continua a portare ad un deformazione aberrante del mercato edilizio, deformazione dei prezzi delle locazioni che comporta una conseguente lievitazione dei prezzi dei servizi e dei beni posti in vendita nel sestiere”;

- vi è pertanto la necessità di intervenire con “misure di contenimento della concentrazione di pubblici esercizi in questa delicata area del centro storico, dove si stanno diradando preoccupantemente le normali attività collegate alla presenza di residenti fissi (nel sestiere sono pressoché spariti i negozi di alimentari, rimasti ormai a pochissime unità – sei in tutto – e, peraltro, con prezzi comparativi ben più alti rispetto ai negozi della terraferma ed anche degli altri sestieri del centro storico);

- nell’area vi è un altissimo numero di esercizi di somministrazione ed è opportuno il loro insediamento lungo tutti i percorsi cittadini anche al fine di diradare l’affluenza turistica nel complesso del centro storico;

- una “migliore e più uniforme distribuzione del numero dei pubblici esercizi, e dei visitatori, a Venezia contribuisce a tutelare la destinazione e l’uso del patrimonio storico artistico culturale e quindi a preservarne l’unicità e specialità internazionalmente conosciuta (…) in linea con i principi fondamentali della Costituzione (art. 9) e di tutte le misure approvate dal Comune per regolare la trasformazione urbanistica del territorio che non ne stravolga la tradizionale compenetrazione tra usi il più possibile diversificati”;

- la normativa di tutela dei beni culturali ed ambientali sancisce che “questi non possono essere adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico od artistico, oppure tali da creare pregiudizio alla loro conservazione od integrità”.

Dalla lettura delle motivazioni che sorreggono la disciplina restrittiva dettata per il Sestiere di San Marco, emerge che si tratta di limitazioni che non sono volte a porre “limiti riferiti a quote di mercato predefinite o calcolate sul volume delle vendite a livello territoriale sub regionale”, ma dirette a tutelare interessi pubblici di carattere generale che, in quanto tali, non si pongono in una relazione di incompatibilità con le disposizioni previste dal decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, in legge 4 agosto 2006, n. 248.

Pertanto, considerato che l’istanza è volta al rilascio di un’autorizzazione per l’apertura di un locale nel Sestiere di San Marco, e che le limitazioni previste dal Comune per tale area, espressamente indicate nell’ordinanza sindacale n. 384 del 20 luglio 2007, a sua volta richiamata dal diniego formulato con provvedimento prot. n. 238874 del 4 giugno 2008, non appaiono incompatibili con la normativa sopravvenuta, i provvedimenti impugnati resistono alle censure proposte, e il ricorso deve essere respinto.

6. Poste tali premesse, in ragione della natura vincolata dell’impugnato diniego, deve ritenersi raggiunta la prova che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato e, ai sensi dell’art. 21 octies della legge 7 agosto 1990, n. 241, deve conseguentemente essere respinte le censure di cui al decimo dei motivi aggiunti, sopra rubricato come XVIII), di violazione degli artt. 7, 8, 10 e 10 bis della medesima legge.

Il capo di motivazione del diniego che si fonda sulle esigenze di salvaguardia del Sestiere di San Marco è di per sé idoneo a supportare la legittimità degli atti impugnati, e non è pertanto necessario esaminare la censura di cui all’undicesimo dei motivi aggiunti, sopra rubricato come XIX), con cui si contesta l’autonomo capo di motivazione del diniego contenuto nel provvedimento prot. n. 238874 del 4 giugno 2008, che fa riferimento all’intervenuta entrata in vigore della legge regionale 21 settembre 2007, n. 29, così come non è necessario esaminare la censura di cui al settimo motivo del ricorso originario, ove si lamenta la mancata attualizzazione delle esigenze del mercato.

In definitiva il ricorso deve essere dichiarato in parte improcedibile, in parte inammissibile, e in parte respinto, e conseguentemente devono essere respinte le domande di risarcimento.

La novità e complessità delle questioni trattate giustifica l’integrale compensazione delle spese tra le parti del giudizio.

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