TAR Torino, sez. II, sentenza 2009-01-23, n. 200900212
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Testo completo
N. 00212/2009 REG.SEN.
N. 01012/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1012 del 2008, proposto da:
E Z, rappresentato e difeso dall'avv. O O, con domicilio eletto presso il suo studio in Torino, via Ogliaro n. 1;
contro
Ministero dell'interno;
Questura di Torino;
per l'annullamento
del silenzio rifiuto formatosi sull'istanza del 7.6.2007 di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, presentata ai sensi dell'art. 5 comma 6 del D.Lgs. 286/1998, e di riflesso dell'art. 11 comma 1 lett. c-ter) del D.P.R. 394/1999, stante il parere favorevole della Commissione territoriale per il riconoscimento dello status di rifugiato presso l'U.t.g. di Milano, formulato con decreto Id. AT 4056 del 12.4.2007,
e per l'effetto
per l'accoglimento della domanda contenuta nell'istanza, previa declaratoria del diritto del ricorrente di ottenere il permesso di soggiorno per motivi umanitari ai sensi dell'art. 5 comma 6 del D.Lgs. 286/1998 e dell'art. 11 comma 1 lett. c-ter) del D.P.R. 394/1999, con espressa previsione della possibilità di svolgere attività lavorativa;
con richiesta di nomina di un commissario ad acta nell'ipotesi di inottemperanza amministrativa alla emananda statuizione cognitoria;
con condanna della P.A. al pagamento delle spese processuali e delle competenze difensive dell'instaurato giudizio, oltre rimborso forfettario, IVA e CPA come per legge.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 9/1/2009 il dott. Richard Goso e uditi per le parti i difensori intervenuti, come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
E Z, cittadino della Guinea Equatoriale, riferisce di aver chiesto, in data 18 novembre 2005, il riconoscimento dello status di rifugiato e che la relativa istanza venne dichiarata irricevibile dal Questore di Torino con atto in pari data.
Detto provvedimento era successivamente revocato dal Questore, cosicché il ricorrente, in data 19 aprile 2006, presentava alla Questura di Torino una nuova istanza per il riconoscimento dello status di rifugiato.
La competente Commissione territoriale, nella seduta del 12 aprile 2007, si esprimeva negativamente in ordine all’istanza de qua, rilevando però “che sussiste nei confronti dell’interessato l’esigenza di assicurare protezione umanitaria, in considerazione dell’etnia di appartenenza”.
Per tali ragioni, con lo stesso verbale del 12 aprile 2007, la Commissione chiedeva al questore l’applicazione del’articolo 5, comma 6, del testo unico delle disposizioni in materia di immigrazione.
Anche l’interessato si attivava in tal senso, chiedendo al Questore di Torino, in data 7 giugno 2007, il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Nonostante i solleciti del privato, l’organo periferico dell’Amministrazione dell’interno non si determinava definitivamente in ordine all’istanza.
Nelle more, con nota del 16 giugno 2007, la Questura di Torino aveva proposto alla Commissione di rivalutare la sussistenza dei requisiti per il rilascio del permesso per motivi umanitari, in relazione ai procedimenti penali a carico dello straniero per reati inerenti gli stupefacenti.
Non risulta che la Commissione abbia offerto riscontri al riguardo o sia addivenuta a diverse determinazioni.
Ciò premesso, con ricorso ritualmente notificato in data 27 giugno 2008, l’interessato ha impugnato il silenzio rifiuto asseritamente formatosi sull’istanza di rilascio del permesso di soggiorno, rilevando come nella fattispecie sia ampiamente decorso il termine di venti giorni per la definizione del procedimento previsto dall’articolo 5, comma 9, del testo unico.
Il ricorrente, inoltre, argomenta in merito alla fondatezza della richiesta di rilascio e chiede, conseguentemente, la declaratoria del suo diritto a conseguire l’autorizzazione al soggiorno per motivi umanitari.
Con ordinanza collegiale n. 65 del 25 settembre 2008, sono stati disposti incombenti istruttori.
L’ordine istruttorio, rinnovato con provvedimento n. 77 del 13 novembre 2008, è stato infine ottemperato dalla Questura di Torino che, in data 15 dicembre 2008, depositava agli atti del giudizio un rapporto informativo.
Chiamato all’udienza camerale del 9 gennaio 2008, il ricorso è stato ritenuto in decisione.
DIRITTO
La presente controversia ha ad oggetto la legittimità del silenzio rifiuto che si assume formatosi sulla richiesta di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari presentata dal ricorrente alla Questura di Torino in data 7 giugno 2007, a seguito di conforme sollecitazione formulata dalla Commissione territoriale per il riconoscimento dello status di rifugiato nella seduta del 12 aprile 2007.
Il ricorrente chiede, inoltre, che il giudice adito dichiari il suo diritto a conseguire il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Quanto alla prima domanda, il ricorso è palesemente fondato, atteso che l’amministrazione ha omesso di pronunciarsi definitivamente sull’istanza di rilascio del permesso di soggiorno nei termini normativamente prescritti.
L’articolo 5, comma 9, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, prevede, infatti, che “il permesso di soggiorno è rilasciato, rinnovato o convertito entro venti giorni dalla data in cui è stata presentata la domanda, se sussistono i requisiti e le condizioni previsti dal presente testo unico e dal regolamento di attuazione per il permesso di soggiorno richiesto ovvero, in mancanza di questo, per altro tipo di permesso da rilasciare in applicazione del presente testo unico”.
In forza di tale disposizione, pertanto, la Questura di Torino era tenuta a determinarsi definitivamente circa il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari entro venti giorni dalla data della relativa istanza, presentata dall’interessato in data 7 giugno 2007.
Nella fattispecie, comunque, risulta ampiamente scaduto anche il termine generale di novanta giorni previsto per la conclusione del procedimento dall’articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, né ricorrono le ipotesi di sospensione dei termini previste dal quarto comma dello stesso articolo 2 per l’acquisizione di valutazioni tecniche e di informazioni o certificazioni non in possesso dell’amministrazione procedente o di altre amministrazioni.
La prolungata inerzia dell’amministrazione, inoltre, non può essere giustificata (come pretenderebbe la Questura di Torino nel rapporto informativo in atti) con riferimento alla richiesta di un nuovo parere inoltrata alla Commissione territoriale, trattandosi di adempimento non necessario (anzi, di ingiustificato aggravio procedimentale) che non scioglie il questore dall’obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso.
Per quanto sopra argomentato, il ricorso deve essere accolto nella parte in cui si impugna il silenzio rifiuto e, per l’effetto, va dichiarato l’obbligo della Questura di Torino di pronunciarsi sull’istanza di rilascio del permesso per motivi umanitari, con un provvedimento espresso, nel termine di trenta giorni dalla comunicazione in via amministrativa o, se anteriore, dalla notificazione della presente sentenza.
Si impone una diagnosi di inammissibilità, invece, in ordine alla distinta domanda giudiziale per l’accertamento della fondatezza dell’istanza di rilascio del permesso di soggiorno.
L’articolo 21 bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, aggiunto dall’articolo 2 della legge 21 luglio 2000, n. 205, prevede, infatti, uno specifico rimedio processuale avverso il silenzio dell’amministrazione caratterizzato, tra l’altro, dai poteri attribuiti al giudice amministrativo che, in caso di accoglimento del ricorso, ordina all’amministrazione di provvedere entro un certo termine.
L’articolo 2, comma 5, della legge 7 agosto 1990, n. 241, nel testo sostituito dall’articolo 3, comma 6 bis, del decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, come convertito nella legge 14 maggio 2005, n. 80, stabilisce, invero, che il giudice amministrativo possa conoscere della fondatezza dell’istanza.
Quest’ultima previsione, peraltro, non può interpretarsi quale imposizione dell’obbligo di provvedere in ogni caso sulla fondatezza dell’istanza, ma (come reso palese dall’espressione “può conoscere”) esclusivamente quale opzione rimessa al giudice che, alla luce della richiamata disciplina in materia di impugnazione del silenzio rifiuto, va circoscritta alle ipotesi di manifesta fondatezza o infondatezza della pretesa sostanziale azionata in giudizio.
Deve escludersi tale opzione, quindi, laddove l’amministrazione risulti titolare di un potere discrezionale rispetto al provvedimento reclamato, come avviene sicuramente nel caso in cui sia richiesto il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari: infatti, giusta la previsione dell’articolo 5, comma 6, del decreto legislativo n. 286/1998, la relativa determinazione presuppone una valutazione di natura eminentemente discrezionale circa la sussistenza di seri motivi, in particolare di carattere umanitario, atti a giustificare la permanenza dello straniero nel territorio nazionale (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. II quater, 20 luglio 2006, n. 6137).
Il carattere discrezionale della decisione che il questore è chiamato ad assumere è stato recentemente confermato, d’altronde, dall’articolo 32, comma 3, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 32, di attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, ove si afferma che il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari costituisce, nonostante la proposta della Commissione territoriale, un esito eventuale (e non necessitato) del procedimento di riconoscimento della protezione internazionale.
Il ricorso, in conclusione, appare inammissibile nella parte in cui si chiede l’accertamento della fondatezza dell’istanza di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari presentata dal ricorrente.
Si ravvisano giusti motivi per compensare tra le parti le spese del grado di giudizio.