TAR Roma, sez. II, sentenza 2023-03-13, n. 202304279

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. II, sentenza 2023-03-13, n. 202304279
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202304279
Data del deposito : 13 marzo 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/03/2023

N. 04279/2023 REG.PROV.COLL.

N. 14146/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 14146 del 2022, proposto da:
M B, A B, G C, P R, D C, L D G, I D, D D R, P D R, Cesarina D'Inca', L F, J F, E L, G M, G M, N M, E M, L P, A P, V S, V S, Ennia Straga', A V T, B V T, R V T, E Z, A R, G B, M P B, P S, C F, P D V, B U, M D B, rappresentati e difesi dagli avvocati F R, Corrado Zasso, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'accertamento

dell'illegittimità del silenzio serbato dal Ministero dell'Economia e delle Finanze e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri sulle istanze di cui alle diffide inoltrate dai ricorrenti, tra il 30/03/2022 e il 10/05/2022, al fine di richiedere espressamente l'adozione dei provvedimenti di attuazione del fondo per le vittime delle truffe finanziarie ex art. 1, comma 343, della Legge 23 dicembre 2005, n. 266;

- per l'accertamento dell'obbligo del Ministero dell'Economia e delle Finanze e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri di provvedere all'adozione dei provvedimenti di attuazione del fondo per le vittime delle truffe finanziarie ex art. 1, comma 343, della Legge 23 dicembre 2005, n. 266, inoltrata dei ricorrenti tra il 30/03/2022 e il 10/05/2022;

nonché per la condanna del Ministero dell'Economia e delle Finanze e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri ad adottare i provvedimenti di attuazione del fondo per le vittime delle truffe finanziarie ex art. 1, comma 343, della Legge 23 dicembre 2005, n. 266;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero dell'Economia e delle Finanze;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 25 gennaio 2023 il dott. Igor Nobile e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso notificato a mezzo pec in data 22.11.2022 alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed al Ministero dell’Economia e delle Finanze domiciliati ex lege presso l’Avvocatura Generale dello Stato, tempestivamente depositato il 23.11.2022, i ricorrenti in epigrafe hanno adito questo Tribunale ex artt.31-117 cpa:

- per l’accertamento dell’illegittimità del silenzio serbato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri sulle istanze di cui alle diffide inoltrate dai ricorrenti, tra il 30/03/2022 e il 10/05/2022, al fine di richiedere espressamente l’adozione dei provvedimenti di attuazione del fondo per le vittime delle truffe finanziarie ex art. 1, comma 343, della Legge 23 dicembre 2005, n. 266;

- per l’accertamento dell’obbligo del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri di provvedere all’adozione dei provvedimenti di attuazione del fondo per le vittime delle truffe finanziarie ex art. 1, comma 343, della Legge 23 dicembre 2005, n. 266, inoltrata dei ricorrenti tra il 30/03/2022 e il 10/05/2022;

- nonché per la condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri ad adottare i provvedimenti di attuazione del fondo per le vittime delle truffe finanziarie ex art. 1, comma 343, della Legge 23 dicembre 2005, n. 266.

2. Con l’odierna iniziativa processuale i ricorrenti, vittime di truffa finanziaria originata dalla medesima vicenda (come rappresentata nella narrativa del ricorso), intendono stigmatizzare l’inerzia delle Amministrazioni intimate ai fini della effettiva costituzione e attivazione del fondo previsto dall’art.1, co.343 della Legge 23 dicembre 2005, n. 266, in esito all’infruttuoso decorso del termine assegnato con diffide notificate, nell’interesse dei diversi ricorrenti, tra il 30.3.2022 e il 10.5.2022.

3. In data 7.12.2022 si costituiva in giudizio l’Avvocatura Generale dello Stato, nell’interesse di entrambe le Amministrazioni intimate, per resistere al ricorso.

4. Con istanza depositata il 19.1.2023 l’Avvocatura Generale dello Stato faceva istanza di rinvio per la trattazione della camera di consiglio, fissata il 25.1.2023, assumendo di avere ricevuto l’avviso di fissazione d’udienza solo il 19.1.2023, e quindi asseritamente in violazione dei termini a difesa ex artt.73 e 87 cpa.

5. Successivamente, con memoria depositata il 21.1.2023, l’Avvocatura erariale, pur reiterando la richiesta di rinvio della trattazione, chiedeva (in via subordinata) la rimessione dei termini a difesa ex art.37 cpa, per l’effetto disponendo l’ammissione della memoria difensiva, nella quale controdeduceva quanto di seguito esposto in sintesi, e come meglio articolato nel relativo atto:

- in rito:

a) la richiesta di differimento della camera di consiglio per la trattazione del ricorso, in quanto l’avviso di fissazione dell’udienza è pervenuto dalla Segreteria del Tribunale il 19.1.2023, ossia in data incompatibile per l’esplicazione della rituale attività defensionale, in applicazione dei termini ex artt.73, 87 cpa. In via subordinata, si chiede disporsi la rimessione in termini ai fini dell’ammissione della memoria difensiva depositata il 21.1.2023, al di fuori dei termini ex art.73 cpa;

b) l’inammissibilità del ricorso per difetto assoluto di giurisdizione, ex art. 7, co. 1, ultimo periodo, c.p.a., stante l’inammissibilità di azioni giudiziarie dirette, come nella fattispecie, a compulsare gli enti intimati ad adottare atti di natura normativa (regolamentare), tale essendo la natura del decreto di cui all’art.1, co.345-novies della L.n.266/2005, come novellato ad opera della lettera e) del comma 1-bis dell’art. 4, D.L. 9 ottobre 2008, n. 155, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione 4 dicembre 2008 n. 190.

c) in via subordinata, anche nella ipotesi in cui, stante il tenore letterale della predetta disposizione, al decreto in parola fosse attribuita valenza di atto generale (e quindi non regolamentare), l’inammissibilità del ricorso, per violazione dell’art.117 cpa, posto che il rimedio del silenzio non è utilizzabile nei riguardi di tale categoria di arti, in conformità al consolidato orientamento della giurisprudenza;

d) in via ulteriormente subordinata, l’inammissibilità del ricorso per intervenuta decadenza, per tardività dell’azione, in quanto proposta oltre l’anno dalla iniziale richiesta (rif. art.31, co.2 cpa), né potendo la diffida de qua agitur valere come istanza legittimante l’azione avverso il silenzio inadempimento;

e) in via ulteriormente subordinata, il difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti, stante la mancata allegazione dei presupposti stabiliti dalla legge per l’accesso ai benefici;

- nel merito (in caso di mancato accoglimento delle censure in rito), l’infondatezza del ricorso, atteso che il Ministero dell’Economia e delle Finanze, con nota n.30626 dell’11 aprile 2022 ha spiegato le ragioni che ostano, all’attualità, all’adozione del decreto previsto dall’art.1, co.345 novies L.n.266/2005, a nulla rilevando che questo Tribunale ne abbia disposto l’annullamento per difetto di motivazione, tenuto conto della pendenza dell’appello.

Infine, l’Avvocatura erariale sottolinea l’inammissibilità della richiesta di nomina di un Commissario ad acta.

6. All’udienza del giorno 25 gennaio 2023, la causa è stata quindi trattenuta in decisione.

7. In via preliminare, il Collegio esamina la richiesta dell’Avvocatura erariale di differimento dell’udienza di trattazione, respingendola.

Sul tema dei termini processuali per il deposito delle memorie difensive nei riti camerali, e sulla irrilevanza dell’avviso di fissazione d’udienza in tali procedimenti, è sufficiente richiamare i precedenti di questa Sezione (cfr., sentenze nn. 2285/2022, 8747/2022), nei quali si è fatta applicazione dei seguenti principi:

“In considerazione della peculiare natura delle controversie indicate nell’art. 87, comma 2, c.p.a., il legislatore ha previsto che la trattazione di queste cause si svolge con un rito camerale di natura acceleratoria. Tra i giudizi soggetti al rito camerale l’art. 87, comma 2, lett. c), cit., contempla anche “il giudizio in materia di accesso ai documenti amministrativi e di violazione degli obblighi di trasparenza amministrativa”. Inoltre, l’art. 5, comma 7, d.lgs. n. 33/2013, prevede espressamente che il ricorso proposto nei confronti del diniego dell’istanza di accesso civico generalizzato è disciplinato dal rito camerale previsto dall’art. 116 c.p.a..

Il comma 3 dell’art. 87 cit. stabilisce che nei giudizi da trattare con il rito camerale [con esclusione dell'ipotesi di cui alla lettera a) del comma 2 ossia il giudizio cautelare], e fatto salvo quanto disposto dall'articolo 116, comma 1, “tutti i termini processuali sono dimezzati rispetto a quelli del processo ordinario, tranne, nei giudizi di primo grado, quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti. La camera di consiglio è fissata d'ufficio alla prima udienza utile successiva al trentesimo giorno decorrente dalla scadenza del termine di costituzione delle parti intimate. Nella camera di consiglio sono sentiti i difensori che ne fanno richiesta”.

Dunque, nel rito camerale la camera di consiglio per la trattazione della causa è “fissata d'ufficio alla prima udienza utile successiva al trentesimo giorno decorrente dalla scadenza del termine di costituzione delle parti intimate”.

Da tale disposizione discendono tre importanti conseguenze in ordine all’instaurazione del contraddittorio processuale nei riti camerali, che caratterizzano e differenziano questo rito rispetto al rito ordinario: i) la calendarizzazione dell’udienza di discussione in camera di consiglio avviene in base ad un criterio legale obiettivo e automatico, sicchè essa è sottratta all’iniziativa processuale della parte (art. 71, comma 1, cit.) e alla decisione del giudice (art. 71, comma 3, cit.);
ii) poiché la fissazione dell’udienza non è soggetta all’impulso processuale della parte, l’Ufficio di Segreteria del Tribunale non è tenuto (se non a titolo di cortesia) a inviare alle parti la comunicazione della fissazione d’udienza in cui è individuata, in base al carico del ruolo dell’udienza (art. 71, comma 5, cit. e art. 2, comma 4, Allegato 2, delle norme di attuazione al c.p.a.), la specifica udienza in cui sarà trattata la causa;
iii) poiché le parti sono rese edotte direttamente dalla legge della data dell’udienza, non trova applicazione la disciplina (art. 73, comma 1, cit.) sulla facoltà di produrre documenti e memorie prima dell’udienza di discussione fissata dal Presidente, potendosi esplicare il diritto di difesa nel rispetto della disposizione generale sulla costituzione delle parti sancita dall’art. 46, comma 1, c.p.a., entro il termine ivi previso come dimidiato ai sensi dell’art. 87, comma 3, cit.”.

Alla luce delle considerazioni su esposte, va dunque respinta l’istanza di differimento dell’udienza e, per le stesse ragioni, non va accolta quella di rimessione in termini ai sensi dell’art. 37 c.p.a..

Nondimeno, quanto alle eccezioni in rito sollevate dalla difesa erariale, confermate nel corso della discussione in camera di consiglio, non può non rilevarsi che trattandosi di eccezioni di inammissibilità del ricorso, le stesse (afferendo alla supposta assenza delle condizioni dell’azione), sono rilevabili d’ufficio in base ai principi generali del processo e, pertanto, non sono soggette a termini decadenziali (cfr., quam multis, Cass., 19.10.2022, n.30885;
Cass., 31.10.2018, n.27998;
Consiglio di Stato, 3.10.2022, n.8440;
Consiglio di Stato, 13.8.2018, n.4914).

In definitiva, quindi, la trattazione del ricorso non ha comportato alcun pregiudizio per la difesa erariale, la quale ha ampiamente controdedotto rispetto alla pretesa ex adverso formulata.

Tanto premesso, occorre quindi esaminare le eccezioni di inammissibilità sollevate dall’Avvocatura erariale, a cominciare da quella afferente al difetto di giurisdizione.

La questione implica necessariamente la ricostruzione del sotteso quadro normativo e, in modo particolare, la valutazione sulla natura del decreto di cui all’art.1, co.345-novies L.n.266/2005.

L’art.1, co.343 della L.n.266/2005 stabilisce che “Per indennizzare i risparmiatori che, investendo sul mercato finanziario, sono rimasti vittime di frodi finanziarie e che hanno sofferto un danno ingiusto non altrimenti risarcito, e' costituito, a decorrere dall'anno 2006, un apposito fondo nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze. Il fondo e' alimentato con le risorse di cui al comma 345, previo loro versamento al bilancio dello Stato”.

Il co.345 del suddetto articolo prevede a sua volta che “Il fondo e' alimentato dall'importo dei conti correnti e dei rapporti bancari definiti come dormienti all'interno del sistema bancario nonche' del comparto assicurativo e finanziario, definiti con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze;
con lo stesso regolamento sono altresi' definite le modalita' di rilevazione dei predetti conti e rapporti”. Il decreto in questione è stato adottato con D.P.R. 22 giugno 2007, n. 116.

Il co.345 novies, introdotto dall’art. 4, D.L. 9 ottobre 2008, n. 155, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione 4 dicembre 2008 n. 190, stabilisce che “Con decreto di natura non regolamentare del Presidente del Consiglio dei Ministri, da emanare su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sono stabiliti i presupposti e le procedure per ottenere gli indennizzi di cui ai commi 343 e 344, i limiti dell'indennizzo, le priorita' per l'attribuzione degli indennizzi e le eventuali ulteriori modalita' di attuazione delle disposizioni di cui ai commi da 343 a 345-octies. La

gestione del fondo di cui al comma 343 e' affidata al Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento del tesoro”.

Infine, per completare il quadro, il co.345-decies statuisce che” Con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze e' stabilita la quota del fondo di cui

al comma 343, destinata alla tutela dei soggetti di cui al medesimo comma 343 nonche' al comma 344, e sono altresi' stabilite la quota del predetto fondo destinata al finanziamento della ricerca scientifica, nonche' quella destinata in favore dei soggetti beneficiari degli interventi di cui all'articolo 81, comma 32, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, secondo le modalita' stabilite con il medesimo decreto”.

Il tema relativo al riconoscimento dell’indennizzo previsto dall’art.1, co.343 della L.n.266/2005 è stato già interessato da alcune pronunce rese da questo Tribunale (cfr., sentenze nn.2787/2022 e 4847/2022), così come da altri Tribunali Regionali, con le quali è stato disposto l’annullamento, per difetto di motivazione, delle determinazioni con cui il Ministero dell’Economia e delle Finanze, riscontrando negativamente le istanze di liquidazione, ha palesato l’impossibilità di procedere ad esaminare le richieste, stante, essenzialmente, la mancata adozione del DPCM di cui all’art.1, co.345-novies L.n.266/05. Anche nell’odierno giudizio, l’Avvocatura, nell’evidenziare il radicale difetto di giurisdizione di questo Tribunale, ribadisce l’assoluta rilevanza della circostanza relativa alla non operatività del Fondo previsto dall’art.1, co.343 ai fini della presa in carico delle istanze di indennizzo, sottolineando altresì come tale decreto, a dispetto del nomen iuris, debba essere ascritto nel novero degli atti di natura regolamentare.

Il Collegio condivide con la difesa erariale l’assunto secondo cui il DPCM in questione abbia valenza regolamentare e, ciò nondimeno, non concorda sulle conseguenze che la stessa ne trae in punto di giurisdizione nonché di violazione dell’art.117 cpa (peraltro, a tutto volere concedere, il preteso difetto riguarderebbe, in ipotesi, il solo DPCM, e non la proposta da formulare a cura del Ministero dell’Economia e delle Finanze, atto distinto dal DPCM).

Sebbene l’art.1, co.345-novies escluda, letteralmente, la natura regolamentare, sulla base del criterio della prevalenza della sostanza sulla forma si ritiene che le funzioni assegnate a tale atto dal legislatore, nella misura in cui si prevede la necessità di determinare, fra l’altro, i presupposti per il riconoscimento dell’indennizzo, la misura di tale ristoro e le priorità nell’attribuzione dei relativi benefici, siano idonei a conferire intrinseca valenza regolamentare. Trattasi, in effetti, non solo di scelte caratterizzate da ampia discrezionalità, ma implicanti l’effetto di introdurre regole generali e astratte, come tali innovative dell’ordinamento giuridico.

Tuttavia, contrariamente alla tesi sostenuta dalla difesa erariale, il rimedio dell’azione ex artt.31-117 cpa non è, perlomeno in modo assoluto, incompatibile con i regolamenti (e a maggior ragione con gli atti amministrativi generali).

L’ordinamento non reca infatti una disposizione contraria in linea di principio ad ammettere siffatta possibilità, ove si consideri che l’art.7, co.1, ultimo periodo, cpa, fa riferimento agli atti che il Governo adotta nell’esercizio del potere politico, inibendo la possibilità di impugnazione (“Non sono impugnabili gli atti o provvedimenti emanati dal Governo nell'esercizio del potere politico”).

I regolamenti (inclusi quelli che rivestono la forma del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri), tuttavia, sono atti formalmente amministrativi (sia pure sostanzialmente normativi), come tali di regola (sussistendo le condizioni rituali dell’azione quali la legittimazione e l’interesse) impugnabili innanzi al giudice amministrativo (circostanza invero indubitabile) a differenza, ad esempio, degli atti aventi valenza legislativa (come i decreti legge e i decreti legislativi) e, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, anche disapplicabili se contra legem.

Anche con riguardo alla nozione stessa di “atto politico”, la giurisprudenza (cfr., Consiglio di Stato, 7.6.2022, n.4636) ravvisa la necessità di un doppio requisito: soggettivo (la provenienza dell’atto dal Governo), e uno oggettivo (l’idoneità dell’atto ad esprimere le funzioni di indirizzo politico, al massimo livello della cosa pubblica).

Nella fattispecie, difettano entrambi i requisiti, tenuto conto che il decreto è adottato dal Presidente del Consiglio dei Ministri e che, in termini funzionali, l’atto costituisce attuazione della norma legislativa, la quale (rif. art.1, co.345 novies) prevede che il DPCM sia emanato, su proposta del Ministro dell’Economia e delle Finanze, “entro trenta giorni” dall’entrata in vigore della disposizione (come detto, introdotta dall’art. 4, D.L. 9 ottobre 2008, n. 155, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione 4 dicembre 2008 n. 190).

La circostanza che sia direttamente la norma primaria a sancire l’obbligatorietà dell’adozione di siffatto decreto, entro un termine previamente fissato dalla norma stessa per l’adempimento, è dirimente allo scopo di valutare, in astratto, l’ammissibilità dell’azione, giacchè è la norma primaria a sancire l’obbligo di adottare gli atti attuativi necessaria alla costituzione del Fondo per indennizzare le vittime di truffe finanziarie, stabilendo la relativa tempistica, nel caso inutiliter decorsa da quasi quindici anni.

Per converso, opinare in senso assolutamente contrario all’ammissibilità della tutela avverso il silenzio inadempimento, significherebbe:

- legittimare le Amministrazioni resistenti a violare il chiaro obbligo posto dalla legge;

- lasciare gli interessati sprovvisti di ogni forma di tutela, nonostante la voluntas legis, e in chiara violazione del principio, di rilievo costituzionale ed eurounitario, di effettività della tutela giurisdizionale.

Anche il Consiglio di Stato non ha mancato di evidenziare in alcune condivisibili pronunce come, a fronte di un obbligo puntuale stabilito dalla legge, che rende vicolato nell’an (e temporalmente predefinito) l’esercizio dell’attività diretta ad adottare atti regolamentari o comunque a contenuto generale, l’azione avverso il silenzio sia ammissibile (cfr., Consiglio di Stato, 11.6.2018, n.3550;
Consiglio di Stato, 17.10.2018, n.5934;
Consiglio di Stato, 2.9.2019, n.6048).

Afferma chiaramente al riguardo il supremo Consesso della Giustizia Amministrativa nella sentenza n.3550/2018:

“ L’art. 7 c.p.a. comma 1 ultima parte, riproduttivo di una norma di principio già contenuta nell’art. 31 del T.U. 26 giugno 1924 n.1054, stabilisce che “Non sono impugnabili gli atti o provvedimenti emanati dal Governo nell'esercizio del potere politico”, potere che la norma non definisce esplicitamente.

Ciò posto, per costante giurisprudenza – nei termini, per tutte, C.d.S. sez. IV 29 febbraio 2016 n.808, 18 novembre 2011 n.6083 e 29 febbraio 1996 n.217- l’atto politico è tale soltanto se risponde a due requisiti entrambi necessari, l’uno soggettivo e l’altro oggettivo.

Sotto il profilo soggettivo, esso deve provenire da un organo preposto all'indirizzo e alla direzione della cosa pubblica al massimo livello, quale è anzitutto il Governo menzionato dalla norma.

Sotto il profilo oggettivo, esso si caratterizza per essere libero nei fini, perché riconducibile alle supreme scelte in materia di costituzione, salvaguardia e funzionamento dei pubblici poteri.

La giurisprudenza costituzionale – fra le molte, C. cost. 5 aprile 2012 n.81 e 19 marzo 1993 n.103, ha poi precisato, seguita dalle sentenze citate, in particolare da C.d.S. 808/2016, che il relativo concetto è di stretta interpretazione, e va confinato entro limiti rigorosi, poiché diversamente si svuoterebbe di contenuto la tutela giurisdizionale, che la Costituzione garantisce come principio supremo, in generale all’art. 24 e in particolare all’art. 113 contro “tutti” gli atti della pubblica amministrazione. Le sentenze della Corte hanno infatti osservato che in uno Stato di diritto il potere politico deve comunque rispettare i canoni di legalità che il legislatore abbia ritenuto di predeterminare, anche nell’esercizio dell’amplissimo potere discrezionale che caratterizza l’azione di governo. Concorde sul punto, nel senso che l’area della immunità dalla giurisdizione debba essere contenuta entro limiti ristretti, anche la Cassazione, per tutte SS. UU: 28 giugno 2013 n.16305.

Applicando i principi appena delineati al caso di specie, la configurabilità di un atto politico va esclusa.

Secondo la prospettazione dell’Avvocatura, l’atto insindacabile nel caso di specie sarebbe rappresentato dalla decisione del Governo di non emanare ancora, ovvero di non emanare del tutto, il regolamento attuativo della l. 508/1999 di cui s’è detto.

Già in questi termini, peraltro, ravvisare un “atto” di un qualche tipo, al quale riferire la qualifica di atto non impugnabile, non è immediato, dal momento che ci si trova di fronte piuttosto ad un silenzio, che nei congrui casi può essere equiparabile ad un atto per valutazione normativa, ma riveste essenzialmente una natura diversa, trattandosi di una mera inerzia. E’ allora contestabile che la logica la quale presiede alla immunità da giurisdizione degli atti politici, che è di salvaguardia delle scelte di massimo livello compiute dal Governo, si possa ravvisare di fronte all’inerzia stessa, che come tale non esprime di regola scelte di indirizzo in qualche modo consapevoli.

Anche a prescindere da tale rilievo, e quindi equiparando in via di ipotesi all’atto politico il “silenzio politico” che nella specie si configurerebbe, esso dell’atto politico avrebbe soltanto il requisito soggettivo, in quanto condotta che promana dal Governo.

Mancherebbe però il requisito oggettivo della libertà nei fini, perché nel caso in esame esiste un vincolo ben preciso all’azione del Governo posto dal legislatore, il quale ha affermato all’art. 2 comma 7 della l. 508/1999, e ribadito all’art. 19 comma 01 del d.l. 104/2013, che tale regolamento deve essere emanato, ed ha anche stabilito, nella seconda norma, un termine preciso per il relativo adempimento.

Esiste pertanto, nei termini usati dalla Corte costituzionale, un “canone di legalità”, al quale il potere discrezionale del Governo deve attenersi.

Da altro punto di vista, si può poi anche osservare che tale interpretazione risponde anche al criterio per cui alle norme giuridiche, ove possibile, deve essere attribuita una qualche efficacia: interpretare il comma 01 dell’art. 19 citato nel senso che il Governo non abbia in realtà alcun vincolo in proposito significherebbe darne un’interpretazione abrogatrice, che invece è evitata se si afferma che l’inutile decorso del termine ivi previsto consenta per lo meno di attivare la procedura di silenzio rifiuto.

Le considerazioni svolte, lo si aggiunge per chiarezza, riguardano soltanto l’obbligo di emanare il regolamento in quanto tale, e non toccano in alcun modo il contenuto che il Governo intenderà darvi, entro il principio costituzionale per cui i regolamenti sono subordinati alle norme primarie”.

Tanto chiarito, con il conforto della giurisprudenza richiamata a supporto, in merito alla possibilità che l’azione avverso il silenzio, a date condizioni, venga esperita anche nei riguardi degli atti a contenuto regolamentare (ma a maggior ragione la conclusione non muterebbe laddove l’atto fosse derubricato ad atto amministrativo generale), occorre esaminare le ulteriori eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa erariale.

Anche tali eccezioni vanno respinte.

Quanto all’art.117 cpa, tale disposizione (come anche l’art.31 cpa) non costituisce una preclusione all’utilizzo del rimedio in questione (non postulando un imprescindibile riferimento all’attività di natura provvedimentale), come ha evidenziato il Consiglio di Stato nella sentenza del 23.11.2020, n.7316, in particolare nei casi in cui l’atto è vincolato nell’an dalla fonte primaria (restando invece discrezionale nel quomodo e nel quid), secondo cui “..l'ampiezza del potere discrezionale comporta unicamente una limitazione dei poteri del giudice con riguardo alla portata conformativa della pronuncia sul silenzio (cfr. l'art. 30, comma 3, del c.p.a….").

Sull’eccezione di decadenza per intervenuto decorso del termine annuale ex art.31, co.2 primo periodo cpa, si osserva che la diffida de qua agitur non costituisce un mero sollecito a riscontrare le precedenti istanze, ma è idonea, per la completezza dei riferimenti fattuali e normativi esplicitati, a rappresentare una nuova richiesta volta all’adozione degli atti di competenza. Peraltro, l’art.31, co.2, secondo periodo cpa fa espressamente salva la “riproponibilità dell'istanza di avvio del procedimento”.

Non è condivisibile nemmeno l’eccezione relativa al presunto difetto di legittimazione attiva degli istanti, i quali vantano posizioni differenziate rispetto alla generalità dei consociati, essendo stati tutti vittime di frodi finanziarie come riconosciuto nell’ambito del procedimento penale (i cui estremi sono ben rappresentati sia nella diffida che nell’odierno ricorso), definito con sentenza passata in giudicato che ha riconosciuto, al di là dell’intervenuta prescrizione del reato, la responsabilità dell’imputato ai fini delle statuizioni civili. In altri e più chiari termini, la situazione in cui versano gli istanti coincide, in una prospettiva astratta di valutazione, con la condizione basica per aspirare alla tutela indennitaria prefigurata dall’art.1, co.343 della l.n.266/05, essendo sorretta da un pregresso accertamento definitivo in sede giudiziale che ha statuito la sussistenza della frode e la responsabilità civile dell’imputato nei confronti delle parti lese.

Chiarito, per quanto sopra, che è ammissibile il rimedio dell’azione ex artt.31-117 cpa, occorre valutarne la relativa fondatezza, limitatamente all’obbligo di provvedere all’attuazione delle determinazioni di competenza (formulazione della proposta di decreto quanto al Ministero dell’Economia e delle Finanze, adozione del DPCM quanto alla Presidenza del Consiglio dei Ministri).

Ad avviso del Collegio, la fondatezza dell’azione va dichiarata limitatamente al Ministero dell’Economia e delle Finanze e, rispetto a quest’ultimo, relativamente al solo obbligo di provvedere, data l’ampia discrezionalità attribuita al Ministro dell’Economia e delle Finanze nell’adozione della proposta. Allo stato, infatti, in assenza della formulazione della proposta di decreto, espressamente prevista dall’art.1, co.345-novies l.n.266/05, non può ritenersi sussistente, per la Presidenza del Consiglio dei Ministri, l’obbligo giuridico di provvedere, stante l’assenza del presupposto stabilito dalla predetta norma.

Al contrario, essendo decorso più che largamente il termine ivi previsto (trenta giorni dall’entrata in vigore della disposizione), il ritardo del Ministero nell’adozione e trasmissione della proposta di decreto costituisce inerzia antigiuridica, da stigmatizzare giacchè protrattasi in violazione dell’obbligo generale di concludere il procedimento, in attuazione e nel rispetto del temine direttamente fissato ex lege.

Non osta a tale conclusione la mancata adozione del decreto di cui al co.345-decies (sempre a cura del Ministro dell’Economia e delle Finanze), per il quale peraltro la norma non fissa un termine di adempimento, che ha la mera funzione contabile di ripartizione delle somme destinate alle vittime delle truffe finanziarie rispetto a quelle che alimentano la ricerca scientifica. Anche in assenza di tale decreto, infatti, il Fondo in questione potrebbe (recte: dovrebbe) essere reso operativo (nei limiti e secondo le procedure stabilite dal decreto di cui all’art.1, co.345-novies), a beneficio delle vittime di truffe finanziarie, in attuazione dell’art.1, co.343 e attraverso l’utilizzo delle somme disponibili ai sensi dell’art.1, co.345.

Non osta neppure la circostanza che il Ministero dell’Economia e delle Finanze abbia, in precedenti occasioni, respinto, con distinte determinazioni, la richiesta di liquidazione dell’indennizzo. In disparte il fatto che le suddette determinazioni sono state annullate dai Tribunali Regionali (con sentenze allo stato esecutive, sebbene appellate), v’è da dire che non vi è coincidenza fra le relative domande: nei pregressi giudizi si richiedeva l’annullamento di atti (del solo Ministero dell’Economia e delle Finanze) a contenuto provvedimentale di reiezione delle istanze di liquidazione dell’indennizzo;
nel presente, si stigmatizza l’inerzia della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero dell’Economia e delle Finanze nell’adozione delle determinazioni di competenza volte, essenzialmente, all’attivazione del Fondo di cui all’art.1, co.343 L.n.266/2005.

Sul tema, infine, della possibilità di nomina di un commissario ad acta, anche in applicazione delle coordinate ermeneutiche fornite dall’Adunanza Plenaria del Consiglio nella sentenza n.8 del 25.5.2021, sul ruolo e sulle funzioni del Commissario ad acta, anche nelle ipotesi in cui sia nominato dal giudice nell’ambito del rito del silenzio ex art.117, co.3 cpa, non si può dubitare della sua natura ontologica di “organo ausiliario del giudice” e della possibilità che, nell’ambito di tale giudizio, perdurando l’inerzia della p.a., il Commissario all’uopo nominato si possa sostituire all’Amministrazione anche nell’esercizio dell’attività discrezionale (“La disciplina normativa, nel definire espressamente, come si è visto, il commissario ad acta quale ausiliario del giudice, esclude, al tempo stesso, che a questi possa essere riconosciuta la natura di organo (straordinario) dell'amministrazione.

E ciò ricorre anche nei casi in cui il commissario, più che dare seguito a specifici aspetti già definiti dalla pronuncia in un'ottica stricto sensu esecutiva, per le finalità del proprio incarico esercita poteri discrezionali, come nel caso in cui, stante la perdurante inerzia dell'amministrazione, egli debba provvedere sulla istanza del cittadino o dell'impresa, senza che la sentenza abbia determinato il contenuto del potere da esercitare…

Tale natura di ausiliario del giudice non è revocata in dubbio dal fatto che il commissario ad acta, nel dare esecuzione alla decisione del giudice, debba adottare atti amministrativi, anche di natura provvedimentale, e ciò anche effettuando, in luogo dell'amministrazione inadempiente, valutazioni e scelte normalmente rientranti nell'esercizio del potere discrezionale della stessa;
né la circostanza che gli atti adottati esplichino effetti imputabili alla sfera giuridica dell'amministrazione comporta, di necessità, l'attribuzione al commissario della natura di organo amministrativo…” (da Ad. Pl. cit.).

6. Per quanto precede, in conclusione, il ricorso va:

- accolto, ai sensi e nei limiti esplicati in motivazione, nei riguardi del Ministero dell’Economia e delle Finanze e, per l’effetto, occorre:

1) dichiarare il persistente inadempimento del predetto Ministero nell’adottare la proposta di decreto di cui all’art.1, co.343-novies L.n.266/05 e contestuale trasmissione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ai fini dell’adozione del conseguente DPCM;

2) ordinare al Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, di adottare la suddetta proposta, trasmettendola altresì alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, concludendo il procedimento entro il termine perentorio di giorni 90 (novanta) decorrenti dalla comunicazione della presente sentenza o, se anteriore, dalla sua notifica;

3) nominare, per l’ipotesi in cui il Ministero non ottemperi alle statuizioni della presente sentenza nel termine sopra indicato, quale commissario ad acta, il Direttore Generale del Tesoro del Ministero dell’Economia e delle Finanze, con facoltà di delega a un dirigente dello stesso Dicastero, affinché si insedi e provveda, su istanza di parte, nell’ulteriore termine di 60 (sessanta) giorni, ed il cui eventuale compenso, da liquidarsi con separato decreto, si pone a carico dello stesso Ministero;

- respinto nei riguardi della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Le spese di giudizio possono nondimeno venire compensate, in ragione della complessità delle questioni sottese e della sussistenza di orientamenti contrastanti sul tema dell’esperibilità dell’azione avverso il silenzio inadempimento nei riguardi di atti normativi e amministrativi generali.

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