TAR Roma, sez. 2T, sentenza 2016-01-05, n. 201600100

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2T, sentenza 2016-01-05, n. 201600100
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201600100
Data del deposito : 5 gennaio 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 07349/2012 REG.RIC.

N. 00100/2016 REG.PROV.COLL.

N. 07349/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7349 del 2012, proposto da:
Società Ldc Services Srl, rappresentato e difeso dall'avv. G D, con domicilio eletto presso l’avv. G D in Roma, Via Italo Carlo Falbo, 22;

contro

Roma Capitale, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa per legge dall'avv. R R, domiciliata in Roma, Via Tempio di Giove, 21;

per l'annullamento

della determinazione dirigenziale n. 862 del 28 giugno 2012, avente ad oggetto la cessazione dell'attività abusiva di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande in via dei Corridoni n. 42 angolo via Rusticucci nn. 16/18;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 ottobre 2015 la dott.ssa Maria Laura Maddalena e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il ricorso in epigrafe, la società ricorrente impugna la d.d. n. 826 del 28 giugno 2012 di Roma Capitale, recante l’ordine di cessazione della attività di somministrazione abusivamente esercitata.

Il provvedimento impugnato è motivato sulla base della circostanza, di cui al verbale di accertamento effettuato dalla polizia locale in data 5 aprile 2011, che, pur essendo la ricorrente titolare unicamente di un esercizio di vicinato per la vendita di merci nel settore alimentare e non alimentare, tuttavia nel suo locale sono stati rinvenuti;
una macchina per il caffè, un erogatore di birra alla spina, tavoli e sedie per il consumo. Tali elementi sono stati ritenuti indicativi dell’esercizio, da parte della ricorrente, di una vera e propria attività di somministrazione, in assenza del relativo titolo autorizzatorio.

La ricorrente ha dedotto vari motivi di impugnazione per eccesso di potere e violazione di legge.

L’amministrazione capitolina si è costituita e ha depositato una memoria difensiva, corredata da documenti, insistendo nel rigetto del ricorso perché infondato.

All’odierna udienza, la causa è stata trattenuta in decisione.

Il ricorso è infondato e pertanto esso deve essere respinto.

Con il primo motivo di ricorso, la società ricorrente deduce la nullità della impugnata determina a causa di mancata o irrituale notifica degli atti presupposti al soggetto interessato.

Secondo la tesi di parte ricorrente, la società non avrebbe mai ricevuto la notifica del verbale di accertamento e della comunicazione di avvio del procedimento.

La doglianza è infondata in fatto.

Roma Capitale ha infatti prodotto agli atti tanto il verbale di accertamento di violazione, ritualmente notificato in data 5.5.2011, che la cartolina di ricevimento della raccomandata A/R recante prova della avvenuta ricezione, in data 29.11.2011, della comunicazione di avvio del procedimento.

Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente lamenta illogicità ed errore nei presupposti di fatto e di diritto in quanto: l’erogatore di birra sarebbe solo un elemento di arredo;
i prodotti di caffetteria sarebbero a portar via con fornitura di stoviglie a perdere;
tavoli e sedie sarebbero solo a disposizione di donne incinta e disabili e sarebbero comunque idonei unicamente a consentire il consumo in loco dei prodotti acquistati dai clienti.

Sostiene in sostanza la ricorrente che non si verterebbe in un caso di esercizio di attività di somministrazione di alimenti e bevande, caratterizzata dal c.d. servizio assistito, ma di una mera attività di esercizio di vicinato, nell’ambito della quale è consentita, ai sensi della circolare del Ministero dell’economia e dello sviluppo del 28.9.2006, la fornitura al cliente del caffè in apposite stoviglie a perdere.

La censura non può essere accolta.

Come è noto, la possibilità di consentire il consumo sul posto è attualmente disciplinata dall’articolo 3, comma 1, lettera f-bis) del decreto legge 4 aprile 2006, n. 223, convertito con modificazioni nella legge 4 agosto 2006, n. 248, il quale prevede: “1 . Ai sensi delle disposizioni dell'ordinamento comunitario in materia di tutela della concorrenza e libera circolazione delle merci e dei servizi ed al fine di garantire la libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità ed il corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonché di assicurare ai consumatori finali un livello minimo ed uniforme di condizioni di accessibilità all'acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale, ai sensi dell'articolo 117, comma secondo, lettere e) ed m), della Costituzione, le attività commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e di somministrazione di alimenti e bevande, sono svolte senza i seguenti limiti e prescrizioni :

(..)

f-bis) il divieto o l'ottenimento di autorizzazioni preventive per il consumo immediato dei prodotti di gastronomia presso l'esercizio di vicinato, utilizzando i locali e gli arredi dell'azienda con l'esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l'osservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie ”.

E’ stato introdotto, pertanto, il principio in base al quale negli esercizi di vicinato, nel solo caso in cui siano legittimati alla vendita dei prodotti appartenenti al settore merceologico alimentare, è ammesso il consumo sul posto di prodotti di gastronomia, purché svolto alle condizioni espressamente previste dalla menzionata disposizione e in assenza del servizio assistito di somministrazione.

La circolare esplicativa 3603/C del 28-9-2006 del Ministero ha precisato che il consumo sul posto dei prodotti di gastronomia da parte degli esercizi di vicinato, ovviamente solo nel caso in cui siano legittimati alla vendita dei prodotti alimentari “… non può essere vietato o limitato se svolto alle condizioni espressamente previste dalla nuova disposizione. Le condizioni concernono la presenza di arredi nei locali dell’azienda e l’esclusione del servizio assistito di somministrazione. Per quanto riguarda gli arredi (…) è di tutta evenienza che i medesimi devono essere correlati all’attività consentita, che nel caso di specie è la vendita per asporto dei prodotti alimentari e il consumo sul posto dei prodotti di gastronomia. In ogni caso, però, la norma che consente negli esercizi di vicinato il consumo sul posto non prevede una modalità analoga a quella consentita negli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande di cui alla legge 25 agosto 1991, n. 287 ”.

Detta legge, infatti, nel disciplinare l’attività di somministrazione, stabilisce all’articolo 1, comma 1 che “ per somministrazione si intende la vendita per il consumo sul posto ” che si esplicita in “ tutti i casi in cui gli acquirenti consumano i prodotti nei locali dell’esercizio o in una superficie aperta al pubblico, all’uopo attrezzati ”.

L’elemento discriminante tra l’attività di somministrazione e l’attività di vendita è dunque – secondo il Ministero dello sviluppo economico – data dalla presenza di una attrezzatura tipica della attività di somministrazione di alimenti e bevande in senso proprio, idonea a rivelarne l’effettivo esercizio.

Nei locali degli esercizi di vicinato, quindi, gli arredi consentiti non possono coincidere con le attrezzature tradizionalmente utilizzate negli esercizi di somministrazione, quali: le apparecchiature per le bevande alla spina, tavoli e sedie, così come macchine industriali per il caffè, il cui utilizzo non è ammesso nel caso di consumo sul posto da parte degli esercizi in questione (cfr. risoluzione n. 212733 del 1 dicembre 2014 e risoluzione n. 86321 del 9 giugno 2015).

Allo stesso modo, il Ministero ritiene che la disciplina in materia di consumo sul posto continua ad

escludere la possibilità di contemporanea presenza di tavoli e sedie associati o associabili, fatta salva solo la necessità di un’interpretazione ragionevole di tale vincolo, che non consente di escludere, ad esempio, la presenza di un limitato numero di panchine o altre sedute non abbinabili ad eventuali piani di appoggio (cfr. parere n. 75893 del 8-5-2013)

Per garantire le condizioni minime di fruizione è stato infatti ritenuto ammissibile solo l’utilizzo di piani di appoggio di dimensioni congrue all’ampiezza ed alla capacità ricettiva del locale nonché la fornitura di stoviglie e posate a perdere.

Il Collegio ritiene di condividere le indicazioni fornite dal Ministero dello Sviluppo economico sul tema, in quanto la presenza di attrezzature inequivocabile volte all’esercizio di un’attività di somministrazione costituisce indice idoneo della esistenza, in fatto, di detta attività.

Pertanto, nonostante la ricorrente sostenga (senza tuttavia provarlo) che l’erogatore di birra alla spina fosse solo un elemento di arredo e che nella Dia fosse espressamente menzionata la possibilità di preparazione e vendita di prodotti di caffetteria a portar via, deve ritenersi che sia comunque precluso agli esercenti di attività di vicinato nel settore alimentare la detenzione e l’uso di attrezzature tipiche delle attività di somministrazione, quale nel caso di specie: la macchina per la preparazione del caffè perfettamente funzionante e tavoli e sedie tra loro abbinabili.

Il provvedimento di disposta cessazione dell’attività di somministrazione deve dunque ritenersi immune dalle censure dedotte di errore nei presupposti di fatto, essendo incontestata la presenza nel locale delle menzionate attrezzature, a prescinderne dalla eventuale utilizzazione di posate e stoviglie a perdere.

Con il terzo motivo di ricorso, la ricorrente sostiene che la legge regionale n. 21 del 2006, richiamata nella determina impugnata, sarebbe in contrasto con il decreto Bersani (D.l. 233 del 2006, convertito nella l. 248/2006), con il DL n. 147 del 2012 e con i principi comunitari di libera concorrenza.

Il motivo non può trovare accoglimento.

Come si è visto in relazione all’esame del secondo motivo di ricorso, la distinzione tra attività di somministrazione di alimenti e bevande e esercizio di vicinato per la vendita di prodotti alimentari o di gastronomia è fatta salva dallo stesso art. 3, comma 1, lettera f-bis) del decreto legge 4 aprile 2006, n. 223, convertito con modificazioni nella legge 4 agosto 2006, n. 248 (decreto Bersani).

Non si ravvisa pertanto nessun contrasto con detta norma, da parte della legge regionale n. 21 del 2006.

Pertanto, la previsione di una diversa disciplina tra le due forma di attività commerciale non risulta in contrasto con i principi comunitari di libera concorrenza recepiti appunto nell’ordinamento con il Decreto Bersani.

Infine, nemmeno la previsione della sostituzione della DIA con la SCIA ad opera del d.l. 147 del 2012 incide in alcun modo sulla distinzione tra l’attività di somministrazione e di esercizio di vicinato.

In conclusione, anche il terzo motivo di ricorso deve essere respinto.

Con il quarto motivo, la ricorrente lamenta la contraddittorietà e inadeguata motivazione della impugnata determina in quanto essa conterrebbe l’ordine di cessazione di un’attività di somministrazione mai esercitata dalla ricorrente e per la quale essa non risulta autorizzata.

La censura è infondata.

Il presupposto del provvedimento impugnato è – come risulta dagli atti e da tutto quanto detto sopra – la contestazione di un esercizio abusivo, in fatto, di attività riconducibile a quella di somministrazione, abusivamente svolta.

Non sussiste pertanto la denunciata contraddittorietà né il difetto di motivazione.

Il ricorso in concisione deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

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