TAR Roma, sez. 1T, sentenza 2023-01-31, n. 202301719

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1T, sentenza 2023-01-31, n. 202301719
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202301719
Data del deposito : 31 gennaio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 31/01/2023

N. 01719/2023 REG.PROV.COLL.

N. 07983/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7983 del 2019, integrato da motivi aggiunti, proposto da
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato S C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

Per quanto riguarda il ricorso introduttivo:

azione avverso il silenzio sulla domanda di concessione della cittadinanza italiana richiesta dall'istante ex L.91/92;

Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati in data 8\7\2020:

per l’annullamento

del provvedimento -OMISSIS- del 31/01/2020 non notificato, con il quale il Ministero degli Interni ha respinto la richiesta di concessione della cittadinanza italiana presentata dalla ricorrente;


Visti il ricorso, i motivi aggiunti ed i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 novembre 2022 il dott. R S e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il ricorso introduttivo l’interessata, straniera di nazionalità brasiliana, ha impugnato, ai sensi dell'art. 117 c.p.a., il silenzio serbato dal Ministero dell’Interno sull’istanza di concessione della cittadinanza italiana presentata in data 13.11.2014.

Il Ministero dell’Interno, costituitosi in giudizio, ha depositato copia del sopraggiunto decreto datato 31.01.2020, con il quale l’istanza della ricorrente è stata respinta.

Il provvedimento negativo, notificato in data 04.06.2020, è stato impugnato con ricorso per motivi aggiunti ritualmente notificato.

In data 19.11.2020 la difesa erariale ha depositato una memoria ed una relazione riferite al giudizio sul silenzio, senza prendere posizione sulle doglianze formulate con il ricorso per motivi aggiunti.

Premesso quanto sopra, il Collegio ha disposto la conversione del rito, con l’assegnazione del ricorso al ruolo ordinario ai sensi dell’art. 32 c.p.a., disponendo altresì il deposito, da parte dell’Amministrazione, di una documentata relazione sui fatti di causa.

Il Ministero ha ottemperato all’ordine istruttorio impartito dal Collegio.

Infine, all’udienza pubblica del 22.11.2022 il ricorso è stato introitato per la decisione.

Il ricorso introduttivo avverso il silenzio è divenuto improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse a seguito dell’emanazione del provvedimento di diniego, impugnato con il ricorso per motivi aggiunti.

Il ricorso per motivi aggiunti è infondato e va respinto.

Con il decreto datato 31.01.2020 il Ministro dell’Interno ha respinto l’istanza di concessione della cittadinanza, presentata dalla ricorrente in data 13.11.2014, evidenziando:

- una carenza reddituale nel triennio precedente alla richiesta di concessione della cittadinanza;

- la non computabilità dei redditi prodotti dal marito, in quanto residente all’estero;

- la mancata presentazione della dichiarazione dei redditi da parte dell’interessata, per gli anni 2016 e 2017.

La ricorrente ha contestato le risultanze istruttorie e la motivazione del provvedimento, deducendo di aver sempre presentato regolari dichiarazioni dei redditi, in particolare per le annualità 2016 e 2017, dalle quali erano emersi redditi sufficienti.

Ciò posto, la difesa della ricorrente ha evidenziato che, sebbene i parametri reddituali non fossero corrispondenti alla normativa al momento della domanda, gli stessi lo erano divenuti in corso di procedimento, in relazione ai redditi degli anni successivi al 2015, come dimostrato dalle dichiarazioni dei redditi esibite.

Quanto alla posizione del coniuge residente all’estero, la ricorrente ha dedotto che il reddito da questi prodotto dovesse essere in ogni caso computato nei redditi complessivi della famiglia, contrariamente a quanto sostenuto dal Ministero.

Alla luce di tali deduzioni, con il primo ordine di motivi, la ricorrente ha censurato il provvedimento impugnato in quanto viziato da eccesso di potere, ingiustizia manifesta, illogicità della decisione, errore di fatto nella valutazione degli elementi e da violazione dei principi generali dell’azione amministrativa.

Inoltre, con il secondo ordine di censure la ricorrente ha dedotto l’omessa valutazione, da parte dell’Amministrazione, delle integrazioni alla richiesta, con le quali l’istante aveva reso noto al Ministero la sopravvenienza di un ulteriore condizione per l’ottenimento della cittadinanza, costituita dall’aver contratto matrimonio con un cittadino italiano.

Nell'ambito valutativo sulla sussistenza dei presupposti necessari per ottenere la cittadinanza italiana, rientra anche l'accertamento della sufficienza del reddito dell'aspirante allo status a garantirne il sostentamento, in quanto lo straniero con il provvedimento concessorio viene inserito a pieno titolo nella collettività nazionale ed acquisisce tutti i diritti e i doveri che competono ai suoi membri, tra i quali il dovere di solidarietà sociale di concorrere con i propri mezzi, attraverso il prelievo fiscale, a finanziare la spesa pubblica, funzionale all'erogazione dei servizi pubblici essenziali (cfr., tra molte, TAR Lazio, sez. I ter, sentenza n. 1902/2018).

Nel silenzio della legge, l'amministrazione ha ritenuto di fissare ex ante dei parametri minimi indefettibili di reddito necessari ad ottenere la cittadinanza, facendo a monte una valutazione circa la loro congruità ed idoneità a garantirne l'autosufficienza economica del richiedente.

Tale modus operandi , che garantisce un trattamento uniforme a tutti gli stranieri che ambiscano a diventare cittadini italiani, è stato valutato positivamente dalla giurisprudenza (cfr.: T.a.r. Lazio, Roma, sez. II quater, 2.2.2015, n. 1833;
id. 13.5.2014, n. 4959;
3.3.2014, n. 2450;
18.2.2014, n. 1956;
10.12.2013, n. 10647) ed è stato avallato anche dal giudice d’appello (Consiglio di Stato sez. VI, 16/02/2011, (ud. 18/01/2011, dep. 16/02/2011), n.974;
Consiglio di Stato sez. IV, 17/07/2000, n.3958).

Più in particolare, l'amministrazione ha preso come parametro di riferimento l'ammontare prescritto per l'esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria dall'art. 3 del d.l. 25.11.1989, n. 382, convertito in l. 25.1.1990, n. 8, confermato dall'art. 2, comma 15, l. 28.12.1995, n. 549, fissato in € 8.263,31 annui, incrementato ad € 11.362,05 annui in presenza di coniuge a carico e di ulteriori € 516,00 annui per ciascun figlio a carico, ritenuto un idoneo indicatore del livello di adeguatezza reddituale che consente al richiedente di mantenere in modo idoneo e continuativo sé e la famiglia, senza gravare negativamente sulla comunità nazionale.

Nel caso di specie risulta dagli atti ed è ammesso dalla stessa ricorrente il mancato possesso di redditi sufficienti nel triennio precedente alla richiesta di concessione della cittadinanza, presentata in data 13.11.2014.

L’acquisto della piena capacità reddituale nelle annualità successive potrà rilevare ai fini di successive domande di concessione dello status civitatis , ma non può valere a sanare la carenza del requisito nel triennio precedente, e ciò a prescindere dalla questione relativa alla avvenuta o meno dichiarazione dei redditi al fisco per le annualità 2016 e 2017.

Anche le deduzioni relative alla possibilità di computare, ai fini del reddito complessivo della famiglia, quello prodotto dal marito della ricorrente all’estero, è infondata.

Sul punto, l’Amministrazione dell’Interno ha condivisibilmente eccepito che i redditi passibili di considerazione sono solo quelli imponibili IRPEF e per i quali sono stati assolti i relativi obblighi fiscali in Italia, desunti dalle dichiarazioni reddituali presentate negli ultimi tre anni all’Agenzia delle Entrate. Ciò del resto appare coerente con la finalità dell’accertamento reddituale, concernente la concessione della cittadinanza italiana e, dunque, l’inserimento nella collettività nazionale, con i conseguenti diritti e i doveri di solidarietà sociale e di concorrenza alla spesa pubblica.

Manifestamente infondata è poi l’ultima doglianza, relativa alla mancata considerazione, da parte dell’Amministrazione, della documentazione prodotta dall’istante ai fini della concessione della cittadinanza per matrimonio, anziché per residenza decennale in Italia.

Sul punto, è appena il caso di evidenziare come l’istanza di concessione della cittadinanza italiana oggetto del presente ricorso sia stata presentata dalla ricorrente solo ai sensi dell’art. 9 della L. 91/92 e non ai sensi dell’art. 5 della medesima normativa, che disciplina la differente fattispecie della concessione della cittadinanza per matrimonio, regolata da presupposti diversi, in relazione alla quale, pertanto, è indispensabile azionare un distinto procedimento amministrativo, ad istanza di parte e non certo d’ufficio.

Peraltro, la ricorrente, in considerazione del matrimonio contratto con cittadino italiano, avrebbe potuto fare valere tale condizioni presentando una nuova istanza di concessione ai sensi dell’art. 5 L. 91/92, come opportunamente evidenziato dal Ministero.

Alla luce di tali considerazioni il ricorso deve essere respinto.

Sussistono, in ragione della peculiarità della questione trattata, giustificati motivi per compensare le spese di giudizio.

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