TAR Roma, sez. I, sentenza 2013-05-31, n. 201305522

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. I, sentenza 2013-05-31, n. 201305522
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201305522
Data del deposito : 31 maggio 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 07569/2012 REG.RIC.

N. 05522/2013 REG.PROV.COLL.

N. 07569/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7569 del 2012, proposto da:
A G, rappresentata e difesa dagli avv.ti M B ed E P, con domicilio eletto presso lo studio della seconda in Roma, via Santa Caterina Da Siena, n.46;

contro

Ministero della giustizia, Commissione esaminatrice del concorso notarile bandito con d.d. 28 dicembre 2009, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede domiciliano in Roma, via dei Portoghesi, n.12;

nei confronti di

L G, Go P;

per l'annullamento

- del verbale n. 105 del 15 giugno 2011 della commissione esaminatrice del concorso notarile bandito con d.d. 28 dicembre 2009, relativo alla correzione degli elaborati della ricorrente, ritenuti non idonei;

- del predetto bando di concorso, dei decreti del Ministero della giustizia del 10, 14 e 16 febbraio 2011 di nomina e integrazione della commissione valutatrice, del verbale della commissione esaminatrice n. 7 del 14 marzo 2011 di fissazione dei criteri generali di correzione degli elaborati;

- dei verbali n. 379 del 20 aprile 2012 e n. 281 del 12 gennaio 2012 della commissione valutatrice con i quali i candidati L G e Go P sono stati ritenuti idonei dopo la correzione delle prove scritte;

- di tutti gli atti e i provvedimenti presupposti, connessi, consequenziali, istruttori, anche non conosciuti.


Visto il ricorso;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’intimata amministrazione;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 20 marzo 2013 il cons. A B e uditi per le parti i difensori come da relativo verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO

Parte ricorrente espone di aver partecipato al concorso a 200 posti di notaio, indetto dal Ministero della giustizia con decreto 28 dicembre 2009, di aver sostenuto le tre prove scritte (atto mortis causa , atto di diritto commerciale, atto inter vivos ), e di essere stata dichiarata inidonea all’esito della correzione del secondo elaborato, avendo in esso la competente commissione esaminatrice rilevato la presenza delle nullità e delle gravi insufficienze che, alla luce delle norme di riferimento della procedura, e segnatamente dell’art. 7, comma 11, del d.lgs. n. 166 del 2006, consentono la pronunzia dell’inidoneità prima dell’esame di tutte le prove scritte.

Queste le censure.

1) Violazione dell’art. 1 della l. n. 241 del 1990 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 10, comma 2, del d.lgs. 166/06 – Violazione degli artt. 11 e 12 del D.P.R. 487/1994 – Eccesso di potere per assoluta illogicità e irrazionalità, sviamento, disparità di trattamento, ingiustizia manifesta, errata valutazione dei presupposti, difetto di motivazione.

Nonostante il preambolo del bando del concorso de quo rechi la menzione del D.P.R. 487/1994, nella fattispecie in esame sarebbero stati violati i relativi artt. 11, comma 1, e 12, comma 1, recanti disposizioni generali espressione di principi di trasparenza delle selezioni pubbliche.

In particolare, non sarebbe stato fissato il termine finale del procedimento e la commissione valutatrice avrebbe predeterminato nel verbale n. 7 del 14 marzo 2011 parametri di valutazione generici e astratti, che non integrerebbero i criteri e le modalità di valutazione oggettivi delle prove normativamente richieste. Tale condizione atterrebbe specificamente ad ognuno dei parametri previsti ai sensi dell’art. 7, comma 11, del d.lgs. n. 166 del 2006 dal predetto verbale.

La commissione, indi, in sostanza, non avrebbe predeterminato i criteri di massima per valutare singolarmente le prove scritte e complessivamente la preparazione del candidato, tenuto anche conto della contestualità del giudizio sugli elaborati.

2) Eccesso di potere per difetto di motivazione – Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990.

Il contestato giudizio di inidoneità non sarebbe assistito da congrua motivazione in fatto e in diritto, limitandosi a enunciare valutazioni superficiali in ordine a non dimostrate insufficienze giuridiche e senza precisare in dettaglio i gravi errori inficianti l’elaborato.

3) Eccesso di potere per gravi errori di diritto in relazione alla soluzione giuridica adottata nell’elaborato concorsuale di diritto commerciale – Travisamento ed errata interpretazione dell’elaborato – Eccesso di potere per difetto di motivazione – Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990

La motivazione del giudizio di inidoneità sarebbe erronea e contraddittoria, non essendo la ricorrente incorsa nell’errore rilevato dalla commissione.

La commissione avrebbe dovuto quindi procedere all’esame del terzo elaborato formato dalla ricorrente al fine di esprimere un giudizio complessivo sulla prova scritta della medesima.

4) Illegittimità di un’eventuale motivazione in sede processuale del verbale n. 105 del 15 giugno 2011.

La motivazione del giudizio di inidoneità non potrebbe essere fatta oggetto di integrazione postuma in questa sede, a mezzo di atti difensivi dell’amministrazione.

5) Eccesso di potere per disparità di trattamento – Violazione e falsa applicazione dei principi di uguaglianza e di imparzialità – Manifesta illogicità.

Elaborati di altri concorrenti presentanti la stessa carenza stigmatizzate a danno della ricorrente sarebbero stati valutati come idonei.

Esaurita l’illustrazione delle illegittimità rilevate a carico degli atti gravati parte ricorrente ne domanda l’annullamento.

Costituitasi in resistenza, con memoria depositata il 27 febbraio 2013, a seguito di istanza di rimessione in termini depositata il 23 febbraio 2013, l’intimata amministrazione domanda il rigetto del ricorso illustrando l’inammissibilità delle censure impingenti nel merito delle valutazioni discrezionali effettuate dalla commissione e per il restante l’infondatezza.

La ricorrente, oltre che affidare a memorie lo sviluppo delle proprie argomentazioni difensive, replica alle difese svolte dall’amministrazione con la memoria tardivamente depositata di cui sopra.

Il ricorso viene trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 20 marzo 2013.

DIRITTO

1. Parte ricorrente ha impugnato il giudizio di inidoneità reso nei suoi confronti dalla competente commissione esaminatrice del concorso a 200 posti di notaio bandito dal Ministero della giustizia con d.d. 28 dicembre 2009 all’esito della correzione del secondo elaborato, avendo in esso rilevato la presenza delle nullità e delle gravi insufficienze che, alla luce dell’art. 7, comma 11, del d.lgs. n. 166 del 2006, consentono la pronunzia dell’inidoneità anche senza completare l’esame di tutte e tre le prove scritte.

2. In via preliminare, il Collegio, ai sensi dell’art. 54 c.p.a., pronunziandosi favorevolmente sull’istanza di rimessione in termini depositata dalla difesa erariale il 23 febbraio 2013, autorizza la presentazione della memoria tardiva ( ex art. 73 c.p.a.) depositata dalla stessa difesa il 27 febbraio 2013.

Tanto in considerazione delle ragioni oggettive indicate nell’istanza di rimessione in termini e della circostanza che su tale atto risulta comunque pienamente assicurato il contraddittorio, avendo la parte ricorrente replicato con atto depositato l’8 marzo 2013 alle difese svolte dall’amministrazione con la memoria tardivamente depositata di cui sopra

3. Il ricorso è infondato.

4. La ricorrente ha esteso l’impugnativa ai criteri predeterminati dalla commissione esaminatrice per rilevare le predette nullità e le gravi insufficienze.

Al riguardo, si osserva che, alla stregua di quanto previsto in tema di correzione delle prove scritte del concorso de quo dal d.lgs. 24 aprile 2006, n. 166, e segnatamente alla luce delle disposizioni di cui all’art. 10, comma 2 (“La commissione, prima di iniziare la correzione, definisce i criteri che regolano la valutazione degli elaborati e l'ordine di correzione delle prove stesse”), di cui all’art. 11, comma 2 (“Salvo il caso di cui al comma 7, ultimata la lettura dei tre elaborati la commissione delibera a maggioranza se il candidato merita l’idoneità) e di cui all’art. 11, comma 7 (“Nel caso in cui dalla lettura del primo o del secondo elaborato emergono nullità o gravi insufficienze, secondo i criteri definiti dalla commissione, ai sensi dell'articolo 10, comma 2, la sottocommissione dichiara non idoneo il candidato senza procedere alla lettura degli elaborati successivi”), costituisce ineludibile obbligo delle competenti commissioni esaminatrici procedere alla predeterminazione dei criteri di valutazione.

La Sezione ha più volte rilevato (da ultimo, Tar Lazio, Roma, I, 6 luglio 2012, n. 6164) come tale adempimento si connota di accentuata rilevanza proprio in ragione di tale ultima previsione.

Infatti, se le predette norme rimettono all’organo la generale fissazione in via generale dei “criteri che regolano la valutazione degli elaborati”, la consentita possibilità di arrestare la correzione delle prove scritte prima dell’esame di tutte e tre le prove stesse, ovvero di escludere un candidato dalla partecipazione alle prove orali nel caso in cui dal primo o dal secondo elaborato emergano “nullità” o “gravi insufficienze”, postula, con ogni evidenza, che siffatte categorie vengano adeguatamente precisate mediante l’individuazione delle tipologie di “errori” suscettibili di essere ricondotte nell’ambito della generica declaratoria di legge.

In altre parole, alla declaratoria generale dei criteri di valutazione accede l’ulteriore onere della specificazione contenutistica delle fattispecie della “nullità” e della “grave insufficienza”: ovvero di quegli elementi che, in ragione della insuperabile, ovvero accentuatamente grave, presenza di inesattezze, consentano di procedere senz’altro alla esclusione del candidato dalla procedura selettiva.

Alla luce delle predette coordinate ermeneutiche, la ricorrente non può, indi, essere seguita laddove denunzia che la commissione avrebbe arbitrariamente “duplicato” i criteri di correzione.

4.1. Nella fattispecie, il modus procedendi seguito dalla commissione esaminatrice è esplicitato nel verbale n. 7 del 14 marzo 2011, che contiene i criteri per la valutazione degli elaborati nonché l’ordine di correzione delle prove (atto mortis causa ;
atto di diritto commerciale;
atto inter vivos ).

Il predetto verbale ha proceduto all’individuazione, ai sensi del comma 2 dell’art. 10 del d. lgs. 166/2006, dei criteri generali di correzione cui attenersi nella valutazione degli elaborati.

Sul punto, la commissione ha stabilito di considerare prioritariamente:

“a) la rispondenza dell’elaborato al contenuto della traccia;

b) l’aderenza delle soluzioni adottate alle norme e ai principi dell’ordinamento giuridico;

c) la corrispondenza delle soluzioni all’interesse delle parti, quale manifestato al notaio dai contraenti e disponesti;

d) l’adeguatezza delle tecniche redazionali, anche nella prospettiva della chiarezza espositiva dell’atto”.

Lo stesso verbale ha poi stabilito, ai sensi del comma 7 dell’art. 11 del d.lgs. 166/2006, che:

“…l’esame degli elaborati possa terminare anche prima della correzione del terzo elaborato, e comunque di dover dar luogo a giudizio negativo, nell’ipotesi in cui nella correzione di uno qualsiasi degli elaborati si verifichi una delle seguenti circostanze:

1) errata interpretazione, ovvero comunque travisamento della traccia, tali da far pervenire il candidato alla formulazione di un atto che non realizza le finalità pratiche indicate dalle parti;

2) contraddittorietà tra le soluzioni adottate, ovvero tra esse o una di esse, e le relative ragioni giustificative;
mancanza di adeguata giustificazione delle soluzioni adottate;

3) omessa trattazione di argomenti richiesti in parte teorica ovvero gravi carenze emergenti nella trattazione degli stessi;

4) gravi, non occasionali, errori di grammatica o di sintassi”.

4.2. Tanto rilevato, il Collegio ritiene che la griglia di valutazione “generale” si dimostra correttamente enucleata attraverso l’individuazione dei criteri sopra riportati, e, quindi, attraverso la verificabilità della rispondenza dell’elaborato alla traccia fornita, dell’aderenza delle soluzioni prospettate ai principi e alle norme dell’ordinamento giuridico, del rispetto delle tecniche redazionali che assistono la formazione degli atti notarili e della corrispondenza delle soluzioni all’interesse delle parti.

Le macrocategorie come sopra fissate comprendono, poi, appena sopra visto, anche le elencate species elaborate quali tipologie sintomatiche della presenza di “nullità” o “gravi insufficienze”, che impongono l’immediata declaratoria di non idoneità al prosieguo della procedura selettiva.

Può ancora osservarsi, sul punto, che i suindicati criteri “generali” di valutazione volti ad informare l’apprezzamento del contenuto delle prove al fine di pervenire ad un giudizio di non idoneità reso in esito alla correzione di tutti e tre gli elaborati, ovvero alla graduazione del punteggio nel caso di valutata “idoneità” ai fini dell’ammissione alle prove orali, costituiscono ulteriore parametro di riferimento della valutabilità della fattispecie di cui al comma 7 dell’art. 11 del d.lgs. 166/2006, ovvero della presenza di quelle carenze connotate da insanabile e accentuata gravità, che la commissione ha comunque provveduto ad elencare partitamente nella loro tipologia strutturale.

Va, pertanto, escluso che, come denunziato dalla parte ricorrente, le determinazioni assunte dalla commissione nel ridetto verbale non siano da valutarsi idonee ai fini di orientare oggettivamente e uniformemente le operazioni di correzione.

Del resto, un consolidato indirizzo giurisprudenziale, fatto proprio anche dalla Sezione, ha definito l’attività di predeterminazione dei criteri di valutazione frutto dell'ampia discrezionalità amministrativa di cui sono fornite le commissioni esaminatrici per lo svolgimento della propria funzione, conseguentemente escludendo che le relative scelte siano assoggettabili al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salvo che non siano ictu oculi inficiate da irragionevolezza, irrazionalità, arbitrarietà o travisamento dei fatti ( ex pluribus , C. Stato, IV, 27 novembre 2008, n. 5862;
8 giugno 2007, n. 3012;
11 aprile 2007, n. 1643;
22 marzo 2007, n. 1390;
17 settembre 2004, n. 6155;
17 maggio 2004, n. 2881;
10 dicembre 2003, n. 8105;
2 marzo 2001, n. 1157).

E tale condizione non è rilevabile nella fattispecie, ove i criteri elaborati dalla commissione del concorso in esame si rivelano idonei a raggiungere la finalità loro assegnata, nonché chiari, pertinenti ed esaustivi.

5. Tanto chiarito, si rileva che i motivi di doglianza formulati dalla parte ricorrente avverso la valutazione di inidoneità non sono persuasivi.

5.1. Non è in primo luogo condivisibile il primo percorso argomentativo posto a sostegno dell’impugnativa del giudizio negativo reso sul secondo elaborato della ricorrente (atto di diritto commerciale), articolato su una serie di affermazioni che, sul presupposto scenario della bontà della prova per cui è causa (contraddistinta con il n. 362), rappresentano che la motivazione dello stesso sarebbe generica, ovvero, in altre parole, che l’inidoneità sarebbe stata pronunziata senza l’assistenza delle necessarie puntuali argomentazioni di supporto.

Tali censure si sostanziano infatti, all’evidenza, nell’inammissibile tentativo di sindacare indirettamente nel merito gli effetti delle scelte in materia compiute dall’organismo concorsuale.

Invero, contrariamente da quanto esposto in ricorso, risulta che la valutazione dell’elaborato in parola è supportata da una motivazione che, raffrontata con i criteri predeterminati nel ridetto verbale n. 7, si rivela del tutto adeguata a dare contezza della rilevata presenza delle “nullità” o “gravi insufficienze”, secondo i parametri all’uopo elaborati nel verbale del 14 marzo 2011.

In particolare, la motivazione in parola:

- quanto all’atto mortis causa , delibera “di procedere alla lettura del secondo elaborato, pur rilevando la carente esposizione della motivazione delle scelte operate circa le disposizioni a favore dei figli, nonché l’omessa trattazione in parte teorica della ricognizione di donazione indiretta”;

- quanto all’atto di diritto commerciale, espone che “il candidato omette di prevedere l’autorizzazione ex art. 747 c.p.c. necessaria al curatore nominato per Caietto per procedere all’atto di trasformazione, dando luogo a una palese nullità dell’atto. La parte teorica conferma l’errore”.

La carenza rilevata dalla commissione nell’atto permette infatti di comprendere, a prima lettura, l’in se del negativo giudizio reso nell’elaborato.

5.2. In secondo luogo, la parte ricorrente non può essere seguita neppure laddove provvede alla analitica confutazione delle puntuali motivazioni addotte dalla commissione a sostegno del giudizio negativo reso sul secondo elaborato, al fine di dimostrare che lo stesso non sarebbe affetto dalle riscontrate carenze.

Tali censure si rivelano manifestamente infondate.

Infatti, ogni questione posta dalla ricorrente in ordine all’inesattezza delle affermazioni rese in via “di contorno”dalla commissione nella valutazione in parola, ovvero sia in ordine alla parte teorica dell’elaborato che in ordine alle possibili conseguenze del grave errore rilevato, non elide il nitore del fatto principale assunto nella contestata motivazione (e indi – sembra opportuno precisare alla luce dell’intero impianto ricorsuale – fuori da ogni ipotesi di “integrazione postuma della motivazione”), ovvero che la candidata ha omesso, nell’atto, di prevedere la predetta autorizzazione ex art. 747 c.p.c..

La stessa ricorrente sostiene, invero, il contrario, riferendosi però ad affermazioni che sono dalla medesima chiaramente ricondotte alla sola parte teorica.

Inoltre, va rammentato che, dal momento che il giudizio di legittimità dinanzi al giudice amministrativo non può trasmodare in un pratico rifacimento ad opera dell'adito organo di giustizia del giudizio espresso dalle commissioni esaminatrici (con conseguente sostituzione del primo alle seconde), trova espansione il principio per cui l'apprezzamento tecnico delle stesse è sindacabile soltanto ove risulti macroscopicamente viziato da illogicità, irragionevolezza o arbitrarietà, qui non rilevabili alla luce di quanto appena sopra osservato.

In particolare, secondo il principio qui da ribadire assunto dalla consolidata giurisprudenza amministrativa (anche della Sezione), secondo cui il giudizio delle commissioni esaminatrici, comportando una valutazione essenzialmente qualitativa della preparazione scientifica dei candidati, attiene alla sfera della discrezionalità tecnica, censurabile – unicamente sul piano della legittimità – per evidente superficialità, incompletezza, incongruenza, manifesta disparità, se emergenti dalla stessa documentazione e ove tali da configurare un palese eccesso di potere, senza che, con ciò, il giudice possa o debba entrare nel merito della valutazione ( ex multis , C. Stato, IV, 17 gennaio 2006, n. 172;
22 gennaio 2007, n. 179;
29 febbraio 2008, n. 774;
3 dicembre 2010, n. 8504;
2 marzo 2011, n. 1350;Tar Lazio Roma, I, n. 6164 del 2012, cit.).

Del resto, l'applicazione della norma tecnica non sempre si traduce in una legge scientifica universale, caratterizzata dal requisito della certezza: ed anzi, quando contiene concetti giuridici indeterminati, dà luogo ad apprezzamenti tecnici ad elevato grado di opinabilità (sul punto, Tar Lazio, Roma, I, 25 giugno 2004, n. 6209).

Non possono, pertanto, trovare favorevole considerazione in questa sede quelle censure che mirino a contestare le valutazioni della commissione proponendo una diversa lettura del contenuto delle prove oggetto di concorso: è evidente, invero, che in tal modo si chiede alla sede giurisdizionale di sovrapporsi alla valutazione di merito resa dalle commissioni esaminatrici.

A ciò si aggiunge l’evidenza costituita dal fatto che ciò che conta, in sede di valutazione degli elaborati svolti in una procedura per l'accesso ad una professione a numero chiuso, non è solamente la esattezza delle soluzioni giuridiche propugnate e prescelte, ma anche (e soprattutto) la modalità espositiva.

Ove così non fosse, dovrebbe ammettersi che tutti i candidati estensori di elaborati recanti soluzioni in qualche modo corrette debbano necessariamente superare la prova concorsuale, il che non può sicuramente avvenire, posto che, come già rilevato, le finalità del concorso risiedono nella selezione dei migliori e non già di tutti coloro che dimostrino di saper comunque giungere a conclusioni esatte.

Applicando alla fattispecie tali consolidati canoni ermeneutici, e tenendo conto sia dell’opinabilità delle questioni giuridiche sottese ai quesiti, spesso articolati e complessi, che connotano le prove d'esame del concorso notarile sia del rilievo che il giudizio sulle soluzioni offerte dal candidato è spesso condizionato in modo determinante dal percorso logico e dalle argomentazioni che le sostengono, nell'ambito di una più generale valutazione sulla completezza e la logica interna dell'elaborato, il Collegio non rinviene nella fattispecie la possibilità di procedere a uno scrutinio delle singole valutazioni espresse dalla commissione in relazione ai vari aspetti della prova della ricorrente fatte oggetto di negativo apprezzamento, come sostanzialmente dalla medesima suggerito con il filone argomentativo all’esame.

Tali profili, si ribadisce, attengono infatti alla sfera di giudizio riservata alla piena discrezionalità della commissione, rispetto alla quale non è in alcun modo ammissibile la “sostituzione” dell'organo giurisdizionale, sostanzialmente invocata dalla parte ricorrente.

Le considerazioni sin qui esposte impediscono di conferire rilievo anche alle argomentazioni svolte dalla ricorrente che involvono nella richiesta di messa a confronto di singole parti del proprio elaborato con singole parti di elaborati di altri candidati valutati come idonei.

Invero, applicando le coordinate giurisprudenziali sopra citate, l’utilità di tale operazione si appaleserebbe esclusivamente nell’ipotesi di un’assoluta identità degli elaborati da confrontare, nella specie non rilevata come sussistente.

5.3. Resta da rilevare che la ricorrente si duole che nel procedimento non sarebbe stato fissato il termine finale di cui all’art. 11, comma 1, del D.P.R. 487/1994.

Anche tale censura va respinta, atteso che, anche laddove fosse sostenibile che la disciplina generale in parola si applichi al concorso in esame, retto da specifiche disposizioni (e tanto non può desumersi, come fa la ricorrente, dalla circostanza che il preambolo del bando citi il D.P.R. 487/1994, atteso che tale richiamo è limitato all’art.5, “Categorie riservatarie e preferenze”), si tratterebbe, al più, di una mera irregolarità formale, del tutto insuscettibile di inficiare le operazioni concorsuali, e comunque di produrre effetti lesivi a danno della ricorrente.

6. Per tutto quanto precede, il ricorso deve essere respinto.

Il Collegio ritiene nondimeno equo disporre la compensazione delle spese di lite.

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