TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2020-03-10, n. 202003101

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2020-03-10, n. 202003101
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202003101
Data del deposito : 10 marzo 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 10/03/2020

N. 03101/2020 REG.PROV.COLL.

N. 04042/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4042 del 2017, proposto dalla società Dexia Crediop S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti M F, M L, S T e E S, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, viale Luca Gaurico, n. 257;

contro

Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, in persona del Ministro p.t. e Soprintendenza Speciale per il Colosseo e l'Area Archeologica Centrale di Roma, in persona del Soprintendente p.t., re, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per l'annullamento

- della nota della Soprintendenza Speciale per il Colosseo e l’Area Archeologica Centrale di Roma, prot. 001845 del 03.02.2017 inoltrata a mezzo PEC in data 07.02.2017, recante la ricognizione delle opere tutelate della Collezione d’Arte di Dexia Crediop S.p.A.;

- in una a ogni atto a essa presupposto, connesso e/o consequenziale ancorché allo stato non conosciuto.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e della Soprintendenza Speciale per il Colosseo e l'Area Archeologica Centrale di Roma;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 febbraio 2020 la dott.ssa Roberta Mazzulla e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso notificato in data 10.04.2017 e depositato in data 5.05.2017, l’istituto bancario ricorrente, avente natura giuridica di società per azioni risultante dalla privatizzazione dell’ente pubblico economico Consorzio di Credito per le Opere Pubbliche (CrediOp), ha impugnato la nota prot. 001845 del 03.02.2017 con cui la Soprintendenza Speciale per il Colosseo e Area Archeologica Centrale di Roma ha dichiarato la natura di “beni culturali” - ex art. 10 D.lgs. n. 42/2004, con conseguente divieto di uscita definitiva dal territorio della Repubblica (art. 65 D.lgs. n. 42/2004) ed impossibilità di richiedere l’attestato di libera circolazione (art. 68 D.lgs. n. 42/2004) - in relazione alla collezione di opere d’arte (comprendente un totale di 88 opere tra dipinti, disegni e sculture di epoche diverse) già di proprietà del suddetto ente pubblico economico, di cui la stessa è divenuta titolare in forza della suddetta privatizzazione.

2. A sostegno del gravame, la società ricorrente ha premesso, in fatto, di aver avviato, a decorrere dal 2015, un programma di valorizzazione del proprio patrimonio, ivi inclusa una parte della collezione di opere d’arte summenzionata, in attuazione del quale, con istanze presentate agli Uffici Esportazione di Genova (istanza in data 29.04.2015 per n. 15 opere d’arte), di Milano (istanze in data 15.06.2015 e 18.06.2015, per n. 21 opere d’arte) e di Roma (istanze in data 29.09.2015 per n. 41 opere d’arte), richiedeva, ai sensi dell’art. 68 D.lgs. n. 42/2004, il rilascio di n. 77 attestati di libera circolazione.

2.1 I procedimenti amministrativi conseguentemente avviati si concludevano con il rilascio dell’attestato di libera circolazione in relazione ad un numero di opere pari a trenta, rimanendo, nella restante parte, inevasi (ad esclusione dell’opera pittorica “L’Italia, Venezia e gli studi”, di M S, in relazione alla quale, all’esito del preavviso di diniego da parte dell’Ufficio Esportazione di Genova, veniva avviato il procedimento per la dichiarazione d’interesse culturale, ai sensi dell’art. 14 D.lgs. n. 42/2004, successivamente concluso con la positiva dichiarazione vincolistica).

2.2 La Soprintendenza Speciale per il Colosseo e Area Archeologica Centrale di Roma, compulsata dagli Uffici Esportazione sopra citati, con nota prot. 001845 del 03.02.2017, dopo aver tratteggiato la genesi “storica” della raccolta d’arte di proprietà dell’ex Crediop, oggi confluita nel patrimonio della società ricorrente, ha dichiarato le opere acquistate sul mercato antiquario italiano in epoca antecedente al 30 luglio 1990, ossia prima che l’ente pubblico economico in questione venisse privatizzato in forza della L. 218/1990 (cd. Legge Amato), assoggettate al regime dei cd. “beni culturali” di cui al Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D.lgs. 42/2004 e s.m.i., da ora in poi “Codice”).

Ciò sulla scorta della considerazione che il mutamento della natura giuridica del soggetto titolare del bene culturale (da ente pubblico privato a società di diritto privato) non inciderebbe sull’intrinseca natura culturale delle opere d’arte.

3. Avverso la nota in questione è, dunque, insorta la società ricorrente, affidando il gravame ai motivi di diritto appresso sintetizzati.

“I. Eccesso di potere per incompetenza assoluta, carenza di potere provvedimentale”.

La Soprintendenza Speciale per il Colosseo e Area Archeologica Centrale di Roma, dichiarando le opere d’arte di proprietà della società ricorrente quali beni culturali ai sensi dell’art. 10, comma 1 D.lgs. n. 42/2004, avrebbe invaso le competenze assegnate dal legislatore, ex artt. 65, comma 3 e 68 citato D.lgs. n. 42/2004, agli uffici di esportazione territorialmente competenti, innanzi ai quali i procedimenti avviati ad impulso della ricorrente risultavano ancora pendenti.

“II. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 10, comma 1 e dell’art. 68, D.Lgs. n. 42/2004. Eccesso di potere per errore nei presupposti in diritto, difetto d’istruttoria e di motivazione, contraddittorietà e perplessità dell’azione amministrativa”.

La Soprintendenza avrebbe errato nel considerare la data di entrata in vigore della cd. legge Amato (della L. 218/1990) quale parametro di riferimento al fine di accertare, tenuto conto della relativa data di acquisto, la natura “pubblica” ovvero privata delle opere d’arte oggi di proprietà della società ricorrente e, quindi, la relativa sottoposizione o meno delle stesse al regime vincolistico di cui al D.lgs. n. 42/2004, non fosse altro perché, a quella data, il procedimento di privatizzazione dell’ex Crediop non avrebbe potuto dirsi concluso.

In ogni caso, le opere d’arte di proprietà dell’ex Crediop, una volta divenute parte integrante del patrimonio della Dexia Crediop S.p.A., sarebbero assoggettate alla disciplina, di natura privatistica, tipica delle società di capitali, con conseguente applicazione del regime giuridico di cui all’art. 65, comma 3 e 68 D.lgs. n. 42/2004.

L’ininfluenza del mutamento della forma giuridica del soggetto proprietario di una tipologia di bene culturale sottoposto a tutela sarebbe stata, infatti, sancita dal Codice, giusta il disposto di cui all’art. 13, comma 2, soltanto in relazione alle raccolte d’arte pubbliche e non anche a quelle di diritto privato.

Tant’è che, in relazione a trenta opere d’arte della medesima collezione, gli uffici esportazione all’uopo interessati avevano già rilasciato l’attestato di libera circolazione di cui all’art. 68 D.lgs. n. 42/2004. Tale circostanza, in uno alla promozione del procedimento per la dichiarazione dell'interesse culturale, avviato dall’Ufficio Esportazione di Genova, in relazione all’opera pittorica “L’Italia, Venezia e gli studi”, di M S, comproverebbe la sottrazione di tutte le opere d’are della collezione al regime vincolistico e, quindi, al divieto di uscita definitiva dal territorio della Repubblica di cui all’art. 65 D.lgs. n. 42/2004.

4. Il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo ha eccepito, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, stante la pretesa natura dichiarativa e non anche costitutiva dell’attestazione di “bene culturale” in capo alle opere che compongono la collezione d’arte di proprietà della ricorrente.

4.1 Nel merito, la difesa erariale ha comunque contestato la fondatezza della domanda di annullamento, mediante articolate e documentate deduzioni difensive.

5. In occasione della pubblica udienza del 25 febbraio 2020 la causa è stata trattenuta in decisione.

6. Preliminarmente, deve essere esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, formulata dalla parte pubblica.

6.1 L’eccezione in questione non coglie nel segno.

6.2 Ed invero, la nota prot. n. 001845 del 03.02.2017 adottata dalla Soprintendenza Speciale per il Colosseo e l’Area Archeologica Centrale di Roma, a prescindere dalla portata dichiarativa ovvero costitutiva della qualificazione in essa contenuta circa la natura “beni pubblici” in capo alle opere che compongono la collezione d’arte per cui è causa, ha certamente prodotto l’effetto di arrestare i procedimenti amministrativi allo stato pendenti presso i vari Uffici esportazione.

6.3 Da qui l’interesse della ricorrente ad ottenere l’annullamento della nota in questione, stante l’inequivocabile portata lesiva della stessa.

7. Nel merito, il ricorso è infondato, sulla scorta delle considerazioni appresso illustrate.

8. Priva di pregio risulta, innanzitutto, l’eccezione, potenzialmente assorbente, tesa a contestare lo sconfinamento dalla proprie competenze che avrebbe posto in essere la Soprintendenza Speciale per il Colosseo e l’Area Archeologica Centrale di Roma ai danni dei vari Uffici di esportazione, all’uopo compulsati dalla società istante al fine di ottenere il cd. attestato di libera circolazione (art. 68 D.lgs. n. 42/2004, rubricato Attestato di libera circolazione).

8.1 Ed invero, nel disciplinare il procedimento di rilascio dell’attestato in questione, attivabile esclusivamente in relazione alle “cose indicate nell'articolo 65, comma 3” D.lgs. n. 42/2004, il legislatore ha espressamente previsto che l'ufficio di esportazione interessato, “entro tre giorni dall'avvenuta presentazione della cosa [o del bene], ne dà notizia ai competenti uffici del Ministero, che segnalano ad esso, entro i successivi dieci giorni, ogni elemento conoscitivo utile in ordine agli oggetti presentati per l'uscita definitiva” (così art. 68 comma 2 citato D.lgs.).

8.2 Il procedimento di rilascio dell’attestato in parola è, dunque, connotato da una parentesi partecipativa che coinvolge i “competenti uffici del Ministero”, tra cui rientra la Soprintendenza Speciale per il Colosseo e l’Area Archeologica Centrale di Roma, ai quali, proprio in ragione delle specifiche competenze in materia, è attribuito il compito di segnalare all’Ufficio di esportazione compulsato dal privato “ogni elemento conoscitivo utile”.

8.3 Tra le segnalazioni in parola rientra, certamente, anche quella secondo cui gli oggetti presentati per l’uscita definitiva non rientrino affatto nel genus di quelli potenzialmente trasferibili all’estero - ossia quelli di cui all’art. 65 comma 3 D.lgs. n. 42/2004 – trattandosi piuttosto di “beni culturali mobili indicati nell'articolo 10, commi 1, 2 e 3”, in relazione ai quali il citato art. 65, al comma 1, vieta espressamente “l'uscita definitiva dal territorio della Repubblica”, con conseguente impossibilità ab imis per l’Ufficio esportazione interessato di rilasciare il richiesto attestato di libera circolazione.

8.4 Con la nota oggetto di gravame, la Soprintendenza Speciale per il Colosseo e l’Area Archeologica Centrale di Roma, diversamente da quanto ritenuto dalla società ricorrente, ha, dunque, esercitato le specifiche competenze all’uopo assegnatele dal legislatore ex art. 68, comma 2 D.lgs. n. 42/2004, segnalando che le singole opere d’arte presentate per l’autorizzazione all’esportazione presso i vari uffici di Genova, Milano e Roma appartengono, in realtà, ad un’unica collezione, complessivamente qualificabile in termini di “beni culturali” ex art. 10 D.lgs. n. 42/2004, per i quali, essendo vietata l'uscita definitiva dal territorio della Repubblica, non sarebbe stato possibile, in nuce , attivare il procedimento di rilascio del cd. attestato di libera circolazione (art. 68 D.lgs. n. 42/2004).

9. Anche le ulteriori censure non incontrano il positivo apprezzamento del Collegio.

10. L’apprezzamento dell’infondatezza di siffatti motivi di gravame passa attraverso la preliminare ricostruzione di quali siano le varie categorie di “beni culturali” e del relativo regime giuridico, secondo quanto previsto dal cd. Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.lgs. n. 42/2004).

10.1 Dopodiché occorrerà verificare, tenuto conto del tenore formale e sostanziale della nota oggetto di gravame, a quale delle categorie de quibus la Soprintendenza abbia inteso fare riferimento allorquando ha dichiarato le opere componenti la collezione d’arte di proprietà della ricorrente quali “beni culturali” sottoposti a tutela.

11. Orbene, a norma dell’art. 10, comma 1, del Codice:

“1. Sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico ”.

11.1 Vi è quindi una prima categoria di beni culturali, costituiti, per quanto qui di interesse, da tutte quelle “cose immobili e mobili” che, dal punto di vista formale, appartengono allo Stato ovvero ad altri enti pubblici ed inoltre, quanto alla relativa rilevanza artistica, storica, archeologica o etnoantropologica, siano stati oggetto di uno specifico procedimento di riconoscimento, espressamente disciplinato dall’art. 12 D.lgs. n. 42/2004, rubricato “Verifica dell'interesse culturale”.

12. Sono, inoltre, beni culturali, recita l’art. 10, comma 2 Codice:

a) le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico;

b) gli archivi e i singoli documenti dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico;

c) le raccolte librarie delle biblioteche dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali nonché di ogni altro ente e istituto pubblico, ad eccezione delle raccolte che assolvono alle funzioni delle biblioteche indicate all' articolo 47, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 [, e di quelle ad esse assimilabili] ”.

12.1 In relazione a siffatti beni il legislatore ha operato a monte una valutazione di interesse “culturale” che non abbisogna, quindi, dell’attivazione di alcun procedimento amministrativo di verifica.

Ed infatti, giusta il disposto di cui all’art. 13, comma 2, D.lgs. n. 42/2004, la dichiarazione dell'interesse culturale, disciplinata, quanto al procedimento, dai successivi artt. 14 e 15, “ non è richiesta per i beni di cui all'articolo 10, comma 2. Tali beni rimangono sottoposti a tutela anche qualora i soggetti cui essi appartengono mutino in qualunque modo la loro natura giuridica ”.

12.2 Trattasi, quindi, di beni ipso iure culturali per i quali, ab origine , vige il divieto uscire in via definitiva dal territorio della Repubblica (si veda art. 65, comma 1 D.lgs. n. 42/2004 secondo cui: “ 1. È vietata l'uscita definitiva dal territorio della Repubblica dei beni culturali mobili indicati nell'articolo 10, commi 1, 2 e 3 ”).

13. Esiste, infine, un’ultima categoria di “beni culturali” ossia quelli di cui all’art. 10 comma 3 del Codice, secondo cui:

3. Sono altresì beni culturali, quando sia intervenuta la dichiarazione prevista dall'articolo 13:

“a) le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante, appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1;

b) gli archivi e i singoli documenti, appartenenti a privati, che rivestono interesse storico particolarmente importante;

c) le raccolte librarie, appartenenti a privati, di eccezionale interesse culturale;

d) le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con 1a storia politica, militare, della letteratura, dell'arte, della scienza, della tecnica, dell'industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell'identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose. Se le cose rivestono altresì un valore testimoniale o esprimono un collegamento identitario o civico di significato distintivo eccezionale, il provvedimento di cui all'articolo 13 può comprendere, anche su istanza di uno o più comuni o della regione, la dichiarazione di monumento nazionale;

d-bis) le cose, a chiunque appartenenti, che presentano un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico eccezionale per l’integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione;

e) le collezioni o serie di oggetti, a chiunque appartenenti, che non siano ricomprese fra quelle indicate al comma 2 e che, per tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali, ovvero per rilevanza artistica, storica, archeologica, numismatica o etnoantropologica, rivestano come complesso un eccezionale interesse [artistico o storico] ”.

13.1 Affinché i beni in questione possano dirsi “culturali” è, quindi, necessario che l’interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico “particolarmente importante” venga dichiarato, ex art. 13, comma 1 del Codice, all’esito del procedimento disciplinato dai successivi artt. 14 e 15.

14. Passando, quindi, all’esame del regime giuridico dei beni cd. “culturali”, ossia quelli di cui ai commi 1, 2 e 3 del citato art. 10, il legislatore ha imposto un radicale divieto di uscita definitiva dal territorio nazionale.

14.1 Così infatti recita l’art. 65, commi 1 e 2, del Codice:

1. È vietata l'uscita definitiva dal territorio della Repubblica dei beni culturali mobili indicati nell'articolo 10, commi 1, 2 e 3.

2. È vietata altresì l'uscita:

a) delle cose mobili appartenenti ai soggetti indicati all'articolo 10, comma 1, che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, fino a quando non sia stata effettuata la verifica prevista dall'articolo 12.

b) dei beni, a chiunque appartenenti, che rientrino nelle categorie indicate all'articolo 10, comma 3, e che il Ministero, sentito il competente organo consultivo, abbia preventivamente individuato e, per periodi temporali definiti, abbia escluso dall'uscita, perché dannosa per il patrimonio culturale in relazione alle caratteristiche oggettive, alla provenienza o all'appartenenza dei beni medesimi”.

14.2 Al di fuori dei casi summenzionati (ossia quelli di cui ai commi 1 e 2), al comma 3 dell’art. 65 in questione, il Legislatore ha assoggettato ad autorizzazione l'uscita definitiva dal territorio della Repubblica:

“a) delle cose, a chiunque appartenenti, che presentino interesse culturale, siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, il cui valore, fatta eccezione per le cose di cui all'allegato A, lettera B, numero 1, sia superiore ad euro 13.500;

b) degli archivi e dei singoli documenti, appartenenti a privati, che presentino interesse culturale;

c) delle cose rientranti nelle categorie di cui all'articolo 11, comma 1, lettere f), g) ed h), a chiunque appartengano ”.

15. Ed è proprio in relazione a siffatti ultimi beni, ossia quelli di cui al comma 3 dell’art. 65 sopra trascritto, che il soggetto interessato può chiedere all’ufficio espropriazione il rilascio del cd. “attestato di libera circolazione” più volte sopra menzionato.

Così, infatti, recita l’art. 68, comma 1 del Codice:

1. Chi intende far uscire in via definitiva dal territorio della Repubblica le cose indicate nell'articolo 65, comma 3, deve farne denuncia e presentarle al competente ufficio di esportazione, indicando, contestualmente e per ciascuna di esse, il valore venale, al fine di ottenere l'attestato di libera circolazione.

2. L'ufficio di esportazione, entro tre giorni dall'avvenuta presentazione della cosa [o del bene], ne dà notizia ai competenti uffici del Ministero, che segnalano ad esso, entro i successivi dieci giorni, ogni elemento conoscitivo utile in ordine agli oggetti presentati per l'uscita definitiva ”.

16. Chiarita, dunque, la tipologia - ed il relativo regime giuridico - dei vari beni culturali di cui all’art. 10, commi 1, 2 e 3 D.lgs. n. 42/2004, resta, dunque, da verificare a quale delle categorie summenzionate la Soprintendenza Speciale per il Colosseo e Area Archeologica Centrale di Roma si sia riferita allorquando ha qualificato le opere d’arte di proprietà della società ricorrente quali beni “culturali” sottoposti a tutela, per ciò stesso soggetti al divieto di uscita definitiva dal territorio della Repubblica, imposto dall’art. 65, comma 1 del Codice, con conseguente impossibilità di rilascio del cd. attestato di libera circolazione (art. 68).

17. Siffatta verifica deve essere condotta, ad avviso del Collegio, attraverso l’analisi della nota oggetto di gravame, laddove l’autorità tutoria ha operato un’analitica ricostruzione della genesi delle opere d’arte in questione.

17.1 Per quanto qui di interesse, la Soprintendenza ha espressamente considerato tutti i beni come facenti parte di un’unica “raccolta d'arte Dexia Crediop”, costituita da “88 opere d'arte tra dipinti, disegni e sculture di epoche diverse, comprese tra il XVI e il XX secolo”. Il nucleo principale delle opere, circa metà (41), fu acquistato dall'ex Crediop (Consorzio di Credito per le Opere Pubbliche) sul mercato antiquario italiano, tra il 1986 e il 1993”.

Siffatta qualificazione unitaria delle opere de quibus, parti integranti di un’unica “raccolta”, è stata, peraltro, riconosciuta dalla stessa società ricorrente la quale, in sede di gravame, ha fatto riferimento alla propria “collezione di opere d’arte, comprendente un totale di 88 opere tra dipinti, disegni e sculture di epoche diverse” (cfr. pag. 2 del ricorso).

17.2 Inoltre, secondo quanto affermato dalla Soprintendenza – e, si badi bene, non contestato dalla società ricorrente mediante l’articolazione di motivi di gravame – le opere di siffatta “raccolta” sono “tutte note al pubblico non solo grazie al volume di P T La collezione d'arte di Dexia Crediop. Dipinti, disegni e sculture dal XVI al XX secolo (Milano 2002), ma anche alle iniziative denominate Invito a Palazzo, promosse dall'ABI, e a mostre realizzate da Dexia Crediop”.

18. Il dato emergente dalla ricostruzione operata dalla Soprintendenza è, dunque, quello dell’esistenza di un’unica ed importante collezione di opere d’arte di proprietà dell’ente pubblico Consorzio di Credito per le Opere Pubbliche, cd. Crediop - successivamente trasferita nel patrimonio della società di capitali odierna ricorrente, per effetto della privatizzazione del predetto ente – che è, certamente, nota al pubblico non solo in quanto raffigurata in testi di interesse culturale (volume di P T La collezione d'arte di Dexia Crediop. Dipinti, disegni e sculture dal XVI al XX secolo, Milano 2002), ma anche e, soprattutto, in considerazione delle iniziative espositive e mostre promosse sia dall'ABI che da Dexia Crediop.

19. Ebbene le suddette circostanze - ossia l’esistenza di un’unica collezione d’arte soggetta ad “esposizione”, in origine appartenente ad un ente pubblico economico - assumono, ad avviso del Collegio, una valenza determinante nella qualificazione delle opere che la compongono in termini di “beni culturali”, per come operata dalla Soprintendenza nel corpo della nota oggetto di gravame.

20. Siffatta qualificazione è, invero, aderente a quella di cui all’art. 10, comma 2 – e non anche comma 1, per come erroneamente ritenuto dalla società ricorrente – del D.lgs. n. 42/2004 che, alla lettera “a)”, qualifica ipso iure come “beni culturali” , a prescindere da qualsivoglia riconoscimento da parte della p.a. “ le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico ”.

21. La “collezione d’arte” dell’ex Crediop – ente pubblico economico successivamente privatizzato – offerta alla conoscenza del pubblico tramite mostre ed iniziative espositive varie, è stata, dunque, correttamente qualificata dall’autorità tutoria quale “bene culturale”.

21.1 Ciò, lo si ripete, in aderenza al disposto di cui all’art. 10, comma 2 del D.lgs. n. 42/2004 - e non anche comma 1, per come indicato in ricorso - con conseguente divieto di uscita definitiva dal territorio della Repubblica delle singole opere che la compongono, espressamente comminato dall’art. 65, comma 1 citato D.lgs.

21. La privatizzazione del suddetto ente pubblico è stata, dunque, altrettanto correttamente considerata irrilevante ai fini della qualificazione del regime giuridico dei beni de quibus e ciò in applicazione dell’art. 13, comma 2 del Codice, secondo cui i beni previsti dall'articolo 10, comma 2 citato Codice, oltre a non abbisognare della cd. dichiarazione di interesse culturale, rimangono sottoposti a tutela anche qualora i soggetti cui essi appartengono mutino in qualunque modo la loro natura giuridica.

22. La qualificazione di tutte le opere d’arte che, pur componendo in origine un’unica collezione soggetta ad esposizione, sono state singolarmente inviate ai vari Uffici Esportazione di Genova, Roma e Milano, al fine di ottenere il rilascio dell’attestato di libera di circolazione di cui all’art. 68 del Codice - nella specie non rilasciabile, stante il divieto di cui citato art. 65 - risulta, dunque, ad avviso del Collegio, immune da tutti i vizi prospettati in ricorso.

23 Né a confutazione della corretta qualificazione giuridica operata dall’autorità tutoria possono ritenersi meritevoli di apprezzamento le censure tese a valorizzare, per un verso, la positiva definizione dei procedimenti ex art. 68 del Codice, avuto riguardo a talune delle opere d’arte che compongono la collezione e, per l’altro, la declaratoria di interesse culturale rilasciata dal Ministero, a valle del procedimento avviato dall’Ufficio Esportazione di Genova, in relazione all’opera pittorica “L’Italia, Venezia e gli studi”, di M S.

23.1 Vero è che i suddetti procedimenti sono stati, in precedenza, definiti dall’amministrazione in termini obiettivamente contrastanti con la natura giuridica di “bene culturale” ex art. 10, comma 2, D.lgs. n. 42/2004, per come riconosciuta - con efficacia accertativa e dichiarativa e non costitutiva - dall’autorità tutoria nell’ambito della nota oggetto di gravame.

Tuttavia, siffatta discrasia, tenuto conto delle disposizioni normative in materia, per come sopra riportate ed interpretate, non appare al Collegio idonea a scalfire la correttezza della qualificazione giuridica operata dalla Soprintendenza con la nota in esame, costituendo piuttosto il frutto di erronee e disorganiche applicazioni delle disposizioni in questione, agevolate dallo smembramento, ad opera della società ricorrente, dell’unica “collezione d’arte” nelle sue varie componenti, singolarmente presentate ai vari uffici di espropriazione dislocati sul territorio nazionale, al fine di ottenerne – indebitamente - la singola autorizzazione all’esportazione al di fuori del territorio nazionale.

24. In conclusione il ricorso è infondato e, come tale, deve essere rigettato.

25. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

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