TAR Napoli, sez. VIII, sentenza 2021-12-03, n. 202107787

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. VIII, sentenza 2021-12-03, n. 202107787
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 202107787
Data del deposito : 3 dicembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 03/12/2021

N. 07787/2021 REG.PROV.COLL.

N. 02882/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Ottava)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2882 del 2019, proposto da
T C, rappresentato e difeso dagli avvocati L R C e F C, con domicili digitali come da p.e.c.: studiolegalecrisci@pec.giuffre.it ;
avv.fabrizio.crisci@pec.it ;

contro

- Comune di Benevento, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato M D, con domicilio digitale come da p.e.c.: marcodresda@avvocatinapoli.legalmail.it ;
- Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Distrettuale Napoli, presso la quale, alla via Diaz, n. 11 domicilia ope legis;

per l’annullamento

a) del provvedimento emesso dal Comune di Benevento Settore urbanistica e attività produttive, Sportello Unico Edilizia, n. protocollo 38049 del 23/04/2019 notificato il 26/04/2019 a firma del Responsabile. del Procedimento, del Responsabile del Servizio e del Dirigente e del provvedimento n. prot. 3761 del 21/03/2019, con il quale veniva rigettata “la Formulazione SCIA prot. n. 19 del 02.01.2019 per “opere di recinzione e messa in opera piscina pertinenziale in Via San Pasquale, distinto in catasto al fg. 81 p.lla 161” ;

b) del provvedimento presupposto emesso dal Ministero per i beni e le attività culturali, Soprintendenza Archeologia delle arti e paesaggio per le province di Caserta e Benevento n. prot. 3761 del 21/03/2019, acquisita al protocollo del Comune di Benevento al n. 36213, del 16/04/2019 a firma del Responsabile del Procedimento e del Soprintendente, recante l’espressione del parere negativo sulla proposta progettuale del ricorrente.

c) di tutti gli atti ad essi prodromici, presupposti e/o connessi;

e per la condanna

del Comune di Benevento in persona ex lege e del Ministero per i beni e le attività culturali, Soprintendenza Archeologia delle arti e paesaggio per le province di Caserta e Benevento al risarcimento del danno da atto illegittimo da quantificarsi in corso di giudizio ovvero in via equitativa.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Benevento e di Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali;

Viste le produzioni delle parti;

Visti tutti gli atti della causa;

Uditi - Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 ottobre 2021 il dott. V C - i difensore delle parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso, notificato il 25.06.2019 e depositato il 10.07.2019, T C - nella dedotta qualità di proprietario di parte dell’immobile, con annesso garage, acquistato con atto notarile del 26.10.2007 dalla Sibaf Costruzioni S.r.l., che lo aveva realizzato, e, precisamente, l’ala del fabbricato confinante con il fondo completamente incolto ed abbandonato, intercluso di fatto e di diritto, contraddistinto in catasto al F. 81, p.lla 161, beneficiando delle agevolazioni per l’acquisto della prima casa - riferisce, in fatto che:

- in base al “Piano Casa”, approvato nell’anno 2010 dal Comune di Benevento, ai sensi della legge Regione Campania n. 19 del 28.12.2009, per il recupero, attraverso interventi differenziati di arre degradate, su tutto il territorio cittadino, tra cui la zona “Ponticelli” situata al limite del centro storico, per decenni non interessata da alcun tipo di intervento, in virtù di Permesso di Costruire n. 1910 pratica n. 438/11 emesso dal Comune di Benevento in data 19/07/2011, Permesso di costruire n. 2667, pratica edilizia n. 657/2015 emesso dal Comune di Benevento in data 05/02/2016 e rilasciato il 08/02/2016, nonché previa presentazione di SCIA in variante del 23/12/2016, la predetta società realizzava sul terreno in Catasto al F. 81 p.lle 168, 315, 164 e 169 poi fuse nell’unica p.lla 168, in esecuzione del menzionato Piano Casa, un comparto abitativo composto da 8 appartamenti con due ingressi differenti;

- la struttura, proprio perché all’avanguardia sotto il profilo tecnologico, con classificazione energetica “A” senza alcun impatto ambientale, veniva autorizzata in quanto rientrante nelle caratteristiche disciplinate dal Piano Casa ai sensi dell’art. 7 comma 2 della L.R. 19/2009 per il recupero di zone altamente degradate, sebbene ricomprese nel limite del perimetro del centro storico ;

- in un’ottica di recupero e di miglioramento della zona circostante, completamente abbandonata e degradata, con lo scopo di apportare miglioramenti soprattutto all’abitazione di recente acquistata al fine di godere di un ambiente riqualificato sotto il profilo igienico sanitario e sotto il profilo urbanistico, con atto notarile del 18/06/2018, il ricorrente in epigrafe acquistava la porzione di terreno, confinante con la sua abitazione per accorparlo all’appartamento, estesa are 6.20, in catasto al F. 81, p.lla 161;

- la detta porzione di terreno veniva acquistata proprio in vista di un imminente intervento di riqualificazione mediante lavori di ripulitura e di manutenzione ordinaria e straordinaria, prima inesistenti, che avrebbero eliminato in parte i disagi igienico-sanitari interessanti tutta la zona circostante senza intaccare l’equilibrio urbanistico visto che avrebbe costituito l’appendice/pertinenza della nuova struttura realizzata in esecuzione del Piano Casa, di cui costituisce accessione a completamento dell’intervento di riqualificazione;

- e così con SCIA prot. n. 19 del 02/01/2019 il ricorrente in epigrafe formulava allo Sportello Unico dell’Edilizia presso il Comune di Benevento segnalazione certificata per “opere di recinzione e messa in opera piscina pertinenziale in Via San Pasquale”, esponendo che “il terreno attualmente versa in uno stato di degrado e abbandono, con una vegetazione spontanea che compromette la salubrità delle zone limitrofe. Scopo del presente intervento è quello di riqualificare l’area attraverso un intervento di manutenzione straordinaria e creare uno spazio a giardino a servizio dell’abitazione.”;

- il progetto prevedeva l’installazione di una piscina di piccole dimensioni (mt. 5 x 10) con una profondità variabile da mt. 1,20 a mt. 2,40 circa di acciaio zincato interrata con accesso dal terrazzo confinante, mentre la recinzione sarebbe stata realizzata con pali in legno e rete metallica sciolta di altezza mt. 1,50 posti ad una distanza l’uno dall’altro di mt. 1,50, con impianto di irrigazione per il prato e di illuminazione per esterni;

- con nota raccomandata A/R prot. 19/19 del 12/03/2019, proveniente dal “Settore Urbanistica ed Attività Produttiva, 14 marzo 2019, Prot. 25491”, ad oggetto: “Formulazione SCIA per opere pertinenziali (sistemazione esterna e messa in opera di piscina privata) riconducibili alla Manutenzione Straordinaria da effettuarsi presso area di spettanza ad un fabbricato urbano sito in ambito Centro Storico, indirizzata a Ministero per i Beni e le Attività Culturali Soprintendenza per i Beni Ambientali, e, per conoscenza, al ricorrente T C, il Comune di Benevento, Sportello Unico dell’Edilizia, comunicava che “Per quanto di competenza si trasmettono in allegato n. 2 copie della documentazione di cui all’oggetto significando che non si ravvisano, per quanto di competenza, motivazioni ostative all’intervento. Si specifica che l’area oggetto di intervento, nello specifico sistemazione esterna di un giardino con messa in opera di piscina ad uso privato, risulta essere sita su suolo oggetto di “decadenza vincolo” e, pertanto si è dell’avviso che si possa accogliere la S.C.I.A. in oggetto fermo restando la acquisizione dei Pareri vincolanti e obbligatori di Vostra competenza”.

Date tali premesse e preso atto che, nonostante quanto sopra, con nota prot. 38049 del 23/04/2019, a firma congiunta del Resp. del Procedimento, del Resp. del Servizio, il Comune di Benevento, Settore urbanistica e attività produttive, Sportello Unico Edilizia “Visto il Parere Sfavorevole delle Soprintendenze obbligatorio e vincolante formulato ai sensi dell’art. 55 c.

2.22 delle N.T.A. del PUC Città di Benevento del 21.03.2019 prot. n. 3761 acquisito al n/s prot. n. 36213 del 16.4.2019, visto l’art. 20 del D.P.R. 380/01 e ss.mm.ii.” aveva rigettata la “Formulazione SCIA prot. n. 19 del 02.01.2019 per “opere di recinzione e messa in opera piscina pertinenziale in Via San Pasquale, distinto in catasto al fg. 81 p.lla 161”, allegandosi in copia la nota prot. 3761 del 21/03/2019, acquisita al protocollo del Comune di Benevento al n. 36213, del 16/04/2019 del Soprintendente recante l’espressione del parere negativo all’intervento, formulato, per quanto di competenza, dal Ministero per i beni e le attività culturali, Soprintendenza Archeologia delle arti e paesaggio per le province di Caserta e Benevento, (tra l’altro) ritenendosi “la proposta progettuale non coerente con i principi di conservazione dei valori storico, artistici e di ambiente del centro storico della Città di Benevento”, T C, nella spiegata qualità propone la formale impugnativa in epigrafe.

Si è costituito in giudizio il Comune di Benevento chiedendo il rigetto del ricorso, sì come inammissibile, improcedibile, irricevibile ed infondato.

Ha resistito in giudizio anche la Soprintendenza.

Alla pubblica udienza del 27 ottobre 2021 il ricorso è stato ritenuto in decisione.

DIRITTO

Il ricorso è solo in parte fondato, limitatamente alla recinzione, all’impianto di irrigazione per il prato ed all’impianto di illuminazione per esterni, nei termini di cui appresso;
mentre, per la restante parte – messa in opera di piscina pertinenziale di cui al parere della Soprintendenza n. prot. 3761 del 21/03/2019 - è infondato.

Nel merito, con la prima censura, con esclusivo riferimento al parere negativo della Soprintendenza, si deduce la violazione dell’art. 3 della legge 241 del 1990, l’eccesso di potere (per difetto di istruttoria, difetto di motivazione), la violazione dell’art. 55 NTU PUC della Città di Benevento approvato con delibera C.C. 33 del 26/07/2012, al riguardo rilevandosi che:

- la motivazione contenuta nel parere del Ministero per i beni e le attività culturali, Soprintendenza Archeologia delle arti e paesaggio per le province di Caserta e Benevento posto a base del provvedimento di rigetto è nulla perché generica mentre l’addotta atipicità dell’opera non può costituire motivazione del provvedimento perché non correlata ad una tipizzazione degli interventi, neanche per relationem;

- detta apparente motivazione, poggiante su concetti generici di atipicità è la conseguenza di una assenza di attività istruttoria e non può ritenersi rispettosa dell’obbligo di motivazione di cui all’art. 3 della legge 241 del 1990, il cui contenuto si richiama testualmente e detta genericità della motivazione appare ancor più evidente se posta in stretta correlazione con quanto emergente dalla disciplina contenuta nelle NTA del Piano Urbanistico Comunale della Città di Benevento che individua aree differenti tra loro all’interno dello stesso perimetro del Centro Storico ed a tale uopo precisa in modo specifico quali siano i beni rientranti nel patrimonio di interesse culturale, archeologico ed architettonico individuando per ognuno di loro possibilità di interventi differenziati:

- in particolare si riportano i punti da 6.3) a 7.3) delle richiamate NTA PUC per evidenziare la genericità della motivazione e l’assenza di istruttoria del procedimento amministrativo posto in essere dal Ministero con la conseguenza che, se la Soprintendenza avesse esaminato ed istruito correttamente la pratica amministrativa, avrebbe fornito una diversa motivazione, più rispettosa della realtà dei fatti e più vicina alle esigenze dell’istante Tranfa, ed avrebbe, altresì, verificato che l’intervento richiesto poteva essere autorizzato, così come aveva indicato l’Ufficio Tecnico, sia perché il vincolo era decaduto sia perché avrebbe recuperato una zona altamente degradata senza alcun valore e/o interesse storico artistico a totale spese del ricorrente;

- la genericità del parere sfavorevole posto a base del rigetto impedisce, poi, qualsiasi difesa all’istante Tranfa il quale non è posto in condizione di valutare appieno il motivo preciso per il quale l’intervento non sia idoneo per l’area interessata visto che andrebbe a completare un fabbricato interamente ricostruito con tecniche moderne ed all’avanguardia rispetto a tutto il contorno, anche dei fabbricati realizzati soltanto due decenni or sono, rientranti anch’essi nel perimetro del Centro Storico, anzi l’intervento richiesto è in perfetta armonia con la struttura a cui accede;

- come da aereofoto estratta dal portale “Google” si rileva che anche la villa privata costruita sul fondo confinante è dotata di piscina e ciò al fine di evidenziare che la generica motivazione è la conseguenza di un’inesistente istruttoria con l’obbligo di motivazione che risulta violato non soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ma anche quando il provvedimento rechi una motivazione generica o soltanto apparente, atteso che per la richiamata giurisprudenza il parere di compatibilità paesaggistica espresso dall'Autorità preposta alla tutela del vincolo viola l'obbligo di sufficiente motivazione tutte le volte in cui contenga una motivazione solo apparente del giudizio negativo, reso senza specificare le effettive ragioni di contrasto tra l'intervento proposto e i valori paesaggistici tutelati;

- il parere della Soprintendenza deve essere supportato dalla circostanziata dimostrazione della valutazione dei relativi elementi fattuali a sostegno e deve adeguatamente esplicitare per quale ragione, materiale e specifica, le opere in questione siano incompatibili con il contesto del centro storico e, nella specie, correlato ad ogni singola ipotesi di intervento possibile nel centro storico in ragione dello stato di fatto e dell’area precisa su cui intervenire visto che nel centro storico non vige un vincolo di inedificabilità assoluta;

- secondo quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. St., sez. VI, 8 agosto 2014 n. 4226) la normativa vigente non sancisce in modo automatico l'incompatibilità di un qualunque intervento sul territorio con i valori oggetto di tutela (dato che tale effetto può verificarsi solo nelle ipotesi di vincoli di carattere assoluto), per cui, nelle ipotesi in cui l'Amministrazione preposta alla tutela del vincolo sia chiamata a valutare l'effettiva consistenza e la localizzazione dell'intervento, al fine di confermare o escludere la concreta compatibilità dello stesso con i valori tutelati nello specifico contesto di riferimento, non può ritenersi sufficiente il generico richiamo all’atipicità dell’intervento con il centro storico, essendo al contrario necessario un apprezzamento di compatibilità da condurre sulla base di rilevazioni e di giudizi puntuali;

- pertanto, nella specie, il parere reso dalla Soprintendenza è viziato da eccesso di potere per carenza di istruttoria e per incongruenza delle valutazioni espresse, per non essere state poste in risalto le caratteristiche di impatto e costruttive del manufatto che lo pongono in rapporto di incompatibilità e/o di atipicità con il contesto di riferimento, sottoposto a vincolo.

La prospettazione di parte ricorrente non merita condivisione.

Si premette che il Ministero per i beni e le attività culturali, Soprintendenza Archeologia delle arti e paesaggio per le province di Caserta e Benevento esprimeva parere negativo all’intervento in controversia per i seguenti motivi: “ritenuta la proposta progettuale non coerente con i principi di conservazione dei valori storico, artistici e di ambiente del centro storico della Città di Benevento;
esprime, per quanto di competenza, parere sfavorevole ai lavori di sistemazione esterna e messa in opera di piscina privata da effettuarsi in area pertinenziale di un fabbricato sito in ambito Centro storico, adducendo a motivazione l’atipicità dell’opera nel contesto di un centro storico, che nella fattispecie è quello di Benevento. Si evidenzia, inoltre, la non compatibilità dell’intervento con la destinazione d’uso dell’area, destinata dallo strumento urbanistico vigente del comune di Benevento a A2-F2Z Viabilità, come indicato nell’allegata Segnalazione certificata di inizio attività (SCIA)”.

Ulteriore precisazione a farsi è che con l’avvento, a far data dal 1° gennaio 2010, del nuovo regime contemplato dall’art. 146, D.L.vo 42/2004 al quale soggiace il parere odiernamente impugnato sono sensibilmente mutati il ruolo ed i poteri della Soprintendenza, atteso che, mentre secondo il pregresso regime la valutazione della Soprintendenza sulle autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dalle Amministrazioni locali si configurava come un controllo a posteriori di ultima istanza sulle predette autorizzazioni con l’esercizio di un potere di annullamento in autotutela limitato, ai vizi di legittimità estrinseci (non escluso l’eccesso di potere sotto il profilo della carenza di istruttoria e del travisamento dei fatti), senza alcuna possibilità di sostituirsi all’Amministrazione attiva, secondo l’attuale regime l’intervento della Soprintendenza è preventivo e si esprime attraverso un parere vincolante che consente anche di valutare direttamente il merito progettuale.

La giurisprudenza ha mostrato di cogliere in pieno il senso di questo cambiamento in un ambito in cui sono coinvolti interessi pubblici affidati alla supervisione della Soprintendenza, rilevando che: <<
Nel procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, con l’entrata in vigore, a regime (dal 1° gennaio 2010), dell’art. 146, Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.L. vo 22 gennaio 2004, n. 42), che attribuisce al previo parere della Soprintendenza natura vincolante, la Soprintendenza esercita non più un sindacato di mera legittimità (come previsto dall’art. 159 del citato D.L. vo n. 42 nel regime transitorio vigente fino al 31 dicembre 2009) sull’atto autorizzatorio di base adottato dalla Regione o dall’Ente delegato, con il correlativo potere di annullamento ad estrema difesa del vincolo, ma una valutazione di merito amministrativo, espressione dei nuovi poteri di cogestione del vincolo paesaggistico >>
(T.A.R. Campania, Napoli, sez. VI, 5.1.2017, n. 138);
conseguentemente il parere reso dalla Soprintendenza ai sensi del succitato art. 146 è atto di esercizio di ampia discrezionalità tecnica e il sindacato del giudice amministrativo è di tipo intrinseco debole, limitato cioè alla verifica della sussistenza di vizi sintomatici dell'eccesso di potere quali la palese carenza di istruttoria e l'abnorme travisamento dei fatti nonché la evidente illogicità e incongruenza delle conclusioni. Ancora si è ritenuto che: <<
Nel procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 146, co. 5, del Cod. Beni Culturali e del Paesaggio che attribuisce al previo parere della Soprintendenza … natura vincolante, quest’ultimo esercita non più un sindacato di legittimità sull’atto autorizzatorio di base adottato dalla Regione o dall’ente delegato, con il correlativo potere di annullamento ad estrema difesa del vincolo, ma piuttosto una valutazione di merito amministrativo, espressione dei nuovi poteri di cogestione del vincolo paesaggistico >>
(T.A.R. Salerno, Campania, sez. I, 11.10.2016, n. 2271);
<<
Alla Soprintendenza spetta una compiuta valutazione di legittimità in ordine ai provvedimenti favorevoli in materia paesaggistica rilasciati dai Comune in quanto espressione di un potere non di mero controllo formale, ma di vera e propria attiva cogestione del vincolo, funzionale alla “estrema difesa” dello stesso;
di conseguenza, l’annullamento dell’autorizzazione paesaggistica può derivare dal riscontro di qualsiasi vizio di legittimità >>
(Consiglio di Stato, sez. VI, 18.5.2015, n. 2509).

Pertanto il procedimento consta di varie fasi, una prima fase, nella quale il Comune “propone” un parere sulla scorta di proprie considerazioni, una fase intermedia di competenza esclusiva della Soprintendenza, e una finale, nella quale il Comune, esclusivamente sulla scorta del parere espresso dalla Soprintendenza, rilascia eventualmente l’autorizzazione paesaggistica.

Nella fattispecie alcun dubbio può sussistere in ordine alla piena legittimità, nonostante il carattere relativo del vincolo paesaggistico, del parere negativo di compatibilità paesaggistica, espresso dalla Soprintendenza con l’atto impugnato, atteso che, in presenza di adeguata istruttoria non viene certo a mancare il vulnus sotto l’aspetto paesaggistico-ambientale). Come ritenuto da pacifica giurisprudenza, condivisa dal Collegio, deve ritenersi assolto l’obbligo della motivazione del provvedimento anche quando questa sia esplicitata in maniera succinta a condizione che risulti idonea a disvelare l’iter logico e procedimentale che consenta di inquadrare la fattispecie nell’ipotesi astratta considerata dalla legge. Inoltre le argomentazioni di parte ricorrente non tengono adeguatamente conto che, in ragione della funzione di tutela preventiva dei valori anche di rilievo costituzionale, apprestata dal vincolo paesaggistico-ambientale, è la sua mera apposizione che attua la predetta tutela, mentre arbitraria sarebbe ogni indagine sull’idoneità dell’opera contestata ad incidere in concreto sull’assetto paesaggistico circostante (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 22.10.2015, n. 4968).

Inoltre, a proposito della sindacabilità di tale parere il potere di valutazione tecnica esercitato dalla Soprintendenza (la quale, com’è noto, dispone di un’ampia discrezionalità tecnico-specialistica nel rendere i pareri di compatibilità paesaggistica) è sindacabile in sede giurisdizionale soltanto per irragionevolezza, assoluto difetto di motivazione, illogicità manifesta ovvero errore di fatto conclamato.

Ciò posto, asserisce il ricorrente che il Ministero esprime, per quanto di competenza, parere sfavorevole ai lavori di sistemazione esterna e messa in opera di piscina privata da effettuarsi in area pertinenziale di un fabbricato sito in ambito Centro storico, adducendo a motivazione l’atipicità dell’opera nel contesto di un centro storico, che nella fattispecie è quello di Benevento. Si evidenzia, inoltre, la non compatibilità dell’intervento con la destinazione d’uso dell’area, destinata dallo strumento urbanistico vigente del comune di Benevento a A2-F2Z Viabilità, come indicato nell’allegata Segnalazione certificata di inizio attività (SCIA). Sostiene ancora il ricorrente che, alla stregua di una semplice lettura della motivazione del parere impugnato, appare di tutta evidenza l’incoerenza logica della valutazione svolta dall'organo tutorio il quale si è limitato ad affermare, in forma generale ed ingiustificata, la semplice atipicità del manufatto rispetto al contesto costituito dal centro storico senza esplicare le ragioni di detta atipicità e senza esplicitare le ragioni e le argomentazioni che hanno condotto a tale determinazione in considerazione della molteplicità delle condizioni ed ipotesi sopra riportate e contenute nelle NTA del PUC..

Dopo aver preso atto che la motivazione addotta dalla Soprintendenza pone l’accento e si incentra tutta sulla “atipicità dell’intervento”, ritenuto decisivo fattore di detrazione ambientale (che, tuttavia, parte ricorrente dichiara di non intendere), in ordine alla lamentata cripticità e genericità del parere de quo, osserva il Collegio che, sia pure attraverso una motivazione ostentata in maniera sintetica e riassuntiva, in sostanza la formula terminologica utilizzata dall’Organo statuale è in grado di esprimere a pieno la carico di disvalore paesaggistico del parere impugnato.

In sostanza con l’adozione di una tale terminologia, la Soprintendenza ha inteso significare che l’intervento proposto dal Tranfa si configura quale elemento che, indubbiamente, è in grado di rompere la continuità del assetto scenografico consolidato del Centro storico di Benevento in cui l’intervento andrebbe a collocarsi. Nello specifico l’immobile in oggetto è ubicato in Benevento alla Via Ponticelli catastalmente censito al foglio 81 p.lla 161, soggiungendosi nella relazione tecnica di parte che “Trattasi di un lotto di terreno esteso per 620 mq, adiacente ad un fabbricato ad uso residenziale e confinante ad un appartamento della stessa proprietà. Il terreno attualmente versa in uno stato di degrado e abbandono, con una vegetazione spontanea che compromette la salubrità delle zone limitrofe. Scopo del presente intervento è quello di riqualificare l’area attraverso un intervento di manutenzione straordinaria e creare uno spazio a giardino a servizio dell’abitazione urbanisticamente il terreno ricade all’interno del perimetro di centro storico (…….)”.

Né il concetto di “atipicità” evidenziato dalla Soprintendenza è suscettibile di essere travisato riferendolo ad una ipotetica elencazione tassativa degli interventi (tra i quali non è ricompreso quello per cui è causa) nella specie attinta dal ricorrente dalle Norme Tecniche di Attuazione al P.R.G. (che vengono dettagliatamente riportato in narrativa dal ricorrente), apparendo in tal modo ancor più evidente la genericità della motivazione, se posta in stretta correlazione con quanto emergente dalla disciplina contenuta nelle NTA del Piano Urbanistico Comunale della Città di Benevento che individua aree differenti tra loro all’interno dello stesso perimetro del Centro Storico ed a tale uopo precisa in modo specifico quali siano i beni in esse ricompresi, alle quali non è riconducibile l’intervento proposto dal ricorrente.

In contrario è sufficiente osservare che con il concetto di tipicità (o atipicità) vuolsi più semplicemente significare, con una valutazione che non è manifestamente illogica o irrazionale, l’estraneità del progetto al contesto ambientale di riferimento, se visto in rapporto con le altre opere preesistenti insistenti nello stesso sito.

Pertanto, alla stregua di una corretta interpretazione del concetto di “atipicità”, viene a cadere la tesi del ricorrente per il quale la struttura realizzata in esecuzione del Piano Casa rivestirebbe natura pertinenziale e costituirebbe accessione a completamento dell’intervento di riqualificazione, in quanto - come rilevato - l’intervento proposto si muove nel segno della discontinuità con quanto legittimamente realizzato dal momento che, per quanto anzidetto e contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, l’intervento richiesto non è in perfetta armonia con la struttura a cui accede, configurandosi come elemento di rottura della continuità del contesto circostante consolidato.

Invero finalità del “Piano Casa” approvato dal Comune di Benevento per il recupero, attraverso interventi differenziati di arre degradate, su tutto il territorio cittadino, tra cui la zona “Ponticelli” situata al limite del centro storico e, come riconosciuto dal medesimo ricorrente, l’immobile ricade in un’area edificata tra il 1950 ed il 2000 ed è, pertanto, circondata da edifici non interessanti sotto il profilo storico architettonico perché al di fuori delle Mura Longobarde ed al di fuori del tessuto stratificato della Città di Benevento, in una posizione assolutamente priva di interesse archeologico e storico, lontano dai monumenti più importanti della città;

Tuttavia l’assunto del ricorrente sembra ignorare che l’intervento di riqualificazione, se vuole essere effettivamente tale, deve presentarsi anzitutto sostenibile, ossia pur sempre compatibile proprio con i valori paesaggistici ed ambientali (che pure il ricorrente afferma di voler perseguire mediante lavori di ripulitura e di manutenzione), caratteristica che, invece, sembra far difetto nel progetto proposto dal ricorrente non essendo spiegate le ragioni per le quali l’intervento de quo avrebbe riqualificato, con beneficio non solo degli interessati ma della comunità tutta, un’area totalmente abbandonata e degradata, confinante con altra proprietà ove esiste già una piscina, ritenuta apoditticamente compatibile con quella per cui è causa, ma, in proposito la difesa della Soprintendenza rileva che agli atti d’Ufficio “non risultano richieste di parere per la realizzazione di manufatti analoghi, considerando anche le modifiche apportate all'estensione della zona A2 del PUC nel 2011 che hanno inglobato aree prima escluse”.

Con la seconda censura si deduce nullità del provvedimento per eccesso di potere (per contraddittorietà ed illogicità della motivazione, perplessità, irragionevole motivazione, difetto di istruttorie), per risultare gli impugnati provvedimenti altresì, nulli anche sotto l’altro profilo motivazionale relativo alla dichiarata non compatibilità dell’opera con la destinazione d’uso dell’area perché dello strumento urbanistico vigente del Comune di Benevento l’area ricadrebbe in zone A2 ed F2Z -Viabilità, come emergente dalla medesima Segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) - al riguardo rilevandosi che:

- il provvedimento impugnato, così come motivato, è viziato da difetto di istruttoria che si traduce in un palese difetto di motivazione oltre che da contraddittorietà manifesta atteso che l’espletamento di un’attività istruttoria, ma più agevolmente, una semplice lettura della scia protocollata al Comune di Benevento, a cui il parere fa espresso riferimento, avrebbe consentito di valutare che nella segnalazione certificata è specificato che il terreno in questione, urbanisticamente, è zonato in parte come: z.n.e. del tipo A2;
z.n.e. del tipo F2z;
Viabilità, parcheggi e/o spazi aperti pubblici o di uso pubblico ma che il Vincolo è ormai decaduto. Infatti, dalla relazione tecnica emerge inequivocabilmente quanto segue: con “Decreto provinciale n. 54 del 06/12/2012, pubblicato sul bollettino ufficiale (BURC) n. 78 del 24/12/2012 entrava in vigore a tutti gli effetti di legge, in data 08/01/2013, la nuova strumentazione urbanistica vigente (PUC) e in data 08/01/2018 ai sensi e per gli effetti dell’art. 9 del DPR n. 327/2001, la parte del suolo in questione ricadente in z.n.e. F2z e viabilità ha perso di efficacia il vincolo preordinato all’esproprio.”;

- se la Soprintendenza avesse proceduto alla necessaria istruttoria avrebbe rilevato che la decadenza del vincolo era stata confermata dal medesimo Ufficio Tecnico comunale e ribadita nella richiesta di parere, prot. 25491 del 14/03/2019, formulata dal Comune di Benevento al Ministero per i beni e le Attività Culturali, con la conseguenza che il parere reso dalla Soprintendenza, pertanto, oltre ad essere illegittimo per eccesso di potere avendo invaso campi estranei alla competenza ad essa attribuita, è viziato perché non è sorretto da alcuna istruttoria in merito ed è, comunque, contraddittorio ed illogico perché in contrasto con l’affermazione relativa all’atipicità dell’intervento;

- in effetti, un intervento edilizio non può avere caratteri di atipicità se è nella sostanza illegittimo perché contrario allo strumento urbanistico: l’uno esclude l’altro;
l’atipicità è sorretta da una condizione di legittimità dell’opera, in sé per sé, configurando, viceversa, una inopportunità di realizzazione dell’intervento, a garanzia di una conservazione del disegno architettonico della zona per cui è agganciata ad una discrezionalità amministrativa, che, invece, manca, laddove non vi siano vincoli;

- la contrarietà allo strumento urbanistico, invece, presuppone l’illegittimità dell’intervento perché contrario al Regolamento e, quindi, non presuppone alcuna discrezionalità amministrativa ma richiede una operazione di verifica della sussistenza dei presupposti per la concessione del titolo abilitativo.

L’assenza di istruttoria, la contraddittorietà ed illogicità della motivazione, nonché l’eccesso di potere rendono nulli i provvedimenti impugnati.

La censura non coglie nel segno.

A dirimere ogni dubbio sollevato da parte ricorrente circa la competenza della Soprintendenza a sollevare anche rilievi (ostativi) mutuato dalla violazione di prescrizioni prettamente urbanistiche è sufficiente osservare che la Soprintendenza è coinvolta sulla base di normative comunali di gestione del territorio e, conformemente ai propri schemi operativi istituzionali, ha ritenuto che nell'ambito di un centro urbano quale quello della città di Benevento, con la sua storia ultra millenaria, la realizzazione di una piscina pertinenziale non fosse conforme alle valenze esteriori del contesto territoriale su cui andrebbe a collocarsi. Tale è il contenuto del parere espresso nella nota del 15/0412019 n prot. 5000.

Come si legge nella relazione prodotta dalla Soprintendenza, quest’ultima, in tal caso, con il proprio parere, ha ritenuto di svolgere il proprio compito di tutela dei valori storici, culturali e paesaggistici, sia pur riconosciuti da uno strumento urbanistico e non ai fini della normativa di settore (Codice dei beni culturali D.lgvo 42/2004) a vantaggio della collettività anche se ciò non collima con l'interesse del ricorrente teso a realizzare la piscina. Tale posizione potrebbe trovare conforto anche nel pronunciamento, di seguito indicato, relativo ad aspetti paesaggistici specifici ma che comunque può essere preso in esame per la considerazione giurisprudenziale dell' impatto che le progettate opere avrebbero sul territorio:

Consiglio di Stato ( sez. VI, sent. n. 18 del 071 01/2014;
TAR Campania sez. VIII, sent.2299 del 23103/2016) lì dove recita come "rivestano un'indubbia rilevanza paesaggistica tutte le opere realizzate sull'area sottoposta a vincolo, anche se non vi sia un volume da computare sotto il profilo edilizio (pur se si tratti di volumi tecnici), ed anche se si tratti di una piscina, poiché le esigenze di tutela dell'area sottoposta a vincolo paesaggistico possono anche esigere

l'immodificabilità dello stato dei luoghi". Ci troviamo pertanto in una situazione dove i valori

intrinseci del territorio sono comunque riconosciuti dall'organo locale mediante uno strumento urbanistico che mira ad evitare trasformazioni di forte impatto e comunque aventi caratteri prevalenti che connotano un compatto edilizio che le formi locali sottopongono a tutela.

Il ricorrente inoltre, nel ricorso sostiene che vi è una decadenza del vincolo sul suolo

interessato preordinato ali' esproprio ma non fornisce elementi atti a consentire di comprendere il carattere di tale decadenza limitandosi a richiamare la richiesta di parere, formulata dal Comune di Benevento al Ministero per i beni e le Attività Culturali, di cui alla nota prot. 25491 del 14.03.2019 nella quale il Comune precisa che: “Si specifica che l’area oggetto di intervento, nello specifico sistemazione esterna di un giardino con messa in opera di piscina ad uso privato, risulta essere sita su suolo oggetto di “decadenza vincolo” e, pertanto si è dell’avviso che si possa accogliere la S.C.I.A. in oggetto fermo restando la acquisizione dei Pareri vincolanti e obbligatori di Vostra competenza”.

In ogni caso, quand’anche fosse effettivamente decaduto il vincolo preordinato all’esproprio, non verrebbe meno la conformazione dell’area interessata dall’intervento, zonata in parte come: “z.n.e. del tipo A2;
z.n.e. del tipo F2z;
Viabilità, parcheggi e/o spazi aperti pubblici o di uso pubblico”.

In ordine alle differenze esistenti fra i vincoli conformativi ed espropriativi, si rileva in giurisprudenza che <<
La destinazione impressa dal Ppe a zone per l'edilizia scolastica (nella specie, scuola materna), ovvero ad aree a servizi di standard di cui al d.m. 2 aprile 1968 n. 1444, costituisce un vincolo preordinato all'esproprio in quanto, a differenza del vincolo conformativo, comporta l'inedificabilità del suolo o, comunque, incide in maniera significativa e per un tempo irragionevole sulla proprietà dell'interessato;
è pertanto soggetto a decadenza, con conseguente assoggettamento dell'area al regime delle cd. zone bianche ex art. 4, ultimo comma, l. 28 gennaio 1977 n. 10 ed ora art. 9, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 >>
(T. A.R. Latina, (Lazio) sez. I, 28/10/2013, n.810). Particolarmente affine alla fattispecie in esame è la sentenza della Corte appello Roma sez. I, 06/06/2011, n.2521 con la quale si rileva che: <<
Costituisce un vincolo conformativo non preordinato all'esproprio la destinazione dell'area a "costruzioni pubbliche d'importanza locale a servizio delle residenze quali: asili nido, scuole dell'obbligo, edifici per il culto, mercati rionali, centri sociali, unità sanitarie locali, assistenziali, culturali, amministrative", atteso che tale vincolo non comporta l'inedificabilità assoluta, essendo l'area riservata a costruzioni di interesse pubblico a livello di servizi di quartiere;
né, in difetto di specifica indicazione di un'opera pubblica da realizzare, tale destinazione può integrare gli estremi della fattispecie espropriativa in guisa tale da determinare, in caso di reiterazione del vincolo ablativo oltre i termini di normale tollerabilità fissati dalla legge (e senza corresponsione di indennizzo), una totale compressione del diritto di proprietà equiparabile pertanto ad una sostanziale espropriazione >>.

Con la terza censura si eccepisce la nullità del provvedimento per eccesso di potere (per incongruenza, sproporzionalità ed illogicità, perplessità), atteso che:

- la Soprintendenza, nell’emettere il parere vincolante, al di là della mancata istruttoria di cui ai precedenti motivi, ha sacrificato in modo sproporzionato ed illogico il diritto di proprietà del ricorrente il quale legittimamente, per le ragioni indicate nell’istanza al Comune di Benevento, aveva comunicato l’intenzione di realizzare un intervento che avrebbe, sì, accresciuto la bellezza della sua nuova abitazione, aumentandone il comfort e l’agio, ma avrebbe altresì apportato un vantaggio all’intera zona nel solco di un percorso indirizzato verso l’uscita dal degrado per il raggiungimento di una salubrità collettiva degna di un Centro Storico;

- invece, i provvedimenti impugnati paralizzando in modo illegittimo l’attività edilizia del ricorrente, hanno individuato delle condizioni ostative sol perché i beni oggetto di intervento rientrassero nel perimetro del centro storico, non badando la Soprintendenza che nei pressi dell’intervento alcun monumento storico sorge, né vi sono palazzi o costruzioni meritevoli di particolare tutela ovvero di attenzione, perché l’abitazione del ricorrente Tranfa è circondata da terreni incolti, abbandonati e da caseggiati fatiscenti, nonché da strutture sorte nella seconda metà del XX secolo e, quindi, di età non superiori a trenta/quaranta anni;

- pertanto, il sacrificio imposto appare sproporzionato rispetto ai beni da (non) tutelare e risulta incongruo rispetto al contorno, atteso che alcuna protezione è necessaria per i beni posti nei pressi dell’abitazione del ricorrente, anche alla luce del fatto che sul fondo del confinante esiste già una piscina;

- inoltre l’intervento era plurimo e differenziato perché teso alla realizzazione sia della piscina che della recinzione, del giardino e dell’impianto di illuminazione esterno i quali potevano essere trattati, nel rispetto del diritto di proprietà dell’istante, in modo separato ovvero poteva essere adottato un provvedimento che contemperasse le reciproche esigenze: pubbliche e private, con l’approvazione soltanto di quegli interventi non atipici;

- “quando il vincolo comporti limitazioni delle facoltà proprietarie, occorre considerare l'esigenza del loro contenimento in relazione al sacrificio del proprietario, secondo criteri di congruenza, ragionevolezza e proporzionalità. In particolare, la proporzionalità rappresenta la conseguenza della misura adottata in rapporto all'oggetto principale da proteggere, per cui l'azione di tutela indiretta va contenuta nei termini di quanto risulta essere concretamente necessario per il raggiungimento degli obiettivi di tutela diretta. Va cioè posta in rapporto all'esigenza conservativa che ha causato il vincolo diretto e dunque alle caratteristiche dell'oggetto materiale di quello. E' connessa alla ragionevolezza e questa si specifica nel conseguimento di un punto di equilibrio identificabile nella corretta e sufficiente funzionalità dell'esercizio del potere di vincolo. Ne consegue che il potere va esercitato in modo che sia effettivamente congruo e rapportato allo scopo legale per cui è previsto e non ad esso accessivo. Il vincolo indiretto, avendo un contenuto atipico e potendo, quindi, disporre tutte le prescrizioni necessarie a garantire l'integrità, la prospettiva o le condizioni di ambiente e decoro dell'immobile tutelato in via diretta deve rispettare i limiti della proporzionalità rispetto al fine perseguito.” T.A.R. Roma, (Lazio) sez. II, 08/01/2015, n.185;

La censura è parzialmente fondata nella parte in cui è riferibile al provvedimento comunale n. protocollo 38049 del 23/04/2019, relativamente ali interventi di seguito precisati;
infondata per il resto.

A ragione il ricorrente rileva che l’intervento era plurimo e differenziato perché teso alla realizzazione (non solo della piscina, ma anche) della recinzione, del giardino e dell’impianto di illuminazione esterno i quali potevano essere trattati, nel rispetto del diritto di proprietà dell’istante, in modo separato ovvero poteva essere adottato un provvedimento che contemperasse le reciproche esigenze: pubbliche e private.

A tal fine, parte ricorrente, anche ai fini del completamento dell’intervento sottoposto al vaglio della Soprintendenza, “per opere di recinzione e messa in opera piscina pertinenziale (…..) aveva prodotto allo Sportello Unico Edilizia di Benevento, in qualità di proprietario, la “Formulazione SCIA prot. n. 19 del 02.01.2019 per un progetto di Manutenzione Straordinaria di un’area privata, ai sensi dell’art.9 e dell’art.3, c.1, lett.b e succ. D.lgs 222/2016”, unitamente a relazione commissionata ad un tecnico incaricato.

Va subito evidenziato che, per la parte in cui il ricorrente si duole per la preclusione riferita (anche) alla recinzione, al giardino ed all’impianto di illuminazione esterno il divieto posto dal provvedimento comunale n. protocollo 38049 del 23/04/2019 a firma congiunta del Responsabile del Procedimento, del Responsabile del Servizio e del Dirigente e del provvedimento n. prot. 3761 del 21/03/2019, con il quale veniva rigettata “la Formulazione SCIA prot. n. 19 del 02.01.2019 per “opere di recinzione, giardino ed impianto di illuminazione”, impimge direttamente in un ambito provvedimenale del tutto estraneo al parere negativo della Soprintendenza, per modo che il predetto diniego, soltanto per la restante parte della proposta progettuale ripete i contenuti vincolati dal parere negativo della Soprintendenza.

In particolare, scendendo nei dettagli ed esemplificando il dedotto eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità ben si attaglia agli interventi di realizzazione del muro di recinzione di un impianto di irrigazione per il prato e un impianto di illuminazione per esterni.

Nella perizia tecnica datata 15.05.2019 commissionata dal ricorrente a seguito di rigetto della formulazione Scia prot. n. 19 del 02.01.2019, si legge che “l’intervento sull’area in oggetto, viene proposto ai sensi all’art.9 del DPR n.380/2001, recante definizione degli interventi edilizi consentiti di cui all’art.3 comma 1 lett. a), b) e c) consentendo per le aree prive di pianificazione urbanistica la manutenzione straordinaria e, nello specifico il progetto mira alla riqualificazione e manutenzione straordinaria di tutta l’area con una funzione a giardino pertinenziale all’abitazione adiacente che sarà collegata attraverso l’apertura di un varco dal terrazzo confinante. Inoltre sarà realizzata una piscina interrata e una recinzione con pali in legno e rete metallica sciolta di altezza 1,50m, posti ad una distanza l’uno dall’altro pari a 1,50m, un impianto di irrigazione per il prato e un impianto di illuminazione per esterni”.

Relativamente ai parametri per la valutazione della necessità del permesso di costruire (ovvero della s.c.i.a. ovvero di alcun titolo abilitativo) per la realizzazione di opere di recinzione, la giurisprudenza si è espressa nel senso che: <<
Non è necessario il permesso per costruire per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno, in quanto entro tali limiti la recinzione rientra solo tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo ius excludendi alios o comunque la delimitazione e l'assetto delle singole proprietà >>
(T.A.R. Catanzaro, (Calabria) sez. II, 13/01/2021, n.28).

Nella fattispecie, per le sue ridotte dimensioni, le caratteristiche ed il materiale costruttivo(“senza muretto”) e la sua facile amovibilità, la recinzione non crea alcun problema di “visibilità ed integrazione” dal punto di vista paesaggistico e - giova ribadirlo - d’altronde di esso, (al pari dell’impianto di irrigazione per il prato e di altro impianto di illuminazione per esterni), non si fa alcuna menzione nel parere della Soprintendenza, mentre dal punto di vista urbanistico, l’intervento può realizzarsi previa presentazione di S.c.i.a., potendo agevolmente ricondursi gli interventi intesi allo “ius excludendi alios che costituisce una facoltà tipica del diritto di proprietà ed è attribuita al titolare del diritto dominicale direttamente dalla legge (segnatamente dall'art. 841 c.c.) e di regola non è comprimibile da un atto amministrativo (cfr. T.A.R. Brescia, (Lombardia) sez. I, 02/09/2021, n.780)

Ne consegue, limitatamente alla recinzione, all’impianto di irrigazione per il prato ed all’impianto di illuminazione per esterni, la fondatezza della censura.

Diverso (nel senso che non può parlarsi di violazione del principio di proporzionalità) è il discorso a farsi per la piscina interrata.

Il profilo di censura in esame induce ad affrontare la questione inerente al grado di incidenza urbanistica e paesaggistica di volumi ricavati all’interno del sottosuolo, atteso che la giurisprudenza più recente, rivisitando l’orientamento tradizionale, inteso a dequotare di significanza paesaggistica e, prima ancora, urbanistica dell’utilizzazione dei manufatti interrati e, più in generale in generale, delle opere o dei volumi incassati nel sottosuolo, non ha escluso il sottosuolo dalle previsioni relative alle aree vincolate “allorché se ne progettino usi incompatibili con la tutela” dei valori paesaggistico-ambientali.

Appare, infatti, evidente che, relativamente ad una tale tipologia di piscina, anche sotto il profilo paesaggistico, (peraltro, preliminare rispetto a quello meramente urbanistico), al fine di ritenere un qualsivoglia intervento paesaggisticamente compatibile, la circostanza della visibilità ed immediata percepibilità delle opere non è elemento decisivo, atteso che - per come si rileverà - anche i volumi interrati e tombati pongono seri problemi di integrazione ambientale.

Al riguardo il Consiglio di Stato (sentenza sez. VI, n. 4079 del 5.8.2013) ha rilevato che: <<
Come affermato dalla giurisprudenza, “non appare dubbio, invero, (che) alla luce dell’individuazione dei beni paesaggistici contenuta ….(negli artt. 136 e segg. del d.lgs. n. 42 del 2004) con il termine paesaggio il legislatore abbia inteso designare una determinata parte del territorio che, per le sue caratteristiche naturali e/o indotte dalla presenza dell'uomo, è ritenuta meritevole di particolare tutela, che non può ritenersi limitata al mero aspetto esteriore o immediatamente visibile dell'area vincolata, così che ogni modificazione dell'assetto del territorio, attuata attraverso qualsiasi tipo di opera, è soggetta al rilascio della prescritta autorizzazione >>.

Tale accezione ampia di paesaggio coincide, peraltro, con la definizione contenuta nella Convenzione europea sul paesaggio, firmata a Firenze il 20 ottobre 2000 e ratificata con la legge 9 gennaio 2006, n. 14, secondo la quale il termine paesaggio “designa una determinata parte del territorio, così come percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni” (cfr. Cass. Pen., Sez. III, 16 febbraio 2006, n. 11128;
Cass. pen., Sez. III, 16 gennaio 2007, n. 7292).

Se ne deduce che<<
E’ legittimo il parere negativo espresso dalla Soprintendenza sulla richiesta di autorizzazione paesaggistica per la realizzazione di una piscina a raso interamente interrata in un'area ricadente in zona p.i.r. (protezione integrale con restauro paesistico, ambientale) di un p.t.p., ove è consentita unicamente la realizzazione di interventi a carattere conservativo del patrimonio edilizio esistente >>
(T.A.R. Napoli, (Campania) sez. VI, 24/05/2019, n.2796).

In sostanza la presenza di una piscina (interrata o meno) all’interno del centro storico di una città è elemento di sicura detrazione ambientale, in quanto (non elemento di riqualificazione del territorio, come vorrebbe il ricorrente, ma) poco compatibile con il decoro urbano ed alla sacralità del luogo per modo che il divieto della sua realizzazione è tale da non apparire manifestamente illogico o irrazionale.

Con la quarta censura è dedotto l’omesso invio del preavviso di rigetto, in violazione dell’art. 10 bis L. 241/1990,atteso che se l’Ufficio tecnico avesse inviato il richiamato preavviso di rigetto, il ricorrente, nel rispetto del consolidato orientamento giurisprudenziale, avrebbe illustrato le ragioni che sottendevano all’accoglimento dell’istanza ed avrebbe istruito la pratica per dimostrare che l’area interessata dall’intervento versava, e versa, in uno stato di degrado e di abbandono sia sotto l’aspetto urbanistico che sotto l’aspetto manutentivo, per cui alcuna incompatibilità o atipicità dell’intervento poteva essere opposta. Ad avviso del ricorrente, al di là della mancata istruttoria di cui ai precedenti motivi, l’avviso di rigetto avrebbe consentito al ricorrente di adeguare l’istanza ad una inesistente necessità di conservazione del disegno architettonico o storico ambientale ovvero ridurre la richiesta con l’eliminazione di quegli interventi ritenuti non tipici;
pertanto non poteva negarsi il diritto al ricorrente di realizzare una recinzione, ovvero il diritto a realizzare un giardino oppure un impianto di illuminazione sul terreno di sua proprietà, pertinenziale all’abitazione.

La censura non coglie nel segno.

Parte ricorrente lamenta la mancata comunicazione di avvio del procedimento in relazione al provvedimento emesso dal Comune di Benevento con cui veniva “rigettata la Formulazione della S.c.i.a. per opere di recinzione e messa in opera……”, evidenziando che Il preavviso di rigetto, avrebbe potuto innescare quel contraddittorio che è mancato dopo il formulato parere vincolante della Soprintendenza.

Tuttavia, è subito a dire che la S.c.i.a. ed, in genere, qualunque comunicazione indirizzata all’Amministrazione con finalità di c.d. autoamministrazione (liberalizzazione in senso lato delle attività amministrative, cfr. art. 19 L. n. 241 del 1990) giammai è assimilabile ad una qualsivoglia domanda presentata all’Amministrazione che attende di essere definita o esitata con un provvedimento espresso di quest’ultima (di accoglimento o di rigetto) ma si pone quale dichiarazione che a certe condizioni normativamente previste (mancata, tempestiva dichiarazione di inefficacia o decadenza della stessa, entro un termine predeterminato, richiesta di integrazione documentale in vista della conformazione dell’attività e via dicendo) non trasformandosi mai in provvedimento amministrativo (anzi auspicandosi dall’istante che alcun provvedimento venga adottato), resta del privato e come tale essa stessa è in grado di produrre da sola l’effetto che la legge automaticamente vi ricollega, secondo lo schema norma-fatto-effetto.

Quanto appena rilevato comporta l’inapplicabilità della normativa di cii all’articolo 10 bis della legge 241 del 1990, invocata dal ricorrente, che, nei procedimenti ad istanza di parte prevede che vengano comunicati all’interessato gli eventuali motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, sì da instaurare, in vista della conclusione del procedimento, un contraddittorio sulle ragioni del diniego (c.d. preavviso di diniego). Si comprende allora come, nel caso di specie, solo impropriamente l’impugnato provvedimento è stato qualificato di rigetto della “Formulazione della s.c.i.a.”, per modo che del tutto erroneo e non conferente è l’invocazione della normativa di cui all’art. 21bis L. 241 del 1990.

Le suddette considerazioni sono ampiamente condivise in giurisprudenza laddove si rileva che: <<
La SCIA non è qualificabile come provvedimento amministrativo, ma come atto in tutto e per tutto del privato, al quale non si applica la disciplina dell’art. 10– bis L. n. 241-1990. La natura giuridica della segnalazione certificata di inizio attività - che non è una vera e propria istanza di parte per l'avvio di un procedimento amministrativo poi conclusosi in forma tacita, bensì una dichiarazione di volontà privata di intraprendere una determinata attività ammessa direttamente dalla legge - induce ad escludere che l'autorità procedente debba comunicare al segnalante l'avvio del procedimento o il preavviso di rigetto ex art. 10-bis della legge n. 241-1990 prima dell'esercizio dei relativi poteri di controllo e inibitori (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 19 giugno 2014, n. 3112, 14 aprile 2014, n. 1800 e 25 gennaio 2013, n. 489) (cfr. Cons. Stato sent. n. 1111/2019).

Non senza considerare che quand’anche fosse ritenuto l’obbligo a carico del Comune di attivare il contraddittorio pre–decisorio, l’eventuale omissione non inficerebbe ai sensi dell’art. 21 octies comma 2 della Legge 241/1990 il provvedimento di diniego impugnato: infatti, rispetto al segmento procedimentale rientrante nelle attribuzioni comunali (consistente nel recepimento del parere soprintendendizio), la cogenza della determinazione della Soprintendenza attribuisce al provvedimento comunale natura vincolata, con la conseguenza che l’eventuale omissione – ove ritenuta adempimento dovuto – del preavviso di rigetto non inficia l’operato del Comune il cui atto non avrebbe potuto avere contenuto diverso.

Non essendo il Comune obbligato ad inviare la comunicazione di conclusione dell’art. 10 bis, ne consegue l’infondatezza della censura.

In definitiva il ricorso si appalesa fondato in relazione ai profili evidenziati nella terza censura (recinzione ed impianti), ed, in parte qua va accolto, con il conseguente annullamento del provvedimento comunale n. protocollo 38049 del 23/04/2019, mentre per il resto è infondato.

L’esito del giudizio sotto il profilo impugnatorio non lascia spazio per la coltivazione di qualsivoglia pretesa risarcitoria che come tale deve ritenersi infondata e, pertanto, da respingere.

In ragione dell’esito di parziale soccombenza si ravvisano eccezionali motivi per compensare integralmente fra le parti le spese giudiziali.

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