TAR Roma, sez. 1B, sentenza 2014-03-26, n. 201403351

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1B, sentenza 2014-03-26, n. 201403351
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201403351
Data del deposito : 26 marzo 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02500/2009 REG.RIC.

N. 03351/2014 REG.PROV.COLL.

N. 02500/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2500 del 2009, proposto da:
B A, A C, A M, A L, A C, B R, B P, B D, B M E, B G, B G, B G, B D, B D, B N, B M, B M, B S, B R M, B L, C A, C A, C M, C D, C S, C N, C I, C R, C D, C A, C N, C R, C V, C U, C T, D M F, D M A, Dall'Olio Bruno, De Martin Tiberio, De Matteo Giovanni, De Palma Michele, De Sena Antonio, Del Tufo Diego, Deriu Paolo, Di Barba Salvatore, Di Nello Giuseppe, Fedele Antonio, Ferro Carmelo, Figliolia Pasquale, Francavilla Andrea, Garompolo Domenico, Giovannone Paolo, Gobbo Luca, Granzotto Wanes, Grasso Vincenzo, Guzzetta Carmelo, Ilacqua Carmelo, Lazazzera Giuseppe, Lopez Francesco, Mangano Salvatore, Marconi Fausto, Marzocchi Mauro, Masciullo Luigi, Melone Piero, Memoli Bartolomeo, Micheli Paolo, Millaci Moraldo, Mingozzi Alessandro, Modica Massimo, Montanari Paolo, Moretti Antonio, Murro Bernardo, Naldo Stefano, Negro Stefano, Paladino Salvatore, Pasero Davis, Pavoni Stefano, Pecorari Paolo, Perrone Alessandro, Perrone Stefano, Perroni Vincenzo, Pezzato Costantino, Piazzoni Stefano, Picone Nicola, Punzo Raffaele, Ricchi Maurizio, Risi Marco, Rizzo Vincenzo, Roma Roberto, Sacchini Gianni, Salati Pierluigi, Salerno Andrea, Scardanzan Flavio, Secchi Roberto, Serafini Roberto, Sforza Giacinto, Sorbo Elpidio, Spotti Massimo, Tammaro Giuseppe, Tarantola Luca, Troiano Alessandro, Valzano Nicola, Vasta Nicolo' Walter, Veneziano Gabriele, Verdigi Luca, Zanin Cristian, Zappi Angelo, Zola Fabio, Zoppi Gianfranco, Zulian Fabio;
rappresentati e difesi dagli avv.ti Sandro Salvatore Rapisarda, Antonino Romeo, con domicilio eletto presso l’avv. Sandro Salvatore Rapisarda in Roma, via C. Garofolini, 7;

contro

Ministero della Difesa, Ministero della Funzione Pubblica, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Comando Generale Arma dei Carabinieri, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'accertamento

del diritto dei ricorrenti al trattamento di previdenza complementare, ai sensi della legge n. 335/95, con decorrenza dall’1.1.1996, nonché per il risarcimento del danno nella misura corrispondente alla differenza tra la somma del trattamento pensionistico intergrato con la previdenza complementare e quello goduto dalla stessa data.



Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa, del Ministero della Funzione Pubblica, della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 febbraio 2014 il dott. Nicola D'Angelo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

I ricorrenti, ufficiali e sottufficiali dell’Arma dei Carabinieri, collocati in quiescenza con decorrenza 1.1.1996, chiedono l’accertamento del loro diritto a vedersi riconosciuto il trattamento di previdenza complementare previsto per i dipendenti non contrattualizzati a seguito di un’apposita procedura di concertazione non ancora avviata.

Nel ricorso prospettano i seguenti motivi di gravame:

violazione dell’art. 3 della Costituzione – disparità di trattamento- ingiustizia manifesta.

Sollevano, infine, un profilo di illegittimità costituzionale dell’art. 23 comma 6 del d. lgs. n. 252/2005.

Nei motivi di ricorso lamentano sostanzialmente l’inapplicazione della normativa che ha previsto anche per i dipendenti delle Forze Armate il sistema di previdenza complementare (d.lgs. n. 195/1995 poi modificato dal d.lgs. n. 129/2000).

Prospettano invece la questione di incostituzionalità con riferimento alla circostanza che l’art. 23 comma 6 del d. lgs. n. 252/2005 avrebbe legittimato le omissioni dell’Amministrazione sull’attivazione della previdenza complementare, rinviando comunque l’entrata in vigore dello stesso sistema alla procedura di concertazione prevista dalla legge 195/1995.

L’Amministrazione si è costituita in giudizio il 9.1.2014 ed ha depositato un’ulteriore memoria il 14.1.2014.

Anche i ricorrenti hanno depositato un’ulteriore memoria il 2.1.2014.

La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 5.2.2014.

Ciò premesso, il Collegio ritiene il ricorso inammissibile per difetto di legittimazione dei ricorrenti,

a prescindere dalla eccepita incostituzionalità dell’art. 23 comma 6 del d. lgs. n. 252/2005, peraltro non manifestamente fondata alla luce del principio di ragionevolezza che ispira il richiamo fatto dalla stessa disposizione alla necessità di un preventivo procedimento di negoziazione.

Se è pur vero che non può essere condivisa l'eccezione preliminare svolta dall'Avvocatura dello Stato secondo cui la controversia in esame appartiene alla giurisdizione della Corte dei Conti.

(nel caso in esame la prestazione di contenuto genericamente previdenziale sarebbe dovuta al lavoratore come prestazione del datore di lavoro nell'ambito di una forma di previdenza interna a carattere aziendale, anche se il fondo all'uopo costituito sia alimentato dai contributi a carico anche dei lavoratori, restando pertanto la controversia nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ), va invece ritenuta fondata l’altra eccezione dell’Avvocatura erariale in ordine al difetto ad agire dei ricorrenti.

Come affermato in casi analoghi dalla giurisprudenza amministrativa (cfr., ex plurimis , TAR Lazio, sez.I^, 8 marzo 2011, n. 2092;
Cons. St., sez. IV, n. 5698/2011) sussiste infatti il difetto di legittimazione per le ragioni di seguito illustrate.

La riforma previdenziale di cui alla c.d. legge "Dini" (legge 8 agosto 1995, n. 335) ha introdotto per la liquidazione delle pensioni a carico dell'assicurazione generale obbligatoria e delle altre forme sostitutive ed esclusive della medesima un nuovo sistema contributivo, confermando il previgente sistema retributivo per i lavoratori con anzianità contributiva di almeno diciotto anni alla data del 31 dicembre 1995 e istituendo un regime misto per i lavoratori con anzianità contributiva inferiore a diciotto anni alla stessa data del 31 dicembre 1995 (art. 1 commi 6 e 12);
il successivo art. 2 della legge ha poi previsto la "trasformazione" per i lavoratori pubblici dei trattamenti di fine servizio in trattamenti di fine rapporto, ossia la loro omogeneizzazione alle previsioni dell'art. 2120 cod. civ. (comma 5), demandando alla contrattazione collettiva nazionale la relativa disciplina e i relativi adeguamenti della struttura retributiva e previdenziale, anche ai fini dell'attuazione della c.d. previdenza complementare (comma 6), e ciò anche per i lavoratori già occupati al 31 dicembre 1995 (comma 7).

Le c.d. forme di previdenza complementare per l'erogazione di trattamenti pensionistici complementari del sistema obbligatorio pubblico sono state quindi introdotte dal d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124 per i lavoratori sia privati che pubblici (art. 2 lettera a), demandandone l'istituzione, quanto al personale pubblico, ai contratti collettivi e, per il personale non contrattualizzato, ossia in regime di diritto pubblico (caso di specie), alle norme dei rispettivi ordinamenti (art. 3 comma 2);
disposizioni analoghe sono state poi dettate dal d.lgs. 5 dicembre 2005, n. 252.

Con particolare riguardo al personale delle Forze di Polizia e delle Forze Armate, il d.lgs. 12 maggio 1995, n. 195, ha rinviato la disciplina del rapporto di lavoro, ivi compreso il trattamento di fine rapporto e le forme pensionistiche complementari, rispettivamente alla contrattazione collettiva (per le forze di polizia a ordinamento civile: art. 3) e a procedure di concertazione (per le forze di polizia a ordinamento militare: art. 4 e per le forze armate: art. 5).

Le procedure di concertazione sono regolate dall'art. 7 del d.lgs. n. 195 del 1995 (come modificato dal d.lgs. 31 marzo 2000, n. 129);
avviate dal Ministro della funzione pubblica (ora Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione), con il coinvolgimento, rispettivamente, delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative per il personale delle forze di polizia a ordinamento civile, e del Comitato centrale di rappresentanza (COCER) interforze.

Dette procedure " [...] hanno inizio contemporaneamente e si sviluppano con carattere di contestualità nelle fasi successive [...]", ivi compresa la sottoscrizione dell'ipotesi di accordo sindacale (per le forze di polizia a ordinamento civile) e dello schema di provvedimento (per il personale delle forze armate e di polizia a ordinamento militare), anche con convocazioni congiunte delle delegazioni di parte pubblica, dei rappresentanti dello Stato Maggiore della Difesa, dei Comandi generali dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza e dei COCER e delle organizzazioni sindacali rappresentative sul piano nazionale delle forze di polizia ad ordinamento civile.

Infine, l'ipotesi di accordo economico collettivo e lo schema di provvedimento, corredati dai prescritti prospetti (che indicano personale interessato, costi unitari, oneri riflessi del trattamento economico, quantificazione complessiva della spesa, diretta ed indiretta), esaminate le eventuali osservazioni, sono approvati dal Consiglio dei Ministri, che autorizza la sottoscrizione degli accordi e fissa i contenuti dello schema di provvedimento, successivamente "recepiti con i decreti del Presidente della Repubblica di cui all'articolo 1, comma 2, per i quali si prescinde dal parere del Consiglio di Stato".

L'art. 26 comma 20 della legge finanziaria 23 dicembre 1998, n. 448, con norma d'interpretazione autentica, ha chiarito che compete alle procedure di negoziazione e concertazione testé illustrate, la definizione, per il personale delle forze di polizia a ordinamento civile e militare e delle forze armate, della disciplina del trattamento di fine rapporto e l'istituzione di forme di previdenza complementare.

L'art. 67 del d.P.R. 16 marzo 1999, n. 254 ha ribadito che le procedure di negoziazione e concertazione, in prima applicazione, provvedono a definire (salva la volontarietà dell'adesione ai fondi pensione):

"a) la costituzione di uno o più fondi nazionali pensione complementare per il personale delle Forze armate e delle Forze di polizia ad ordinamento civile e militare [...] anche verificando la possibilità di unificarlo con analoghi fondi istituiti ai sensi delle normative richiamate per i lavoratori del pubblico impiego;

b) la misura percentuale della quota di contribuzione a carico delle Amministrazioni e di quella dovuta dal lavoratore, nonché la retribuzione utile alla determinazione delle quote stesse;

c) le modalità di trasformazione della buonuscita in trattamento di fine rapporto, le voci retributive utili per gli accantonamenti del trattamento di fine rapporto, nonché la quota di trattamento di fine rapporto da destinare a previdenza complementare".

Così delineato, in estrema sintesi, il quadro di riferimento normativo, deve rilevarsi che i ricorrenti censurano in sostanza la mancata definizione delle procedure di negoziazione e concertazione di cui all'art. 7del d.lgs. n. 195 del 1995, da ultimo citato.

Orbene, è del tutto evidente che i dipendenti pubblici destinatari dell'attività contrattuale collettiva o del decreto presidenziale di recepimento degli esiti della procedura di concertazione sono titolari di un interesse "finale", ovvero della posizione soggettiva destinata a sorgere per effetto di tale concertazione, e non già di un interesse concreto, attuale e direttamente tutelabile in ordine all'avvio e conclusione dei procedimenti "negoziali" in oggetto.

Tale interesse (assimilabile agli interessi legittimi procedimentali), appartiene, semmai, esclusivamente alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative (quanto alle forze di polizia a ordinamento civile) e ai Comitati centrali di rappresentanza, sempre quali organismi esponenziali d'interessi collettivi chiamati a partecipare ai predetti procedimenti.

Per quanto possa occorrere si evidenzia ancora, che, se anche le amministrazioni competenti si attivassero, l'effettivo avvio del procedimento di concertazione, preliminare all'adozione dello schema di atto da emanarsi nella forma di d.P.R., non potrebbe che dipendere anche da una concorrente e convergente volontà delle organizzazione sindacali summenzionate (quest'ultima, ovviamente, di natura squisitamente negoziale).

È pertanto evidente che, allo stato, i ricorrenti non sono titolari né di un diritto soggettivo, né di un interesse legittimo, potendo semmai riconoscersi un interesse di tal fatta (di carattere strumentale) solo in capo alle organizzazioni sindacali legittimate a partecipare alle procedure di contrattazione collettiva.

Ne deriva che gli odierni ricorrenti non sono legittimati a partecipare a detto procedimento, non essendo titolari di un interesse personale, concreto ed attuale, specificamente tutelato dalla norma attributiva del potere, con la previsione di un correlato obbligo di provvedere in capo alle amministrazioni competenti, né tantomeno che il giudice possa sostituirsi all’Amministrazione.

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, per difetto di legittimazione ad agire.

Tuttavia, in ragione della natura degli interessi coinvolti, appare equo compensare integralmente tra le parti le spese e gli onorari di giudizio.

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