TAR Roma, sez. 1T, sentenza 2015-10-20, n. 201512025
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N. 12025/2015 REG.PROV.COLL.
N. 03167/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3167 del 2012, proposto da:
C F, rappresentato e difeso dall’Avv. M P, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. F T in Roma, Via Vincenzo Brunacci n. 19;
contro
la Regione Lazio, in persona del Presidente
pro tempore
, costituita in giudizio, rappresentata e difesa dall’Avv. S R, con domicilio eletto presso la sede dell’Avvocatura regionale in Roma, Via Marcantonio Colonna n. 27;
nei confronti di
Società Italiana per Condotte d’Acqua S.p.A., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, costituita in giudizio, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Paolo Carbone ed Anna Moroli, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, viale Regina Margherita n. 290;
per il risarcimento
dei danni subiti dal ricorrente in conseguenza dell’occupazione e trasformazione dell’area di proprietà del medesimo, a seguito di occupazione d’urgenza oltre i limiti stabiliti con decreto del Presidente della Regione Lazio n. 783 del 13.12.2001 e senza che sia mai intervenuto il provvedimento definitivo di esproprio, per la realizzazione del semianello viario della Tangenziale di Viterbo.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Lazio e della Società Italiana per Condotte d’Acqua S.p.A.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 21 luglio 2015, il Cons. Rita Tricarico e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
La Regione Lazio ha aggiudicato la gara per la realizzazione del progetto generale di massima del semianello viario tangenziale di Viterbo, nonché per la progettazione esecutiva e l’esecuzione delle opere di un primo stralcio funzionale all’Associazione temporanea di Imprese avente quale mandataria la Gambogi Costruzioni S.p.A., successivamente incorporata nella Ferrocemento Recchi S.p.A e, in seguito a cessione di ramo d’azienda, confluita nella Società Italiana per le Condotte d’Acqua S.p.A, e quali mandanti IGE.CO. S.r.l. e S.E.I. S.r.l..
In base alla convenzione sottoscritta tra le parti il 18.1.1995, il predetto raggruppamento di imprese concessionario doveva occuparsi anche delle attività di esproprio delle aree interessate dalla realizzazione del semianello viario della tangenziale di Viterbo.
Con delibera di Giunta n. 5067 del 31.7.1997, la Regione Lazio ha approvato una perizia di variante ed ha deciso di rinnovare la procedura espropriativa, con fissazione di nuovi termini per il compimento delle operazioni di esproprio e per la realizzazione dei lavori.
Tale delibera prevedeva altresì espressamente l’obbligo per la Regione di rimborsare totalmente all’A.T.I. concessionaria le indennità di esproprio e/o di cessione volontaria che questa avrebbe anticipato agli aventi diritto.
Successivamente, con determinazione del Direttore del Dipartimento Opere Pubbliche e Servizi della Regione Lazio n. 1303 del 1°.8.2000, è stato riapprovata la perizia di variante a soli fini espropriativi, per la reiterazione della pubblica utilità, con fissazione di nuovi termini per l’inizio ed il completamento delle stesse procedure e dei lavori.
Con decreto del Presidente della Regione Lazio n. 783 del 13.12.2001, la Società Italiana per Condotte d’Acqua è stata “autorizzata, ad occupare, in via d’urgenza, per un periodo di anni cinque dalla immissione in possesso, le aree ricadenti nel territorio del Comune di Viterbo” , tra cui anche quelle di proprietà dei Signori C D e S E, poi trasferite per successione all’odierno ricorrente, site nel predetto Comune al termine di Via Genova.
L’immissione in possesso del terreno in questione è avvenuta in data 11.3.2002 ed è stata autorizzata per un periodo di 5 anni, vale a dire fino all’11.3.2007.
Avverso detto decreto il ricorrente odierno e suo padre D C, successivamente deceduto, hanno proposto dinanzi a questo Tribunale il ricorso n. 2579/2002, che, con sentenza n. 13285 del 20.12.2002, è stato respinto. L’esito di rigetto è stato confermato in appello dal Consiglio di Stato con decisione n. 3617 del 19.6.2006.
Medio tempore , con nota dell’11.10.2002, Condotte ha comunicato inoltre al Sig. C la disponibilità della Regione “ad una soluzione transattiva delle problematiche emerse nelle procedure espropriative in corso” , e che, “in particolare, la Regione (aveva) manifestato l’intenzione di voler definire, anche dal punto di vista economico, le modalità di un’eventuale cessione bonaria delle aree interessate dai lavori (...), impegnandosi a ricercare con i rispettivi proprietari le soluzioni tecniche che si rendevano opportune a tutela della proprietà privata” .
In data 27.8.2004 la Società Condotte d’Acqua ha ultimato “i lavori relativi alla strada di collegamento con Via Genova compreso lo svincolo rotatoria di fine lotto” ed il successivo 3.9.2004 la Regione Lazio ha preso in consegna l’opera, che contestualmente è stata presa in carico dal Comune di Viterbo, il quale aveva necessità di utilizzarla ed in effetti l’ha utilizzata.
In esito all’ultimazione, è stato eseguito il nuovo frazionamento delle aree di proprietà del ricorrente interessate dalle opere;il frazionamento è stato approvato dall’Agenzia del Territorio della Provincia di Viterbo il 24.10.2005.
Infine il 26.10.2005 l’opera è stata collaudata positivamente ed il relativo atto è stato approvato nel 2006.
Tra la Regione e la Società Italiana per Condotte d’Acqua c’è stata una copiosa corrispondenza in relazione alla procedura espropriativa concernente il terreno di proprietà del ricorrente. Nel termine prescritto non è stato emesso un decreto di esproprio. Solo in data 8.10.2010, perciò ben oltre la scadenza del termine per l’adozione del decreto di esproprio, la suddetta Società ha definito un’indennità di € 57.255,76, che il successivo 6.11.2010 è stata rifiutata dal Sig. C.
Quest’ultimo, con raccomandata a.r. del 22.11.2010, ha trasmesso alla Società Italiana Condotte d’Acque una perizia tecnica giurata, nella quale, sul presupposto che l’area fosse edificabile con destinazione urbanistica B/3, le si attribuiva un valore di € 200/mc e si quantificava, perciò, un danno di € 2.759.280,00.
Con nota del 30.11.2010, tale Società si è dichiarata “mero esecutore della procedura espropriativa” , rimettendo alla Regione Lazio ogni determinazione in ordine ai provvedimenti da adottare per la definizione dell’esproprio.
La Regione Lazio, con nota dell’11.1.2011, ha contestato la perizia valutativa trasmessa dal ricorrente.
Tale Ente, con nota prot. 249950 del 6.6.2012, ha invitato il Comune di Viterbo ad avviare il procedimento per l’acquisizione del bene utilizzato;detto Comune è rimasto inerte.
Con il ricorso in esame il Sig. C ha chiesto il risarcimento dei danni determinati dall’utilizzo del suo terreno per la realizzazione dell’opera pubblica de qua, in difetto del decreto di esproprio ed oltre il termine previsto per la sua occupazione, e ne ha proposto una quantificazione.
Si sono costituite in giudizio la Regione Lazio e la Società Italiana per Condotte d’Acqua S.p.A..
Quest’ultima Società ha sollevato una serie di eccezioni di inammissibilità del ricorso.
In primo luogo ha rilevato che il contraddittorio non sarebbe stato integrato nei confronti di tutte le parti necessarie.
In particolare, il ricorso è stato notificato nei confronti della società Condotte, in proprio e quale mandataria del raggruppamento di Imprese a suo tempo costituito con I.GE.CO. S.r.l. Impresa Generale Costruzioni e S.E.I. S.r.l..
Tuttavia tale Società non avrebbe alcun potere di prender parte al presente giudizio, anche in nome e per conto delle Società I.GE.CO. S.r.l. Impresa Generale Costruzioni e S.E.I. S.r.l., atteso che, in base all’atto costitutivo del raggruppamento, si prevedeva che, nel caso di affidamento dei lavori, lo stesso si sarebbe sciolto automaticamente con l’approvazione del certificato di collaudo (in questo caso il certificato di collaudo dell’opera è stato approvato nel 2006).
Essendosi ormai sciolto il raggruppamento temporaneo di imprese cui era stata affidata l’esecuzione dell’opera, la società Condotte, che ne era mandataria, non avrebbe più alcuna possibilità di stare in giudizio anche per le altre partecipanti al raggruppamento stesso.
Inoltre la Società Italiana per Condotte d’Acqua S.p.A., in qualità di mandataria, aveva la rappresentanza processuale esclusiva anche delle Società mandanti soltanto nei confronti dell’Ente concedente e non dei terzi, secondo quanto previsto dall’art. 22 L. n. 584/1977, che testualmente recitava: “Al mandatario spetta la rappresentanza esclusiva, anche processuale, delle imprese mandanti nei confronti del soggetto appaltante per tutte le operazioni e gli atti di qualsiasi natura dipendenti dall’appalto, anche dopo il collaudo dei lavori, fino all’estinzione di ogni rapporto” .
Tale Società ha chiesto, pertanto, che fosse costituito correttamente il contraddittorio, mediante la convocazione in giudizio anche delle Società mandanti.
Ha poi aggiunto che, poiché tra le varie voci di danno lamentate dal Sig. C una attiene alle conseguenze di un evento franoso verificatosi nel settembre 2006, sarebbe necessario integrare il contraddittorio anche nei confronti del soggetto che dal 2004 ha in uso, gestione e manutenzione l’opera, vale a dire il Comune di Viterbo, il quale, perciò, sarebbe un contraddittore necessario nel presente giudizio.
Si è assunto altresì il difetto di legittimazione di Condotte e delle altre Società che costituivano il raggruppamento concessionario. Infatti la legittimazione del concessionario rispetto alle azioni di risarcimento del danno da occupazione illegittima sarebbe rinvenibile esclusivamente nel caso in cui il concessionario, cui sia stata delegata la procedura ablativa finalizzata all’esecuzione di un’opera pubblica, abbia agito in nome proprio e per competenza propria, assumendo direttamente su di sé tutti gli obblighi derivanti dal procedimento espropriativo, così sostituendosi all’Ente espropriante, mentre nella specie la mandataria Condotte avrebbe agito sempre in nome e per conto della Regione Lazio.
Si è sostenuta l’assenza di responsabilità in capo al concessionario, il quale, al contrario, avrebbe non solo ultimato l’esecuzione dell’opera nel pieno rispetto dei tempi dettati dal provvedimento di occupazione di urgenza, ma anche posto in essere tutte le attività di propria competenza al fine di consentire lo sviluppo e la conclusione dei procedimenti di esproprio, sollecitando reiteratamente la Regione Lazio a terminare i procedimenti stessi.
Si è eccepita ancora la decadenza dall’azione risarcitoria avanzata dal Sig. C, ai sensi e per gli effetti dell’art. 30 c.p.a..
Il comma 3 recita testualmente: “La domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi è proposta entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo” .
La giurisprudenza avrebbe affermato che, in relazione a vicende anteriori all’entrata in vigore del codice, il termine di decadenza decorrerebbe proprio dal momento dell’entrata in vigore dello stesso, con la conseguenza che nella fattispecie che ci occupa l’azione sarebbe inammissibile, per intervenuta decadenza, essendo stata introdotta il 4.4.2012, ampiamente dopo i 120 giorni, prescritti dal menzionato comma 3, dall’entrata in vigore del codice del processo amministrativo.
Si è asserito che l’azione proposta dal Sig. C sarebbe comunque prescritta, in quanto esercitata ampiamente oltre il quinquennio dalla scadenza dei termini fissati nella dichiarazione di pubblica utilità.
Nel merito si è osservato che il ricorrente non avrebbe fornito gli elementi costitutivi dell'azione risarcitoria esercitata;anche in esito alla perizia prodotta in giudizio, la domanda avversaria rimarrebbe generica.
La Regione Lazio ha chiesto al Tribunale di ordinare l’intervento in giudizio del Comune di Viterbo, ai sensi dell’art. 28 comma 2 c.p.a., considerato che, allo stato attuale, il provvedimento con effetto traslativo della proprietà deve essere adottato dal Comune che usufruisce dell’opera pubblica, ai sensi dell’art. 42 bis del d.P.R. n. 327/2001.
La stima del bene ed il calcolo delle indennità sarebbero state di competenza della Società Italiana per le Condotte d’Acqua, la quale avrebbe dilatato i tempi del procedimento espropriativo, chiedendo diverse proroghe, e tardivamente richiesto l’atto amministrativo di determinazione dell’indennità di esproprio (in data 8.11.2004), definendo un’indennità solo l’8.10.2010, quindi ben oltre la scadenza del termine per l’adozione del decreto di esproprio.
La valutazione eseguita dalla Società Italiana per Condotte d’Acqua, secondo quanto affermato dall’Area Reti infrastrutturali della Regione Lazio, sarebbe congrua, per via dei vincoli di inedificabilità ai fini ambientali a cui da anni è sottoposta l’area e della possibilità che il ricorrente proprietario ha avuto di godere del bene residuo.
In considerazione poi dell’enorme differenza del valore indicato nella perizia di parte ricorrente, la Regione ha chiesto di disporre la verificazione per quantificare il valore del bene in questione e l’indennizzo e gli interessi dovuti.
Ha chiesto, altresì, di disporre che il Comune di Viterbo adotti il decreto di acquisizione sanante e che il pagamento, da parte della Regione Lazio, sia limitato all’importo del valore venale del bene, atteso che il ritardo nella conclusione del procedimento sarebbe imputabile al comportamento della Società Italiana per Condotte d’Acqua, obbligata a svolgere la procedura d’esproprio ed a quantificare la relativa indennità, nonché all’inerzia del Comune di Viterbo nell’adottare il decreto di acquisizione sanante.
Il Sig. C e la Società Italiana per Condotte d’Acqua hanno depositato memorie conclusive in vista della pubblica udienza del 21.7.2015, nella quale il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1 - Con il ricorso all’esame del Collegio, il Sig. C Franco, in qualità di proprietario di un terreno interessato da procedura espropriativa che si è protratta oltre i termini prescritti dal relativo decreto regionale di occupazione d’urgenza e che non si è conclusa con l’adozione del provvedimento di espropriazione, sul quale è stata realizzata un’opera viaria pubblica, chiede il risarcimento del danno subito per effetto dei fatti appena richiamati.
2 - Al riguardo occorre dare atto dell’intervenuta espunzione dal nostro ordinamento dell’istituto dell’acquisizione de facto della proprietà in mano pubblica a seguito della realizzazione dell’opera.
L’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica non fa più venir meno l’obbligo di restituire al privato il bene illegittimamente appreso;in tal modo è stata superata l’interpretazione che riconnetteva appunto alla costruzione dell’opera pubblica e all’irreversibile trasformazione dello stato dei luoghi effetti preclusivi o limitativi della tutela in forma specifica del privato.
La presenza di un’opera pubblica sull’area illegittimamente occupata costituisce in sé un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo di acquisto, come tale inidoneo ex se a determinare il trasferimento della proprietà.
L’acquisto della proprietà in capo all’Amministrazione può avvenire, infatti, oltre che per via negoziale, solo a seguito di procedimento espropriativo o in virtù dello strumento di cui all’art. 42 bis del d.P.R. 8.6.2001, n. 327, introdotto dall’art. 34, comma 1, del d.l. 6.7.2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15.7. 2011, n. 111, e che ha superato positivamente il vaglio della Consulta (sentenza 11.3- 30.4.2015, n. 71).
3 - Anche alla fattispecie in esame si applica tale disposizione normativa.
In primo luogo si evidenzia che la sua applicabilità al caso in esame si evince dal suo stesso comma 8, il quale testualmente recita: “Le disposizioni del presente articolo trovano … applicazione ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore” .
4 - Ciò rilevato, va detto che, in base al citato art. 42 bis del d.P.R. n. 327/2001, spetta alla “autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità” , decidere se disporre o meno che “esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile” .
Perciò il soggetto utilizzatore dell’opera, che nel caso che ci occupa è il Comune di Viterbo, è chiamato ad eseguire una valutazione, evidentemente imperniata sulla persistenza o meno dell’interesse pubblico al mantenimento ed alla fruizione dell’opera, circa la restituzione al proprietario dell’area interessata dall’opera stessa o la sua acquisizione al patrimonio indisponibile, con efficacia ex nunc .
4.1 - L’acquisizione avviene in forza di uno specifico provvedimento, motivato in riferimento alle attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l’emanazione, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati, ed all’assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione.
4.2 - In tal caso, essendo esercitata una nuova attività amministrativa legittima, al proprietario è dovuto un quantum , non già a titolo di risarcimento, bensì di indennizzo, così come è qualificato proprio dal menzionato art. 42 bis. Esso deve essere liquidato nello stesso provvedimento di acquisizione.
L’indennizzo va a ristorare tanto il pregiudizio patrimoniale e quanto quello non patrimoniale.
4.3 - La sua quantificazione avviene secondo i criteri dettati dalla medesima disposizione;trattandosi di quantificazione di un indennizzo, deve evidenziarsi la carenza di giurisdizione del giudice amministrativo, appartenendo la stessa al giudice oridnario, secondo il disposto dell’art. 133, comma 1, lett. g), c.p.a..
5 - La domanda di risarcimento dei danni connessi alla perdita del diritto dominicale per la realizzazione di un’opera pubblica, avanzata dal ricorrente, è conseguentemente infondata.
6 - Per quanto concerne il periodo di occupazione senza titolo, la disposizione in esame pone sempre a carico dell’Ente utilizzatore – qui il Comune di Viterbo – il risarcimento del danno, che viene liquidato in via forfetaria nella misura del cinque per cento annuo sul valore determinato per l’indennizzo del pregiudizio patrimoniale, a meno che “dagli atti del procedimento non risult(i) la prova di una diversa entità del danno” .
6.1 – In proposito va, tuttavia, rimarcato che l’unico contraddittore necessario, rappresentato appunto dal Comune di Viterbo, non è stato chiamato in giudizio.
6.2 - Va poi aggiunto che la domanda di risarcimento del danno determinato dall’occupazione sine titulo deve essere legata all’altra domanda, qui mancante, di attivazione del procedimento di acquisizione ex nunc dell’area o alternativamente di restituzione del bene, rispetto alla quale il legittimato passivo è unicamente il Comune di Viterbo.
7 - Anche in relazione all’ulteriore voce di danno legata alla frana accaduta nel settembre 2006, l’unica Amministrazione legittimata passivamente è il predetto Comune di Viterbo, che utilizzava l’opera che avrebbe determinato detta frana.
8 - Ne deriva che il ricorso, oltre che infondato in ordine alla domanda di risarcimento del danno da occupazione acquisitiva, è inammissibile con riguardo a tutte le altre domande risarcitorie avanzate, atteso che non è stato garantito il contraddittorio con l’Amministrazione resistente, qui integrata dal Comune di Viterbo, al quale il ricorso stesso non è stato notificato.
9 - La peculiarità e la novità della vicenda esaminata inducono all’integrale compensazione tra le parti delle spese di lite, ravvisandosene giusti motivi.