TAR Salerno, sez. I, sentenza 2023-01-03, n. 202300001
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Testo completo
Pubblicato il 03/01/2023
N. 00001/2023 REG.PROV.COLL.
N. 01370/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1370 del 2019, proposto dalla Curatela Fallimentare della Cooperativa Casa Nazaret, in persona del suo legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall’Avvocato E A, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Casal Velino, in persona del Sindaco
pro tempore
, non costituito in giudizio;
per l'annullamento
a) della Delibera della Giunta Comunale del 04.06.2019, prot. 58376, avente ad oggetto, a parziale modifica del precedente deliberato n. 38/2017, la richiesta dell’intero canone di locazione relativo ad un immobile comunale sito alla Via Verduzio, con conseguente compensazione delle somme di cui l’Amministrazione Comunale assume di essere creditrice con quelle dovute alla Società ricorrente per l’avvenuta esecuzione del progetto “SPRAR”;
b) del verbale della verifica effettuata dall’U.T. Comunale, prot. 45333 del 04.06.2019;
c) di ogni altro atto preordinato, connesso, conseguenziale, comunque lesivo del diritto della Società ricorrente.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 18 novembre 2022 il dott. M T e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso in epigrafe, la cooperativa ricorrente – premesso di aver avuto in essere con il Comune intimato un duplice rapporto contrattuale, e cioè un primo rapporto contrattuale di natura locatizia avente ad oggetto un immobile sito alla Via Verduzio (indicato in Catasto al Foglio 2, Mappale 328) concesso in locazione per attività sociali, nonché un secondo rapporto contrattuale di appalto avente ad oggetto il servizio di accoglienza, ospitalità ed integrazione socio-lavorativa di n. 16 stranieri richiedenti asilo e rifugiati – è insorta avverso l’atto amministrativo con cui il Comune evocato ha rideterminato in pejus il quantum del canone locatizio, chiedendone l’annullamento.
Il Comune intimato non si è costituito in giudizio, risultando quindi contumace.
Con memoria depositata in data 29 marzo 2022, la Curatela fallimentare della cooperativa ricorrente si costituiva in giudizio, rappresentando che nelle more del presente procedimento il Tribunale Civile di Vallo della Lucania, Sezione Fallimentare, aveva dichiarato il fallimento della cooperativa ricorrente (fallimento NRG 5/2020), nonché instando per la prosecuzione del giudizio e l’accoglimento dell’odierno ricorso.
All’udienza straordinaria del 18 novembre 2022, il Collegio ha introiettato la causa in decisione.
Dopo il passaggio in decisione della causa, il Collegio ha rilevato d’ufficio la sussistenza di una possibile causa di estinzione del giudizio, per mancata tempestiva prosecuzione dello stesso a seguito del fallimento dell’originaria ricorrente, concedendo quindi alle parti – con ordinanza ex art. 73, comma 3, c.p.a. - un termine di dieci giorni per memorie sul punto.
Con successiva memoria tempestivamente depositata in data 22 novembre 2022, parte ricorrente ha puntualmente dedotto sulla tempestiva prosecuzione del giudizio entro il termine di 90 giorni decorrente dalla data in cui il curatore fallimentare è stato effettivamente reso edotto della pendenza dell’odierno giudizio.
Richiamata la causa in decisione, il Collegio ha quindi rilevato d’ufficio la sussistenza di una possibile causa di inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo adìto, avuto riguardo al concreto petitum sostanziale della domanda della ricorrente, consistente nell’accertamento del diritto soggettivo della Curatela fallimentare – così come cristallizzato nel contratto di locazione intercorso con il Comune intimato – al pagamento di un canone locatizio mensile di € 300,00 (anziché di € 1.000,00), concedendo quindi alle parti, con nuova ordinanza ex art. 73, comma 3, c.p.a., un ulteriore termine di dieci giorni per memorie su quest’ultimo specifico profilo.
Con ulteriore memoria tempestivamente depositata in data 20 dicembre 2022, parte ricorrente ha formulato rilievi anche sul prospettato difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo.
DIRITTO
Tutto ciò premesso, si affronta in via pregiudiziale l’eccezione – sollevata d’ufficio ex art. 73 comma 3 c.p.a. – del difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo adìto.
Il Collegio ritiene che l’eccezione sia fondata, con conseguente inammissibilità del gravame per difetto di giurisdizione.
Com univocamente affermato dalla giurisprudenza in materia, le controversie concernenti « indennità, canoni o altri corrispettivi » riservate alla giurisdizione del giudice ordinario in forza delle regole di riparto attualmente cristallizzate nell’art. 133 c.p.a., sono esclusivamente quelle contrassegnate da un contenuto meramente patrimoniale, attinente al rapporto interno tra p.a. concedente e concessionario del bene o del servizio pubblico, e – come tali – riferite alla mera quantificazione della misura dei canoni dovuti, rientrando, per contro, nella giurisdizione del giudice amministrativo la verifica dell’azione autoritativa sull’intera economia del rapporto concessorio, avuto segnatamente riguardo alla sussistenza ed alle modalità di esercizio, con atto regolamentare, del sotteso potere impositivo (cfr. Cons. St., sez. V, sentenza 22 giugno 2018, n. 3879).
Con specifico riferimento, poi, al rapporto locatizio tra Pubblica Amministrazione e soggetto privato, la Corte di Cassazione ritiene la sussistenza della giurisdizione ordinaria in relazione a controversie aventi ad oggetto gli aspetti del rapporto locatizio in quanto tale, come nel caso di specie quelle relative al quantum del canone (cfr. Cass., SS.UU., 16 gennaio 2007, n. 755).
Nel caso de quo agitur , risulta pacifica in atti la sussistenza fra le parti di un rapporto locatizio nell’ambito del quale, a fronte della disponibilità dell’immobile, la società conduttrice era tenuta alla periodica corresponsione di un canone.
Risulta altrettanto pacifico, altresì, che:
- l’art. 1 del contratto di locazione de quo prevedeva un canone mensile di € 1.000, a scomputo del quale doveva tenersi conto dei “ lavori necessari per la sistemazione e l’adattamento dei locali ed adeguamento degli impianti [da effettuarsi a cura della società conduttrice] , nessuno escluso, ritenuti necessari per la destinazione data agli stessi, già quantificati nella misura di € 54.000 in conformità ai progetti presentati presso l’Ente ”, in guisa tale che il canone mensile si riduceva contrattualmente ad € 300, a cui si doveva aggiungere l’onere dei summenzionati lavori a scomputo (il cui valore mensile era pari ad € 700);
- con l’atto impugnato l’Amministrazione comunale, nella sua qualità di locatrice dell’immobile, ha incrementato il canone mensile quantificandolo in € 1.000, senza più richiedere i lavori a scomputo.
La questione di cui si controverte attiene, quindi, al quantum del canone locatizio e, più in particolare, alla sussistenza o meno del diritto contrattuale dell’Amministrazione di variare unilateralmente la pattuizione negoziale con cui si era convenuto un ben determinato canone.
Tanto basta per iscrivere la fattispecie per cui è causa nell’ambito di un tipico rapporto di diritto comune, nel cui ambito sussistono ordinari rapporti bilaterali e relazioni paritetiche a carattere sinallagmatico, la prima delle quali – per ciò che attiene gli obblighi a carico del conduttore – è caratterizzata dall’obbligo del periodico versamento del canone (cfr. in termini Cons. St., Sez. VI, n. 3924 del 2013).
Ne consegue che rientra certamente nell’ambito della giurisdizione ordinaria la presente controversia sull’atto con cui l’ente proprietario dell’immobile abbia richiesto una variazione del canone mensile dovuto dal conduttore.
Né ha pregio l’eccezione di parte ricorrente secondo cui l’atto impugnato sarebbe espressione di un potere autoritativo di autotutela pubblicistica.
In proposito, va osservato che gli atti di autotutela che incidono direttamente sul contratto (recesso, risoluzione, variazione unilaterale delle condizioni negoziali, c.d. atti di autotutela interna) sono atti privatistici ricadenti nella giurisdizione ordinaria, mentre gli atti di autotutela che incidono direttamente sull’aggiudicazione, per la natura pubblicistica che è propria di essi, rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo (cfr. in tal senso, ex multis , TAR Lazio, Sez. Prima Quater, 12 maggio 2020 n. 5005).
Nel caso di specie, l’atto impugnato – al di là del nomen iuris e della forma con cui esso è stato adottato – va ad incidere direttamente sul contratto di locazione, risolvendosi primieramente in un atto di esercizio dello ius variandi delle condizioni negoziali di un rapporto pienamente paritetico tra Amministrazione locatrice e società conduttrice.
Ius variandi la cui ammissibilità civilistica andrà accertata – anche alla luce della clausola dell’art. 15 del contratto di locazione intercorso tra le parti (rubricata sotto la voce “ Modifiche del contratto ”) e della sua corretta interpretazione – nell’ambito del giudizio riassunto innanzi al Giudice ordinario.
Le suesposte considerazioni appaiono vieppiù confortate dall’insegnamento del Consiglio di Stato – evocato peraltro dalla stessa ricorrente – reso in materia di revoca/recesso dal contratto di appalto, insegnamento le cui direttrici essenziali possono essere senz’altro traslate - mutatis mutandis - all’odierna fattispecie della variazione unilaterale delle condizioni economiche del contratto di locazione.
Orbene, è stato condivisibilmente affermato (Cons. St., Sez. V, 4 agosto 2017, n. 3909) che “ con la stipula del contratto di appalto si costituisce tra le parti, pubblica e privata, un rapporto giuridico paritetico intercorrente tra situazioni soggettive da qualificare in termini di diritti soggettivi e di obblighi giuridici. Ne consegue che il riscontro di sopravvenuti motivi di inopportunità alla realizzazione del programma negoziale si riconduce all’esercizio del potere contrattuale di recesso previsto dalla normativa sugli appalti pubblici (articoli 1373 e 1671 cod. civ.;articolo 134 del previgente ‘Codice dei contratti’), con scelta che si riverbera sul contratto configurandosi nell’esercizio di un potere contrattuale del committente di recedere da esso (e a prescindere dal nomen iuris utilizzato). Ne consegue che l’atto di revoca dell’affidamento, ciononostante adottato, risulta lesivo del diritto soggettivo del privato in quanto incidente sul sinallagma funzionale (in tal senso: Cass. Civ, Sez. un., sent. 29425 del 2008). Ebbene, riconducendo i princìpi appena richiamati alle peculiarità del caso in esame si ritiene che, ai fini di giurisdizione, non rilevi il nomen iuris attribuito dal Comune appellante all’atto con cui si è stabilito di imprimere un esito risolutorio alla vicenda contrattuale (l’atto in questione è stato qualificato come ‘revoca’). Al contrario, ciò che rileva è che tale statuizione sia intervenuta nel corso della fase esecutiva del rapporto e che, ai sensi del richiamato orientamento, sia qualificabile come recesso di carattere privatistico, la cui cognitio resta demandata al Giudice ordinario. Non può quindi essere condivisa la tesi dell’appellata … secondo cui la scelta del Comune di avvalersi dell’istituto della ‘revoca’ di cui all’articolo 21-quinquies della l. 241 del 1990 varrebbe a connotare la vicenda con caratterizzazioni di stampo pubblicistico, sì da radicare la giurisdizione del giudice amministrativo ”.
Se dunque l’atto di revoca del contratto di appalto (intervenuto nella fase esecutiva del rapporto) va ascritto al potere privatistico di recesso, radicando di conseguenza la giurisdizione del Giudice Ordinario, parimenti l’atto di variazione unilaterale del canone di locazione (anch’esso intervenuto nella fase esecutiva di un rapporto pienamente paritetico quale quello locatizio) va ascritto alla sfera privatistica dello ius variandi contrattuale, la sussistenza dei cui presupposti civilistici dovrà essere accertata dal Giudice Ordinario.
In conclusione, per le ragioni esposte, il gravame va dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo nella controversia in esame, la quale soggiace alla giurisdizione del Giudice Ordinario, dinanzi al quale il giudizio andrà riproposto nel termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della presente sentenza, secondo quanto previsto dall’art. 11, comma 2, c.p.a.
La peculiarità della vicenda processuale e la definizione della causa in rito giustificano la compensazione tra le parti delle spese del giudizio.