TAR Roma, sez. I, sentenza 2022-11-25, n. 202215792
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Pubblicato il 25/11/2022
N. 15792/2022 REG.PROV.COLL.
N. 09744/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9744 del 2021, integrato da motivi aggiunti, proposto da
Apple Distribution International Ltd., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati L C, R L, A M e G D, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. A M in Roma, via Venti Settembre 1;
contro
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
Movimento Consumatori, non costituito in giudizio;
per l'annullamento
per quanto riguarda il ricorso introduttivo:
del provvedimento dell'AGCM n. 29819 del 7settembre 2021 (caso CV-196 - ICLOUD APPLE-CLAUSOLE VESSATORIE), comunicato alla ricorrente in data 22 settembre 2021, con cui è stata accertata la vessatorietà delle clausole contenute nel modello contrattuale reso disponibile da Apple ai propri clienti del servizio iCloud nella sezione Legal del proprio sito nella versione in lingua italiana;
di ogni altro atto o provvedimento presupposto, connesso e comunque consequenziale, nessuno escluso;
per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da Apple Distribution International Ltd. il 19/10/2021:
in aggiunta ai motivi già sollevati nel ricorso introduttivo, per l'annullamento, previa concessione di idonee misure cautelari, ovvero, in subordine, ai sensi dell'art. 55, comma 10 c.p.a., del provvedimento dell'AGCM n. 29819 del 7settembre 2021 (caso CV-196 - ICLOUD APPLE-CLAUSOLE VESSATORIE), comunicato alla ricorrente in data 22 settembre 2021, con cui è stata accertata la vessatorietà delle clausole contenute nel modello contrattuale reso disponibile da Apple ai propri clienti del servizio iCloud nella sezione Legal del proprio sito nella versione in lingua italiana.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 ottobre 2022 la dott.ssa Francesca Petrucciani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso in epigrafe Apple Distribution International ltd. ha impugnato il provvedimento con cui l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, in data 7 settembre 2021, ha accertato la vessatorietà delle clausole contenute nel contratto relativo al servizio iCloud, pubblicato nella sezione “Legal” del proprio sito nella versione in lingua italiana, ordinando ad Apple di far pubblicare degli estratti del provvedimento.
La ricorrente ha dedotto che il servizio iCloud viene offerto per consentire agli utenti di archiviare contenuti personali (come contatti, calendari, foto, note, promemoria, documenti, dati delle app ed e-mail iCloud) sui server della società e di accedere ad essi da tutti i dispositivi compatibili in loro dotazione (smartphone, computer, ecc.);tale servizio è attualmente offerto in versione gratuita, nei limiti di capacità archiviazione di 5GB, a tutti gli utenti registrati, ed è disponibile anche a pagamento per gli utenti che intendono acquistare capacità di archiviazione aggiuntiva.
L’Autorità aveva ritenuto che tre delle clausole del Contratto iCloud fossero idonee a creare uno squilibrio tra i diritti delle controparti contrattuali;le clausole oggetto del provvedimento riguardavano, in particolare, il diritto di Apple di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali del servizio iCloud (clausola sub a), il servizio di back up iCloud (clausola sub b) e le limitazioni di responsabilità e le esclusioni di garanzia contrattuali (clausola sub c).
Secondo l’Autorità, sia per il servizio iCloud a pagamento, sia per quello gratuito, la clausola a), di cui al paragrafo II, lettera A, violerebbe l’art. 33, commi 1 e 2, lett. m), del Codice del Consumo, a tenore del quale si presumono vessatorie, fino a prova contraria, le clausole che hanno per oggetto, o per effetto, di “consentire al professionista di modificare unilateralmente le clausole del contratto, ovvero le caratteristiche del prodotto o del servizio da fornire, senza un giustificato motivo indicato nel contratto stesso”;le clausole b) e c) del paragrafo II violerebbero invece l’articolo 33, commi 1 e 2, lett. b), del Codice del Consumo, secondo cui si presumono vessatorie, fino a prova contraria, le clausole che hanno per oggetto, o per effetto, di “escludere o limitare le azioni o i diritti del consumatore nei confronti del professionista o di un'altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte del professionista”.
A sostegno del ricorso sono state formulate le seguenti censure:
I. Violazione e/o errata interpretazione dell’art. 33, comma 2, del Codice del consumo, eccesso di potere per travisamento ed erronea interpretazione del contratto iCloud, carenza di istruttoria e insufficienza della motivazione del provvedimento dell’Agcm, irragionevolezza e illogicità.
L’Autorità aveva affermato che per gli utenti della versione a pagamento del servizio iCloud la clausola conteneva l’indicazione dei motivi delle eventuali modifiche apportate al contratto unicamente per i cambiamenti effettuati “in urgenza”, e non per le modifiche di tipo “ordinario”;di contro, la clausola in questione precisava che “Per i servizi iCloud a pagamento, Apple non apporterà al Servizio alcuna modifica sostanziale sfavorevole prima del termine del periodo pagato in corso”, inserendo poi l’elenco delle circostanze eccezionali al verificarsi delle quali Apple sarebbe stata costretta ad apportare modifiche con urgenza.
Il servizio gratuito, invece, era a tempo indeterminato, sicché sarebbe stato irragionevole pretendere che Apple offrisse iCloud alle medesime condizioni del servizio a pagamento, assumendo l’impegno a non modificare i termini del servizio: al riguardo il contratto iCloud prevedeva che Apple avrebbe dato un adeguato preavviso, di norma di 30 giorni, prima di apportare qualsiasi sostanziale modifica in senso sfavorevole per il consumatore, e che in tal caso agli utenti del servizio gratuito era consentita la facoltà di recedere.
Per quanto riguarda le clausole sub (b) e (c), l’Agcm non aveva tenuto conto del fatto che il contratto conteneva la precisazione secondo cui: “Alcune giurisdizioni non ammettono l’esclusione o la limitazione della responsabilità dei fornitori di servizi. Nella misura in cui dette esclusioni o limitazioni sono specificatamente vietate dalla legge applicabile, alcune di quelle stabilite di seguito potrebbero non riguardare l’utente” (art. IX delle Condizioni, primo e ottavo comma).
Pertanto, sotto il profilo civilistico, e dunque anche di tutela del consumatore, la presenza di tale clausola faceva salvi tutti i diritti del consumatore nel caso di inadempimento totale o parziale, nonché di inesatto adempimento da parte di Apple.
II. Violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2, 3, 24, 103, 113, 117, primo comma, della Costituzione e dall’art. 6 della CEDU.
L’Agcm non avrebbe in concreto preso in considerazione le argomentazioni difensive sollevate dalla ricorrente con la memoria difensiva del 15 marzo 2021 e, più in generale, durante l’istruttoria, con conseguente violazione sostanziale dei diritti di difesa di Apple.
III. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 34 del Codice del Consumo, eccesso di potere per sviamento del potere dal fine.
L’Autorità avrebbe illegittimamente ridefinito l’oggetto stesso del contratto iCloud creando, a carico del professionista, obbligazioni ingiustificatamente onerose, nuove e incompatibili con il testo del Contratto iCloud e con la natura stessa del servizio offerto.
Di fatto l’Autorità avrebbe imposto ad Apple l'assicurazione per la perdita di dati, che costituiva un servizio costoso mai offerto gratuitamente, come in effetti accadeva nel caso del servizio iCloud a pagamento fino a 5G di spazio di archiviazione.
Si è costituita l’Autorità garante della concorrenza e del mercato resistendo al ricorso.
All’esito della camera di consiglio del 20 ottobre 2021 questa Sezione ha respinto l’istanza cautelare, rilevando che la qualificazione in termini di vessatorietà di alcune clausole relative alla fornitura del servizio “iCloud” operata dall’Autorità resistente appariva, prima facie , adeguatamente supportata dall’esame del disposto delle condizioni contrattuali in esame, con riferimento sia alla facoltà di modifica unilaterale del contratto, senza alcuna indicazione dei motivi che giustificherebbero la modifica, che alla limitazione di responsabilità per la perdita dei dati caricati “nella misura massima consentita dalla legge applicabile”, che, infine, alla limitazione della responsabilità di Apple, variabile a seconda delle legislazioni nazionali vigenti.
Con motivi aggiunti depositati il 19 ottobre 2021 la ricorrente ha ampliato le argomentazioni a sostegno delle censure già proposte e articolato una doglianza ulteriore di eccesso di potere per disparità di trattamento, contraddittorietà estrinseca e illogicità, in relazione alla valutazione di vessatorietà delle clausole b) e c).
In particolare, risulterebbe ingiustificato il trattamento riservato a Apple in confronto a quello di segno opposto assunto nei confronti di Dropbox in altro procedimento, avente ad oggetto clausole dalla portata perfettamente sovrapponibile.
Nel caso Dropbox, infatti, l’Autorità aveva ritenuto idoneo a sanare i vizi rilevati in merito alle clausole limitative di garanzie responsabilità un insieme di clausole che, nel loro complesso, raggiungevano il medesimo risultato di quelle già in uso da parte di Apple, dichiarate invece vessatorie.
All’udienza del 12 ottobre 2022 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Con il provvedimento impugnato l’Autorità ha riscontrato la vessatorietà di alcune delle clausole inserite dalla ricorrente tra le condizioni del servizio di archiviazione ICloud.
La prima delle clausole contestate riguarda le modifiche apportabili al servizio in questione: per gli utenti che fruiscono del servizio base (5 GB di spazio di archiviazione disponibile), gratuito, Apple si riserva di modificare il contratto con preavviso di almeno di trenta giorni, a meno che non ricorrano specifiche ragioni indicate dalla clausola;per gli utenti che fruiscono di uno spazio ulteriore rispetto a quello base, pagando un canone di abbonamento mensile, Apple si impegna a rendere efficaci le modifiche unilaterali solo al termine del periodo pagato, a meno che le modifiche siano necessarie per le specifiche ragioni già richiamate.
Nel caso di modifiche “sfavorevoli” per gli utenti, questi ultimi hanno diritto a recedere dal contratto e non utilizzare più, quindi, il servizio di cloud computing della Apple.
Tale clausola è stata ritenuta vessatoria perché contraria all’art. 33, comma 2, lett. m), cod. cons., in quanto non specificherebbe i motivi per i quali il professionista si attribuisce il diritto di modificare unilateralmente le condizioni di fruizione del servizio o le sue caratteristiche;secondo la disposizione citata, infatti, “Si presumono vessatorie fino a prova contraria le clausole che hanno per oggetto, o per effetto, di: (…) m) consentire al professionista di modificare unilateralmente le clausole del contratto, ovvero le caratteristiche del prodotto o del servizio da fornire, senza un giustificato motivo indicato nel contratto stesso”.
Il tenore letterale della clausola in questione, in vigore dal 2017, è il seguente: “ Modifiche al Servizio. Apple si riserva il diritto, in ogni momento, di modificare il presente Contratto e di imporre nuovi o termini o condizioni aggiuntivi relativi all’uso del Servizio da parte Vostra, fornendovi un preavviso di 30 giorni relativamente a qualsiasi modifica materiale sfavorevole del Servizio o dei termini del Servizio, salvo nei casi in cui un tale preavviso non sia ragionevolmente applicabile per cause legate ad azioni legali, normative o governative;per proteggere la sicurezza e la privacy dell'utente o per ragioni relative all'integrità tecnica;per evitare l'interruzione del Servizio per altri utenti;oppure a causa di disastri naturali, eventi catastrofici, guerre o altri eventi simili che si producono al di fuori del controllo di Apple. In quanto ai servizi di archiviazione sulla nuvola a pagamento, Apple non apporterà al Servizio alcuna modifica materiale sfavorevole prima che sia raggiunto il termine del periodo attualmente pagato dall'utente, salvo nei casi in cui una modifica sia ragionevolmente necessaria per questioni legate ad azioni legali, normative o governative;per proteggere la sicurezza e la privacy dell'utente o per ragioni relative all'integrità tecnica;per evitare l'interruzione del Servizio per altri utenti;oppure a causa di disastri naturali, eventi catastrofici, guerre o altri eventi simili che si producono al di fuori del controllo di Apple. Qualora Apple apportasse delle modifiche materiali sfavorevoli al Servizio o ai termini di utilizzo dello stesso, avrete il diritto di estinguere il presente Contratto e i Vostri account. In tal caso, riceverete da Apple un risarcimento proporzionale per qualsiasi pagamento previo per il termine attualmente pagato. Apple non sarà ritenuta responsabile per alcuna modifica al Servizio o ai termini del Servizio apportata conformemente a quanto descritto in questa sezione ”.
Dalla lettura del testo si evince come correttamente l’Autorità abbia stigmatizzato l’assenza dell’indicazione nel contratto dei «giustificati motivi» che consentono al professionista di modificare unilateralmente il rapporto negoziale con il consumatore, ai sensi dell’art. 33, comma 2, lett. m), cod. cons.
Nella prima parte della clausola, infatti, con riferimento al servizio iCloud gratuito, sono indicati unicamente i casi in cui non è applicabile il preavviso di 30 giorni rispetto all’efficacia iniziale delle modifiche unilaterali, ma non i motivi che consentono l’esercizio dello ius variandi ;quanto al servizio a pagamento, il professionista si impegna a non apportare modifiche unilaterali fino al termine del periodo pagato, a meno che non ricorrano le ragioni dettagliatamente indicate, ma analoga indicazione non è prevista per le eventuali modifiche inserite dopo il termine del periodo pagato.
Secondo la ricorrente, il preavviso di 30 giorni previsto per gli utenti che fruiscono del servizio gratuito varrebbe a escludere la vessatorietà della clausola, anche perché la preclusione della modifica unilaterale del contratto da gratuito a oneroso, se non per ragioni preventivamente specificate nel contratto, risulterebbe eccessivamente penalizzante per il professionista che ha offerto il servizio gratuito, vincolandolo a tempo indeterminato al contratto;quanto al servizio a pagamento, la clausola rispetterebbe il disposto dell’art. 33 del Codice del consumo, contenendo l’impegno di Apple a non modificare le condizioni contrattuali del servizio in senso sfavorevole per il consumatore durante il periodo a pagamento, eccezion fatta per il verificarsi di determinate circostanze (tutte elencate) in cui Apple potrebbe essere costretta ad apportare modifiche con urgenza.
Deve rilevarsi, tuttavia, sotto il primo profilo, che la gratuità del servizio offerto non implica l’esclusione dell’applicazione della disciplina delle clausole vessatorie: la disposizione sopra citata è infatti chiara nell’inserire, tra le clausole che si presumono vessatorie fino a prova contraria, quelle che consentono di modificare unilateralmente il contratto, senza che siano indicate le ragioni della modifica.
La disciplina consumeristica, quindi, nell’individuare le varie tipologie di clausole vessatorie e il loro differente regime, non opera alcuna deroga o distinzione in relazione all’onerosità o meno del contratto.
Non solo, ma la gratuità del contratto non esclude che alla base dello stesso vi sia un interesse patrimoniale od economico, sicché anche a fronte di una prestazione gratuita risulta necessario assicurare che non sussistano, nell’assetto di interessi alla base del contratto, rilevanti squilibri tra la posizione del professionista e quella del consumatore che si affida al servizio, seppure gratuito, qual è, per esempio, l’acquirente del device Apple mediante il quale poi si accederà al servizio iCloud.
In tale ipotesi, infatti, emerge l’interesse economico del produttore a rendere più appetibili, mediante l’offerta del servizio di conservazione dei dati su iCloud, i dispositivi Apple rispetto a quelli dei concorrenti, aumentando così le vendite.
L’offerta del servizio gratuito è quindi sorretta da tale interesse economico del professionista, mentre il consumatore indirizza le proprie scelte sul prodotto anche tenendo conto del servizio offerto, di modo che la valutazione delle condizioni contrattuali non può non considerare tale aspetto.
Ne consegue che la gratuità del servizio non consente di escludere il contratto dall’applicazione dell’art. 33 del Codice del consumo.
Quanto al servizio a pagamento, se è vero che la clausola indica le ragioni giustificative delle eventuali modifiche da apportare prima del termine del periodo per cui è stato corrisposto il pagamento, deve rilevarsi che, in ogni caso, in relazione ad eventuali modifiche successive non sono menzionate le ipotesi in cui la modifica è consentita, in violazione del citato art. 33.
Né può sostenersi che il contratto venga a scadenza con il termine del periodo di pagamento, e che successivamente venga stipulato un successivo accordo: il contratto, infatti, è sempre a tempo indeterminato (nelle versioni a pagamento, il termine temporale è solo quello della scadenza delle mensilità), sicché, come correttamente evidenziato dall’Agcm, la periodicità concerne il pagamento del servizio ma non implica una cesura tra un accordo e l’altro né la stipula di plurimi contratti.
Per gli utenti del servizio iCloud, infatti, il costo corrispondente al piano selezionato viene addebitato in modo automatico a scadenze regolari, mentre, per recedere dopo l’acquisto iniziale o dopo il rinnovo in caso di acquisto di un piano annuale a pagamento, l’utente può inviare ad Apple una comunicazione entro 14 giorni dalla data di ricezione dell’email di conferma.
Conseguentemente, data la perdurante efficacia del contratto anche dopo il termine del periodo pagato, in difetto di espressa manifestazione del recesso, anche l’inserimento di modifiche unilaterali nel periodo successivo al termine di quello già pagato avrebbe richiesto, ai fini del rispetto dell’art. 33 del Codice del consumo, che le ragioni delle eventuali modifiche fossero dettagliatamente individuate.
L’Autorità ha poi ritenuto vessatorie le clausole di cui al paragrafo II, lettere B) e C), del contratto, che riguardano l'esclusione di responsabilità per la perdita di dati connessa con il servizio di backup e le limitazioni ed esclusioni della garanzia, per violazione dell'articolo 33, commi 1 e 2, lett. b), del Codice del consumo, secondo cui si presumono vessatorie, fino a prova contraria, le clausole che hanno per oggetto, o per effetto, di "escludere o limitare le azioni o i diritti del consumatore nei confronti del professionista o di un'altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte del professionista".
Le clausole in questione stabiliscono che “ Apple farà uso delle proprie ragionevoli capacità e della dovuta attenzione nel fornire il Servizio, ma, nella misura massima consentita dalla legge applicabile, Apple non garantisce che i contenuti che potete memorizzare o a cui potete accedere attraverso il servizio non saranno soggetti a danno involontario, alterazione, perdita o rimozione in conformità con i termini del presente contratto, e Apple non sarà responsabile qualora tale danno, alterazione, perdita o rimozione dovesse verificarsi. È Vostra responsabilità conservare opportuni backup alternativi delle Vostre informazioni e dei Vostri dati ”.
Inoltre, viene precisato che " Se un dispositivo non ha fatto il backup su iCloud per un periodo di centottanta (180) giorni, Apple si riserva il diritto di cancellare i backup associati a quel dispositivo ".
In tal modo Apple ha escluso qualsiasi responsabilità per il cattivo o mancato funzionamento del servizio, nonché per i danni causati al dispositivo e ai dati caricati, ponendo a carico del consumatore il rischio della dispersione e del danneggiamento dei dati.
La clausola consente, altresì, che vengano cancellati i dati dell'utente, anche a fronte della mera assenza di "backup" del dispositivo per il breve periodo di centottanta giorni, limitando così una delle funzionalità principali dei servizi cloud, ovvero la conservazione dei dati dei dispositivi inutilizzati.
Come rilevato dall’Autorità, pertanto, la clausola rientra pienamente nel disposto dell’art. 33, comma 2, lett. b) del Codice del consumo, sopra citato.
Secondo la ricorrente, la clausola non potrebbe ritenersi vessatoria in quanto il contratto contiene, altresì, una formula di salvaguardia secondo la quale: « Alcune giurisdizioni non ammettono l’esclusione o la limitazione della responsabilità dei fornitori di servizi. Nella misura in cui dette esclusioni o limitazioni sono specificatamente vietate dalla legge applicabile, alcune di quelle stabilite di seguito potrebbero non riguardare l’utente »;tale formula, rinviando alle limitazioni previste dalla legge applicabile al contratto, sterilizzerebbe la limitazione di responsabilità ove la stessa fosse vietata, svuotando di contenuto la clausola in tali ipotesi.
Tuttavia, come evidenziato nel provvedimento la clausola non individua chiaramente la legge applicabile e i paesi nei quali la limitazione di responsabilità non avrebbe effetto, rendendo quasi impossibile per il consumatore comprendere agevolmente l’esperibilità o meno delle azioni contro l’inadempimento del professionista.
Non può, quindi, ritenersi che il meccanismo di salvaguardia sia idoneo a far venir meno la limitazione di responsabilità e, nel contempo, la vessatorietà della condizione descritta.
Come rilevato dall’Autorità, infatti, “ il livello di incertezza riscontrato nelle clausole in esame in merito all'applicazione, limitazione o esclusione della garanzia del Professionista per il servizio di backup e per il servizio iCloud più in generale, impedisce al consumatore di conoscere con precisione i termini delle obbligazioni contrattuali delle parti e i relativi limiti di responsabilità della controparte, determinando, pertanto, un significativo squilibrio contrattuale a suo danno, a causa della discrezionalità nell'applicazione degli esoneri di responsabilità di cui disporrebbe la Società. Il consumatore, a fronte di un impegno definitivo che si sarebbe assunto, vedrebbe escluse o limitate le proprie azioni o i propri diritti in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto del servizio di backup e del servizio iCloud più in generale da parte del Professionista ”.
Correttamente, pertanto, l’Autorità ha ritenuto non accoglibile la giustificazione del professionista secondo cui il testo delle clausole in questione sarebbe stato redatto utilizzando termini omogenei e standardizzati applicabili in tutti i paesi del mondo, per cui, in caso di dolo, colpa grave o violazione del contratto, sarebbe pacifica per Apple l'impossibilità di sottrarsi alla sua responsabilità;il testo delle condizioni contrattuali sopra riportare, infatti, non fornisce assolutamente chiarezza in merito all’esclusione o meno della responsabilità.
Non solo, ma deve anche osservarsi che, facendo riferimento alla disciplina delle limitazioni convenzionali di responsabilità dell’ordinamento italiano, la nullità colpisce, ai sensi dell’art. 1229 c.c., l’esclusione o limitazione della responsabilità per dolo o colpa grave, mentre l’eventuale responsabilità per colpa lieve non ricade nel divieto posto dalla norma, ben potendo, così, rientrare nell’ambito applicativo dell’art. 33 del Codice del consumo e nella correlativa qualificazione di vessatorietà.
Quanto, poi, all’ipotizzata disparità di trattamento rispetto all’analogo caso della società Dropbox, dedotta con i motivi aggiunti, deve rilevarsi che le clausole predisposte da tale professionista divergono da quelle oggetto del provvedimento impugnato, in quanto dichiarano espressamente non applicabile per l’Italia la limitazione della responsabilità.
Anche sotto tale profilo, dunque, l’accertamento della vessatorietà operato dall’Autorità resistente si palesa immune da vizi.
La ricorrente ha lamentato, altresì, la violazione del diritto di difesa, in quanto l’Agcm non avrebbe «in concreto preso in considerazione le argomentazioni difensive sollevate con la memoria difensiva del 15 marzo 2021».
Anche tale doglianza è infondata.
Le difese di Apple, infatti, sono state trattate e confutate in un’apposita parte del provvedimento impugnato (parte III, §§ 18-32) e le argomentazioni addotte sono state confutate dall’iter logico giuridico seguito dall’Autorità nelle sue valutazioni conclusive, di modo che alcuna violazione delle prerogative difensive della parte può dirsi sussistente.
Infine, è infondata la censura di eccesso di potere, con la quale la ricorrente ha dedotto che l’Autorità si sarebbe ingerita nei rapporti contrattuali con gli utenti, imponendole obblighi ulteriori non previsti dalle condizioni di contratto.
L’Autorità, infatti, si è limitata a valutare ed accertare la vessatorietà delle clausole del contratto di servizio iCloud, senza imporre comportamenti, né prezzi, né modalità di fornitura del servizio.
Il ricorso deve quindi essere respinto.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.