TAR Napoli, sez. V, sentenza 2022-01-03, n. 202200044
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.
Segnala un errore nella sintesiSul provvedimento
Testo completo
Pubblicato il 03/01/2022
N. 00044/2022 REG.PROV.COLL.
N. 04747/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4747 del 2016, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato G D M, con domicilio eletto presso lo studio Giacomo De Vito in Napoli, via Manzoni 202/8;
contro
Ministero dell'Interno, Prefettura di Caserta, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliataria ex lege in Napoli, via Diaz, 11;
per l'annullamento,
previa sospensione,
del decreto del Prefetto della provincia di Caserta di divieto di detenzione armi n. 2772 del 30.6.2016.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di Prefettura di Caserta;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza di smaltimento del giorno 23 novembre 2021 celebrata da remoto in videoconferenza ex art. dall’art. 87, comma 4-bis c.p.a., aggiunto dall’art. 17, comma 7, lett. a), D.L. 9 giugno 2021, n.80, conv. in L. 6 agosto 2021, n.113 e del D.P.C.S. del 28 luglio 2021 la dott.ssa D C e trattenuta la causa in decisione sulla base dei soli scritti difensivi come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.Con l’atto introduttivo del presente ricorso, notificato in data 4/6 ottobre 2016 e depositato il successivo 7 novembre, il ricorrente in epigrafe indicato ha impugnato il decreto del Prefetto della provincia di Caserta di divieto di detenzione armi ex art. 39 del TULPS n. 2772 del 30.6.2016, fondato sul rilievo che lo stesso era stato deferito in data 19 giugno 2015 da parte della Polizia Municipale di Sesso Aurunca per i reati di cui agli artt. 336 e 337 c.p. , a seguito delle contestazione di una contravvenzione per violazione del codice della strada, condotte queste da ritenersi, ad avviso della Prefettura - in quanto rilevatrici di una chiara inosservanza alle comuni regole di convivenza sociale ed ai precetti giuridici - indici dell’inaffidabilità nell’uso delle armi.
2. A sostegno dell’impugnativa il ricorrente assume in punto di fatto che la contravvenzione de qua era stata elevata a seguito della sosta del veicolo oltre l’orario consentito determinata a suo avviso dalla circostanza che l’autovettura, parcheggiata dalla moglie, non era più ripartita, tanto che egli insieme al figlio si era recato presso il luogo di sosta onde farla ripartire con i cavetti.
Accortosi dell’elevazione della contravvenzione si era recato, poi, presso gli Uffici della Polizia Municipale di Sessa Aurunca ritenendo ingiusta la stessa e, in un momento di nervosismo, a seguito della noncuranza manifestata da uno degli Agenti rispetto alla sue rimostranze, aveva proferito l’affermazione: “ Questo verbale è un falso se non lo annullate vedete che succede ”;a seguito della richiesta degli agenti di generalizzarlo, peraltro, il ricorrente si era allontanato in preda al nervosismo, per cui gli agenti lo avevano seguito e raggiuntolo lo avevano invitato a seguirli in ufficio.
Pertanto, a suo avviso, del tutto inveritiera doveva ritenersi la ricostruzione fattuale contenuta nel decreto gravato, non essendo rinvenibile alcuna resistenza, attiva o passiva, nella sua condotta, come peraltro evincibile dall’informativa di servizio redatta dagli Agenti, laddove per contro nell’informativa di reato redatta dal superiore gerarchico si faceva riferimento a detta resistenza.
3. Ciò posto, il ricorrente, a sostegno dell’impugnativa, ha articolato, in un unico motivo di ricorso, le seguenti censure:
VIOLAZIONE DI LEGGE - DIFETTO DI MOTIVAZIONE — TRAVISAMENTO DEI FATTI- INSUSSISTENZA DEI PRESUPPOSTI PER L'EMISSIONE DEL PROVVEDIMENTO IMPUGNATO.
Nella prospettazione attorea il gravato decreto sarebbe affetto da deficit istruttorio e motivazionale rispetto ai presupposti idonei a giustificare, secondo la normativa in materia, il divieto ex art. 39 TULPS, atteso che il ricorrente, onesto lavoratore, sarebbe soggetto incensurato ed immune da carichi pendenti nonché da pendenze tributarie o amministrative di sorta, oltre ad essere detentore da oltre venti anni delle armi senza averne mai fatto abuso.
Da ciò il difetto di istruttoria e di motivazione, non potendo la condotta descritta nel gravato decreto, e peraltro contestata dal ricorrente e non ancora acclarata in sede penale, considerarsi da sé sola rilevatrice di una personalità incline all’abuso delle armi.
4. Si è costituita l’Amministrazione resistente, con deposito di relazione difensiva, instando per il rigetto del ricorso e dell’istanza cautelare.
5. L’istanza cautelare è stata rigettata con ordinanza 1908/2016 alla stregua dei seguenti rilievi: “ Ritenuto, ad un primo sommario esame, che il divieto opposto dalla Prefettura di Caserta non appare irragionevole rispetto alle risultanze istruttorie acquisite circa la condotta minacciosa tenuta dal ricorrente presso gli uffici della Polizia Municipale di Sessa Aurunca, dalla quale è scaturito il deferimento all’A.G. per i reati previsti dagli artt. 336 e 337 c.p. ... ”.
6. Il ricorrente ha prodotto documenti in data 22 novembre 2021, ovvero dispositivo della sentenza di assoluzione n. 5193 del 2019 emessa dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere relativo al procedimento penale avviato nei suoi confronti per gli accadimenti di cui è causa.
7. Il ricorso è stato trattenuto in decisione all’esito dell’udienza di smaltimento dell’arretrato del giorno 23 novembre 2021, così differita quella originariamente fissata per la data del 16 novembre 2021, celebrata da remoto in videoconferenza, ex art. 87, comma 4-bis c.p.a., aggiunto dall’art. 17, comma 7, lett. a), D.L. 9 giugno 2021, n.80, conv. in L. 6 agosto 2021, n.113 e del D.P.C.S. del 28 luglio 2021, sulla base dei soli scritti difensivi, come da verbale di udienza.
8. In via preliminare va osservato come non possa essere presa in considerazione la documentazione depositata da parte ricorrente solo in data 22 novembre 2021, in palese violazione del termine di quaranta giorni prima dell’udienza di discussione fissato dall’art. 73 comma 1 c.p.a..
8.1. Ed invero deve al riguardo applicarsi la costante giurisprudenza in materia seguita dalla Sezione, secondo la quale il termine fissato dal menzionato art. 73, comma 1, c.p.a. ha carattere perentorio in quanto espressione di un precetto di ordine pubblico sostanziale a tutela del principio del contraddittorio e dell'ordinato lavoro del giudice (cfr. Cons. Stato, sez. V, 9 gennaio 2019 n. 194;Idem, Sez. VI, 28 maggio 2019 n. 3511;TAR Lombardia - Milano, sez. II, 7 gennaio 2020, n. 37).
Ne consegue che il deposito tardivo di memorie e documenti ne comporta l'inutilizzabilità processuale, salvo i soli casi di dimostrata estrema difficoltà di produrre siffatti atti nei termini, ex art. 54 comma 1 c.p.a., circostanza che non ricorre nella fattispecie in esame e neppure è stata allegata dalla parte ricorrente.
Ciò senza mancare di evidenziare in ogni caso l’irrilevanza di tale documentazione, essendo la sentenza di assoluzione intervenuta in data posteriore all’adozione del gravato decreto ed avendo il Tribunale comunque accertato la sussistenza materiale del reato di cui all’art. 337 c.p. (resistenza a un pubblico ufficiale), salvo poi assolverlo per leggera tenuità del fatto, e che, in ogni caso, il ricorrente non ha prodotto la motivazione della sentenza de qua ma il solo dispositivo.
9. Ciò posto le censure articolate in ricorso, in quanto fondate sul difetto dei presupposti per l’adozione del provvedimento gravato, alla stregua della normativa in materia, e sul connesso difetto di istruttoria e di motivazione, possono essere esaminate congiuntamente.
10. Giova premettere che il T.U.L.P.S., nel disciplinare il rilascio della "licenza di porto d'armi", mira a salvaguardare la tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica.
Come ha rilevato la Corte Costituzionale (con la sentenza 16 dicembre 1993, n. 440, § 7, che ha condiviso quanto già affermato con la precedente sentenza n. 24 del 1981), il potere di rilasciare le licenze per porto d'armi "costituisce una deroga al divieto sancito dall'art. 699 del codice penale e dall'art. 4, primo comma, della legge n. 110 del 1975": "il porto d'armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, eccezione al normale divieto di portare le armi".
Regola generale è infatti quella del divieto di detenzione delle armi e l’autorizzazione di polizia è suscettibile di rimuoverla in via di eccezione, in presenza di specifiche ragioni e in assenza di rischi anche solo potenziali, che è compito dell'Autorità di pubblica sicurezza prevenire.
10.1 Ciò comporta che - oltre alle disposizioni specifiche previste dagli articoli 11, 39 e 43 del testo unico n. 773 del 1931 - rilevano i principi generali del diritto pubblico in ordine al rilascio dei provvedimenti discrezionali.
11. L'art. 11, r.d. 18 giugno 1931 n. 773, in materia di autorizzazioni di polizia, prescrive testualmente: «Salve le condizioni particolari stabilite dalla legge nei singoli casi, le autorizzazioni di polizia debbono essere negate:
1) a chi ha riportato una condanna a pena restrittiva della libertà personale superiore a tre anni per delitto non colposo e non ha ottenuto la riabilitazione;2) a chi è sottoposto all'ammonizione o a misura di sicurezza personale o è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza.
Le autorizzazioni di polizia possono essere negate a chi ha riportato condanna per delitti contro la personalità dello Stato o contro l'ordine pubblico, ovvero per delitti contro le persone commessi con violenza, o per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, o per violenza o resistenza all'autorità, e a chi non può provare la sua buona condotta. Le autorizzazioni devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego della autorizzazione».
11.1. A sua volta, l'art. 43, r.d. n. 773 del 1931, in materia di armi, così dispone nella formulazione vigente ratione temporis, anteriore alle modifiche apportate dal D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 104:
«Oltre a quanto è stabilito dall'art. 11 non può essere conceduta la licenza di portare armi:
a) a chi ha riportato condanna alla reclusione per delitti non colposi contro le persone commessi con violenza, ovvero per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione;
b) a chi ha riportato condanna a pena restrittiva della libertà personale per violenza o resistenza all'autorità o per delitti contro la personalità dello Stato o contro l'ordine pubblico;
c) a chi ha riportato condanna per diserzione in tempo di guerra, anche se amnistiato, o per porto abusivo di armi.
La licenza può essere ricusata ai condannati per delitto diverso da quelli sopra menzionati e a chi non può provare la sua buona condotta o non dà affidamento di non abusare delle armi».
Secondo la giurisprudenza in materia, avuto riguardo al carattere discrezionale dell’attività valutativa dell’Amministrazione nelle ipotesi di cui all’art. 43 comma 2 T.U.L.P.S. (diversamente dal carattere vincolato previsto per le ipotesi di cui al comma 1) , qualunque precedente penale può adeguatamente costituire il presupposto di una valutazione negativa sull'affidabilità del privato circa il corretto uso delle armi, e neppure è necessario che tale presupposto sia rappresentato da precedenti penali (cfr. Cons. St., sez. VI, 5 dicembre 2007 n. 6181, secondo cui il rilascio della licenza a portare le armi non costituisce una mera autorizzazione di polizia, che rimuove il limite ad una situazione giuridica soggettiva già inclusa nella sfera giuridica del privato, bensì assume contenuto permissivo in deroga al generale divieto di portare e detenere armi sancito dall'art. 699 c.p., e ribadito dall'art. 4, comma 1, l. n. 110 del 1975, recante norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi;ne consegue che il potere di controllo esercitato al riguardo dall'autorità di pubblica sicurezza si collega all'esercizio di compiti di prevenzione delle condizioni di sicurezza e di ordine pubblico, ben potendo quindi essere esercitato in senso negativo sull'istanza dell'interessato, in presenza di una condotta che, pur non concretandosi in specifici illeciti di rilevanza penale, possa tuttavia incidere, anche su un piano solo sintomatico, sul grado di affidabilità di chi aspira al suo rilascio).
Pertanto l'autorizzazione al possesso e al porto delle armi non integra un diritto all’arma, ma costituisce il frutto di una valutazione discrezionale, nella quale confluiscono sia la mancanza di requisiti negativi, sia la sussistenza di specifiche ragioni positive.
11.2. Inoltre ai sensi dell’art. 39 del T.U.L.P.S., disposto che viene in rilievo ai fini che qui interessano, “Il prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell'articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne”.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato è costante nel ritenere che l’inaffidabilità all’uso delle armi è idonea a giustificare il ritiro della licenza, senza che occorra dimostrarne l’avvenuto abuso: l’art. 39 del R.D. 18 giugno 1031, n. 773, nel prevedere che “il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell’articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne”, conferma che è sufficiente l’esistenza di elementi che fondino solo una ragionevole previsione di un uso inappropriato (Consiglio di Stato, sez. III, 18/04/2017, n. 1814).
12. La revoca o il diniego dell’autorizzazione o il divieto ex art. 39 TULPS possono cioè essere adottate sulla base di un giudizio ampiamente discrezionale circa la prevedibilità dell’abuso dell’autorizzazione stessa, per cui rilevano anche fatti isolati, ma significativi.
Conseguentemente la valutazione dell'Autorità di pubblica sicurezza, caratterizzata - come detto - da ampia discrezionalità, persegue lo scopo di prevenire, per quanto possibile, l'abuso di armi da parte di soggetti non pienamente affidabili, tanto che il giudizio di non affidabilità è giustificabile anche in situazioni che non hanno dato luogo a condanne penali o misure di pubblica sicurezza, ma a situazioni genericamente non ascrivibili a buona condotta (Consiglio di Stato, sez. III, 10/08/2016, n. 3590).
12.1. Pertanto, ai fini della revoca dell'autorizzazione e del divieto di detenzione di armi e munizioni, non è necessario un obiettivo ed accertato abuso delle armi, essendo sufficiente la sussistenza di circostanze che dimostrino come il soggetto non sia del tutto affidabile al loro uso e, stante l’ampia discrezionalità dei provvedimenti inibitori in questione, non si richiede una particolare motivazione, se non negli ovvi limiti della sussistenza dei presupposti idonei a far ritenere che le valutazioni effettuate non siano irrazionali o arbitrarie ( artt. 11, 39 e 43 R.D. n. 773/1931, TULPS). In tal senso è sufficiente l’esistenza di elementi che fondino solo una ragionevole previsione di un uso inappropriato ai sensi degli artt. 11, 39 e 43, T.U.L.P.S. , non essendo il compito dell'Autorità di P.S., da esercitare con ampia discrezionalità, sanzionatorio o punitivo, ma di natura cautelare consistente nel prevenire abusi nell'uso delle armi a tutela della privata e pubblica incolumità (ex multis, T.A.R. Piemonte, sez. I, n. 1022/2016;T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 2 settembre 2016 n. 4154;T.A.R. Lazio, prima ter, 10/07/2017 n. 08148).
13. Ciò posto, possono essere facilmente disattese le censure articolate da parte del ricorrente in quanto il decreto prefettizio oggetto di impugnativa è, come evincibile claris verbis dalla sua motivazione, adeguatamente motivato con riferimento alle condotte contestate al ricorrente, ed in qualche modo ammesse dallo stesso, sebbene con contestazione del ricorso alla violenza o ad una resistenza attiva o passiva e non ancora delibate in sede penale
13.1 A ciò consegue la correttezza dell’esercizio della potestà discrezionale da parte dell’Amministrazione resistente, avuto riguardo all’accertamento della materialità delle condotte compiuto nell’imminenza dei fatti, sebbene non ancora definito in sede penale;ciò senza mancare di evidenziare che il reato contestato al ricorrente, di cui all’art. 337 c.p., in ipotesi di condanna a pena detentiva, avrebbe rilevato quale ostativo ex lege al rilascio della licenza di porto d’armi ex art. 43 comma 1 lett. b) TULPS; il che depone per una valutazione ex lege in ordine alla rilevanza di alcune condotte, anche se non espressamente riferite all’uso delle armi, in quanto rilevatrici di una personalità incline all’uso della violenza e comunque trasgressiva dei fondamentali precetti giuridici posti alla base dell’ordinato vivere civile e della sicurezza pubblica.
13.2 Alla stregua di tali rilievi si deve ritenere che l’esito del giudizio prognostico svolto dalla resistente amministrazione in relazione all'inaffidabilità del ricorrente, nei cui confronti si è adottato il provvedimento impugnato, non possa essere idoneamente scalfito dalle censure articolate in ricorso, avendo l’Amministrazione agito nei limiti della funzione cautelare e preventiva che è sottesa all’adozione del divieto ex art. 39 T.U.L.P.S.;ciò in quanto, come già rappresentato, l’uso delle armi deve ritenersi consentito solo a favore delle persone che offrano la completa sicurezza circa il buon uso di esse ( C.d.S., sez. VI, sentenza 5 aprile 2007 n. 1528), di guisa che la mera possibilità che le armi detenute possano essere utilizzate in maniera impropria ben giustifica un provvedimento interdittivo.
14. Le questioni esaminate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati presi in considerazione tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: fra le tante, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ. sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ, sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663).
15. Sussistono nondimeno eccezionali e gravi ragioni, avuto riguardo alla risalenza della causa e alla circostanza che l’Avvocatura erariale si è limitata a produrre relazione difensiva proveniente dall’Amministrazione, per compensare integralmente le spese di lite fra le parti, ferma rimanendo la debenza ex lege del contributo unificato a carico di parte ricorrente in forza del principio della soccombenza.