TAR Roma, sez. I, sentenza 2010-07-21, n. 201027500

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. I, sentenza 2010-07-21, n. 201027500
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201027500
Data del deposito : 21 luglio 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 09063/2009 REG.RIC.

N. 27500/2010 REG.SEN.

N. 09063/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9063 del 2009, proposto da:
G D L F, rappresentato e difeso in proprio nonché dagli avv.ti C M e A L, con domicilio eletto presso lo studio legale Rinaldi e Associati in Roma, l.go di Torre Argentina, n.11;

contro

Ministero della giustizia, Commissione di esame del concorso a 230 posti di notaio, indetto con d.d.g. 10 luglio 2006 (G.U. n. 54 del 18 luglio 2006), rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede domicilia in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti di

Chiara Forino, non costituita in giudizio;

per l'annullamento

previa sospensione dell'efficacia:

- del verbale n. 22 del 4 dicembre 2007 della commissione esaminatrice riportante il procedimento di correzione delle prove scritte svolte dal ricorrente e il relativo giudizio di inidoneità;

- del connesso provvedimento di non ammissione alle prove orali;

- del verbale n. 7 dell’8 novembre 2007, nel quale sono stati stabiliti i criteri di valutazione degli elaborati e le modalità di verbalizzazione delle relative operazioni;

- ove occorra, di tutti i verbali relativi alle prove scritte, dei provvedimenti ignoti che hanno formato la commissione esaminatrice e le sottocommissioni, del bando di concorso, delle graduatorie provvisorie e definitive e di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale.


Visto il ricorso;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’intimata amministrazione;

Viste le memorie difensive;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore, alla pubblica udienza del 28 aprile 2010, il cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti i difensori come da verbale di udienza;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO

L’istante espone di aver partecipato al concorso a 230 posti di notaio, indetto dal Ministero della giustizia con d.d.g. 10 luglio 2006 (G.U. n. 54 del 18 luglio 2006), di aver sostenuto le tre prove scritte (atto mortis causa , atto societario, atto inter vivos ), e di aver appreso, all’esito della pubblicazione dei relativi risultati, di non essere stato ritenuto idoneo, e, conseguentemente, di non essere stato ammesso a sostenere la prova orale, con riferimento al terzo elaborato, atto inter vivos .

Con ricorso notificato in data 21 ottobre 2009 e depositato il successivo 13 novembre, il medesimo ha indi impugnato innanzi a questo Tribunale, asserendone l’illegittimità e chiedendone l’annullamento, previa istruttoria, il predetto giudizio di inidoneità, nonchè gli altri atti indicati in epigrafe, tra cui il verbale n. 7 dell’8 novembre 2007, nel quale sono stati stabiliti i criteri di valutazione delle prove scritte.

Questi i dedotti argomenti di doglianza:

1) violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 11 del d. lgs. 166/06, dei criteri di valutazione stabiliti con il verbale n. 7 dell’8 novembre 2007, dell’art. 3 e ss. della l. 241/90, dell’art. 97 Cost.;
eccesso di potere per difetto di istruttoria, ingiustizia manifesta, sviamento, disparità di trattamento, violazione della par condicio .

Il ricorrente sostiene che l’avversato giudizio è frutto di una errata e illegittima applicazione dei criteri stabiliti dalla commissione e della violazione del principio della par condicio . In particolare, si afferma – sulla base delle notorie affermazioni proposte pubblicamente in varie sedi, ed anche in via giudiziale, da uno dei componenti della commissione, il commissario S – che i lavori della commissione sono stati caratterizzati da rilevanti conflitti interni, attinenti all’interpretazione e all’applicazione dei criteri di valutazione predeterminati. La commissione si sarebbe poi composta, pervenendo a nuovi parametri di giudizio che hanno comportato una valutazione favorevole di soluzioni che in precedenza erano state valutate negativamente. Quanto sopra, che emerge anche dalla improvvisa accelerazione riscontrabile nei tempi di correzione delle prove siccome risultanti dai verbali, è avvenuto dopo la valutazione degli elaborati del ricorrente (busta n. 36), effettuata nella primissima fase. Purtuttavia, la commissione non ha assolto l’imprescindibile obbligo di garantire l’omogeneità delle valutazioni e la par condicio dei concorrenti, mediante la rivalutazione degli elaborati già negativamente esaminati, al fine di applicarvi l’intervenuto adeguamento in bonam partem .

2) violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 11 del d. lgs. 166/06, dei criteri di valutazione predeterminati, dell’art. 21 quinquies , octies e nonies della l. 241/90, eccesso di potere per difetto di istruttoria, disparità di trattamento, sviamento.

Il ricorrente denunzia che nonostante l’attività di correzione sia stata contraddistinta dai contrasti di cui sopra, il presidente della commissione ha omesso di attivare il procedimento di cui all’art. 10 del d. lgs. 166/06, sede istituzionale di composizione della diatriba. Si osserva, inoltre, che la commissione, applicando l’indirizzo meno fiscale di cui sopra solo in divenire, ovvero non esercitando il proprio potere di autotutela con la rettifica del precedente operato, ha generato una palese disparità di trattamento tra i concorrenti, con posizione deteriore di quelli precedentemente valutati;

3) violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 11 del d. lgs. 166/06, dei criteri di valutazione predeterminati, degli artt. 3 e 21 quinquies e octies della l. 241/90;
eccesso di potere per contraddittorietà, disparità di trattamento, illogicità manifesta, arbitrarietà, sviamento.

Opina il ricorrente che i rilievi della commissione sul proprio elaborato valutato non idoneo non sono oggettivamente riconducibili alle categorie delle nullità e gravi insufficienze di cui ai criteri predeterminati ai fini e per gli effetti del comma 7 dell’art. 11 del d. lgs. 166/06. In particolare, gli errori e le omissioni rilevati in relazione alla terza prova risultano insussistenti, nonché contraddittori con i giudizi positivi espressi sui primi due elaborati;

4) violazione dell’art. 11 del d. lgs. 166/06, dell’art. 51 della l. 12/1913, del d.p.r. 487/94;
eccesso di potere per difetto di istruttoria, erroneità manifesta, sviamento.

Con la censura si denunzia che dal verbale di correzione risulta solo l’indicazione della motivazione, che non è satisfattiva in relazione alla comprensione del parametro di valutazione adoperato e della conformità dello stesso con quello utilizzato per gli altri concorrenti. La formalità dell’indicazione della complessiva votazione numerica attribuita risulta ancor più cogente considerati i giudizi espressi sulle prime due prove. Inoltre, il verbale recante il giudizio di inidoneità del ricorrente non è riconducibile alla commissione, essendo state sottoscritte le singole pagine di cui si compone solo da quattro componenti (su sei). Le stesse sottoscrizioni non hanno, infine, valore legale, costituendo mere sigle che non consentono di verificarne la paternità;

5) violazione dell’art. 12 del d.p.r. 487/94;
eccesso di potere.

Il ricorrente espone che la commissione ha violato l’obbligo di predeterminare i criteri di valutazione alla prima riunione: essi sono stati formalizzati solo in occasione della settima seduta, ovvero dopo l’esperimento del quiz preselettivi e dopo lo svolgimento della prova scritta;

6) violazione degli artt. 5, 8, 10 e 11 del d. lgs. 166/06;
eccesso di potere per sviamento.

Il ricorrente denunzia che dopo la revoca del commissario S disposta dal presidente della commissione, revoca affetta da nullità per incompetenza, la medesima ha operato in assenza di legittimazione per il venir meno della sua composizione legale: ne deriva l’illegittimità di tutte le operazioni ricorsuali, con necessità di rivalutazione delle stesse.

L'amministrazione intimata, costituitasi in giudizio, ha sostenuto l'infondatezza delle esposte censure, domandando il rigetto del ricorso.

L’esame della domanda di sospensione interinale dell'esecuzione dell'atto impugnato, interposta dalla parte ricorrente in via incidentale, è stata rinviata al merito.

Il ricorrente ha affidato lo sviluppo delle proprie argomentazioni difensive a memoria, con la quale si chiede, pel caso di ritenuta insufficienza delle censure a condurre senz’altro all’annullamento degli atti impugnati, di disporre c.t.u. in relazione alla valutazione della prova ritenuta non idonea dalla commissione.

Il gravame è stato, indi, trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 28 aprile 2010.

DIRITTO

1. In via preliminare, osserva il Collegio che gli atti di causa fanno emergere che la controversia è matura per la decisione.

Non sussistono, pertanto, le condizioni per disporre l’acquisizione degli elementi documentali e la c.t.u. richiesti dalla parte ricorrente.

2. Ad integrazione di quanto esposto in narrativa, giova innanzi tutto precisare che la commissione dopo la lettura del primo elaborato prodotto dal ricorrente, passava alla lettura del secondo elaborato e, successivamente, alla lettura del terzo. All’esito, il giudizio di non idoneità del medesimo ai fini dell’ammissione alle prove orali del concorso notarile è stato affidato alle seguenti motivazioni:

“Atto di ultima volontà: nella parte pratica manca l’orario di sottoscrizione anche se nella parte teorica il candidato dimostra di sapere che detto orario deve essere apposto;
viene indicato più volte impropriamente che “il legato è a carico dell’eredità”. Nella parte teorica non viene sufficientemente esaminata la problematica connessa al legato di usufrutto con facoltà di vendere la proprietà;
si rileva contraddizione tra parte pratica e teorica nel legato dei diritti legati alla qualità di socio accomandatario in quanto da un lato si prevede che in caso di verificarsi della condizione risolutiva il legatario perde l’intero legato e dall’altra si indica che lo stesso percepisce la quota di liquidazione;
risulta insufficiente e contraddittoria la trattazione teorica della trascrizione del vincolo di destinazione;
non viene affrontato il problema della distinzione tra legato di alimenti e legato di mantenimento.

Atto societario: il candidato parla impropriamente di assemblea generale;
la delibera dell’aumento di capitale viene votata favorevolmente anche dalla società BETA senza che venga minimamente affrontato, neanche in parte teorica, il problema del collegamento tra le due delibere che potrebbe comportare l’impossibilità da parte della stessa società BETA di esercitare il recesso;
si afferma impropriamente che le azioni correlate sono un mezzo per reperire capitale di rischio;
appare assolutamente insufficiente la trattazione del recesso e della liquidazione della quota. Il candidato non ha trattato in parte teorica l’aumento del capitale ma si è limitato a parlare del conferimento in natura e delle problematiche connesse anche alla costituzione della società, argomento non richiesto dalla natura dell’atto.

Atto inter vivos : nella parte pratica viene indicato il debito vantato da S, anziché il credito e le parti “iscrivono” ipoteca laddove, viceversa, tale operazione spetta al conservatore. Nella parte teorica viene parafrasato il codice per cui detta parte risulta assolutamente insufficiente.”

3. Con le due prime censure il ricorrente sostiene che l’avversato giudizio è frutto di una errata e illegittima applicazione dei criteri stabiliti dalla commissione e della violazione del principio della par condicio . In particolare, si afferma – sulla base delle notorie affermazioni proposte in varie sedi, ed anche in via giudiziale, da uno dei componenti della commissione, il commissario S – che i lavori della commissione sono stati caratterizzati da rilevanti conflitti interni, attinenti all’interpretazione e all’applicazione dei criteri di valutazione predeterminati. La commissione si sarebbe poi composta, pervenendo a nuovi parametri di giudizio che hanno comportato una valutazione favorevole di soluzioni che in precedenza erano state valutate negativamente. E tale ricomposizione, che emergerebbe, a suo dire, anche dalla improvvisa accelerazione riscontrabile nei tempi di correzione delle prove siccome risultanti dai verbali, prosegue il ricorrente, è avvenuta dopo la valutazione dei propri elaborati (busta n. 36), effettuata nella primissima fase. Purtuttavia, la commissione non ha assolto l’imprescindibile obbligo di garantire l’omogeneità delle valutazioni e la par condicio dei concorrenti, mediante la rivalutazione degli elaborati già negativamente esaminati, al fine di applicarvi l’intervenuto adeguamento in bonam partem .

Il ricorrente denunzia ancora che nonostante l’attività di correzione sia stata contraddistinta dai contrasti di cui sopra, il presidente della commissione ha omesso di attivare il procedimento di cui all’art. 10 del d. lgs. 166/06, sede istituzionale di composizione della diatriba. Osserva, inoltre, che la commissione, applicando l’indirizzo meno fiscale di cui sopra solo in divenire, ovvero non esercitando il proprio potere di autotutela con la rettifica del precedente operato, ha generato una palese disparità di trattamento tra i concorrenti, con posizione deteriore di quelli precedentemente valutati.

4. Le descritte doglianze non possono condurre all’annullamento dell’avversato giudizio di inidoneità.

4.1. Questo il pertinente quadro normativo di riferimento e i criteri stabiliti dalla commissione esaminatrice ai fini della valutazione delle prove scritte.

Stabilisce l’art. 10, comma 2, del d.lgs. 24 aprile 2006, n. 166 che la commissione, prima di iniziare la correzione, definisce i criteri che regolano la valutazione degli elaborati e l'ordine di correzione delle prove stesse.

Il successivo comma 6 affida al presidente del predetto organismo il compito di assicurare, all'interno delle sottocommissioni che procedono alla correzione, una periodica variazione dei componenti, compatibilmente con le esigenze organizzative;
ed attribuisce al medesimo presidente, allo scopo di garantire omogeneità di valutazioni, la facoltà di convocare riunioni plenarie o sedute allargate della commissione in modo che possano assistere alla correzione anche altri commissari che, nell'occasione, non hanno diritto di voto e di intervento (comma 7).

Quanto alle modalità di correzione degli elaborati, l’art. 11 prevede (comma 1) che ciascuna sottocommissione proceda, collegialmente e nella medesima seduta, alla lettura dei temi di ciascun candidato, al fine di esprimere un giudizio complessivo di idoneità per l'ammissione alla prova orale.

Prosegue il comma 2 indicando che “ salvo il caso di cui al comma 7, ultimata la lettura dei tre elaborati, la sottocommissione delibera a maggioranza se il candidato merita l'idoneità ”.

La previsione normativa da ultimo indicata stabilisce, poi, che “ nel caso in cui dalla lettura del primo o del secondo elaborato emergono nullità o gravi insufficienze, secondo i criteri definiti dalla commissione, ai sensi dell'articolo 10, comma 2, la sottocommissione dichiara non idoneo il candidato senza procedere alla lettura degli elaborati successivi ”.

Dal predetto contesto emerge, dunque, che l’espressione del conclusivo giudizio di idoneità avviene in esito all’apprezzamento di tutti e tre gli elaborati, salvo il caso, di cui al comma 7 dell’art. 11, in cui vengano in evidenza nullità o gravi insufficienze già dalla lettura della prima, ovvero della seconda prova, che, in quanto tali, sono suscettibili di condurre alla pretermissione della valutazione degli altri elaborati e di condurre, conseguentemente, all’espressione di un giudizio di non idoneità. In altre parole, l’obbligo di valutazione di tutti e tre gli elaborati viene meno laddove le lacune riscontrate nel primo o nel secondo rivelino carattere di accentuata gravità, sì da condurre senz’altro – e, quindi, senza l’obbligo di procedere alla lettura delle rimanenti prove – all’immediata esclusione dalla procedura.

4.2. Come sopra rilevato, il comma 2 dell’art. 11 del d. lgs. 166/2006 impone alla commissione la predeterminazione dei criteri di valutazione.

Tale adempimento non può che risultare rilevante anche in relazione alla previsione del già illustrato comma 7.

Invero, non par dubbio che la generale fissazione dei criteri che regolano la valutazione degli elaborati postula che vengano adeguatamente precisate le tipologie di errori suscettibili di essere ricondotte alla possibilità di escludere senz’altro un candidato dalla partecipazione alle prove orali, nel caso in cui dal primo o dal secondo elaborato emergano “nullità” o “gravi insufficienze”.

In altri termini, all’onere della declaratoria generale dei criteri di valutazione accede l’ulteriore onere della specificazione contenutistica delle fattispecie della “nullità” e della “grave insufficienza”, ovvero di quegli elementi che, in ragione della insuperabile, ovvero accentuatamente grave, presenza di inesattezze, consentano di procedere senz’altro alla esclusione del candidato dalla procedura selettiva.

Il verbale n. 7 dell’8 novembre 2007 assolve al predetto onere.

In forza di quanto ivi previsto, è stato stabilito che, ai sensi del comma 7 dell’art. 11 del d. lgs. 166/2006, non si procede alla lettura del secondo o del terzo elaborato, dichiarando non idoneo il candidato:

“a) in caso di nullità, comprese quelle formali, a meno che dal complessivo esame dell’intero elaborato si evinca inequivocabilmente che tali nullità derivino da meri errori materiali;

b) nel caso in cui l’elaborato presenti una delle seguenti “gravi insufficienze” e precisamente:

- travisamento della traccia o contraddittorietà tra le soluzioni adottate o tra le soluzioni medesime e le relative motivazioni;

- gravi errori di diritto nella scelta delle soluzioni e/o nell’illustrazione delle parti teoriche;

- totale mancanza delle ragioni giustificative della soluzione adottata e/o delle argomentazioni giuridiche a supporto dei ragionamenti svolti nell’elaborato;

- gravi carenze della parte teorica anche per omessa trattazione di punti significativi della stessa;

- evidente inidoneità nell’analisi e nella risoluzione dei problemi e/o dei temi posti nella traccia;

- gravi errori di grammatica e/o di sintassi”.

E’ stato, poi, soggiunto che:

“Analogamente il candidato sarà dichiarato non idoneo allorquando le mancanze indicate ai punti a) e b) che precedono dovessero risultare dalla lettura del terzo elaborato”.

Nel medesimo verbale, la commissione ha, altresì, individuato, ai sensi del comma 2 dell’art. 10 del d. lgs. 166/2006, i criteri “generali” di correzione cui attenersi nella valutazione degli elaborati.

Al riguardo, veniva stabilito che la valutazione delle soluzioni adottate dai candidati, “per ogni questione prospettata nelle singole prove”, sarebbe intervenuta considerando prioritariamente:

“- la rispondenza al contenuto della traccia;

- l’aderenza ai principi e alle norme dell’ordinamento giuridico vigente nonché alle tecniche redazionali”.

Dal contenuto del verbale emerge quindi che se le nullità o le gravi insufficienze siano emerse dalla lettura del primo o del secondo elaborato, la commissione ha escluso, sulla base della presupposta previsione di legge, di passare all’esame – rispettivamente – della seconda o terza prova sostenuta dal candidato. Se le stesse tipologie inficianti siano, invece, venute a configurarsi nel terzo elaborato, la commissione ha ritenuto di procedere “analogamente” a declaratoria di non idoneità.

I criteri “generali” di correzione trovano, pertanto, operatività solo laddove tutti e tre gli elaborati non presentino le illustrate “nullità” o “gravi insufficienze”: solo allora viene in considerazione la rispondenza contenutistica alla traccia fornita, nonché la “aderenza ai principi e alle norme dell’ordinamento giuridico vigente nonché alle tecniche redazionali”.

4.3. Ciò posto, osserva il Collegio che deve escludersi che il modus procedendi seguito nella fattispecie dalla commissione presenti elementi di censurabilità sotto il profilo della legittimità.

La novità introdotta dal d.lgs. 166/2006 è rappresentata dalla possibilità di pervenire ad un giudizio di non idoneità anche in difetto della disamina di tutti e tre gli elaborati formati a fronte delle previste prove scritte, laddove emergano fattispecie di “nullità” o di “grave insufficienza”.

Tali ipotesi meritavano espressa e separata contemplazione ad opera della commissione in sede di enucleazione dei criteri di valutazione, come di fatto avvenuto nella seduta dell’8 novembre 2007.

Corrispondentemente, i criteri generali di valutazione degli elaborati non recanti nullità o gravi insufficienze hanno formato oggetto di distinta individuazione.

Sul punto, la Sezione deve rammentare che, con una nutrita serie di decisioni relative a ricorsi proposti avverso gli esiti delle prove scritte riguardanti la precedente tornata concorsuale (concorso a 200 posti di notaio indetto con decreto dirigenziale 1° settembre 2004), è stato ribadito il costante insegnamento giurisprudenziale in forza del quale i criteri di valutazione delle prove scritte (relativamente a concorsi che, come quello notarile, richiedono un’elevata specializzazione) non necessitano di particolare analiticità, apprezzando la funzionalità “alla finalità per la quale la Commissione li ha previsti” dei seguenti criteri:

- travisamento della traccia o contraddittorietà tra le soluzioni adottate, o tra le soluzioni medesime e le relative motivazioni;

- gravi errori di diritto nella scelta delle soluzioni e/o nell’illustrazione delle parti teoriche;

- gravi carenze nella parte teorica, anche per omessa trattazione di punti significativi della stessa;

- vizi formali sanzionati con nullità da leggi;

- gravi e reiterati errori di grammatica e sintassi.

Ciò posto, nella tornata concorsuale in esame, si rilevano elementi di apprezzabile e convincente continuità (e contiguità) logica fra la declaratoria ora illustrata ed i criteri enucleati dalla commissione: ne consegue che non può non darsi atto della condivisibile – e particolare – attenzione riservata dalla commissione alle fattispecie di “più gravi” carenze suscettibili di escludere la lettura di tutti gli elaborati. E ciò in quanto l’immediata estromissione dalla procedura concorsuale ex novo introdotta dal comma 7 dell’art. 11 ben meritava una congrua enucleazione delle presupposte ragioni giustificative.

Anche la “griglia” di valutazione “generale” , ovvero i criteri destinati ad operare in riferimento agli elaborati risultati non affetti dalle gravi mende sopra illustrate, si dimostra correttamente enucleata attraverso la verificabilità:

- della rispondenza dell’elaborato alla traccia fornita;

- dell’aderenza delle soluzioni prospettate ai principi e alle norme dell’ordinamento giuridico;

- del rispetto delle tecniche redazionali che assistono la formazione degli atti notarili.

Del resto, per più che consolidata giurisprudenza, tale attività è frutto dell'ampia discrezionalità amministrativa di cui è fornita la commissione per lo svolgimento della propria funzione: le relative scelte, impingendo nel merito dell'azione amministrativa, sono, indi, assoggettabili al sindacato di legittimità del giudice amministrativo solo laddove risultino ictu oculi inficiate da irragionevolezza, irrazionalità, arbitrarietà o travisamento dei fatti (tra tante, C. Stato, IV, 27 novembre 2008, n. 5862;
8 giugno 2007, n. 3012;
11 aprile 2007, n. 1643;
22 marzo 2007, n. 1390;
17 settembre 2004, n. 6155;
17 maggio 2004, n. 2881;
10 dicembre 2003, n. 8105;
2 marzo 2001 n. 1157).

Tale ipotesi non risulta ricorrente nel caso di specie.

Di contro, va, invece, favorevolmente apprezzato che la commissione del concorso in parola:

- ha operato una distinzione, in osservanza del disposto normativo, fra mende suscettibili di determinare un immediato giudizio di non idoneità ed imperfezioni valorizzabili solo in esito all’esame di tutti e tre gli elaborati;

- ha categorizzato, sotto il profilo contenutistico, le tipologie inficianti nel quadro delle categorie fissate dal comma 7;

- ha individuato le condizioni generali che, fuori dalla presenza di insanabili imperfezioni di valutazione delle prove scritte, consentono di pervenire ad un giudizio di non idoneità a fronte di una complessiva disamina degli elaborati, ovvero, nella diversa ipotesi, ad un positivo apprezzamento delle prove e di condurre alla graduazione del relativo punteggio.

Infine, deve ancora rilevarsi che, contrariamente a quanto il ricorrente sembra adombrare, la norma di cui al sopra illustrato art. 10, comma 7, del d.lgs. n. 166 del 2006 facoltizza, e non impone, al presidente della commissione di convocare riunioni plenarie o sedute allargate.

4.4. Va tuttavia rilevato che la vicenda concorsuale in esame, secondo quanto pubblicamente fatto constare da un componente della commissione esaminatrice (con ampio risalto, anche mediatico, delle relative considerazioni), la commissione stessa, fermi i descritti criteri, avrebbe, nel corso delle operazioni di valutazione degli elaborati, provveduto ad un progressivo “aggiustamento” e “affinamento” del metro di giudizio preordinato alla verifica della correttezza delle soluzioni prospettate dai candidati a fronte delle tracce ai medesimi fornite.

Si sarebbe, pertanto, pervenuti alla formulazione di giudizi che, a fronte dell’identità delle soluzioni proposte, in taluni casi si sono orientati nel senso di ritenere che esse integrassero la presenza di “gravi insufficienze”, sì da consentire l’immediata espressione di un giudizio di “non idoneità” ai sensi del comma 7 dell’art. 11 del d. lgs. 166/2006, mentre in altre ipotesi (relative a compiti solo successivamente corretti, e, quindi, in esito ad una rimeditazione in ordine alla correttezza delle soluzioni fornite), l’opinione rassegnata dalla commissione ha (diversamente) ritenuto non gravi le mende riscontrate, ovvero addirittura corretto il percorso logico-giuridico seguito dal candidato.

In particolare, il progressivo mutamento degli orientamenti valutativi della Commissione avrebbe riguardato:

- il legato di usufrutto con facoltà di vendita (nel caso di opzione per il legato di somma di denaro riveniente da vendita di immobili, si è in un primo momento considerata errata la formula che invece è presente in più manuali di diritto delle successioni, dove si dà per implicita la partecipazione dell’usufruttuario alla procedura di vendita);

- il termine per la sottoscrizione dell’aumento di capitale in una società (è stata considerata gravemente errata, sì da determinare l’esclusione del candidato, la mancata apposizione del termine, mentre, a seguito di approfondimenti, pur permanendo il convincimento che si tratti di un’imperfezione, è stato tuttavia escluso che essa potesse integrare una “grave insufficienza”);

- il legato di contratto (è stato in molti casi ritenuto errore grave l’utilizzo del legato di contratto per il mantenimento previsto dalla traccia di diritto successorio, laddove successivi approfondimenti hanno condotto ad escludere che si potesse trattare di errore);

- la necessità del consenso alla cancellazione di ipoteca, nel caso di rinuncia all’ipoteca stessa (da ricerche condotte, è emerso che non solo la rinuncia all’ipoteca assorbe il problema, ma costituisce, anzi, la modalità più corretta a garanzia del venditore, tenendo anche presenti recenti pronunce in tema di buon fine degli assegni circolari).

Il modificato orientamento della commissione relativamente alle tematiche sopra individuate non è confutabile in punto di fatto.

La stessa difesa erariale, nelle memorie depositate, non ha contestato tale circostanza, limitandosi ad affermare che essa non ha dispiegato rilevanza in ordine alla correttezza delle operazioni di valutazione poste in essere dalla commissione, e, quindi, circa l’espressione dei giudizi di “non idoneità” resi dalla medesima ai sensi del ripetuto comma 7 dell’art. 11.

Tali considerazioni non meritano, però, condivisione.

Invero, si osserva, da un alto, che la mutata considerazione circa la correttezza di una o più soluzioni fornite nel tempo con riferimento a problematiche emergenti dalla traccia pone con ogni evidenza la presenza – teorica – di un vizio di disparità di trattamento fra partecipanti alla procedura concorsuale, a seconda della tempistica della correzione. Ciò in quanto è evidentemente inconfigurabile che il metro valutativo – la cui omogeneità rappresenta elemento cardinale della correttezza delle operazioni di valutazione all’interno di una pubblica procedura di selezione – incontri incisive trasmutazioni applicative senza che l’intero complesso degli elaborati formi oggetto di rivisitazione, al fine di riconsiderare la perdurante presenza – o meno – di gravi mende suscettibili di condurre all’esclusione del candidato.

In altre parole, se è vero che il fatto che la commissione abbia approfondito e riesaminato le soluzioni tecnicamente adeguate e corrette in relazione alle prove concorsuali e alle soluzioni fornite dai candidati, quale prova della indiscutibile scrupolosità dell'operato della medesima, non involve né in irragionevolezza né in arbitrarietà dei criteri e delle modalità di valutazione delle prove scritte, altrettanto non è a dirsi se tale operazione, non accompagnata dal riesame di quegli elaborati ritenuti affetti da “gravi insufficienze” relativamente a profili poi diversamente apprezzati, abbia dato luogo a differenze di correzione degli elaborati concorsuali in danno di taluno dei partecipanti (C. Stato, IV, 8 giugno 2007, n. 3012).

Né l’acclaramento della carenza di una siffatta rivisitazione può incontrare un qualche limite in virtù del pacifico orientamento giurisprudenziale che esclude la sindacabilità giudiziale delle scelte puramente discrezionali delle commissioni valutatrici, trattandosi di apprezzamento che esclude la ponderazione di qualsiasi profilo di merito tecnico.

4.5. Ma tutto ciò dovutamente premesso dal Collegio, tenendo conto della avvertita necessità di rendere una compiuta trattazione sugli elementi come emergenti dalle formulate censure ricorsuali, deve purtuttavia rilevarsi che le problematiche come sopra individuate non esplicano alcun effetto con riferimento alla questione inerente lo scrutinio di legittimità della dichiarata non idoneità del ricorrente.

Invero, sulla base di quanto indicato al precedente punto 2, la motivazione del qui avversato giudizio non attiene ad alcuna delle problematiche interessate dalla rimeditazione della medesima in ordine alla correttezza delle soluzioni proponibili, descritte al precedente punto 4.4..

Né, del resto, il ricorrente ha affermato la sovrapponibilità tra alcuna delle predette problematiche ed i rilievi che la commissione ha espresso sui propri elaborati.

Di talchè la diversificata considerazione riservata, ratione temporis , ai predetti argomenti risulta del tutto insuscettibile di attestare che, nei confronti del ricorrente, si è inverato il paventato vizio di disparità di trattamento, e, conseguentemente, di fondare la pretesa del medesimo di una rivalutazione delle proprie prove.

5. Opina il ricorrente con la terza censura che i rilievi della commissione sul proprio elaborato valutato non idoneo non sono oggettivamente riconducibili alle categorie delle nullità e gravi insufficienze di cui ai criteri predeterminati ai fini e per gli effetti del comma 7 dell’art. 11 del d. lgs. 166/06. In particolare, gli errori e le omissioni rilevati in relazione alla terza prova risultano insussistenti, nonché contraddittori con i giudizi positivi espressi sui primi due elaborati.

Anche tale censura non è conducente.

5.1. Al riguardo, è il caso di rammentare che, dal momento che il giudizio di legittimità non può trasmodare in un pratico rifacimento, ad opera dell'adito organo di giustizia, del giudizio espresso dalla commissione (con conseguente sostituzione del primo alla seconda), trova espansione il principio per cui l'apprezzamento tecnico della commissione è sindacabile soltanto ove risulti macroscopicamente viziato da illogicità, irragionevolezza o arbitrarietà.

Invero, come più volte affermato dalla giurisprudenza, anche della Sezione, il giudizio della commissione esaminatrice, comportando una valutazione essenzialmente qualitativa della preparazione scientifica dei candidati, attiene alla sfera della discrezionalità tecnica, censurabile unicamente sul piano della legittimità e solo per evidente superficialità, incompletezza, incongruenza, manifesta disparità, se emergenti dalla stessa documentazione ed ove tali da configurare un palese eccesso di potere, senza che, con ciò, il giudice possa o debba entrare nel merito della valutazione (tra tante, C. Stato, IV, 17 gennaio 2006, n. 172).

Il limite del controllo giurisdizionale è conseguente alla valutazione che l'applicazione della norma tecnica non sempre si traduce in una legge scientifica universale, caratterizzata dal requisito della certezza: ed anzi, quando contiene concetti giuridici indeterminati, dà luogo ad apprezzamenti tecnici ad elevato grado di opinabilità (Tar Lazio, Roma, I, 25 giugno 2004, n. 6209).

Si dimostrano, pertanto, infondate le censure che si limitano a proporre la configurabilità di diverse modalità di soluzione del tema oggetto di concorso.

Aderendo ad una siffatta impostazione, invero, lo scrutinio giudiziale verrebbe a sovrapporsi alla valutazione tecnica effettuata dalla Commissione, inverando la preclusa cognizione del merito della questione.

Del resto, nella valutazione degli elaborati svolti in una procedura per l'accesso ad una professione a numero chiuso, volto alla selezione dei migliori e non già di tutti coloro che dimostrino di saper comunque giungere a conclusioni esatte, incidono non solamente la esattezza delle soluzioni giuridiche formulate, ma anche la modalità espositiva e, non da ultimo, la complessiva delineazione del contesto nell’ambito del quale le soluzioni stesse vengono proposte, suscettibile di evidenziare la preparazione generale del candidato e la coerenza dell’andamento del percorso logico-giuridico seguito.

Applicando i sopra enunciati criteri al caso di specie, l’apprezzamento tecnico svolto dalla commissione potrebbe essere scalfito solo dalla dimostrazione dell’esistenza di evidenti illogicità o manifeste ingiustizie nel rilievo.

Ad una siffatta dimostrazione il ricorrente non perviene.

In particolare, le censure al riguardo proposte si manifestano, invero, e con ogni chiarezza, come un – inammissibile – tentativo di sostituire il punto di vista della commissione, come mutuato nella predisposizione dei criteri di valutazione ed applicato nella correzione delle singole prove, con quello dell’interessato, sottoposto alla valutazione.

Ne dà significativo esempio la mera lettura delle argomentazioni esposte dal ricorrente, in forza delle quali, ad esempio, il medesimo ritiene non gravi i due errori rilevati dalla commissione nella redazione del terzo atto, poiché meramente materiali, e a suo dire, conseguentemente irrilevanti, ed esprime, contrariamente a quanto riscontrato dalla commissione, che la parte teorica della stessa prova è approfondita e dettagliata. Né, evidentemente, esplica, al riguardo, alcun effetto viziante, sotto il profilo della contraddittorietà, la circostanza che la commissione non si sia arrestata, ai sensi dell’art. 11, comma 7, dopo la lettura delle due prime prove, attesa l’autonomia delle stesse.

6. Neanche le restanti censure risultano fondate.

In particolare, l’articolata motivazione, come sopra riportata, fa escludere la denunziata carenza nella esternazione delle ragioni che hanno condotto all’espressione del giudizio. Né risultano conducenti ad un opposto avviso le (qui) ribadite argomentazioni ricorsuali, già esaminate ai punti che precedono, inerenti la conformità del parametro di valutazione adoperato e i giudizi espressi sulle prime due prove.

Quanto alla denunziata non riconducibilità alla commissione del verbale recante il giudizio di inidoneità del ricorrente, sottoscritto nelle singole pagine di cui si compone solo da quattro componenti (su sei), e mediante l’apposizione di mere sigle, prive di valore legale, essa non è condivisibile.

In primo luogo, è ius receptum che la volontà dell’organismo collegiale, ove non diversamente (quanto espressamente) disposto dalla norma, si formi con il concorso della maggioranza dei componenti dello stesso.

Tale regola, quanto alla disciplina normativa della procedura concorsuale all’esame, non subisce eccezioni.

Ciò posto, deve rammentarsi che la verbalizzazione delle operazioni concorsuali, che, consente la successiva ricostruzione dell’andamento delle stesse, permettendo in ogni momento di individuare e datare i singoli passaggi compiuti per ciascun elaborato, nella misura in cui essi sono significativi per la verifica del rispetto dei principi di imparzialità, trasparenza e collegialità che presiedono alle procedure concorsuali, costituiscono atti pubblici, assistiti, in assenza di querela di falso, da fede privilegiata per quanto in esso attestato.

Ad abundantiam , si rileva infine che, per giurisprudenza pacifica (Tar Lazio, Roma, I, 3 novembre 2009, n. 10725;
C. Stato, V, 11 maggio 2009, n. 2880;
C. Stato, II, 24 gennaio 2007, n. 7648), in sede di operazioni concorsuali, le irregolarità della verbalizzazione non hanno, di per sé, carattere viziante, qualora non compromettano la funzione strumentale, propria del verbale.

In altre parole, affinché la mera irregolarità di cui pure il verbale risulti affetto si traduca in elemento inficiante le operazioni concorsuali, occorre la presenza di ulteriori elementi sintomatici, che facciano sorgere il dubbio della non corrispondenza sostanziale di quanto riportato nel processo verbale con l'effettiva attività svolta dalla commissione.

L’evenienza non è qui assolutamente intravedibile.

Il ricorrente lamenta ancora che la commissione ha violato l’obbligo di predeterminare i criteri di valutazione alla prima riunione: essi sono stati formalizzati solo in occasione della settima seduta, ovvero dopo l’esperimento del quiz preselettivi e dopo lo svolgimento della prova scritta.

La censura è infondata.

La regola derivante dall’art. 12 del d.p.r. n. 487 del 1994, a mente del quale i criteri e le modalità di valutazione delle prove concorsuali devono essere stabiliti dalla commissione esaminatrice nella prima riunione, deve essere inquadrata nell’ottica della trasparenza amministrativa, perseguita dal legislatore, che pone l’accento sulla necessità della determinazione e verbalizzazione dei criteri stessi in un momento nel quale non possa sorgere il sospetto che questi ultimi siano volti a favorire o a sfavorire alcuni concorrenti. In adesione a tale canone, è stata ritenuta legittima la determinazione dei criteri di valutazione di prove concorsuali anche dopo l’effettuazione di queste, purchè prima della loro valutazione (Tar Lazio, Roma, n. 14172 del 2007 cit.;
C. Stato, IV, 22 marzo 2007, n. 1390;
22 settembre 2005, n. 4989;
VI, 25 luglio 2003, n. 4282).

Con l’ultima censura il ricorrente denunzia che dopo la revoca del commissario S, disposta dal presidente della commissione, e che si reputa affetta da nullità per incompetenza, la medesima ha operato in assenza di legittimazione per il venir meno della sua composizione legale: da qui ne fa derivare l’illegittimità di tutte le operazioni ricorsuali, con necessità di rivalutazione delle stesse.

Anche tale censura non può condurre agli esiti sperati, risultando erronea nella ricostruzione in fatto e sfornita di un sottostante interesse.

Come emerge dalla ricostruzione effettuata dalla difesa erariale, il commissario S non è stato “revocato” dal presidente della commissione, bensì sollevato dalla partecipazione alle commissioni di esame, con sostituzione da parte di altri commissari, con atto del 15 giugno 2009, che ha avuto effetto esclusivamente per le sedute del 16, 17, 18, 23, 24, 25 e 26 giugno 2009: le prove scritte del ricorrente non sono state corrette in tali sedute, bensì in quella del 4 dicembre 2007.

7. Nulla aggiungono alle questioni siccome sin qui trattate le argomentazioni sviluppate dal ricorrente nella memoria difensiva.

8. Per tutto quanto precede, il ricorso deve essere respinto.

La parziale novità delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese di giudizio.

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