TAR Torino, sez. I, sentenza 2010-03-24, n. 201001577
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N. 01577/2010 REG.SEN.
N. 00720/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 720 del 2009, proposto da:
G P, rappresentato e difeso dagli avv. D C e D D F, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Torino, via Monte Asolone, 8;
contro
Comune di Bosco Marengo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. G G, P M e G R, con domicilio eletto presso l’avv. Antonio Fiore in Torino, corso De Gasperi, 21;
e con l'intervento di
P M R e G R, rappresentati e difesi dagli avv. F D e V Giovinazzo, con domicilio eletto presso lo studio della prima in Torino, via Sacchi, 44;
per l'annullamento
dell'ordinanza n. 5/09 di demolizione di opere abusive datata 31/3/2009 e notificata il 4.4.2009, con la quale il Comune di Bosco Marengo ha ordinato a G P di "provvedere entro e non oltre giorni 90 (novanta) dalla notifica del presente provvedimento al ripristino dello stato dei luoghi, relativamente ai manufatti in premessa citati, rappresentando che in caso di inadempienza si procederà ai sensi di legge",
nonché per l'annullamento
di ogni altro atto presupposto, preparatorio, connesso, discendente, conseguente e per ogni conseguente statuizione.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Bosco Marengo;
Visto l’atto di intervento ad opponendum;
Vista l’ordinanza cautelare n. 591 del 18 luglio 2009;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 febbraio 2010 il dott. Richard Goso e uditi per le parti i difensori, come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso giurisdizionale ritualmente notificato al Comune di Bosco Marengo in data 3 giugno 2009, il signor G P ha impugnato l’ordinanza n. 5 del 31 marzo 2009, notificatagli il 4 aprile 2009, con cui il responsabile dell’Ufficio tecnico comunale ha ingiunto, ai sensi degli articoli 31 e seguenti del d.P.R. n. 380/2001, la demolizione del box auto di proprietà in quanto realizzato a distanza inferiore a m. 10 da altri fabbricati.
Precisa il ricorrente che il manufatto oggetto dell’impugnato provvedimento ripristinatorio era stato realizzato nel 1988, sulla base di concessione edilizia rilasciata il 3 maggio di quell’anno, e che fino al marzo del 2009, epoca dell’accertamento del presunto abuso edilizio, il Comune di Bosco Marengo non ebbe mai a contestare alcunché al riguardo.
Il gravame giurisdizionale si fonda sui seguenti motivi di ricorso:
I) Violazione di legge: artt. 31, 32 e segg., d.P.R. 6.6.2001, n. 380 e s.m.i. Eccesso di potere per sviamento della causa tipica e/o per contraddittorietà con precedenti manifestazioni di volontà della pubblica amministrazione.
La censura è volta a contestare la sussistenza dei presupposti dell’ordine di demolizione, atteso che il ricorrente non avrebbe realizzato il box in assenza di permesso, in totale difformità dal titolo abilitativo ovvero con variazioni essenziali.
II) Violazione di legge: art. 31 e segg., d.P.R. 6.6.2001, n. 380 e s.m.i.
Un ulteriore profilo di illegittimità del provvedimento impugnato deriverebbe dalla mancata indicazione dell’area che, in caso di mancata ottemperanza all’ordine di demolizione, sarebbe acquisita gratuitamente al patrimonio del Comune.
III) Eccesso di potere per difetto e/o mancanza di motivazione. Violazione di legge: art. 3, legge 7.8.1990, n. 241.
Il Comune avrebbe omesso di indicare le norme urbanistiche che sarebbero state violate nella fattispecie nonché le ragioni di pubblico interesse che imponevano di sanzionare con la demolizione un manufatto esistente da 21 anni e mai contestato.
Sulla scorta di tali censure, l’esponente insta conclusivamente per l’annullamento del provvedimento impugnato, previa sospensione dell’esecuzione.
Sono intervenuti ad opponendum i signori P M R e G R, comproprietari di un fabbricato residenziale frontistante il box del ricorrente, i quali argomentano nel senso dell’infondatezza del gravame, essenzialmente rilevando che il box sarebbe stato costruito ab origine a distanza inferiore a 10 m. rispetto al loro fabbricato, a causa dell’erronea rappresentazione delle distanze negli elaborati grafici allegati al progetto.
Si è anche costituito in giudizio il Comune di Bosco Marengo, adducendo argomentazioni analoghe a quelle degli intervenienti.
Con ordinanza n. 591 del 18 luglio 2009, la Sezione ha accolto l’istanza cautelare proposta in via incidentale dalla parte ricorrente.
Chiamato alla pubblica udienza del 25 febbraio 2010, il ricorso è stato ritenuto in decisione.
DIRITTO
1) Il ricorrente contesta la legittimità dell’ordinanza di demolizione n. 5 del 31 marzo 2009, avente ad oggetto il box auto di proprietà che sarebbe stato costruito a distanza inferiore a m. 10 da altri fabbricati.
2) Con il primo motivo di ricorso, l’esponente denuncia l’insussistenza dei presupposti per l’adozione del contestato provvedimento ripristinatorio, poiché il box auto in considerazione non sarebbe abusivo né realizzato in difformità dal progetto edificatorio, approvato con concessione edilizia del 3 maggio 1988.
Va precisato, al riguardo, che l’amministrazione non ha neppure avuto cura di specificare la tipologia dell’irregolarità edilizia riscontrata nella fattispecie, essendosi limitata a richiamare, nel preambolo dell’ordinanza di demolizione, l’art. 31 del testo unico dell’edilizia.
Maggiori indicazioni si rinvengono nel verbale di sopralluogo del 4 marzo 2009, ove si afferma che “i box auto censiti al Fg. 8 mappali 1084 – 1085 – 1086 – 1087 – 1083” (fra i quali è compreso quello di proprietà dell’odierno ricorrente) “sono stati realizzati a distanza inferiore a mt. 10 da altri fabbricati, contrariamente a quanto rappresentato graficamente nelle tavole allegate alla concessione edilizia n° 4 rilasciata dal Sindaco di Bosco M.go in data 08-05-1988”.
La sanzione demolitoria, pertanto, non fa seguito all’accertata abusività dell’immobile (è incontestata, anzi, l’esistenza del titolo abilitativo edilizio) né al riscontro della realizzazione di opere difformi dal titolo abilitativo medesimo, ma all’accertamento di un’erronea rappresentazione dello stato dei luoghi contenuta nella planimetrie allegate al progetto ove (come è confermato dagli scritti difensivi delle controparti) sarebbero state riportate in modo inesatto le distanze fra le costruzioni e i box auto in progetto.
Una simile circostanza, peraltro, non integra alcuna delle ipotesi previste dall’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001 (le quali fanno riferimento all’abusività dell’immobile e alla realizzazione di manufatti non conformi al progetto approvato), ma è astrattamente idonea a cagionare l’invalidità del titolo edificatorio siccome fondato su un’erronea rappresentazione della realtà (fermo restando che l’eventuale annullamento d’ufficio del titolo medesimo non potrebbe che scaturire da apposito procedimento in via di autotutela, da attuarsi nel rispetto del contraddittorio con i privati portatori di un interesse opposto, nonché dall’individuazione di un prevalente interesse pubblico attuale, diverso da quello al mero ripristino della legalità, alla rimozione del titolo).
Il Comune di Bosco Marengo, pertanto, ha erroneamente applicato nella fattispecie il citato art. 31 di cui non sussistono i presupposti.
3) Per completezza, nonostante il carattere assorbente delle considerazioni che precedono, è opportuno soffermarsi anche sugli altri due motivi di ricorso introdotti dal privato, il primo dei quali è inerente all’omessa indicazione dell’area che, in caso di inottemperanza all’ordinanza di demolizione, andrebbe acquisita gratuitamente al patrimonio del Comune, ai sensi dell’art. 31, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001.
La censura è infondata in quanto, per pacifica giurisprudenza, la mancata indicazione dell'area di sedime che verrebbe acquisita nell'ipotesi di inottemperanza all'ordine di demolizione non costituisce causa di illegittimità dell'ingiunzione a demolire, in quanto tali indicazioni più propriamente appartengono al successivo atto di accertamento dell'inottemperanza e di acquisizione gratuita al patrimonio comunale (cfr., ex multis, TA.R. Lazio, Roma, sez. II, 4 dicembre 2006, n. 13652).
4) E’ palesemente fondato, invece, il terzo e ultimo motivo di ricorso, con cui l’esponente denuncia la carenza di motivazione del provvedimento impugnato.
E’ appena il caso di rammentare, al riguardo, che l’ordinanza di demolizione di opere edilizie, che costituisce esercizio di attività amministrativa doverosa e vincolata, è sufficientemente motivata con riferimento ai presupposti di fatto e alle norme urbanistiche che sarebbero state infrante dall’intervento edificatorio.
Nel caso in esame, peraltro, non è rinvenibile neppure il suddetto contenuto motivazionale minimo, atteso che l’ordinanza impugnata è giustificata con riferimento alla violazione della distanza minima di 10 metri rispetto a non meglio identificati “altri fabbricati”, ma omette di indicare le disposizioni che fissano detto limite.
Sotto altro profilo, va anche rilevato, in accordo con i rilievi dell’esponente, che il manufatto di cui è stata ordinata la demolizione esiste da circa 21 anni e che, medio tempore, il Comune di Bosco Marengo non aveva formulato rilievi di sorta al riguardo.
Ciò premesso, deve ritenersi che il protrarsi di un lasso temporale sicuramente significativo dalla commissione del presunto abuso e il permanere, durante tutto questo tempo, dell’inerzia dell’amministrazione preposta alla vigilanza, abbiano ingenerato una posizione di affidamento nel privato, cui consegue l’onere dell’amministrazione di motivare congruamente l’ordinanza di demolizione, con l’indicazione del pubblico interesse, evidentemente diverso da quello al mero ripristino della legalità, che giustificherebbe il sacrificio del contrapposto interesse privato (cfr., ex multis, T.A.R. Piemonte, sez. I, 4 settembre 2009, n. 2247).
La completa assenza di motivazione dell’atto sotto quest’ultimo profilo ne costituisce, quindi, autonoma causa di illegittimità, tanto più che le imprecisioni progettuali accertate nella fattispecie non paiono addebitabili all’odierno ricorrente, ma al costruttore dell’immobile il quale aveva presentato la domanda di concessione edilizia.
5) Per tali ragioni, il ricorso è fondato e meritevole di accoglimento.
Si ravvisano, tuttavia, giusti motivi per compensare integralmente le spese di lite fra le parti costituite.