TAR Palermo, sez. IV, sentenza 2024-08-05, n. 202402393

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Palermo, sez. IV, sentenza 2024-08-05, n. 202402393
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Palermo
Numero : 202402393
Data del deposito : 5 agosto 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 05/08/2024

N. 02393/2024 REG.PROV.COLL.

N. 00999/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 999 del 2022, proposto da -OMISSIS- rappresentato e difeso dall'avvocato C C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

- il Ministero dell'Interno – Questura di Palermo, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo con domicilio digitale ads.pa@mailcert.avvocaturastato.it e domicilio fisico in Palermo, via Mariano Stabile, n.184;

per l'annullamento

- del provvedimento prot. n. -OMISSIS-, con il quale la Questura di Palermo ha negato il rinnovo del porto di fucile per uso “tiro a volo” e del relativo libretto personale;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti l'atto di costituzione in giudizio, i documenti e la memoria difensiva depositati dal Ministero dell'Interno – Questura di Palermo;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore la dott.ssa A P;

Udito, nella Pubblica udienza del giorno 11 aprile 2024, l’Avvocato dello Stato, presente così come specificato nel verbale;


FATTO e DIRITTO

A) Con atto notificato il 14 maggio 2022 e depositato il 13 giugno seguente, il ricorrente ha impugnato il decreto prot. n. -OMISSIS- del giorno 11 marzo 2022, notificato il giorno 17 seguente, con il quale la Questura di Palermo ha rigettato l'istanza di rinnovo del porto di fucile per uso “tiro a volo”;
ne è chiesto l’annullamento con conseguente obbligo del riesame della domanda da parte dell’Amministrazione.

La motivazione del diniego risiede nel compimento di “atti contrari alla pubblica decenza” durante la notte del 22 dicembre 2014 quando il ricorrente, unitamente con altri quattro amici, avrebbe urinato dinanzi al portone del Commissariato di P.S. di Alcamo, in corrispondenza della targa di marmo riportante lo stemma della Repubblica Italiana e sull’autovettura con colori d'Istituto della Polizia di Stato.

La segnalazione da parte del Commissariato di Alcamo alla Questura di Palermo è avvenuta il 20 aprile 2015 al termine delle indagini che hanno condotto all’identificazione di un quinto soggetto partecipante al fatto contestato.

È dedotta l’illegittimità per i motivi di:

1) “ violazione e falsa applicazione degli artt. 8, 11, 42 e 43 del t.u.l.p.s.;
violazione dell’art. 3, l.241/90
” poiché in atto non sarebbe pendente nei suoi confronti alcuna indagine o procedimento penale, anche con riferimento al fatto contestato nel provvedimento impugnato, e pertanto la motivazione sarebbe inadeguata riguardo all’asserita mancanza dei requisiti della buona condotta e dell’affidabilità;

2) “ Eccesso di potere per travisamento dei fatti. illogicità manifesta, contraddittorietà, carenza di motivazione, irragionevolezza”.

Sarebbe stata omessa un’adeguata istruttoria sulla personalità anche in considerazione dello stato di incensuratezza;
il comportamento contestato invero si riferisce a fatti risalenti nel tempo che non hanno avuto alcuna conseguenza penale ed ai quali, comunque, non avrebbe preso parte.

L’amministrazione intimata si è formalmente costituita in giudizio;
con successiva memoria del 7 marzo 2024 ha chiesto il rigetto del ricorso siccome infondato alla luce dei consolidati principi giurisprudenziali in materia.

All’udienza pubblica del giorno 11 aprile 2024, la causa è stata posta in decisione.

B) Il ricorso è fondato.

Così come affermato dalla Corte Costituzionale nelle sentenze nn. 440/1993 e 24/1981 e ribadito costantemente dalla giurisprudenza amministrativa, " il porto d'armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, eccezione al normale divieto di portare le armi ", sancito dall’art. 669 c.p. e dall’art. 4, comma 1, della legge n. 110/1975.

Le valutazioni dell'Autorità in questo ambito sono caratterizzate da ampia discrezionalità, come evidenziato dagli artt. 11 e 43 del R.D. n. 773/1931, dei quali il ricorrente lamenta la violazione.

L’art. 43 del R.D, in particolare, consente alla Questura di ritirare o di negare il rilascio o il rinnovo dei titoli abilitativi sulla base di una valutazione relativa alla buona condotta e alla capacità di abuso delle armi da parte del richiedente.

In considerazione della finalità preventivo-cautelare a tutela della incolumità dei consociati nonché dell'ordine e della sicurezza pubblica, ai fini dell’adozione dei citati provvedimenti è sufficiente che sussistano fatti e circostanze che, pur privi di rilievo penale e non afferenti all’uso delle armi, siano tuttavia idonei indici di una non specchiata condotta e del venir meno della assoluta affidabilità;
non è necessario al riguardo un giudizio di inaffidabilità sociale, né un comprovato abuso nell’utilizzo delle armi.

Tali valutazioni devono essere comunque fondate su elementi seri, oggettivamente apprezzabili, attuali e concreti, condotte secondo criteri di logicità, proporzionalità e ragionevolezza, improntate all’apprezzamento delle circostanze rilevanti e delle specificità del caso concreto.

È stato affermato infatti che “ La revoca o il diniego dell’autorizzazione possono cioè essere adottate sulla base di un giudizio ampiamente discrezionale circa la prevedibilità dell’abuso dell’autorizzazione stessa, per cui rilevano anche fatti isolati, ma significativi. Conseguentemente la valutazione dell'Autorità di pubblica sicurezza caratterizzata – come detto – da ampia discrezionalità, persegue lo scopo di prevenire, per quanto possibile, l'abuso di armi da parte di soggetti non pienamente affidabili, tanto che il giudizio di non affidabilità è giustificabile anche in situazioni che non hanno dato luogo a condanne penali o misure di pubblica sicurezza, ma a situazioni genericamente non ascrivibili a buona condotta ” (Consiglio di Stato, III, 13 settembre 2017, n. 4334;
id. 10 agosto 2016, n. 3590).

Nel caso di specie, il provvedimento impugnato appare basato in maniera diretta, immediata e quasi automatica sull’unica condotta risalente al 2014, seppure non comportante rischio di abuso delle armi, senza alcuna analisi di tale episodio nel più ampio contesto della condotta di vita del ricorrente (non vengono infatti riportati eventuali e ulteriori fatti analoghi o di violenza o di aggressività) e della sua eventuale evoluzione;
la condotta contestata risulta perciò risalente nel tempo e non preceduta, né seguita, da altre della stessa specie, rivelandosi pertanto occasionale anzi unica;
allo stesso modo non vengono rilevate eventuali mancanze dell’istante nella detenzione e nella custodia delle armi.

In altri termini, non è dato scorgere nell’istruttoria svolta l’accertamento di risultanze tali da rendere attuale il necessario giudizio di inaffidabilità formulato ai sensi dell’art. 43 del TULPS: orbene, la mancanza di fatti ulteriori e specifici, unitamente al carattere risalente dell’unica denuncia effettuata dal ricorrente, sono elementi di cui la Questura di Palermo avrebbe dovuto tenere adeguatamente conto, motivando specificamente sul perché tali elementi non sono sufficienti ai fini di un giudizio prognostico positivo sul richiedente, o sul perché essi sono recessivi rispetto all’unico fattore negativo valorizzato, ma di tale motivazione specifica non vi è traccia nel diniego gravato.

Ciò significa che, per non incorrere nel difetto d’istruttoria o di motivazione, la Questura resistente, alla luce di un quadro istruttorio che non recava alcun elemento di novità a carico dell’interessato nonché del dato fattuale del decorso di quasi un decennio dai fatti contestati, avrebbe dovuto quantomeno rappresentare sulla base di quali elementi e valutazioni ha ritenuto - all’attualità - ragionevole il diniego;
d’altra parte, l’autorità procedente non ha ritenuto di disporre un supplemento istruttorio funzionale ad indagare in maniera maggiormente dettagliata la situazione attuale, né ad approfondire in punto di motivazione le ragioni che giustificavano il diniego opposto.

In altri termini, la Questura ha disposto il rigetto unicamente quale automatismo rispetto ad una condotta non particolarmente recente (in quanto risalente al 2014), né di per sé espressiva di un rischio di abuso delle armi, senza apprezzare il contegno complessivamente tenuto dal deducente dopo tale episodio e su circostanze la cui idoneità a negare il titolo richiesto non è stata adeguatamente ponderata in relazione all’attualità dell’asserito pericolo.

A ciò va aggiunto che la fattispecie degli atti contrari alla pubblica decenza già prevista e punita dall'art. 726 del codice penale è stata depenalizzata dal D. Lgs. n. 8 del 16 gennaio 2016, per effetto del quale il predetto reato è adesso un illecito punito da sanzione amministrativa.

In conclusione, le asserzioni contenute nel provvedimento non accompagnate da alcun tipo di approfondimento sui profili personali del ricorrente (abitudini di vita, condizione lavorativa, patrimoniale, familiare, etc..), non sono ragionevolmente idonee a delinearne la personalità e a tracciare un quadro d’inaffidabilità attuale e concreta, neanche in prospettiva prognostica.

Il ricorso, pertanto, va accolto, con annullamento dell’atto gravato e conseguente obbligo dell’Amministrazione di rieditare il potere al fine dell’avvio di una nuova istruttoria prodromica alla conclusione del procedimento per il rilascio (o diniego) del porto di fucile ad uso tiro a volo, da condurre secondo le coordinate ermeneutiche sopra illustrate.

In considerazione della peculiarità della vicenda trattata sussistono gli estremi per disporre l’integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti.

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