TAR Milano, sez. III, sentenza 2024-10-01, n. 202402531

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Milano, sez. III, sentenza 2024-10-01, n. 202402531
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Milano
Numero : 202402531
Data del deposito : 1 ottobre 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 01/10/2024

N. 02531/2024 REG.PROV.COLL.

N. 00861/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 861 del 2023, integrato da motivi aggiunti, proposto da
E S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati A D E, W F T M, R V, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio R V in Milano, via San Barnaba 30;

contro

Provincia di Lecco, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato S G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via di Monte Fiore 22;

nei confronti

P &
C. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati M B, G N, A Vle, Luca Masotto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

Safilo S.r.l., Fiocchi Munizioni S.p.A., Fallimento Bioverde S.r.l., Fallimento Elva S.r.l., Bonacina S.r.l., Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) - Lombardia, Agenzia di Tutela della Salute (Ats) della Brianza, non costituiti in giudizio;

Regione Lombardia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Piera Pujatti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Milano, piazza Città di Lombardia 1;

Comune di Vercurago, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Elisabetta Mariotti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l’annullamento

1) Per quanto riguarda il ricorso introduttivo:

- dell’ordinanza adottata dalla Provincia di Lecco, avente ad oggetto “Area SAFILO in Comune di Vercurago (LC) – ART. 244 D.Lgs. 152/2006 “Ordinanze” – Individuazione del responsabile della contaminazione” (prot. n. 13844/2023 dell’8 marzo 2023) e di ogni altro atto connesso, presupposto, consequenziale, anche non conosciuto;

2) Per quanto riguarda il ricorso per motivi aggiunti depositato da E S.p.A. il 18/9/2023:

- del provvedimento adottato dalla Provincia di Lecco, avente ad oggetto “Area SAFILO in Comune di Vercurago (LC) - ART. 244 D.Lgs. 152/2006 “Ordinanze" – Proroga termini ordinanza n. prot. 13844 del 08.03.2023.” (prot. n. 31216/2023 del 6 giugno 2023) e di ogni altro atto connesso, presupposto, consequenziale, anche non conosciuto.

3) Per quanto riguarda il ricorso per motivi aggiunti depositato da E S.p.A. il 6/10/2023:

- del provvedimento adottato dal Comune di Vercurago, avente ad oggetto “Sito “Area ex. Safilo” – Via P n. 1, Comune di Vercurago Mapp.li 2250, 2527, 2143, 961, 2295 – fg. 905 C.C. Vercurago Piano di indagine integrativa ai sensi del D.Lgs. 152/06 e SMI trasmesso in data 5 giugno 2023, agli atti con prot. 4711/2023 del 06.06.2023 (prot. n. 5345/2023 del 27 giugno 2023) e di ogni altro atto connesso, presupposto, consequenziale, anche non conosciuto.

4) Per quanto riguarda il ricorso per motivi aggiunti depositato da E S.p.A. il 1/2/2024:

- del provvedimento adottato dalla Provincia di Lecco, avente ad oggetto “Area SAFILO in Comune di Vercurago (LC) - ART. 244 D.Lgs. 152/2006 “Ordinanze" – Modifica del provvedimento n. prot. 13844 del 08.03.2023” (prot. n. 61886/2023 del 23 novembre 2023) e di ogni altro atto connesso, presupposto, consequenziale, anche non conosciuto.

5) Per quanto riguarda il ricorso per motivi aggiunti depositato da E S.p.A. il 15/4/2024:

- del provvedimento adottato dalla Provincia di Lecco, avente ad oggetto “Area SAFILO in Comune di Vercurago (LC) - ART. 244 D.Lgs. 152/2006 “Ordinanze" – Modifica punto 2 parte ordinatoria del provvedimento n. prot. 13844 del 08.03.2023” (prot. n. 7977/2024 del 9 febbraio 2024) e di ogni altro atto connesso, presupposto, consequenziale, anche non conosciuto.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Provincia di Lecco e di P &
C. S.p.A. e di Regione Lombardia e di Comune di Vercurago;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 giugno 2024 il dott. Fabrizio Fornataro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1) La vicenda in esame attiene alla bonifica dell’area ex Safilo sita nel Comune di Vercurago e identificata al Foglio 9, mappali nn. 961, 2143, 2146, 2295, 2250 e 2527, ove è presente un sito industriale dismesso, che, dal 1918 al 2011, ha ospitato diverse attività produttive, svolte da più operatori economici succedutisi nel tempo.

In particolare, sull’area hanno operato le seguenti società:

- P S.p.a., dal 1918 al 1967, attiva nel settore della produzione di materie prime per la fabbricazione di pneumatici e di isotermite;

- E dal 1967 al 1975, attraverso le società controllate PIC S.p.a (Prodotti Industriali Chimici), poi divenuta ACNA S.p.a, attiva nella chimica industriale anche per il settore della gomma;

- Safilo S.p.A., dal 1975 al 2003, che ha convertito l’attività industriale dalla chimica alla metallurgia;

- Phormat S.r.l. (limitatamente ad una porzione dell’attuale mappale n. 2295 e ad una porzione del mappale n. 961), poi confluita in Fiocchi Munizioni S.p.a., dal 1996 al 2011, attiva nel settore della metallurgia e della produzione di munizioni.

Dal 2011 il sito industriale risulta inutilizzato.

Vale precisare che tra il 2003 e il 2008 la Safilo S.r.l. ha ceduto lo stabilimento a Elva s.r.l., Bonacina s.r.l. e a Bioverde s.r.l..

Quest’ultima nel 2005 ha proposto al Comune di Vercurago un piano integrato di intervento, diretto alla riconversione dell’intera area di stabilimento da industriale a commerciale, residenziale e alberghiera.

Il piano è stato approvato con la condizione del previo completamento della bonifica del sito.

Le operazioni di caratterizzazione hanno evidenziato, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee, il superamento dei valori C.S.C. per diversi elementi riconducibili a quattro macrocategorie: a) gli Idrocarburi Aromatici Policiclici (“IPA”), associabili per lo più agli approvvigionamenti energetici dello Stabilimento;
b) l’Amianto;
c) il Rame e gli Idrocarburi C>12, associabili all’attività metallurgica;
d) i composti, come Anilina, Difenilamina, p-toulidina e Mercaptobenzotiazolo.

Considerata “la presenza di “rilevanti quantità di fusti metallici contenenti sostanze speciose…la presenza di uno spezzone di condotto metallico…la presenza di macerie edili”, Arpa Lombardia ha richiesto alla società proprietaria l’esecuzione di una messa in sicurezza di emergenza (“MISE”), attraverso la rimozione dei rifiuti e il loro collocamento in condizioni di sicurezza, in attesa del successivo smaltimento.

Bioverde s.r.l. non ha eseguito la messa in sicurezza di emergenza ed ha impugnato il relativo ordine dinanzi al Tar Lombardia.

Con sentenza n. 940 del 2015, il ricorso è stato accolto dal Tribunale, che ha ordinato alla Provincia di eseguire le dovute indagini al fine di identificare i responsabili dell’inquinamento.

La Provincia di Lecco il 15.07.2022 ha inviato la comunicazione di avvio del procedimento di cui all’art. 244 del d.lgs n. 152/2006, allegando una Relazione istruttoria riassuntiva degli accertamenti condotti dalla Provincia stessa e dalle altre amministrazioni coinvolte, nella quale si afferma la responsabilità per l’inquinamento dell’Area ex Safilo in capo alle società P S.p.a., E S.p.a., Safilo S.r.l. e Fiocchi Munizioni S.p.a..

Nel corso del contraddittorio procedimentale, E S.p.a. ha presentato osservazioni dirette a contestare la sua ritenuta responsabilità nelle contaminazioni riscontrate, specie con riguardo ai materiali contenenti amianto.

All’esito del procedimento, la Provincia di Lecco, con ordinanza n. 13844 in data 08.03.2023, ha individuato quali responsabili della contaminazione le già citate società ed ha stabilito le relative percentuali sulla base di un criterio prevalentemente temporale:

- P S.p.A.: anni attività 49 su 93 totali quota responsabilità 57,31 %;

- E S.p.A.: anni attività 8 su 93 totali quota responsabilità 9,36 %;

- Safilo S.r.l.: anni attività 28 su 93 totali quota responsabilità 32,24 %;

- Fiocchi Munizioni S.p.a.: anni attività 15 su 93 totali quota responsabilità 1,09 %.

Con il medesimo provvedimento, la Provincia ha ordinato alle società di presentare nel termine di 90 giorni un progetto di bonifica/messa in sicurezza operativa/permanente, nonché di eseguire e ultimare a proprio carico gli interventi di bonifica da approvare ad opera del Comune di Vercurago.

Avverso la predetta ordinanza E ha proposto il ricorso principale, chiedendone l’annullamento.

In data 05.06.2023, nelle more del giudizio, le società suindicate hanno chiesto alla Provincia di Lecco la proroga del termine di presentazione del progetto di bonifica.

La Provincia, con la nota del 6.06.2023 - impugnata dalla ricorrente con i primi motivi aggiunti – ha accolto l’istanza, prorogando il termine sino al 31 dicembre 2023.

Nel frattempo, la ricorrente e altre società individuate quali responsabili si sono attivate per dar seguito al provvedimento provinciale ed hanno presentato alle Amministrazioni coinvolte una proposta di progetto di bonifica.

Con nota datata 27.06.2023, impugnata da E con il secondo ricorso per motivi aggiunti, il Comune di Vercurago ha comunicato alle società che il “piano non risponde[va] alle esigenze di bonifica dell’area”, dato che “anzitutto, l’ordinanza provinciale 8 marzo 2023 richiedeva un progetto di bonifica/messa in sicurezza operativa/permanente prodromico all’esecuzione della bonifica: ossia un progetto sviluppato secondo quanto previsto dall’art. 242, comma 7, del d.lgs. 152/06, che è documento – per natura/contenuto/funzione – ben diverso dal mero piano di indagine che è stato presentato”.

Inoltre, l’Ente ha rilevato come “tale piano di indagine risulta[va] ampiamente superato, posto che, sulla scorta degli atti assunti e pubblicati dagli enti pubblici competenti, il procedimento di bonifica per il sito dell’area ex Safilo è stato ormai da tempo avviato, con intervento d’ufficio del Comune di Vercurago e della Regione Lombardia (…)” e “in tale procedimento Aria spa, quale soggetto attuatore dell’intervento PNRR incaricato da Regione Lombardia, ha già predisposto un piano di indagine”.

Di seguito, con nota del 24.10.2023, Regione Lombardia ha trasmesso al Comune di Vercurago e alla Provincia di Lecco un progetto di bonifica redatto dalla società ARIA s.p.a., con l’invito al Comune di indire un’apposita conferenza di servizi decisoria ai fini dell’approvazione del documento.

Alla luce di quanto sopra, con provvedimento del 23.11.2023 (prot. 61886), impugnato con il terzo ricorso per motivi aggiunti, la Provincia ha rimodulato in parte la propria ordinanza di marzo 2023, revocando l’ordine alle Società di presentare uno specifico progetto di bonifica (in ragione dell’esistenza del progetto presentato da ARIA s.p.a., nel distinto procedimento attivato da Regione Lombardia).

Il provvedimento ha attestato che il Comune di Vercurago aveva nel frattempo indetto un’ulteriore conferenza di servizi, finalizzata all’approvazione del progetto di bonifica presentato dalla società Bonacina S.r.l., in qualità di proprietario incolpevole, con riferimento al mappale n. 2146 (facente parte del sito contaminato ma estraneo all’intervento PNRR).

La vicenda ha presentato i seguenti sviluppi:

- all’esito di un’apposita conferenza di servizi, con decreto n. 6 del 19.12.2023, il Comune di Vercurago ha approvato il progetto presentato da ARIA s.p.a. per conto di Regione Lombardia nell’ambito degli interventi PNRR ed ARIA s.p.a. è stata individuata quale soggetto attuatore dell’intervento di bonifica in tutte le sue fasi;

- con decreto n. 2 del 9.02.2024, il Comune di Vercurago ha approvato il progetto di bonifica presentato da Bonacina S.r.l. – in qualità di proprietario incolpevole - sul mappale n. 2146, compreso nel sito contaminato ma estraneo all’intervento PNRR;

- con provvedimento n. 7977, datato 09.02.2024, la Provincia ha revocato l’ordine di eseguire la bonifica rivolto alle società interessate, ferma restando l’individuazione delle stesse quali soggetti responsabili della contaminazione del sito (sulle quali grava il costo dell’intervento e della relativa progettazione) e fermo restando quanto previsto dall’art. 253 del d.lgs. n. 152/06.

Quest’ultimo provvedimento è stato impugnato da E con il quarto ricorso per motivi aggiunti.

2) In via pregiudiziale, deve essere dichiarata l’inammissibilità delle impugnazioni per motivi aggiunti.

In particolare, il primo, il terzo e il quarto dei ricorsi per motivi aggiunti contestano i provvedimenti con i quali la Provincia ha, da un lato, prorogato i termini per la presentazione del progetto di bonifica, dall’altro, revocato parzialmente il provvedimento oggetto del ricorso principale, escludendo dapprima l’obbligo di presentazione del progetto, poi l’obbligo di provvedere alla bonifica.

Va rimarcato che la ricorrente ha esplicitamente circoscritto la propria impugnativa alla parte degli atti sopra indicati con i quali la Provincia ha ribadito la responsabilità di E per l’inquinamento, senza avanzare alcuna censura in punto di proroga e di sopraggiunta revoca dell’ordine di presentare il progetto e di bonificare, pur dopo che la stessa E si sarebbe attivata per dare corso alla progettazione, sopportandone i costi.

In parte qua si tratta di provvedimenti meramente confermativi, poiché la responsabilità di E è stata semplicemente ribadita, senza lo svolgimento di un’istruttoria tesa a rivalutarne la posizione, sicché si tratta di atti non autonomamente impugnabili in quanto privi di autonoma attitudine lesiva.

Quanto al secondo ricorso per motivi aggiunti, va osservato, come condivisibilmente eccepito dal Comune di Vercurago, che esso ha ad oggetto una nota priva di valore provvedimentale, che si sostanzia in una mera comunicazione alle ricorrenti in ordine all’ormai avvenuta predisposizione del progetto di bonifica ad opera di Aria spa, sulla base di un distinto procedimento attivato da Regione Lombardia nel quadro di un intervento PNRR.

Ne deriva l’inammissibilità anche dell’impugnazione proposta avverso tale atto perché privo di effetti lesiva.

3) Con il ricorso principale, E articola complesse censure che possono essere sintetizzate nel modo seguente:

I) Violazione del principio di buona amministrazione. Violazione di legge e, in particolare, dell’art. 242, c. 1, d.lgs. 152/2006. Violazione del principio di certezza del diritto e legittimo affidamento: la Provincia avrebbe applicato illegittimamente “in via retroattiva” le norme che pongono l’obbligo di bonifica in capo al responsabile dell’inquinamento con conseguente violazione dei principi di certezza del diritto e di legittimo affidamento;
non solo la bonifica andrebbe qualificata come sanzione, sicché potrebbe essere disposta solo in presenza di una norma che ponga limiti quantitativi alla diffusione nell’ambiente di determinate sostanze al tempo della commissione del fatto e che espliciti le conseguenze pregiudizievoli in caso di sua violazione.

In tale contesto E lamenta la violazione dell’art. 1, Prot. 1, CEDU in tema di tutela della proprietà, perché la bonifica, intesa quale strumento ablatorio, postulerebbe una norma di legge prevedibile, certa e conoscibile.

II) Violazione del principio di buona amministrazione. Violazione del principio “chi inquina paga”. Violazione dell’art. 244 d.lgs. 152/2006. Eccesso di potere per carenza di istruttoria e travisamento dei fatti: l’obbligo di bonifica potrebbe essere imposto ad un operatore “solo ove si accerti che una condotta risalente sia produttiva di rischi di aggravamento ancora attuali”, presupposto che non sarebbe sussistente nel caso di specie.

III) Violazione del principio di buona amministrazione. Violazione del principio “chi inquina paga”. Violazione dell’art. 244 d.lgs. 152/2006. Eccesso di potere per carenza di istruttoria e travisamento dei fatti: la Provincia avrebbe condotto un’istruttoria superficiale, attribuendo alla ricorrente condotte in alcun modo riconducibili all’attività esercitata da essa sul sito.

IV) Eccesso di potere per carenza di istruttoria e travisamento dei fatti. Violazione del principio di buona amministrazione. Violazione del principio “chi inquina paga”: l’amianto interrato (e poi rinvenuto) sotto due edifici del sito (e segnatamente sotto il deposito di zinco ed il reparto sintesi) non sarebbe attribuibile all’attività di E sul sito, posto che detti edifici sarebbero stati costruiti all’epoca della gestione P, dunque prima del subentro di PIC e poi di ACNA.

V) Violazione e/o falsa applicazione degli articoli 242 e 244 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152;
violazione dell’articolo 5 della l.r. Lombardia 27 dicembre 2006, n. 30: la Provincia avrebbe illegittimamente assegnato alle società un termine per presentare il progetto di bonifica pari a soli 90 giorni, inferiore a quello di sei mesi previsto dalle sopra citate disposizioni di legge;
non solo, la Provincia non sarebbe competente a disporre la bonifica a carico del soggetto responsabile.

Nel contesto delle censure proposte, la ricorrente deduce anche l’illegittimità costituzionale dell’art. 242 del d.lgs 2006 n. 152 per contrasto con gli articoli 3, 23, 24 e 41 Cost.;
nel contempo prospetta una richiesta di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, poiché l’interpretazione data dall’amministrazione alle norme che disciplinano la bonifica contrasterebbe con il principio eurounitario “chi inquina paga”.

4) Per ragioni di precedenza logica, deve essere trattato con priorità il quinto motivo di impugnazione, con il quale si deduce l’incompetenza della Provincia ad adottare l’ordine di bonifica e ad assegnare termini di presentazione del progetto di bonifica inferiori a sei mesi;
nel contempo si lamenta l’irragionevolezza del termine di 90 giorni fissato dalla Provincia.

Secondo la ricorrente, l’art. 244 del d.lgs. n. 152/06 attribuirebbe alle Province il solo potere di diffidare il responsabile dell’inquinamento “a provvedere ai sensi del presente titolo”, ma non quello di imporre l’esecuzione di “attività specifiche”, come la bonifica.

Il Tribunale non è tenuto a prendere posizione sul punto, poiché, come sopra ricordato, l’ordine di bonifica è stato integralmente revocato, mentre non sussiste alcun dubbio sulla competenza della Provincia ad individuare i soggetti responsabili dell’inquinamento, ai fini del successivo corso del procedimento di cui all’art. 242 del d.lgs. n. 152 del 2006.

Perciò, in relazione a questo profilo non sussiste un concreto ed attuale interesse della ricorrente a coltivare la particolare censura.

Analoghe considerazioni devono essere svolte in relazione alla dedotta incompetenza della Provincia nella determinazione della scansione temporale di presentazione del progetto.

Quanto alla ragionevolezza o meno del termine di 90 fissato per presentare il progetto e fermo restando il superamento della questione sul piano dell’interesse, in ragione delle successive determinazioni provinciali assunte in autotutela, va osservato che la ricorrente neppure ha fornito concreti elementi a sostegno della ritenuta inadeguatezza del termine assegnatole.

Va, pertanto, ribadita l’inammissibilità delle censure in esame

5) Con il secondo motivo, E lamenta l’applicazione retroattiva delle norme che disciplinano il potere dell’amministrazione di imporre la bonifica al soggetto individuato come responsabile, sicché la misura, oltre a non trovare fondamento normativo in relazione al tempo di realizzazione dell’inquinamento, si sostanzierebbe in una sanzione.

In particolare si deduce che:

- all’epoca della commissione delle condotte che avrebbero dato luogo all’inquinamento (gli anni dal 1967 al 1975) non era ancora vigente l’art. 17 del d.lgs. n. 22 del 1997, che per primo ha introdotto l’obbligo di bonifica;

- si contesta la tesi giurisprudenziale (Consiglio di Stato, Ad. Pl., n. 10 del 2019) per cui l’ordine di bonifica può essere disposto anche in relazione a fatti illeciti verificatisi in una fase antecedente al predetto decreto;
l’istituto non potrebbe comunque essere invocato nel caso in esame, in quanto prima degli anni ‘70 del secolo scorso il bene ambiente non costituiva un autonomo e unitario bene giuridico meritevole di tutela, sicché non sarebbe configurabile l’antigiuridicità necessaria per la sussistenza della responsabilità da fatto illecito. Solo in presenza di una norma che al tempo della causazione dell’inquinamento prevedesse chiari divieti di superamento di determinati livelli di contaminazione in rapporto a specifiche sostanze sarebbe predicabile l’obbligo di bonifica in caso di inquinamenti storici;

- la misura integrerebbe una sanzione illegittimamente irrogata, stante la mancanza illo tempore di una norma che prevedesse l’illiceità di determinate contaminazioni, con conseguente imprevedibilità per l’operatore delle ripercussioni giuridiche ora per allora applicate;

- si lamenta la violazione dell’art. 1, Prot. 1 CEDU in tema di tutela della proprietà, perché la bonifica, intesa dalla ricorrente come uno strumento ablatorio, postula una norma di legge prevedibile, certa e conoscibile.

Le censure non possono essere condivise.

5.1) L’analisi della questione impone di portare l’attenzione sul quadro normativo di riferimento in tema di contaminazioni storiche, ossia risalenti ad un tempo antecedente alle prime legislazioni in materia ambientale, al fine di individuare il fondamento giuridico dell’obbligo di bonifica in capo al soggetto responsabile.

Le condotte inquinanti ascritte alla ricorrente si collocano nel periodo compreso tra dal 1967 al 1975, arco temporale in cui non era ancora vigente l’art. 17 del d.lgs. n. 22 del 1997 (c.d. decreto Ronchi, adottato in attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), che ha imposto l’obbligo di bonifica in capo al responsabile dell’inquinamento.

Sul punto, vale ricordare che l’art. 17 cit. ha introdotto i rimedi della “messa in sicurezza”, della “bonifica” e del “ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali deriva il pericolo di inquinamento”, ciò in presenza di situazioni anche solo di “pericolo concreto ed attuale” di superamento dei livelli di concentrazione di sostanze inquinanti – fissati con il regolamento di attuazione approvato con decreto interministeriale del 25 ottobre 1999, n. 471 – causate “anche in maniera accidentale” (comma 2).

La disciplina dettata dal successivo d.lgs. n. 152 del 2006 (codice dell’ambiente), in particolare agli artt. 239 e seg., si pone in una logica di continuità con quella dettata dal decreto Ronchi.

L’art. 244 del codice dispone che “le pubbliche Amministrazioni che nell’esercizio delle proprie funzioni individuano siti nei quali accertino che i livelli di contaminazione sono superiori ai valori di concentrazione soglia di contaminazione, ne danno comunicazione alla Regione, alla Provincia e al Comune competenti” (comma 1). Si aggiunge che “la Provincia, ricevuta la comunicazione di cui al comma 1°, dopo aver svolto le opportune indagini volte ad identificare il responsabile dell’evento di superamento e sentito il Comune, diffida con ordinanza motivata il responsabile della potenziale contaminazione a provvedere ai sensi del presente titolo” (comma 2);
tale ordinanza viene, altresì, notificata, ai sensi del comma 3, “al proprietario del sito ai sensi e per gli effetti dell’articolo 253”;
norma, quest’ultima, che regola gli oneri reali e i privilegi speciali (cioè le concrete ripercussioni, in punto di esecuzione e spesa, degli interventi di ripristino ambientale).

Infine, si prevede che “se il responsabile non sia individuabile o non provveda e non provveda il proprietario del sito né altro soggetto interessato, gli interventi che risultassero necessari ai sensi delle disposizioni di cui al presente titolo sono adottati dall’Amministrazione competente in conformità a quanto disposto dall’articolo 250” (comma 4).

Il legislatore ha poi stabilito espressamente che tale normativa si applica alle “contaminazioni storiche” (art. 242, comma 1, ultimo periodo), con ciò intendendosi i fenomeni di inquinamento ambientale attuali ma derivanti da condotte od omissioni antecedenti all’entrata in vigore della disciplina concernente l’obbligo di bonifica.

È il caso al quale ricondurre la fattispecie di causa, sicché, ove si intendesse accogliere il primo motivo di ricorso, sarebbe necessario sollevare questione di legittimità costituzionale, o rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, per chiarire se disposizioni costituzionali, o principi eurounitari, ostino a tale previsione di legge, alla cui applicazione, viceversa, il giudice sarebbe tenuto.

In senso contrario si è già pronunciata l’Adunanza Plenaria, con la sentenza n. 10 del 2019.

Quest’ultima decisione si attaglia perfettamente al caso di specie, che concerne, è il caso di rammentarlo, una attività inquinante protrattasi dal 1967 al 1975.

È ben vero, come osserva E, che la piena acquisizione del carattere unitario dell’ambiente quale autonomo bene giuridico emerge nei primi anni ‘70 del secolo scorso, per poi rafforzarsi progressivamente, anche ad opera del legislatore. Si è trattato, tuttavia, di un graduale processo di disvelamento di principi già incorporati in Costituzione (art. 9 e 32) e, come tali, riflessi dalla pur ampia legislazione settoriale che ha apprestato via via una tutela crescente alle specifiche componenti che formano il bene ambiente. L’eccedenza deontica dei principi costituzionali, in altri termini, ha germinato diacronicamente regole sempre più cogenti, ma ha costantemente permeato l’ordinamento giuridico, sicché le prime (e ormai risalenti) riflessioni sul punto hanno carattere dichiarativo, anziché costitutivo, di un bene giuridico loro preesistente.

È perciò da rigettare l’idea che l’attività inquinante non possa dirsi contra ius, per il solo fatto di aver preceduto la legislazione afferente all’obbligo di bonifica.

Né, si può aggiungere, la natura illecita di un fatto esige, per vincolo costituzionale, che esso sia commesso con dolo o con colpa, salve le ipotesi, pur sempre eccezionali nel nostro ordinamento, in cui la responsabilità civile piega verso uno scopo punitivo-sanzionatorio.

Nell’ambito, ben più consueto, delle finalità risarcitorie e riparatrici che sono assolte da tale genere di responsabilità, è al contrario ormai di larghissima diffusione il convincimento che il legislatore, fin dal codice del ‘42, abbia introdotto forme di responsabilità oggettiva che esulano dal coefficiente psicologico e che, per numero e rilievo, rivaleggiano con il desueto principio civilistico per cui non vi sarebbe responsabilità senza colpa.

Non è qui neppure necessario interrogarsi se la ricorrente, alla luce della natura dell’attività esercitata e dei mezzi pericolosi adoperati (come si vedrà a breve, anche l’amianto, vale a dire una sostanza sulla cui pericolosità sono stati avanzati dubbi fin dagli anni ‘40 del secolo scorso, ben prima che ne venisse vietato l’impiego), avrebbe potuto essere soggetta ad azione risarcitoria al tempo in cui il fatto fu commesso (sull’applicabilità in materia dell’art. 2050 cod. civ. cfr CDS n. 2195 del 2020).

È invece sufficiente rilevare, a fronte di una disposizione di legge che rende espressamente applicabile la normativa sui siti inquinati, che quest’ultima normativa, quand’anche calata nel prisma della responsabilità aquiliana sulla falsariga tracciata dalla Plenaria, non apparirebbe assolutamente incongrua nell’attuale quadro della responsabilità civile, per la parte in cui, perseguendo una finalità di mero rispristino, obbliga chi ha commesso il fatto inquinante, di per sé contra ius e tutt’oggi persistente negli effetti, a porvi rimedio.

Non vi è quindi motivo per dubitare della legittimità costituzionale di una tale soluzione normativa, né, come si vedrà a breve, della sua compatibilità con il diritto UE.

Difatti, a seguito della Plenaria, la giurisprudenza ha costantemente affermato l’applicabilità degli artt. 242 ss. del d.lgs. n. 152 del 2006 alle contaminazioni storiche, quale che ne fosse l’epoca di risalenza temporale (Cons. St. n. 2195/2020 cit.;
Cons. St., sez. IV, 7 gennaio 2021, n. 172;
Cons. St., sez. IV, 28 febbraio 2022, n. 1388;
Cons St., sez. IV, 8 febbraio 2023, n. 1397).

Ciò detto, con argomenti che di per sé conducono alla infondatezza del primo motivo del ricorso introduttivo, il Tribunale ritiene ugualmente opportuno aggiungere ulteriori considerazioni, per dare conto della piena aderenza dell’attuale assetto normativo con l’art. 23 della Costituzione.

5.1.2) Le misure di tutela ambientale introdotte nel 1997, ora disciplinate dagli artt. 239 e ss. del d.lgs. n. 152 del 2006, sottendono la finalità di salvaguardare il bene ambiente e costituiscono uno strumento pubblicistico teso non a monetizzare la diminuzione del valore ambientale, in conseguenza dell’inquinamento, ma a consentirne il recupero materiale.

Le disposizioni disciplinano misure da adottare in presenza di un dato meramente oggettivo, quale l’accertamento attuale di una situazione di inquinamento, che rende necessario il recupero dell’area interessata ad opera del soggetto che lo ha causato.

Le norme - art. 17 del decreto Ronchi e art. 244 del codice dell’ambiente - impongono una prestazione personale al responsabile dell’inquinamento, che è obbligato a bonificare l’area sulla base del dato oggettivo dell’attualità dell’inquinamento e dell’averlo provocato sul piano causale.

Si tratta di un rimedio autonomo, munito di base legislativa, che può affiancarsi a misure diverse di natura risarcitoria, senza sovrapporsi ad esse.

In altre parole, se la realizzazione di uno stato di inquinamento determina in capo al responsabile l’obbligo della bonifica, secondo la disciplina già richiamata, nondimeno lo stesso fatto può essere fonte sia di responsabilità risarcitoria, qualora abbia cagionato un danno a terzi, sia di responsabilità per danno ambientale, secondo la disciplina dettata dall’art. 298 bis e segg. del codice dell’ambiente, in coerenza con il generale principio per cui lo stesso fatto può assumere rilevanza per diversi profili nell’ordinamento e determinare l’attivazione di differenti misure tra loro autonome, sempre nel rispetto, nella materia “penale” (anche ai fini CEDU) del divieto di bis in idem.

L’obbligo della bonifica presenta una propria specificità, sostanziandosi in una misura personale, prevista dalla legge e legittimata sul piano costituzionale dall’art. 23 Cost.;
l’adozione del relativo provvedimento amministrativo crea in capo al destinatario un obbligo di attivazione, consistente nel porre in essere determinati atti e comportamenti unitariamente finalizzati al recupero ambientale dei siti inquinati (cfr. Cass. civ., Sez. Un., 1 febbraio 2023, n. 3077;
già Cons. St, sez. V, 5 dicembre 2008 n. 6055;
id., 23 giugno 2016, n. 2809).

L’istituto non si inserisce nella reintegrazione in forma specifica disciplinata dall’ordinamento quale modalità risarcitoria, perché presenta caratteri autonomi sul piano strutturale, trattandosi di una prestazione personale imposta dalla legge a tutela dell’ambiente, laddove venga riscontrata una situazione di attuale inquinamento e che prescinde dai presupposti della responsabilità risarcitoria, salvo l’accertamento del nesso causale.

In tale logica l’obbligo della bonifica in capo al responsabile è riferibile a qualunque situazione di inquinamento in atto al momento dell’entrata in vigore della disciplina legislativa di riferimento (decreto Ronchi e codice dell’ambiente) indipendentemente dall’epoca, anche remota, cui dovesse farsi risalire il fatto generatore della situazione patologica.

Come già evidenziato in giurisprudenza (cfr. Cons. St., sez. VI, 9 ottobre 2007, n. 5283), l’inquinamento dà infatti luogo ad una situazione di carattere permanente, che perdura fino a che non ne vengano rimosse le cause ed i parametri ambientali alterati siano riportati entro limiti normativamente accettabili

Ciò non si sostanzia nell’applicazione retroattiva delle norme ora vigenti, ma nella loro applicazione attuale, poiché mirano a rimediare ad una condizione in atto di inquinamento, verificatasi nel passato ma permanente e superabile solo con la bonifica.

Neppure si tratta di irrogare ora per allora una sanzione, ma di riparare, in forza di una specifica previsione legislativa, ad effetti patologici che permangono nonostante il decorso del tempo. Insomma, l’ordinanza di cui all’art. 242 del d.lgs. n. 152 del 2006, che l’Amministrazione ha il potere di adottare a carico del soggetto che sia riconosciuto responsabile della contaminazione, non ha finalità sanzionatoria di una condotta pregressa, ma natura riparatoria in relazione ad un evento di inquinamento ancora attuale (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5668).

Ciò che rileva è che l’evento “compromissione ambiente” sia sussistente al momento dell’adozione dell’ordine di bonifica, perché le norme che lo prevedono mirano proprio a superare situazioni di inquinamento in essere, ancorché verificatesi prima della loro entrata in vigore (cfr. Cons. St., sez. IV, 28 febbraio 2022, n. 1388), secondo la logica della prestazione personale imposta all’autore dell’inquinamento.

La circostanza che al tempo della causazione dell’inquinamento non sussistesse una previsione normativa impositiva della bonifica resta irrilevante ai fini indicati, mentre può assumere significato per i profili risarcitori correlati all’eventuale danno ambientale, ex d.lgs. n. 152/2006.

Sotto altro profilo, va precisato che la risalenza dell’evento generatore dell’inquinamento funge da fattore di esclusione dell’applicazione della normativa del d.lgs. n. 152 del 2006 con esclusivo riferimento agli istituti delineati dalla Parte VI, dedicata alla tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente, atteso che l’art. 303, lett. f) e g), ne esclude l’applicazione sia in caso di danni derivanti da un evento occorso prima dell’entrata in vigore della Parte VI del Codice, sia in presenza di un “danno in relazione al quale siano trascorsi più di trent’anni dall’emissione, dall’evento o dall’incidente che l’hanno causato”.

Viceversa nessuna limitazione temporale è prevista per l’applicazione degli articoli 242 e 244, dettati nell’ambito della Parte IV del decreto n. 152, fermo restando che l’art. 242 menziona espressamente i casi di contaminazioni cosiddette “storiche” (cfr. Cons. St., sez. IV, 8 ottobre 2018, n. 5761).

Tali considerazioni non sono inficiate dalla circostanza che l’art. 242 cit. faccia riferimento alle contaminazioni storiche “che possano ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione”, in quanto la specificazione deve essere intesa, per la ratio che caratterizza l’istituto, come diretta a superare situazioni di inquinamento in essere, ossia attuali, che non abbiano, pertanto, esaurito la propria portata di pericolosità ambientale (sul punto già Tar Lombardia, sez. IV, 18 luglio 2023, n. 1879).

Del resto, che una condotta possa essere oggetto di conseguenze previste anche da leggi emanate in epoca successiva, purché la compromissione di un determinato bene giuridico sia ancora attuale, è costituzionalmente precluso al legislatore solo con riguardo alla pena e, in generale, alle misure amministrative a contenuto sanzionatorio, il che nel caso di specie non sussiste considerata la natura della misura, che, per le caratteristiche sopra esposte, esula dall’ambito del diritto lato sensu punitivo.

Come già evidenziato, le norme in esame sono chiare nel porre l’obbligo della bonifica in capo al responsabile della contaminazione, da individuare sulla base di un criterio solo oggettivo, integrato dalla connessione eziologica tra la condotta e l’inquinamento.

Tale assetto riflette il principio “chi inquina paga” di matrice eurounitaria, la cui applicazione non postula l’accertamento di un presupposto soggettivo, che correli la condotta a dolo o a colpa, ma esige unicamente la materiale causazione della contaminazione.

La stessa direttiva 2004/35/CE, pur non applicabile ratione temporis all’inquinamento per cui è causa, pone in luce (considerando n. 13) che il requisito minimo, imprescindibile affinché l’imputazione di responsabilità sia compatibile con il diritto UE, è la sola sussistenza del nesso di causalità tra la condotta dell’agente e l’evento inquinante (C.G., Grande Sezione, C.-378/08;
CG C.-188/07;
id. C.-534/15).

In particolare, il punto 62 della sentenza della Grande Sezione appena citata ha chiarito che gli Stati membri sono tenuti a rilevare la responsabilità degli operatori professionali, senza necessità di dimostrare la natura dolosa o colposa della condotta, mentre il punto 69 ha aggiunto che è conforme al diritto UE l’eventuale scelta nazionale di estendere il regime di responsabilità oggettiva per danno ambientale a chiunque altro. Ne deriva con ogni evidenza che il principio “chi inquina paga” non esige necessariamente che l’inquinatore sia rimproverabile per la condotta a lui addebitabile.

Così, l’art. 311 del d.lgs. n. 152 del 2016, nel conferire attuazione alla direttiva, tiene ferma la responsabilità oggettiva, fondata sul nesso eziologico, dell’operatore professionale e la mitiga, introducendo il requisito del dolo o della colpa, per ogni altro inquinatore.

Il principio “chi inquina paga” (ora sancito dall’art. 191 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea e dall’art.

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