TAR Lecce, sez. II, sentenza 2017-04-24, n. 201700617
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Pubblicato il 24/04/2017
N. 00617/2017 REG.PROV.COLL.
N. 01435/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce - Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1435 del 2013, proposto da:
-OMISSIS-rappresentata e difesa dall'avvocato M A B, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. -OMISSIS- Vantaggiato in Lecce, via Zanardelli 7;
contro
Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante p.t, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Lecce, presso i cui Uffici in Lecce, via F. Rubichi 23, è domiciliato;
per l'annullamento
del decreto n. 142 emesso in data 13.6.2013 dal Direttore della Divisione del Ministero della Difesa, notificato alla ricorrente il 15.7.2013 con il quale si comunicava il rigetto dell'istanza tesa ad ottenere la corresponsione in suo favore dei benefici economici previsti in favore delle vittime del dovere e delle categorie alle stesse equiparate, nella sua qualità di erede del marito -OMISSIS-, militare deceduto il 17.12.1992 per infarto del miocardico acuto, per assenza delle condizioni previste per legge;
di tutti gli atti connessi, presupposti e/o consequenziali.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 ottobre 2016 il Cons. Carlo Dibello e uditi i difensori avv. M. A. Belmonte per la ricorrente e avv. dello Stato A. Roberti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La signora -OMISSIS- si è rivolta al T.A.R. per conseguire l’annullamento del decreto con il quale la competente articolazione amministrativa del Ministero della Difesa ha respinto l’istanza presentata in data 11 ottobre 2011 dalla medesima, quale vedova del Capo di 1^ Classe -OMISSIS-, al fine di ottenere la concessione dei benefici previsti dal D.p.r. 243/2006 e successive integrazioni per l’infermità “ decesso per infarto miocardico acuto ”, spettanti al coniuge quale “ equiparato” alle vittime del dovere.
La determinazione ministeriale impugnata è stata adottata sulla base del parere reso dal Comitato di verifica per le cause di servizio n. 35071/2012, espresso nell’adunanza n. 41/2013 del 29 gennaio 2013 con il quale << l’infermità “esteso infarto del miocardio acuto esitato in decesso” non è stata riconosciuta riconducibile alle particolari condizioni ambientali ed operative di missione comunque implicanti l’esistenza od il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che abbiano esposto il dipendente a maggiori disagi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto e che si pongano quale causa ovvero concausa efficiente e determinante delle infermità in questione”>>.
Il parere in questione è stato poi confermato in data 30 aprile 2013 dallo stesso organo consultivo dell’Amministrazione, dopo una fase di contraddittorio procedimentale caratterizzata dalla formulazione di osservazioni da parte dell’interessata, acquisite in data 15 marzo 2013.
Si è ritenuto, conclusivamente, che “ non sussistono le condizioni previste dalle citate leggi, per l’attribuzione al militare dei benefici quale equiparato a “Vittima del Dovere”.
La vedova del militare in questione lamenta l’illegittimità della determinazione sfavorevole assunta nei suo confronti.
L’interessata deduce, a sostegno del ricorso, la violazione dell’art. 1, comma 563 e 564 della Legge n. 266/2005, nonché del Regolamento di attuazione di cui al D.p.r. 243/2006.
Si è costituito in giudizio il Ministero della Difesa per resistere al ricorso del quale ha chiesto che il Collegio pronunci l’inammissibilità, o l’infondatezza nel merito.
La controversia è passata in decisione alla pubblica udienza del 19 ottobre 2016.
DIRITTO
Con unico motivo di gravame, la ricorrente lamenta che la decretazione ministeriale impugnata sia stata frutto di violazione della normativa di settore e, nello specifico, dell’art. 1, commi 563 e 564 della legge 266/2005, nonché del Regolamento di attuazione di cui al D.p.r. 243/2006.
L’interessata ricorda che l’art. 1, comma 563 della legge richiamata ha ampliato il catalogo delle “vittime del dovere”, mentre il comma 564 della stessa disposizione ha sancito l’equiparazione alle vittime del dovere di soggetti rimasti vittime di eventi pregiudizievoli come la morte o infermità permanentemente invalidanti, occorsi in occasione di missioni di qualunque natura e a causa di particolari condizioni ambientali od operative.
La ricorrente, dopo aver ricordato le condizioni in presenza delle quali si possa parlare di soggetto equiparato a vittima del dovere e, in particolare, cosa debba intendersi per “ particolari condizioni ambientali ed operative” , in base al D.p.r. 243/2006 sostiene che “ per particolari condizioni si debbono intendere tutti i fatti che abbiano esposto il militare a maggiore impegno psico-fisico o a maggiori rischi in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto”.
Nel caso portato all’attenzione del Collegio, le particolari condizioni di lavoro in cui ha operato il militare deceduto sarebbero state costituite da “ i 15 anni consecutivi di imbarco su unità navali di piccole e grandi dimensioni;l’aver operato in ambienti di lavoro molto ristretti, privi di finestre e di areazione ed impregnate di idrocarburi, di grassi ed olii;l’aver svolto per tutti gli anni di servizio le mansioni di -OMISSIS- e, quindi, di responsabile della tenuta, della pulizia e della manutenzione delle armi;l’avere operato maneggiando ed utilizzando prodotti altamente tossici ed impregnati anche di amianto, utilizzato per le guarniture, per le coibentazioni e per proteggere dagli incendi armi e munizioni custodite nei magazzini”.
Né può mancarsi di ricordare “ le situazioni di perenne stress e di ansia continua a cui il militare era sottoposto… situazione accentuata durante le missioni sia in territorio italiano che in quello straniero… in particolare il militare ha indubbiamente vissuto una situazione di estremo stress psico fisico allorquando era imbarcato su Nave Impavido ed ha partecipato alla missione in Mediterraneo durante la quale una imbarcazione libica sparò un missile colpendo la flotta italiana… in tale occasione il -OMISSIS-, nella sua qualità di -OMISSIS-, era appunto responsabile delle armi e delle munizioni, una sua eventuale distrazione o negligenza avrebbe comportato effetti devastanti per Nave Impavido ed effetti mortali per i colleghi che erano a bordo.”
Da tanto deriverebbe che “ non c’è dubbio che la patologia da cui era affetto il militare ebbe ad essere contratta a causa del servizio prestato e delle particolari condizioni ambientali ed operative nelle quali si svolgeva il suo lavoro” .
La tesi difensiva non può essere condivisa.
Essa, nelle sue conseguenze applicative, accomuna indistintamente due istituti: da un lato, il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio del decesso o di un’infermità contratta dal dipendente durante lo svolgimento della propria attività lavorativa, che trova la propria fonte di disciplina nel D. p.r. 461/2001;dall’altro, il riconoscimento dello status di vittima del dovere o di soggetto equiparato, che rintraccia nella normativa prima richiamata la sua cornice di riferimento.
Il Collegio osserva, in proposito, che l’elemento che accomuna i due istituti giuridici è senz’altro quello dello svolgimento dell’attività di lavoro, nel cui contesto possono svilupparsi condizioni pregiudizievoli per la salute del dipendente fino al decesso del medesimo.
Ma la giurisprudenza amministrativa, chiamata ad individuare una netta linea di demarcazione tra i due istituti ha condivisibilmente chiarito che il concetto di vittima del dovere è connotato da un elemento di specialità rispetto alla definizione di vittima di decesso o infermità dipendente da causa di servizio.
L’attribuzione della speciale elargizione spettante alle vittime del dovere poggia, infatti, su un quid pluris rappresentato dalla eccezionale o straordinaria sovraesposizione a rischio per la propria incolumità, cui il dipendente è stato sottoposto a cagione del servizio svolto o della missione compiuta.
Ed invero, l’art. 1 del D.p.r. 243/2006 qualifica “ …c) per particolari condizioni ambientali od operative, le condizioni comunque implicanti l'esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto. ”
Sotto tale profilo, può dunque affermarsi che, contrariamente a quanto opinato dalla difesa della ricorrente, le particolari condizioni ambientali ed operative richieste per potersi dar luogo al riconoscimento dello status di vittima del dovere non possono essere rappresentate dal normale contesto operativo in cui il militare è chiamato a prestare il servizio, anche quando si tratta di lavoro svolto con caratteristiche di prolungata gravosità.
A tal proposito, il Collegio deve richiamare l’attenzione sul fatto che la condizione di soggetto imbarcato a lungo a bordo di unità navali, con il compito di -OMISSIS- costituisce, per così dire, condizione standard gravosa ma non eccezionale per un militare della marina, pur senza ridimensionare le difficoltà relative alla necessità di operare in spazi realmente angusti ed a contatto con sostanze potenzialmente nocive per la salute.
Non è senza significato che la odierna ricorrente abbia ottenuto il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio della patologia diagnosticata sulla persona del coniuge, ai sensi del D.p.r. 461/2001, proprio a segnalazione del fatto che i due istituti corrono lungo binari paralleli ma devono rimanere distinti.
In questa prospettiva, il Comitato di verifica per le cause di servizio ha, così, ritenuto le mansioni professionali svolte dal -OMISSIS- quali ordinarie e non straordinarie, ovvero rientranti nelle normali mansioni previste per il ruolo/categoria di appartenenza.
Mentre, come correttamente posto in risalto dalla difesa erariale, “ per vittima del dovere deve intendersi non chi subisce un vulnus nel quale il servizio sia condicio sine qua non, bensì chi si è esposto al sacrificio di sé nell’adempimento del dovere in circostanze obiettive che esprimano non un mero rischio generico, ma un rischio specifico connesso alla peculiare pericolosità delle funzioni svolte”.
Il Collegio ritiene, peraltro, senza con ciò sottovalutare la gravosità delle condizioni di lavoro del -OMISSIS-, che la ricorrente non sia riuscita a fornire prova sufficiente in ordine al nesso di causalità tra il decesso del coniuge, intervenuto per un esteso infarto del miocardio, e l’attività lavorativa svolta, anche all’estero durante le missioni cui il medesimo militare ha partecipato.
La stessa Amministrazione di appartenenza del -OMISSIS- ha sottolineato come il militare, pur impegnato in missioni all’estero, non abbia partecipato ad operazioni belliche e come, pertanto, “ non è dato rilevare, dagli atti prodotti in giudizio e dalla prospettazione dei fatti contenuta in ricorso, che il rischio affrontato dal -OMISSIS- sia andato oltre quello ordinario connesso all’attività di istituto.”
Alla luce delle argomentazioni sopra esposte, il ricorso deve essere conclusivamente respinto.
Le spese processuali possono essere compensate, tenuto conto della peculiare natura della controversia.