SENTENZA sede di ROMA, sezione SEZIONE 4S, numero provv.: 202404280, Verifica appello

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Sul provvedimento

Citazione :
SENTENZA sede di ROMA, sezione SEZIONE 4S, numero provv.: 202404280, Verifica appello
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202404280
Data del deposito : 4 marzo 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 04/03/2024

N. 04280/2024 REG.PROV.COLL.

N. 13676/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quarta Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 13676 del 2015, proposto da
Mauro D'Eramo, rappresentato e difeso dagli avvocati D L T e M L, con domicili digitali come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati C M e A F S, con domicili digitali come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento

rigetto istanza di condono, ex art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con mod., dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, prot. n. 0/500488 sot. 0 dell'11/12/2003


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4- bis , cod. proc. amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 23 febbraio 2024 il dott. L I e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.- Parte ricorrente ha impugnato e chiesto l’annullamento della determinazione dirigenziale meglio rubricata in epigrafe, con la quale il preposto ufficio di Roma Capitale ha rigettato l’istanza di condono, ex art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con mod., dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, per l'avvenuta realizzazione di un fabbricato con destinazione d’uso commerciale (C/1) per una superficie di mq 635,00, volumetria mc. 2438,00, distinto al N.C.E.U. al Foglio 1038, particella 578, sub 1.

In particolare, è stato rilevato dal Comune che l’area su cui insiste il predetto immobile risulta gravata da alcuni vincoli: - Beni paesaggistici ex art. 134 comma 1, lett. b) del codice – h – Usi Civici;
- P.T.P. 15/11 Pendici dei Castelli TLb/1.

Nel corso del procedimento veniva adottato atto di preavviso di diniego ex art. 10 -bis legge 241/1990 e presentate osservazioni. Indi, veniva adottato il provvedimento impugnato, con l’odierno ricorso.

In diritto, venivano nel ricorso variamente articolate censure di violazione e falsa applicazione della citata legge 24 novembre 2003, n. 326, della legge della Regione Lazio 8 novembre 2004, n. 12 (“ Disposizioni in materia di definizione di illeciti edilizi ”), del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, artt. 134 e segg., della legge Regione Lazio 6 ottobre 1997, n. 29 (“ Norme in materia di aree naturali protette regionali ”), legge della Regione Lazio 6 luglio 1998, n. 24 (“ Pianificazione paesistica e tutela dei beni e delle aree sottoposti a vincolo paesistico ”), degli artt. 32-33 legge 28 febbraio 1985, n. 47, del vigente P.P.T.R. (o piano paesistico), nonché taluni profili di eccesso di potere per contraddittorietà, per illogicità manifesta, travisamento dei fatti, difetto di presupposto, difetto di istruttoria, difetto di motivazione.

Segnatamente, si assumeva che il provvedimento sia stato adottato nell’errato presupposto che l’area su cui insiste l’abuso precludesse la possibilità di sanatoria, la qual cosa non corrisponderebbe allo stato dei luoghi, né al regime urbanistico-edilizio e comunque andrebbe richiesto parere della preposta Soprintendenza.

2.- Si costituiva la l’amministrazione, contestando e riaffermando la legittimità del proprio operato.

3.- Scambiati ulteriori documenti, memorie e repliche, alla successiva udienza di smaltimento, dopo breve discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.

4.- Il ricorso è infondato.

In primis va rammentato l’orientamento generale della giurisprudenza circa la disciplina del c.d. terzo condono, previsto dall’art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con mod., dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, per la quale l’ambito di valutazione, circa la sanabilità delle opere prive di titolo edilizio adeguato, è stato, dalla legislazione statale, circoscritto a quanto specificato dal legislatore regionale, al fine di assicurare “ […] la più attenta e specifica considerazione di quegli interessi pubblici, come la tutela dell’ambiente e del paesaggio, che sono – per loro natura – i più esposti a rischio di compromissione da parte delle legislazioni sui condoni edilizi ” (così Corte cost. 26 luglio 2019, n. 208). In tempi più recenti è stato affermato che “ dalla giurisprudenza costituzionale […] emerge: per un verso, il carattere sicuramente più restrittivo del terzo condono rispetto ai precedenti, in ragione dell’effetto ostativo alla sanatoria anche dei vincoli che comportano inedificabilità relativa;
per altro verso, il significativo ruolo riconosciuto al legislatore regionale, al quale – ferma restando la preclusione all’ampliamento degli spazi applicativi del condono – è assegnato il delicato compito di «rafforzare la più attenta e specifica considerazione di […] interessi pubblici, come la tutela dell’ambiente e del paesaggio» (sentenza n. 208 del 2019)
” (così Corte cost., 30 luglio 2021, n. 181).

Ciò in quanto è stato ritenuto che il legislatore della Regione Lazio, con la legge 8 novembre 2004, n. 12 (“ Disposizioni in materia di definizione di illeciti edilizi ”) succ. mod., pur introducendo un regime più rigoroso di quello disegnato dalla normativa statale, non avesse oltrepassato il limite costituito dal principio di ragionevolezza . Il regime più restrittivo introdotto dalla legge regionale aveva come obiettivo la tutela di valori, che presentano precipuo rilievo costituzionale, quali quelli paesaggistici, ambientali, idrogeologici e archeologici, sicché non era irragionevole che il legislatore regionale, nel bilanciare gli interessi in gioco, avesse scelto di proteggerli maggiormente, restringendo l’ambito applicativo del “condono statale”, sempre restando nel limite delle proprie attribuzioni.

Per quanto più direttamente interessa il presente giudizio, la citata legge della Regione Lazio 8 novembre 2004, n. 12 succ. mod., dopo aver elencato, all’art. 2, comma 1, le tipologie di abuso suscettibili di sanatoria, ha però stabilito, all’art. 3, comma 1, lett. b) , che costituiscono cause ostative alla sanatoria edilizia: “ […] le opere di cui all’articolo 2, comma 1, realizzate, anche prima della apposizione del vincolo, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela dei monumenti naturali, dei siti di importanza comunitaria e delle zone a protezione speciale, non ricadenti all’interno dei piani urbanistici attuativi vigenti, nonché a tutela dei parchi e delle aree naturali protette nazionali, regionali e provinciali ”.

Su tale ultima disposizione, la giurisprudenza amministrativa si è espressa nel senso che la circostanza dell’apposizione del vincolo in via successiva non possa giustificare il superamento del limite di non condonabilità (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 14 giugno 2016, n. 2568;
id., 11 aprile 2017, n. 1697;
id., 9 settembre 2019, n. 6109).

Ne consegue che, alla luce delle illustrate disposizioni, da coniugarsi con gli artt. 2 e 3, comma 1, lett. b) , della legge regionale 12 del 2004, possono ritenersi suscettibili di sanatoria, nelle aree soggette a vincoli, solo le opere di minore rilevanza, come indicate ai numeri 4, 5 e 6 dell'Allegato 1 del decreto-legge n. 269 del 2003, così come convertito, corrispondenti cioè alle opere di restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria ( ex multis : T.A.R. Lazio, sez. II- bis , 17 febbraio 2015, n. 2705;
4 aprile 2017 n. 4225;
13 marzo 2019, n. 4572;
7 gennaio 2020, n. 90;
26 marzo 2020 n. 2660;
2 marzo 2020, n. 2743;
7 maggio 2020, n. 7487;
18 agosto 2020, n. 9252);
mentre, per le altre tipologie di abusi, interviene la predetta preclusione legale alla sanabilità.

Ciò costituisce oramai ius receputm , a più riprese ribadito dalla giurisprudenza ( ex multis : Cons. St., sez. VI, 1 dicembre 2021, n. 8004;
Cons. St., sez. IV, 16 agosto 2017, n. 4007;
T.A.R. Lazio, sez. IV- ter , 7 febbraio 2024, n. 2411;
T.A.R. Campania, sez. VI, 15 febbraio 2021, n. 982;
T.A.R. Campania, sez. IV, 3 giugno 2021, n. 3705). Non rileva il lasso di tempo intercorrente tra realizzazione dell’abuso e il provvedimento repressivo, ai fini di un più stringente obbligo motivazionale ( ex multis : Cons. St., Ad. plen., 17 ottobre 2017, n. 9), stante la natura vincolata del provvedimento sanzionatorio della violazione edilizia. Né può aversi alcuna comparazione di interessi (Cons. St., sez. VI, 3 gennaio 2022, n. 8). Di talché superflua, nella vicenda esaminata, in acclarata mancanza dei presupposti di legge per l’ammissione al condono, la effettuazione di un vaglio di compatibilità paesaggistica ad opera della Soprintendenza ( ex pluris : Cons. St., sez. VI, 18 maggio 2015, n. 2518;
sez. IV, 19 maggio 2010, n. 3174).

La definizione della domanda di condono edilizio poi non presenta alcuna interferenza con la conclusione del procedimento amministrativo attivato, ai sensi dell'art. 1- bis legge 383/2001, per la c.d. emersione del lavoro nero. Trattasi di piani normativi in toto distinti. Peraltro, la censura appare generica, in quanto non si comprenderebbe ab imis il profilo adombrato di interferenza, mancando la precisa indicazione di alcuna norma, che presupporrebbe una simile propedeuticità.

Né deve ritenersi che il diniego di condono debba essere necessitate preceduto dagli avvisi, di cui all’art. 7 e/o all’art. 10- bis della legge n. 241 del 1990, ove non indispensabili, in quanto, nel procedimento di condono, ad iniziativa di parte, peraltro sovente pendente per anni, v’è ampia possibilità di contraddittorio, con ogni facoltà di impulso istruttorio e di dialettica partecipativa, anche spontanea, che consentono di tutelare la propria posizione (Cons. St., sez. VI, 21 febbraio 2023, n. 1787;
Cons. St., sez. VI, 10 febbraio 2020, n. 1029).

Va infine ricordato l’orientamento costante, secondo cui “ ai sensi dell'art. 32 comma 27 lett. d) del decreto legge […] sul terzo condono, sono sanabili le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli, fra cui quello ambientale e paesistico, solo se si tratta di opere minori senza aumento di superficie (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria), non essendo necessaria quindi, laddove l’abuso ricada in zona vincolata e non rientri tra gli abusi minori, l’acquisizione del parere dell’Autorità preposta al vincolo, in linea con l’esigenza di economicità dell'azione amministrativa, essendo superflua, in acclarata mancanza dei presupposti di legge per la condonabilità delle opere, la effettuazione di un inutile vaglio di compatibilità paesaggistica ” (così Tar Lazio, sez. II-stralcio, 25 ottobre 2022, n. 13717;
altresì: Cons. St., sez. IV, 19 maggio 2010, n. 3174;
sez. VI, 18 maggio 2015, n. 2518;
1° dicembre 2021, n. 8004).

Nella specie, il diniego di condono risulta congruamente motivato sull’esistenza di diversi e strutturati vincoli paesaggistici, come sopra ricordati, ostativi alla richiesta sanatoria.

La ricomprensione nei detti vincoli non è revocata in dubbio, anche all’esito delle difese nel presente giudizio e non lo è stato neanche nel corso del procedimento amministrativo, dove pure v’è stata sufficiente interlocuzione con gli uffici, atta a tentare di chiarire la posizione giuridica dell’immobile.

In ultima analisi, l’amministrazione non ha potuto far altro che applicare la normativa nazionale, così come declinata, nei profili di maggior dettaglio, dalla legge regionale, in materia alquanto restrittiva, rispetto alla normativa quadro nazionale.

5.- In conclusione, per le sopra esposte motivazioni, il ricorso va respinto.

6.- Le spese processuali seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

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