TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2022-06-13, n. 202207813

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2022-06-13, n. 202207813
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202207813
Data del deposito : 13 giugno 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/06/2022

N. 07813/2022 REG.PROV.COLL.

N. 07162/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quinta Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7162 del 2017, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato M G, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Optranto 12;

contro

Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

- del decreto emesso dal Ministero dell'Interno in data 03.05.2017, con il quale è stata rigettata la richiesta di cittadinanza italiana.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 marzo 2022 il dott. Alessandro Tomassetti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il ricorso in epigrafe l’odierno ricorrente impugna il decreto emesso dal Ministero dell'Interno in data 3 maggio 2017 e notificato a mezzo raccomandata in data 26 maggio 2017, con il quale è stata rigettata la richiesta di riconoscimento dello status di cittadino presentata dallo stesso ricorrente il 20 novembre 2014 ai sensi dell'art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91 del 5 febbraio 1992.

Il ricorrente, in data 20 novembre 2014, presentava presso gli Uffici della Prefettura di -OMISSIS-

richiesta per la concessione della cittadinanza italiana ex art. 9, lett f) della legge n. 91 del 05.02.1992, in quanto residente da oltre dieci anni sul territorio della Repubblica, allegando alla stessa tutta la documentazione idonea a dimostrare la sussistenza dei requisiti per l’accoglimento della stessa istanza.

In data 23 gennaio 2017 il Ministero dell'Interno inviava con raccomandata all'odierno ricorrente,

ai sensi dell'art. 10 bis , L. n. 241/1990, il preavviso di rigetto della domanda dallo stesso presentata, adducendo quale motivazione l'insufficiente integrazione del richiedente nell'ambito del contesto nazionale;
in particolare, veniva contestata la violazione del T.U. delle Leggi di P.S. art. 9, 17 R.D. 18.06.1931 n. 773, senza che, tuttavia, venissero specificati i riferimenti temporali della predetta violazione né i numeri di riferimento del relativo procedimento penale.

Tale avviso, tuttavia, non veniva mai ricevuto dall’odierno ricorrente, il quale in quel periodo non si trovava in Italia ma era rientrato per esigenze familiari in Pakistan. Il ricorrente, invero, lasciava l’Italia in data 01.12.2016, per farvi rientro solo il 30.01.2017, cosi come documentato dai timbri di ingresso ed uscita apposti sul suo passaporto.

Per questo motivo non riusciva a replicare al preavviso di diniego del Ministero, che in data 03.05.2017, con il provvedimento in questa sede impugnato, decideva per il rigetto dell'istanza di cittadinanza presentata dal ricorrente.

Con un unico, articolato motivo, il ricorrente censura il provvedimento impugnato per insufficienza ed illogicità della motivazione, eccesso di potere, violazione della legge 7 agosto 1990, n. 241, e dell'art. 9, primo comma, lettera f), della legge 5 febbraio 1992, n. 91;
violazione dell'art. 10 bis L. n. 241/1990 per carenza della motivazione.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione resistente, deducendo la infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.

In data 7.2.2022 il ricorrente ha depositato documentazione di aggiornamento accompagnata da memoria difensiva.

In data 11.3.2022 l’Amministrazione ha depositato gli atti del procedimento, accompagnati da un rapporto difensivo.

In data 12.3.2022 il ricorrente ha depositato una memoria conclusionale e di replica alle argomentazioni difensive della PA.

All’udienza del 18 marzo 2022 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Il ricorso è infondato.

Vanno preliminarmente richiamati i principati punti di arrivo della giurisprudenza in materia, sintetizzata già dalle prime pronunce di questa Sezione (TAR Lazio, sez. V bis, n. 2943/2022, 2944/2022, 3018/2022, 3471/2022, 3620/2022, 4280/2022 e 5130/2022).

Occorre rilevare come l’ampia discrezionalità dell’Amministrazione nel provvedimento di concessione della cittadinanza si esplica in un potere valutativo che si traduce in un apprezzamento di opportunità circa lo stabile inserimento dello straniero nella comunità nazionale, sulla base di un complesso di circostanze, atte a dimostrare l'integrazione del soggetto interessato nel tessuto sociale, sotto il profilo delle condizioni lavorative, economiche, familiari e di irreprensibilità della condotta (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. III, 6 settembre 2018, n. 5262 e 12 novembre 2014, n. 5571;
sez. VI, 9 novembre 2011, n. 5913;
id., 10 gennaio 2011, n. 52;
id., 26 gennaio 2010, n. 282).

Invero, l'inserimento dello straniero nella comunità nazionale è considerato legittimo quando l'Amministrazione ritenga che quest'ultimo possieda ogni requisito atto ad inserirsi in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare inconvenienti o, addirittura, commettere fatti di rilievo penale (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. II, 31 maggio 2021, n. 4151;
TAR Lazio, sez. I ter, 11 febbraio 2021, n. 1719).

L’interesse pubblico sotteso al provvedimento di concessione della particolare capacità giuridica, connessa allo status di cittadino, impone che si valutino, anche sotto il profilo indiziario, le prospettive di ottimale inserimento del soggetto interessato nel contesto sociale del Paese ospitante, atteso che la concessione della cittadinanza - lungi dal costituire per il richiedente una sorta di diritto che il Paese deve necessariamente e automaticamente riconoscergli ove riscontri la sussistenza di determinati requisiti e l'assenza di fattori ostativi - rappresenta il prodotto di una meticolosa ponderazione di ogni elemento utile al fine di valutare la sussistenza di un concreto interesse pubblico ad accogliere stabilmente all'interno dello Stato comunità un nuovo componente e dell'attitudine dello stesso ad assumersene anche tutti i doveri ed oneri (cfr. TAR Lazio, sez. I ter, 3 giugno 2021, n. 6541).

Il provvedimento di concessione della cittadinanza italiana, infatti, è fondato su determinazioni che rappresentano un'esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (Cons. Stato, sez. III, 28 maggio 2021, n. 4122;
id., 17 dicembre 2020, n. 8133;
id., 16 novembre 2020, n. 7036;
id., 27 febbraio 2019, n. 1390;
id., 13 novembre 2018 n. 6374).

Trattandosi, dunque, di esercizio di potere discrezionale da parte dell’Amministrazione, il sindacato sulla valutazione compiuta dalla stessa, non può che essere di natura estrinseca e formale;
non può spingersi, quindi, al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell'esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole.

Proprio in considerazione della particolare natura del provvedimento concessorio della cittadinanza italiana, della irrevocabilità dello status e del complesso delle conseguenze che derivano dalla concessione della cittadinanza, il legislatore si è limitato a stabilire solo i presupposti di ammissibilità (prescritti dall'art. 9, l. n. 91 del 1992) che consentono all'interessato di avanzare l'istanza di naturalizzazione;
tali presupposti, tuttavia, non costituiscono elementi di per sé sufficienti per conseguire il beneficio - come invece accade nel caso dei procedimenti autorizzatori - né costituiscono una presunzione di idoneità al conseguimento dell'invocato status, in quanto il legislatore ha riservato la decisione all'Amministrazione, attribuendole un'ampia discrezionalità nella valutare l'opportunità di ampliare la platea dei cittadini conferendo lo status civitatis ad un nuovo soggetto. Del resto, l’attribuzione della cittadinanza comporta non solo diritti in capo all’interessato, ma anche doveri, tra cui quello di contribuire al progresso del Paese e di assumersi obblighi di solidarietà economica e sociale nei confronti della collettività di nuova appartenenza, in primis quello di non pregiudicare la sicurezza degli altri membri.

Con riferimento al caso di specie, il Collegio ritiene che l’Amministrazione abbia correttamente esercitato la propria sfera di attività discrezionale evidenziando legittimi motivi di rigetto della istanza per la non compiuta integrazione del ricorrente nella comunità nazionale desumibile dal mancato rispetto delle regole di civile convivenza e dalla violazione della legge penale vigente nell'ordinamento giuridico italiano.

L’odierno ricorrente ha prodotto istanza intesa ad ottenere la concessione della cittadinanza italiana in data 20 novembre 2014, dichiarando – come risulta dagli atti e, tuttavia, non oggetto di specifica contestazione in sede di emissione del provvedimento di rigetto della istanza di concessione della cittadinanza italiana – di non essere sottoposto a procedimenti penali e di non aver riportato condanne penali in Italia, neanche ai sensi dell'art. 444 c.p.p.

Dalle certificazioni in possesso della P.A., risultavano, invece, a carico dell'istante i seguenti pregiudizi:

- decreto penale del G.I.P. del Tribunale di -OMISSIS- esecutivo il 2 maggio 2011 per violazione degli artt. 9 e 17 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 (accertato in data 13 maggio 2010 in -OMISSIS-), con condanna alla ammenda di euro 70,00;

- decreto penale del G.I.P. del Tribunale di -OMISSIS- esecutivo il 1 ottobre 2012 per violazione degli artt. 9 e 17 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 (accertato in data 28 ottobre 2009 in -OMISSIS-), con condanna alla ammenda di euro 2.500,00;

- decreto penale del G.I.P. del Tribunale di -OMISSIS- esecutivo il 28 dicembre 2012 per violazione dell’art. 7, comma 4, del d.l. 27 luglio 2005, n. 144 (accertato in data 25 giugno 2010 in -OMISSIS-), con condanna alla ammenda di euro 200,00.

I richiamati elementi hanno indotto l’Amministrazione a valutare negativamente l’istanza del ricorrente e di ciò è stata data comunicazione all’interessato con nota ministeriale datata 23 gennaio 2017, ai sensi dell’art. 10 bis della legge n. 241/1990, invitandolo a produrre osservazioni nel termine di dieci giorni dalla data del ricevimento.

La nota inviata dalla Amministrazione, tuttavia, tornava al mittente per compiuta giacenza.

Preliminarmente occorre rilevare che l’Amministrazione ha correttamente inviato la comunicazione recante il preavviso di rigetto al ricorrente, che, a causa di un allontanamento dal territorio nazionale – che, di per sé non importa una causa di giustificazione in ordine alla mancata conoscenza dell’atto – non ha curato di recuperarla dal servizio postale, tanto da essere restituita per compiuta giacenza.

Non può pertanto essere addebitata all’Amministrazione, tantomeno quale causa di illegittimità dell’atto impugnato, la condotta del ricorrente, che, una volta presentata l’istanza, è tenuto a seguirne il procedimento, a rendersi reperibile per eventuali comunicazioni e, a tal fine, ad avvisare la PA di eventuali mutamenti del recapito.

In ogni caso gli elementi che il ricorrente avrebbe voluto rappresentare nelle proprie osservazioni non sarebbero stati sufficienti a sovvertire l’esito del procedimento.

Innanzitutto, per quanto riguarda la non imputabilità dell’omessa dichiarazione dei pregiudizi penali nell’istanza di cittadinanza, non è sufficiente per l’interessato eccepire la loro omessa menzione nel certificato del casellario giudiziale e dei carichi pendenti.

A tale riguardo – ed a prescindere dal rilievo che fa fede solo il casellario integrale “ad uso amministrativo” ex art. 39 DPR 313/2002 - è appena il caso di rilevare che il provvedimento impugnato non si fonda sull’omessa dichiarazione dei precedenti penali, ma unicamente sulla commissione dei reati in parola e questi sono riportati nel certificato del casellario giudiziario depositato in giudizio dall’Amministrazione.

Quanto alla rilevanza delle condotte oggetto di condanna, infatti, occorre rilevare come le fattispecie ascritte all’odierno ricorrente, ripetutamente condannato per violazione delle prescrizioni, impartite dall’autorità di Pubblica Sicurezza, per l’esercizio di attività svolte grazie ad un’autorizzazione di polizia.

Si tratta, quindi, per definizione, di comportamenti rilevanti ai fini della valutazione delle conseguenze negative in termini di ordine e sicurezza pubblica dell’inserimento dello straniero nel corpo dei soggetti che costituiscono l’elemento costitutivo dello Stato (popolo).

A maggior ragione ove sia in gioco la sicurezza dello Stato stesso e di altri Stati, come nel caso delle misure di contrasto del terrorismo internazionale, introdotte dal DL 144/2005.

Tale è il fatto commesso dal ricorrente, che è stato condannato nel 2012 per violazione dell’obbligo di identificazione e registrazione dei clienti cui veniva offerto l’accesso alla connessione internet posto a carico dei gestori degli esercizi pubblici di connessione dall’art. 7 del D.L. 144/2005.

Non giova al ricorrente opporre che si tratta di una mera contravvenzione e che è intervenuta - peraltro solo a decorrere dal 1° gennaio 2012 - la depenalizzazione della violazione dell’obbligo di licenza del Questore per internet ad opera del DL 216/2011 (conv. In Legge 14/2012), dato che ciò non vale ad elidere la rilevanza della condotta, sul piano del “fatto storico”, al fine di formulare il giudizio prognostico sull’inserimento dello straniero nella Comunità nazionale,

A tal fine la violazione delle norme soprarichiamate, seppure non particolarmente gravi sotto il profilo sanzionatorio penale, rivelano, ai fini della concessione della cittadinanza italiana, una scarsa aderenza ai valori della comunità (cfr. Tar Lazio, Roma, sez. Il quater, 15 aprile 2015, n. 5554), e, nella fattispecie, ancor minore interesse per la concessione dello status civitatis ove non anche scarsa considerazione degli obblighi che si accompagnano a detta concessione (v. in tal senso Tar Lazio, sez. I ter, n. 5708/2019).

In tale prospettiva risulta irrilevante la natura di delitto di contravvenzione del reato, ovvero l’eventuale intervento di una legge di depenalizzazione dello stesso, dato che ciò non elimina il “fatto storico” della commessa violazione che deve essere valutato non al fine di irrogare una pena, “ bensì sotto il diverso profilo dell'interesse pubblico del Paese ospite ad accogliere chi lo ha commesso tra i propri cittadini;
valutazione che implica anche l'opportunità di evitare di inserire tra questi chi, con la propria condotta, non mostri di condividere alcuni valori dell'ordinamento giuridico ritenuti meritevoli di tutela
”, per cui occorre considerarne la “significatività” sotto il profilo della valutazione del grado di integrazione raggiunto e della formulazione del giudizio prognostico sull’utile inserimento nella Comunità nazionale, ai fini della decisione sull’opportunità di concedere la cittadinanza (cfr., tra tante, Tar Lazio, sez. II quater, n. 6616/2015).

In tale ottica, l’Amministrazione può legittimamente attribuire un valore diverso a reati puniti con pene lievi in quanto deve considerali, nel loro inquadramento complessivo, per la loro “sintomaticità” ai fini sopra indicati, e, in tale prospettiva funzionale, per l’eventuale conseguenza della concessione della cittadinanza sotto il profilo di agevolare la commissione di reati e/o dell’inserimento del soggetto in una rete facente capo ad gruppi criminali che sfruttino la rete internet per organizzare attività terroristiche internazionali (come, appunto, avveniva in passato, quando ancora non erano disponibili, sul piano tecnologico, metodi alternativi di collegamento internet più comodi e sicuri rispetto agli internet point ).

Le condotte contestate - peraltro risultano rilevanti non solo per la loro significatività sopra evidenziata, ma anche per la loro ripetitività e per la loro collocazione in un periodo particolarmente significativo in quanto sono state poste in essere dal richiedente a breve distanza temporale dalla richiesta di cittadinanza – costituiscono, nella prospettiva sopra delineata, univoco indice di inaffidabilità e di non compiuta integrazione nella comunità nazionale della richiedente.

In tale prospettiva il provvedimento impugnato, con cui, nel bilanciamento degli interessi pubblici e privati in gioco, è stato ritenuto recessivo l'interesse del privato ad essere ammesso come componente aggiuntivo del Popolo italiano, ritenendo inopportuno ampliare la platea dei cittadini mediante l'inserimento di un nuovo componente che risulti privo del requisito della illesae dignitatis , non può ritenersi affetto da irragionevolezza, non potendo la valutazione riservata all'autorità competente essere inficiata da valutazioni personali sul tenue disvalore sociale di taluni reati, quali quelli commessi dal ricorrente.

Sotto tale profilo, il Collegio ritiene legittimamente ed esaustivamente motivato il provvedimento impugnato nella parte in cui afferma che “ la condotta del richiedente è indice di inaffidabilità e di non compiuta integrazione nella comunità nazionale, desumibile da un complesso di situazioni e comportamenti posti in essere nel corso della permanenza nel territorio nazionale – e, in particolare, nel decennio anteriore alla data di presentazione della domanda – idonei a fondare l’opportunità della concessione del nuovo status civitatis ”.

Da ultimo, occorre anche osservare come il dedotto stabile inserimento socio-economico dell’odierno ricorrente costituisce solo il presupposto minimo per conservare il titolo di soggiorno, che autorizza la permanenza dello straniero sul territorio nazionale. Né i richiamati procedimenti penali risultano elisi dallo stabile inserimento nella realtà economica, necessario, peraltro, per mantenersi e conservare il titolo di soggiorno.

Del resto, in relazione alle domande di conferimento della cittadinanza per residenza, come già osservato dalla giurisprudenza (cfr. TAR Lazio 20 maggio 2021, n. 5917;
id., 31 agosto 2020, n. 9289), la mancata commissione di ulteriori fattispecie penalmente rilevanti - in un periodo successivo alla domanda di cittadinanza - non corrisponde ad incensuratezza del richiedente e consente all'Amministrazione di fondare un giudizio prognostico negativo in ordine alla idoneità della ricorrente ad aderire alle norme dell'ordinamento ed a ritenere che il suo stabile inserimento nella comunità nazionale non possa escludere conseguenze negative per quest'ultima.

In tale prospettiva, tenuto conto, appunto, della possibilità sopra richiamata, di poter ripresentare l’istanza nel futuro, per cui le conseguenze discendenti del diniego sono solo temporanee, e non comportano alcuna “interferenza nella vita privata e familiare del ricorrente” (art. 8 CEDU, art. 7 Patto internazionale diritti civili e politici) - dato che l’interessato può continuare a rimanere in Italia ed a condurvi la propria esistenza alle medesime condizioni di prima - il provvedimento impugnato, con cui, nel bilanciamento degli interessi pubblici e privati in gioco, ha ritenuto recessivo l'interesse del privato ad essere ammesso come componente aggiuntivo del Popolo italiano, non può essere ritenuto né irragionevole né sproporzionato, dato che il diniego di cittadinanza comporta il solo svantaggio temporale sopraindicato, che risulta “giustificato” ove si consideri la rilevanza degli interessi in gioco e l’irreversibilità degli effetti connessi alla concessione di tale status, che comporta, oltre al diritto di incolato ed alle limitazioni all’estradizione del cittadino, soprattutto il conferimento di diritti politici.

Da tale punto di vista, dunque, risulta inopportuno ampliare la platea dei cittadini mediante l'inserimento di un nuovo componente ove sussistano dubbi sulla sua attitudine a rispettare i valori fondamentali per la comunità di cui diviene parte essenziale con piena partecipazione all’autodeterminazione delle scelte di natura politica. Il diniego di ammissione di un nuovo elemento che risulti privo di tale requisito non risulta sproporzionato, avuto riguardo alle conseguenze sopraevidenziate, e non può ritenersi affetto da irragionevolezza, non potendo, peraltro, la valutazione riservata all'autorità competente essere inficiata da valutazioni personali della ricorrente sul “tenue” disvalore sociale dei reati contestati.

Il ricorso va conclusivamente respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

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