TAR Roma, sez. I, sentenza 2018-01-25, n. 201800931

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. I, sentenza 2018-01-25, n. 201800931
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201800931
Data del deposito : 25 gennaio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 25/01/2018

N. 00931/2018 REG.PROV.COLL.

N. 05254/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5254 del 2016, proposto da:
D S e S B, rappresentati e difesi dall'avvocato D S, presso il cui studio in Roma, Viale Pola, 9, sono elettivamente domiciliati;

contro

Il Ministero della giustizia e il Consiglio di Stato, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale domiciliano in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Il Consiglio Nazionale Forense, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati del Foro di Santa Maria Capua Vetere e l’Associazione Nazionale Forense, non costituiti in giudizio;

per l'annullamento

del D.M. Giustizia 12 agosto 2015, n. 144 “ Regolamento recante disposizioni per il conseguimento e il mantenimento del titolo di avvocato specialista, a norma dell'articolo 9 della legge 31 dicembre 2012, n. 247 ”, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 15 settembre 2015, n. 214, segnatamente art. 14 – disposizione transitoria – nella parte in cui il regolamento, non riconoscendo identico valore legali ai titoli (attestato di frequenza di universitario corso almeno biennale di alta formazione specialistica, conforme ai criteri previsti dall’art. 7, comma 12) conseguiti al termine di corsi di studio dello stesso livello, appartenenti alla stessa classe, non prevede la possibilità, quindi non riconosce, che soggetti titolati come (anche) gli istanti, che hanno codesti titoli conseguiti antecedentemente a cinque anni precedenti l’entrata in vigore del presente regolamento, possano chiedere al C.N.F. di poter sostenere, senza obbligo di frequentare altri (di durata almeno biennale) corsi o percorsi (come richiesto dall’art. 7) formativi, la sola prova scritta e orale dal cui superamento, o meno, far poi dipendere il conferimento del titolo di Avvocato Specialista nel settore di specializzazione “s)” (ricompreso nel novero dei settori di cui all’art. 3 del d.m. 144/2015),

nonché per la parte in cui, lesiva in via concorrente e/o anche autonoma rispetto a quanto specificato al punto che precede, segnatamente anche artt. 7 e 8, cioè per la di esso parte in cui esso medesimo regolamento, con gli artt. 6, 7 e 8, che declinano, rispettivamente, i requisiti e il percorso formativo nonché la maturata esperienza, viola principi cardine (tra cui in specie, ma non solo, quelli del tempus regit actum e del legittimo affidamento) del repubblicano ordinamento giuridico, di talché approda a perpetrare illegittima disparità di trattamento circa il conseguimento dei titoli e l’epoca di conseguimento (laddove i titoli acquisiti dagli istanti, ovvero dottorato di ricerca – cicli XXVI e XXVII), nonché specializzazione, nella vigenza del Regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, si sarebbero dovuti ritenere automaticamente abilitanti alla specializzazione richiesta e regolamentata dal d.m. n. 144/2015, senza alcun ulteriore percorso formativo, valutazione ed esame, fermo il generico e deontologico obbligo di aggiornamento, in applicazione dei principi di ragionevolezza e logicità, perché conseguiti in epoca antecedente alla disposizione di cui alle legge 247/2012 e al d.m. 144/2015;

qualsivoglia altro atto e/o provvedimento connesso, in presupposizione e/o consequenziale, ancorché non conosciuto e, comunque, lesivo dei qualificati interessi e/o diritti degli istanti, ivi compresi, per quanto occorrer possa, e/o debba, per appunto rinvenibile lesività, per i medesimi estremi e misura di quelli/a sopra esposti/a con riguardo all’impugnato d.m. dei qualificati interessi e/o diritti degli istanti;

la relazione trasmessa con nota n. 0007095 dell’ufficio legislativo dell’8 agosto 2014, con la quale il Ministero della giustizia chiede di acquisire il parere del Consiglio di Stato sullo schema di regolamento;

nonché il parere del medesimo Consiglio di Stato;

nonché il parere del Consiglio Nazionale Forense previsto ex art. 1 della l. 247/2012;

nonché, quatenus opusque lesive, le osservazioni dei Consigli degli Ordini e delle Associazioni forensi specialistiche maggiormente rappresentative ovvero di tutte quelle, richieste o meno, comunque pervenute al C.N.F. ovvero di tutte quelle pervenute al C.N.F. che siano state trasmesse o meno al Consiglio di Stato;

nonché la c.d. comunicazione al Presidente del Consiglio dei Ministri effettuata con note del 2 aprile, 4 maggio e 22 luglio 2015.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della giustizia e del Consiglio di Stato;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 gennaio 2018 la dott.ssa Roberta Cicchese e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La legge n. 247 del 31 dicembre 2012 ha dettato la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense, prevedendo, all’art. 9, la possibilità per gli avvocati di conseguire il titolo di avvocato specialista.

In data 12 agosto 2015, il Ministero della giustizia ha adottato il decreto ministeriale contenente il “ Regolamento recante disposizioni per il conseguimento e il mantenimento del titolo di avvocato specialista, a norma dell'articolo 9 della legge 31 dicembre 2012, n. 247 ”.

I ricorrenti avvocati, con ricorso straordinario al Capo dello Stato, hanno impugnato il suddetto decreto ministeriale

In particolare essi hanno censurato le previsioni contenute nell’art. 14 nella parte in cui attribuisce, ai soli avvocati che nei cinque anni precedenti l’entrata in vigore del regolamento abbiano conseguito un attestato di frequenza di un corso almeno biennale di alta formazione specialistica conforme ai criteri previsti dall’articolo 7, comma 12, organizzato da una delle articolazioni di cui al comma 1 del medesimo articolo, la possibilità di ottenere il titolo di avvocato specialista previo superamento di una prova scritta e una orale, non attribuendo identica possibilità a coloro che, come essi ricorrenti, abbiano conseguito i medesimi titoli in tempo più risalente.

Hanno altresì gravato le previsioni contenute negli artt. 6, 7 e 8 del regolamento ministeriale nella parte in cui non attribuiscono all’avvenuto conseguimento, da parte dell’avvocato, del dottorato di ricerca o della specializzazione una valenza automaticamente abilitante alla specializzazione senza necessità di alcuna ulteriore procedura di accertamento e verifica delle competenze.

A seguito di richiesta di trasposizione del Ministero della giustizia, il ricorso è stato riassunto dinanzi al Tar del Lazio.

Il ricorso è affidato ai seguenti motivi di doglianza:

I. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 4, comma 3, del d.m. 22 ottobre 2004, n. 270, nonché dell’art. 91 del regio decreto legge 27.11.1933, n. 1578;
consequenziale eccesso di potere per contraddittorietà interna tra atti e per disparità di trattamento, nonché per falsa e/o errata applicazione di norme imperative, violazione del principio tempus regit actum e del principio di affidamento, nonché per quatenus opus grave irragionevolezza e illogicità del d.m. n. 144 del 15.09.2015. Violazione degli artt. 49 e 50 del d.lgs. 30 luglio 1999 n. 300. Incidentale questione di legittimità costituzionale della legge 31 dicembre 2012, n. 247, nonché del d.m. 144/2015 (segnatamente dei di codesto artt. 7,8 e 14), per violazione degli artt. 3, 33, comma 6, e 97, commi 1 e 2, Cost.

Sostengono i ricorrenti che la disposizione transitoria contenuta nell’art. 14 del decreto ministeriale violi l’art. 4, comma 3, del d.m. 22 ottobre 2004, n. 270, a norma del quale i titoli conseguiti al termine dei corsi di studio dello stesso livello, appartenenti alla stessa classe, hanno il medesimo valore legale.

La disposizione impugnata, di conseguenza, avrebbe illegittimamente introdotto una sorta di rottamazione dei titoli più vecchi.

Tanto violerebbe il criterio della competenza, attribuita in materia al Miur, con consequenziale compromissione del principio di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97, comma 2, della Costituzione.

La previsione sarebbe inoltre illegittima per eccesso di potere per disparità di trattamento e per violazione dei principi costituzionali di eguaglianza (art. 3), dell’autonomia universitaria (art. 33) e del buon andamento (art. 97), censure, queste ultime, da riferirsi all’art. 1, comma 3, della legge n. 247/2012.

Risulterebbero, infine, violati il principio del tempus regit actum , in forza del quale la normativa sopravvenuta non potrebbe applicarsi agli iscritti all’albo degli avvocati prima del 1 gennaio 2013, e il principio dell’affidamento.

II. Violazione e/o falsa applicazione del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 (c.d. decreto salva Italia, siccome coordinato con la legge di conversione 22 dicembre 2011, n. 214) recante “ Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento degli enti pubblici ” - Violazione e/o falsa applicazione del criterio gerarchico tra le fonti del diritto per contrasto con l’art. 34, commi 2 e 3, del sopra evocato decreto c.d. Salva Italia dal parte degli artt. 6, 7 e 8 dell’impugnato regolamento. Consequenziale, ulteriore, eccesso di potere nella forma di altro profilo di disparità di trattamento. Violazione dell’art. 17, comma 25, lett. a), della legge n. 127/1997.

Il decreto ministeriale n. 114/2015 sarebbe stato illegittimamente emanato in assenza di parere dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che avrebbe invece dovuto renderlo ai sensi dell’art. 34 del d.l. n. 201/2011.

La specifica previsione impugnata, infine, non sarebbe stata oggetto di specifico parere dal parte del Consiglio di Stato.

Si sono costituiti il Ministero della giustizia e il Consiglio di Stato, che hanno chiesto il rigetto del ricorso.

Alla camera di consiglio del 2 agosto 2016 l’istanza di sospensione cautelare del provvedimento è stata respinta.

L’appello avverso la detta decisione cautelare è stato respinto.

I ricorrenti hanno depositato memorie in vista dell’udienza di discussione.

All’udienza del 17 gennaio 2018 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

L’art. 9 della legge n. 247 del 31 dicembre 2012, contenente la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense, ha introdotto nell’ordinamento italiano la possibilità per gli avvocati di conseguire il titolo di specialista.

La norma, intitolata “ specializzazioni ”, così dispone:

“1. E' riconosciuta agli avvocati la possibilità di ottenere e indicare il titolo di specialista secondo modalità che sono stabilite, nel rispetto delle previsioni del presente articolo, con regolamento adottato dal Ministro della giustizia previo parere del CNF, ai sensi dell'articolo 1.

2. Il titolo di specialista si può conseguire all'esito positivo di percorsi formativi almeno biennali o per comprovata esperienza nel settore di specializzazione.

3. I percorsi formativi, le cui modalità di svolgimento sono stabilite dal regolamento di cui al comma 1, sono organizzati presso le facoltà di giurisprudenza, con le quali il CNF e i consigli degli ordini territoriali possono stipulare convenzioni per corsi di alta formazione per il conseguimento del titolo di specialista. All'attuazione del presente comma le università provvedono nell'ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

4. Il conseguimento del titolo di specialista per comprovata esperienza professionale maturata nel settore oggetto di specializzazione è riservato agli avvocati che abbiano maturato un'anzianità di iscrizione all'albo degli avvocati, ininterrottamente e senza sospensioni, di almeno otto anni e che dimostrino di avere esercitato in modo assiduo, prevalente e continuativo attività professionale in uno dei settori di specializzazione negli ultimi cinque anni.

5. L'attribuzione del titolo di specialista sulla base della valutazione della partecipazione ai corsi relativi ai percorsi formativi nonché dei titoli ai fini della valutazione della comprovata esperienza professionale spetta in via esclusiva al CNF.

Il regolamento di cui al comma 1 stabilisce i parametri e i criteri sulla base dei quali valutare l'esercizio assiduo, prevalente e continuativo di attività professionale in uno dei settori di specializzazione.

6. Il titolo di specialista può essere revocato esclusivamente dal CNF nei casi previsti dal regolamento di cui al comma 1.

7. Il conseguimento del titolo di specialista non comporta riserva di attività professionale.

8. Gli avvocati docenti universitari di ruolo in materie giuridiche e coloro che, alla data di entrata in vigore della presente legge, abbiano conseguito titoli specialistici universitari possono indicare il relativo titolo con le opportune specificazioni ”.

Il Ministero della giustizia ha adottato il regolamento di cui al comma 1 con il decreto ministeriale 12 agosto 2015, n. 144.

In conformità a quanto previsto dal comma 2 dell’art. 9 della legge n. 247/2012, l’art. 2, comma 2, del regolamento, stabilisce che “ il titolo di avvocato specialista è conferito dal Consiglio nazionale forense in ragione del percorso formativo previsto dall'articolo 7 o della comprovata esperienza professionale maturata dal singolo avvocato a norma dell'articolo 8 ”.

Ne deriva che l’attribuzione del titolo di avvocato specialista può avvenire secondo un “ doppio canale ”: il superamento dei percorsi formativi, di durata almeno biennale o l’accertamento, subordinato al ricorrere di determinati presupposti e al positivo superamento di puntuali procedure di verifica, della particolare esperienza professionale.

L’art. 14, rubricato “ disposizione transitoria ” stabilisce, poi, al comma 1, che “ L'avvocato che ha conseguito nei cinque anni precedenti l'entrata in vigore del presente regolamento un attestato di frequenza di un corso almeno biennale di alta formazione specialistica conforme ai criteri previsti dall'articolo 7, comma 12, organizzato da una delle articolazioni di cui al comma 1 del medesimo articolo, ovvero dal Consiglio nazionale forense, dai consigli dell'ordine degli avvocati o dalle associazioni specialistiche maggiormente rappresentative di cui all'articolo 35, comma 1, lettera s), della legge 31 dicembre 2012, n. 247, può chiedere al Consiglio nazionale forense il conferimento del titolo di avvocato specialista previo superamento di una prova scritta e orale. All'organizzazione e alla valutazione della prova di cui al periodo precedente provvede una commissione composta da docenti rientranti nelle categorie di cui all'articolo 7, comma 8, nominati dal Consiglio nazionale forense” , legittimazione estesa, dal comma 2, a coloro “ che hanno conseguito un attestato di frequenza di un corso avente i requisiti previsti dal predetto comma iniziato prima della data di entrata in vigore del presente regolamento e alla stessa data non ancora concluso”.

Con un primo ordine di argomentazioni contenute nel primo motivo di doglianza, i ricorrenti hanno censurato il trattamento meno favorevole a loro giudizio riservato agli avvocati che abbiano conseguito un attestato di frequenza di un corso almeno biennale di alta formazione specialistica in tempo più risalente rispetto ai cinque anni precedenti l'entrata in vigore del regolamento.

Sarebbe, infatti, loro irragionevolmente precluso il conseguimento del titolo per superamento della sola prova scritta e orale, più agile delle ordinarie modalità di conseguimento previste dal regolamento medesimo.

La censura è infondata.

Come osservato dal Collegio in recenti decisioni riguardanti il medesimo regolamento, confermate, sul punto, dal Consiglio di Stato, “ il titolo di avvocato specialista è stato introdotto come titolo meramente facoltativo, che non attribuisce riserva di esercizio di una determinata attività difensiva, e con uno spiccato tratto di attualità, dovendo lo stesso fornire agli utenti una indicazione effettiva su una specifica e sussistente competenza dell’avvocato ” (Tar Lazio, Roma, sez. I, 14 aprile 2016, n. 4428).

La particolare finalità del titolo di avvocato specialista, che è appunto quella di fornire ai possibili utenti del patrocinio e salva la possibilità per gli stessi di scegliere un professionista privo del titolo de quo , un’informativa incentrata sull’aspetto pratico ed attuale dell’attività professionale dell’avvocato, pervade l’intero testo regolamentare, come risulta, ad esempio dalle disposizioni dettate con riferimento alle modalità di accesso (art. 6, comma 2, lett. a), ovvero in materia di revoca (art. 9).

Ne deriva la legittimità della previsione regolamentare che ha riservato un diverso trattamento a titoli che, pur formalmente equivalenti, siano stati conseguiti dai singoli avvocati in tempi diversi, così che solo a quelli più recenti, sintomatici, di conseguenza, di una particolare “ attualità ” della formazione conseguita, è stata riservata una diversa modalità di accesso al titolo di specialista (nello stesso senso, Tar Lazio, Roma, sez. I, 14 aprile 2016, n. 4426, che ha respinto le doglianze articolate avverso l’art. 14 del regolamento, nella parte in cui era stata censurata la limitazione del riconoscimento dei titoli pregressi a quelli conseguiti negli ultimi cinque anni).

La diversa risalenza temporale della frequenza dei corsi biennali, in sostanza, concretizza quelle differenza tra situazioni che giustifica il diverso trattamento normativo, senza che venga in alcun modo intaccato, come invece prospettato in ricorso, il valore legale dei corsi medesimi, considerati come meri presupposti di legittimazione, e senza che possa, di conseguenza, configurarsi la lamentata rottamazione dei titoli più vecchi.

Ne deriva il rigetto delle argomentazioni, contenute nel medesimo motivo di ricorso, di violazione della competenza del Ministero dell’istruzione in materia di rilascio di titoli di studio e di lesione del principio costituzionale dell’autonomia universitaria.

Come pure già osservato dal Tar in riferimento alla medesima disposizione qui censurata, inoltre, non vi è stata neppure violazione del principio generale della irretroattività della legge o dell’affidamento, atteso che la norma transitoria contenuta nell’art. 14 del regolamento ha proceduto ad una mera “ valorizzazione, in condizioni di sostanziale equivalenza, di competenze di recente acquisizione, ritenute espressione dell’attualità della specializzazione ” (cfr. Tar Lazio, Roma, sez. I, 14 aprile 2016, n. 4424).

Medesima reiezione si impone, alla luce del chiaro contenuto dell’art. 9, comma 2, della legge n. 247/2012 - che impone una valutazione attuale, ancorché con due modalità alternative, di una attuale e pratica consuetudine con uno specifico campo di specializzazione nella professione di avvocato - per le censure con le quali i ricorrenti hanno prospettato l’illegittimità della mancata previsione di un automatico effetto abilitante concesso agli avvocati che abbiano conseguito un dottorato di ricerca o una specializzazione universitaria (nello stesso senso con riferimento all’infondatezza delle censure di illegittima mancata valorizzazione delle competenze dei professori universitari, cfr. Tar Lazio, Roma, sez. I, 14 aprile 2016, n. 4428, che ha rilevato come il regolamento ha per oggetto la disciplina per il conseguimento del titolo di “avvocato” specialista, così che, ragionevolmente, il parametro della comprovata esperienza è stato valorizzato con esclusivo riferimento all’attività professionale e non a quella accademica).

Alla luce di quanto sopra osservato in ordine alla funzione del titolo e al fatto che lo stesso “ non comporta riserva di attività professionale ”, va rilevata, infine, l’infondatezza delle prospettate censure di incostituzionalità dell’art. 1, comma 3, della legge n. 247/2001, per violazione del principio di eguaglianza e di buon andamento dell’amministrazione.

Con il secondo motivo di doglianza i ricorrenti hanno sostenuto l’illegittimità del decreto perché non preceduto dall’acquisizione del parere dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato e per violazione delle previsioni procedurali che disciplinano la acquisizione del parere del parere del Consiglio di Stato.

La censura è infondata quanto al primo profilo argomentativo, non essendo il contenuto del regolamento in esame riconducibile alle ipotesi disciplinate dall’invocato art. 34 del d.lgs. 201/2011, atteso che, ai sensi del comma 7 dell’art. 9 della legge 247/2012, il titolo di avvocato specialista non comporta riserva di attività professionale e dunque la corrispondente disciplina regolamentare non incide sulla concorrenza.

La doglianza va respinta anche con riferimento all’ulteriore argomentazione di mancata acquisizione del parere sulla specifica previsione contenuta nell’art. 14 del regolamento, non risultando in alcun modo violate le previsioni di legge secondo cui il decreto ministeriale richiede la previa acquisizione del parere del Consiglio di Stato.

Come infatti riferito dagli stessi ricorrenti, il Consiglio di Stato, dopo aver esaminato lo schema di decreto, ha condiviso la finalità perseguita dal Ministero mediante la previsione di una disposizione transitoria e, nel rimettere all’amministrazione emanante la scelta delle modalità concrete a mezzo delle quali disciplinare l’ipotesi, ha sostanzialmente espresso una valutazione di astratta compatibilità di più modalità operative con i principi normativi oggetto dell’attuazione regolamentare.

Le spese di lite possono essere compensate in ragione della novità della questione.

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