TAR Venezia, sez. III, sentenza 2015-06-25, n. 201500718

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Venezia, sez. III, sentenza 2015-06-25, n. 201500718
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Venezia
Numero : 201500718
Data del deposito : 25 giugno 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00141/2015 REG.RIC.

N. 00718/2015 REG.PROV.COLL.

N. 00141/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 141 del 2015, proposto da:
F M, M C, L F, N B, T E, L G, A M, P B, U R, G T, M M, Comitato Lasciateci Respirare Onlus, rappresentati e difesi dagli avv. F A, M C, con domicilio eletto presso F A in Mestre-Venezia, Via Torino, 125;

contro

Regione Veneto, rappresentato e difeso per legge dagli avv. F C, E Z, domiciliata in Venezia, Cannaregio, 23;
Comune di Canda, Provincia di Rovigo, Azienda Ulss N. 18 Rovigo, A.R.P.A. - Padova;

nei confronti di

Biocalos S.r.l., rappresentato e difeso dagli avv. Mario Barioli, Mauro Ferruzzi, con domicilio eletto presso Mario Barioli in Venezia-Mestre, piazzetta Zorzetto, 1;

per l'annullamento

della Deliberazione della giunta Regionale del Veneto n. 2010 del 28.10.2014;


i verbali, i pareri espressi e gli esiti della conferenza di servizi del 30.05.2014 e dell' 8.08.2014;


il parere n. 3930 del 19.06.2014 reso dalla Commissione Tecnica Regionale Ambiente - CTRA, la D.G.R. Veneto n. 575 del 3.05.2013 di adeguamento della L.R. 10/1999 alla sopravvenuta normativa in materia di VIA


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Veneto e di Biocalos S.r.l.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 maggio 2015 il dott. Riccardo Savoia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

La società controinteressata gestisce dal 1999 un impianto di recupero mediante compostaggio di rifiuti organici non pericolosi.

Nel 2008 la ditta presentava un progetto di adeguamento e ampliamento dell’impianto che prevedeva tra i vari interventi anche la realizzazione di una sezione impiantistica di digestione anaerobica con recupero energetico mediante produzione di Biogas e cogenerazione di energia termica ed elettrica, autorizzato con delibera di giunta provinciale recante contestuale riconoscimento della compatibilità ambientale dell’impianto.

Con domanda del 2014 la ditta richiedeva alla regione Veneto il rilascio dell’autorizzazione all’installazione e l’esercizio di un impianto di cogenerazione dalla potenza elettrica di 999 kW e termica di 2,4 mega watt, da alimentarsi con il Biogas prodotto dalla sezione di digestione anaerobica dell’impianto di trattamento rifiuti dalla stessa gestito, infine rilasciata con il provvedimento impugnato da parte sia di abitanti residenti o proprietari di immobili ubicati nei pressi immediati dell’area di intervento in esame, nonché dal comitato “Lasciateci respirare ONLUS” costituito il 21 febbraio 2013, che ha quali finalità quelli della tutela e gestione dell’ambiente lendinarese e polesano, attività di opposizione a qualsiasi forma di inquinamento e nello specifico quello generato da bruciatori di ogni tipo”.

Si costituivano l’amministrazione e la controinteressata, osservando come l’impianto fosse già autorizzato e la modifica richiesta rientrasse nella potenza complessiva di quanto già verificato dall’amministrazione, eccedendo preliminarmente il difetto di legittimazione ad agire

All’odierna udienza dopo discussione la causa è stata trattenuta in decisione

In via preliminare va osservato che "Lasciateci respirare ONLUS" non ha titolo a proporre il ricorso in epigrafe.

In proposito è pertinente il richiamo alla recente sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 2 ottobre 2014 n. 4928 in cui si legge: "In tema di legittimazione di un comitato di cittadini per la protezione degli interessi ambientale, la giurisprudenza, che con indirizzo uniforme e consolidato ha originariamente ritenuto sicuramente legittimate le sole associazioni protezionistiche espressamente individuate con apposito decreto ministeriale ai sensi del combinato disposto degli artt. 13 e 18 della legge n. 349 del 1986, al fine di evitare il possibile configurarsi di un’azione popolare, ha progressivamente ammesso la possibilità di valutare per caso la legittimazione (ad impugnare i provvedimenti amministrativi i materia di ambiente e conseguentemente anche quella ad intervenire nei relativi giudizi) anche in capo ad associazioni locali (indipendentemente dalla loro natura giuridica), purché perseguano statutariamente in modo non occasionale obiettivi di natura ambientale, abbiano un adeguato grado di rappresentatività e stabilità ed abbiano altresì uno stabile collegamento con il territorio in cui è sito il bene che si assume leso (ex multis, Cons. St., sez. V, 14 giugno 2007, n. 3192;
17 luglio 2004, n. 5136;
sez. VI, 26 luglio 2001, n. 4123).

E’ stato sottolineato che ai fini della legittimazione non è sufficiente il solo scopo associativo a rendere differenziato un interesse diffuso o adespota, facente capo alla popolazione nel suo complesso, come quello della salvaguardia dell’ambiente, né l’astratta titolarità del diritto all’informazione ambientale, specie quando tale scopo associativo si risolve nell’utilizzazione delle finalità sociali ed ambientali per superare la carenza delle concrete ragioni di proposizione dell’azione giurisdizionale (Cons. St., sez. VI, 5 dicembre 2002, n. 6657;
sez. V, 9 dicembre 2013, n. 5881), fermo restando che la necessaria sussistenza del requisito dello stabile collegamento con il territorio esclude la legittimazione di quei comitati occasionali, costituiti cioè proprio ed esclusivamente al fine di ostacolare specifiche iniziative asseritamente lesive dell’ambiente o per impugnare specifici atti (Cons. St., sez. V, 18 aprile 2012, n. 2234;
sez. IV, 21 agosto 2013, n. 4233;
19 febbraio 2010, n. 1001) ".

Nel caso in esame l’ONLUS ricorrente risulta composto da pochissime persone – sei iscritti, ma tre presenti all’ultima riunione- ed è di recente costituzione, risultando assente dunque quel carattere di stabilità che la giurisprudenza richiede per riconoscere la legittimazione attiva dei comitati costituiti da cittadini per la protezione di interessi ambientali e ciò porta ad escludere che la ONLUS in questione sia legittimata ad agire nel presente giudizio.

Va invece riconosciuta la legittimazione ad agire in capo ai singoli soggetti che hanno proposto il ricorso insieme alla predetta.

Costoro fanno valere il criterio della vicinitas, in quanto residenti nel territorio comunale , in zone vicine all'impianto da realizzare o proprietari di immobili o titolari/legali rappresentanti di esercizi commerciali e aziende ubicati nelle medesime zone. Essi prospettano, in conseguenza della realizzazione dell'impianto, possibili danni sotto il profilo dell'inquinamento ambientale e quindi del diritto alla salute, nonché sotto il profilo della perdita di valore dei loro immobili (terreni agricoli ed edifici residenziali), tenuto anche conto della particolare posizione del Comune. A tal fine hanno prodotto relazioni tecniche in cui si prospetta un complessivo peggioramento della qualità della vita a causa, tra l'altro, di un consistente aumento del traffico, anche di automezzi pesanti, e del rumore.

Tali elementi inducono il Collegio a riconoscere che i predetti ricorrenti hanno titolo ad agire in giudizio contro gli atti impugnati;
e tale conclusione appare conforme all'orientamento della giurisprudenza laddove si sottolinea l'esigenza, in materia di tutela ambientale, di seguire "un approccio necessariamente non restrittivo all'individuazione della lesione che potrebbe astrattamente fondare l'interesse all'impugnazione: “sul punto, è sufficiente rammentare come - anche sotto la spinta del diritto europeo - la materia della tutela dell'ambiente si connoti per una peculiare ampiezza del riconoscimento della legittimazione partecipativa e del coinvolgimento dei soggetti potenzialmente interessati, come è dimostrato dalle scelte legislative in tema di partecipazione alle procedure di V.A.S. e V.I.A., di legittimazione all'accesso alla documentazione in materia ambientale, di valorizzazione degli interessi "diffusi" anche quanto al profilo della legittimazione processuale” (così Cons. Stato, IV, n. 2403/2014) ".

Il ricorso è fondato.

Tra le numerose e complesse censure formulate nel ricorso il Collegio ritiene decisiva e assorbente quella rubricata al n. III) con cui i ricorrenti hanno dedotto "Violazione e falsa applicazione dell'art. 4 della Direttiva 2011/92/UE del 13 dicembre 2011 del Parlamento Europeo "concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati", nonché dell'art. 4 della Direttiva. 2001/42/CE del Parlamento Europeo del 27 giugno 2001. Disapplicazione dell'art. 43 punto 2 lett. a) in relazione all'alt. B2 lett. e) della L.R. Toscana 12.02.2010 n.10, nonché dell'art. 6, comma 7, e dell'Allegato IV alla Parte Seconda del D.Lgs. n. 152 del 2006".

Con tale motivo i ricorrenti hanno sostenuto che la mancata effettuazione della valutazione di impatto ambientale in ordine al progetto relativo all'impianto contestato vizia il procedimento perché le disposizioni nazionali e regionali in materia di V.I.A., in base alle quali è stata omessa tale fase procedimentale, contrastano con la legislazione europea (direttiva 2011/92/UE), alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza 22 maggio 2013 n. 93. Di qui la richiesta di disapplicazione della normativa interna a cui è stata data attuazione nel caso in esame con riferimento alla V.I.A. e il conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati.

Con la citata sentenza n. 93/2013 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli allegati A1, A2, B1 e B2 alla legge regionale delle Marche n. 3 del 2012 nella parte in cui, nell’individuare i criteri per identificare i progetti da sottoporre a VIA regionale o provinciale ed a verifica di assoggettabilità regionale o provinciale, non prevedono che si debba tener conto, caso per caso, di tutti i criteri indicati nell’allegato III della direttiva 2011/92/UE, come prescritto dall’art. 4, paragrafo 3, della medesima. Tali criteri sono non solo la dimensione, ma anche altre caratteristiche dei progetti, ovvero il cumulo con altri progetti, l’utilizzazione di risorse naturali, la produzione di rifiuti, l’inquinamento ed i disturbi ambientali da essi prodotti, la loro localizzazione e il loro impatto potenziale con riferimento, tra l’altro, all’area geografica e alla densità della popolazione interessata.

La L.R. del Veneto n. 10 del 1999 ("Disciplina e contenuti delle procedure di valutazione di impatto ambientale (VIA)") presenta le medesime caratteristiche, per quanto qui interessa, facendo riferimento agli "Impianti termici per la produzione di energia elettrica, vapore e acqua calda con potenza termica complessiva superiore a 50 MW", distinguendo quindi gli impianti del genere indicato, ai fini delle procedure di valutazione, solo in base al criterio dimensionale.

Nel caso in esame si controverte della realizzazione di un impianto di cogenerazione elettrica alimentato da biomasse di potenza nominale pari a 999 kWe, dunque rientrante nei limiti (stabiliti dalle linee guida contenute nel D.M. 10 settembre 2010) previsti per l'applicazione della procedura abilitativa semplificata ex art. 6 del D.Lgs. n. 28/2011.

In relazione a un impianto di analogo tipo e potenza (da realizzare nel territorio di un Comune marchigiano) il Consiglio di Stato, sez. IV, ha affermato, nella sentenza 22 settembre 2014 n. 4727, che - anche a prescindere dagli effetti sulla legislazione regionale della citata sentenza della Corte costituzionale n. 93/2013 - "il giudice avrebbe dovuto, anche ex officio, porsi il problema della compatibilità costituzionale e comunitaria e, conseguentemente, dell’eventuale disapplicazione della normativa in esame, statuente l’esenzione da Via per gli impianti di potenza inferiore ad una data soglia. In proposito, si deve rilevare come, infatti, a fondare la tesi della doverosità della V.I.A. concorrano i principi di precauzione e dell’azione preventiva, propri del diritto comunitario, sanciti all’art. 191 del T.F.U.E., ove il legislatore, nell’affermare che “la politica della Comunità in materia ambientale mira ad un elevato livello di tutela (...)”,induce a ritenere che la V.I.A. non possa, certamente, escludersi sulla semplice base della soglia di potenza. Ogni normativa contrastante con la normativa comunitaria in materia ambientale che impone la V.I.A. quale provvedimento volto a valutare la compatibilità degli insediamenti produttivi con le esigenze di tutela dell’ecosistema doveva pertanto essere disapplicata". Il Consiglio di Stato ha altresì precisato: "non vale ad escludere la doverosità della valutazione de qua la circostanza, prospettata dall’appellante, che il progetto fosse, comunque, conforme alle prescrizioni della direttiva n.92/11 UE, essendo stati esaminati nel progetto e valutati nella Conferenza di servizi, nonché nel provvedimento finale, tutti gli aspetti, esplicitamente, elencati all’All. III della direttiva stessa. La V.I.A. è, infatti, un procedimento dalla caratteristiche peculiari, che conduce ad una valutazione altrettanto peculiare, non desumibile aliunde, nemmeno, si noti, dalla circostanza che, nella fattispecie concreta, sussistano tutti i requisiti richiesti, i quali mediante la V.I.A. sarebbero, dunque, meramente da accertare".

Le argomentazioni di cui sopra sono state ribadite dalla medesima Sezione nelle sentenze di pari data n. 4729 e n. 4730, anch’esse relative a impianti analoghi per tipo e potenza a quello di cui si controverte nel presente giudizio, il cui progetto non è stato sottoposto a V.I.A. perché al di sotto della soglia di potenza fissato dalla legislazione regionale, prescindendo dagli altri criteri individuati dalla normativa europea di settore (direttiva 2011/92/UE). Sussiste quindi anche in questo caso il contrasto tra la legislazione interna applicata e detta normativa europea (già rilevato dalla Corte costituzionale con riferimento alla legislazione regionale delle Marche) che ha indotto il Consiglio di Stato, nelle sentenze citate, a riconoscere come doverosa, da parte del giudice amministrativo, la disapplicazione della norma interna.

In relazione a quanto sopra risultano fondate le censure formulate in proposito dai ricorrenti;
il ricorso merita perciò accoglimento e, conseguentemente, i provvedimenti impugnati devono essere annullati.

La particolarità della vicenda e la novità delle questioni affrontate giustificano l'integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio.

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