TAR Genova, sez. II, sentenza 2024-05-09, n. 202400334

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Genova, sez. II, sentenza 2024-05-09, n. 202400334
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Genova
Numero : 202400334
Data del deposito : 9 maggio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 09/05/2024

N. 00334/2024 REG.PROV.COLL.

N. 00663/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 663 del 2023, proposto da
F C, rappresentato e difeso dagli avvocati G G ed E G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio degli stessi in Genova, via Roma 11/1;

contro

il Comune di Santa Margherita Ligure, rappresentato e difeso dall'avvocato E B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento

del provvedimento dirigenziale 16 ottobre 2023 P.E. 23-657, avente ad oggetto rigetto dell’istanza per il rilascio di permesso di costruire.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Santa Margherita Ligure;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 marzo 2024 il dott. Angelo Vitali e uditi per le parti i difensori, come specificato nel verbale di udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il ricorso in epigrafe il signor F C espone: - di aver presentato al Comune di Santa Margherita Ligure, in data 3.8.2023, un progetto che, ai sensi della L.R. n. 49/2009 (Piano Casa), prevedeva, senza alcun aumento di volume, la demolizione integrale di un edificio residenziale incongruo e la ricostruzione di una sola sua porzione su un'area di proprietà in zona PBS secondo il vigente PRG;
- che il progetto conseguiva l’autorizzazione paesaggistica;
- che, con atto 13 settembre 2023, il Comune indicava i motivi ritenuti ostativi alla approvazione del progetto, consistenti nella ritenuta necessità di una variante di PRG in quanto, in zona PBS, l'art. 51 delle norme di attuazione del PRG non consente nuove costruzioni (non potendosi qualificare l'intervento di demolizione con ricostruzione fuori sito come ristrutturazione edilizia, massimo intervento ammesso dal PRG in zona PBS);
- che egli presentava, in data 21 settembre 2023, memoria ex art. 10- bis L. 241/1990, illustrando le ragioni che, a suo avviso, dovevano far ritenere non necessaria alcuna variante al PRG di approvazione regionale;
- che, con provvedimento 15.10.2023, n. P.E. 23-657, il Comune di Santa Margherita Ligure ha definitivamente respinto l’istanza di permesso di costruire, a motivo del fatto che l’intervento, da definirsi come di nuova costruzione, non sarebbe ammesso nella zona urbanistica PBS (dove S sta per “satura” sotto il profilo insediativo), di atterraggio della volumetria ricavata dalla demolizione.

Impugna l’atto di diniego e, a sostegno del gravame, con un unico motivo di ricorso deduce: Violazione e falsa applicazione dell'art. 6, comma 4, L.R. n. 49/2009. Difetto di istruttoria e di motivazione. Difetto di presupposto. Illogicità. Incompetenza. Sviamento.

Sostiene: - che, in realtà, per gli interventi di delocalizzazione al di fuori del sito, la disposizione di cui all'art. 6, comma 4, L.R. n. 49/2009 esclude espressamente la necessità di una previa variante di approvazione regionale per gli edifici suscettibili di riqualificazione urbanistica, architettonica e/o ambientale in quanto “ricadono in aree in cui i vigenti piani urbanistici comunali prevedano già la possibilità di interventi comportanti demolizione e ricostruzione con incremento della volumetria originaria” (art. 2 comma 1 lett. c) n. 2);
- che, per non rendere necessaria una variante di approvazione regionale, non è dunque richiesto che nell'area di atterraggio il PRG/PUC consenta la nuova costruzione, come preteso dal Comune, ma è necessario e sufficiente che siano ammessi interventi di demo-ricostruzione con aumento della volumetria originaria dei fabbricati;
- che, nel caso di specie, la disciplina dell’area di atterraggio (art. 51 delle norme di attuazione del PRG) ammette la demo-ricostruzione dei fabbricati previsti in zona, anche con aumento di volume fino al 10%, sicché la corretta qualificazione dell’intervento è irrilevante ai fini dell’assentimento del titolo;
- che, in ogni caso, gli interventi di demo-ricostruzione fuori sito (su diverso sedime e con sagoma diversa) rientrano tra quelli di ristrutturazione edilizia, secondo la definizione di cui all'art. 3, comma 1, lett. d), del T.U. Edilizia.

Del resto, ove il Comune ritenesse necessaria una variante, in luogo di rigettare l’istanza avrebbe dovuto rimettere la questione all'organo collegiale competente a valutare se adottare o meno la variante ritenuta necessaria, per poi inviare eventualmente gli atti alla Regione.

Si è costituito in giudizio per resistere al ricorso il Comune di Santa Margherita Ligure, preliminarmente eccependo l’inammissibilità del ricorso, in quanto la qualificazione dell’intervento in termini di nuova costruzione non consentita risalirebbe ad un parere vincolante emesso dal Comune ai sensi dell’art. 35, comma 3, L.R. 16/2008, non fatto oggetto di impugnazione.

Nel merito, il Comune sostiene: - che l’intervento non potrebbe essere qualificato (come invece ritenuto dall’istante) come ristrutturazione edilizia, in quanto l’edificio da ricostruire, collocandosi in zona diversa, perderebbe ogni rapporto con il manufatto bisognoso di riqualificazione, salva la sola conservazione della volumetria complessiva da sfruttare a vantaggio di un organismo edilizio totalmente nuovo;
- che, dunque, si tratterebbe di un intervento di nuova costruzione, non ammesso in zona urbanistica PBS;
- che, qualora si ammettesse la possibilità di aumentare la capacità insediativa nella zona PBS con interventi di demolizione e ricostruzione ai sensi della disciplina derogatoria ed eccezionale del c.d. Piano Casa richiesta dal ricorrente (peraltro “fuori sito”), il Comune si troverebbe a veder elusa la propria pianificazione urbanistica, con un profondo squilibrio tra le zone, mediante un esodo dalle aree dotate di capacità insediativa e di minor pregio verso zone incapaci di accoglierla (cita a conforto Cons. di Stato, IV, 4.2.2021, n. 1047 e Tar Sicilia Palermo, II, 20.7.2023, n. 2409);
- che, dunque, l’intervento del ricorrente sarebbe assentibile solo previa variante urbanistica, ma che non ricorrerebbe alcun interesse pubblico alla modificazione del piano urbanistico.

Alla pubblica udienza del 27 marzo 2024 il ricorso è stato trattenuto dal collegio per la decisione.

DIRITTO

L’eccezione preliminare di inammissibilità è infondata.

Ai sensi dell’art. 35 comma 3 della L.R. n. 16/2008, “Il proprietario dell'immobile o chi abbia titolo alla presentazione del permesso di costruire ha facoltà di richiedere allo SUE una valutazione preliminare sull'ammissibilità dell'intervento, allegando una relazione predisposta da un professionista abilitato, contenente i principali parametri progettuali. La valutazione preventiva è effettuata mediante parere da rendere entro il termine massimo di quarantacinque giorni dalla presentazione della relativa istanza. I contenuti della valutazione preventiva sono vincolanti ai fini della presentazione del permesso di costruire a condizione che il progetto sia elaborato in conformità alle risultanze del parere” .

L’ultimo periodo - ancorché in forma non proprio perspicua - intende affermare che la valutazione preventiva “positiva” di ammissibilità vincola il SUE al successivo rilascio del titolo edilizio, a patto che il progetto poi effettivamente presentato sia conforme a quello ritenuto ammissibile, secondo un meccanismo analogo a quello stabilito dall’art. 11 della legge 27.7.2000, n. 212 (statuto dei diritti del contribuente) per l’interpello dell’amministrazione finanziaria, laddove però è chiaramente specificato, al comma 7, che “La risposta alla istanza di interpello [ove negativa, n.d.r.] non è impugnabile” .

Nel caso di specie, in disparte il fatto che difetta una valutazione “di ammissibilità”, è dirimente il rilievo che il parere preliminare ex art. 35 L.R. n. 16/2009 (doc. 2 delle produzioni 17.11.23 di parte comunale) concerneva un progetto complessivo diverso da quello oggetto del diniego impugnato, in quanto contemplava la successiva ricostruzione di due fabbricati in luogo di uno solo, e che il S.U.E. si è espressamente rifiutato di scindere la valutazione preliminare di ammissibilità del progetto in due parti.

Dunque, poiché l’istanza di permesso di costruire denegata concerne un progetto diverso (l’assentimento del quale costituisce il cosiddetto “bene della vita”, ovvero l’interesse legittimo azionato) da quello sul quale era stato espresso il parere ex art. 35 L.R. n. 16/2008, non può certo ritenersi che la valutazione preventiva di inammissibilità costituisse un arresto procedimentale immediatamente incidente sulla sfera del destinatario, in quanto definitivamente preclusivo del conseguimento del titolo edilizio ambito.

Ciò posto, le tesi del ricorrente, ancorché suggestive ed abilmente argomentate, sono infondate.

La controversia concerne la corretta interpretazione dell’art. 6, comma 4, L.R. sul piano casa n. 49/2009, a mente del quale “Gli interventi di ricostruzione di cui ai commi 1 e 1-bis che prevedano la delocalizzazione dell'edificio al di fuori del sito e si pongano in variante alla vigente strumentazione urbanistica comunale o in contrasto con le previsioni dei piani urbanistici operanti in salvaguardia, con esclusione degli interventi ricadenti nella fattispecie di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c), n. 2), sono assentibili dal Comune previa approvazione da parte della Regione delle varianti concernenti parametri diversi da quelli dell'incremento volumetrico di cui ai commi 1 e 1-bis”.

Il ricorrente sostiene che, poiché gli interventi di cui all’art. 2, comma 1, lettera c), n. 2) – che, secondo l’art. 6 comma 4, fanno eccezione alla necessità della variante urbanistica – sono quelli che “ricadono in aree in cui i vigenti piani urbanistici comunali prevedano già la possibilità di interventi comportanti demolizione e ricostruzione con incremento della volumetria originaria” , e poiché la disciplina dell’area di atterraggio (art. 51 delle norme di attuazione del PRG) ammette già la demo-ricostruzione dei fabbricati previsti in zona con aumento di volume fino al 10%, nel caso di specie non sarebbe necessaria una variante, ed il progetto sarebbe assentibile in diretta applicazione della L.R. n. 49/2009, in deroga al PUC.

Il Comune sostiene invece che, poiché l’area di delocalizzazione PBS di atterraggio della volumetria è “satura”, l’intervento non potrebbe assentirsi senza previa approvazione di una variante al PUC, pena un inammissibile vulnus alla pianificazione urbanistica vigente.

Giova prendere le mosse dalla natura sicuramente eccezionale della legge regionale sul piano casa n. 49/2009, le cui disposizioni, nella parte in cui ammettono (cfr. artt. 1 comma 2 e 6 comma 3 lett. a L.R. n. 49/2009) interventi di demolizione con ricostruzione con possibilità di incremento volumetrico fino al 35% in deroga alla disciplina dei piani urbanistici vigenti e operanti in salvaguardia, soffrono necessariamente di una interpretazione restrittiva ex art. 14 disp. prel. cod. civ. (cfr. T.A.R. Liguria, II, 7.3.2022, n. 188).

Difatti, per principio generale – quello cui, per l’appunto, la L.R. n. 49/2009 fa eccezione – il rilascio di un permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali quanto a limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati, è possibile soltanto per la realizzazione di edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del consiglio comunale (cui spetta la valutazione circa la sussistenza di un interesse pubblico - art. 14 commi 1 e 3 del D.P.R. n. 380/2001).

Ciò premesso, si può convenire con il difensore del ricorrente allorché afferma l’irrilevanza, ai fini della questione che ci occupa, della corretta qualificazione giuridica di un intervento di demolizione e ricostruzione “fuori sito” secondo i tipi di cui all’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001, ovvero se esso integri una ristrutturazione “pesante” ovvero una nuova costruzione, posto che in ogni caso l’intervento è subordinato al rilascio di permesso di costruire (art. 10 comma 1 lett. a) e c) del D.P.R. n. 380/2011).

Nondimeno, vale la pena di osservare come la giurisprudenza del Tribunale si fosse già in passato orientata nel senso che un intervento edilizio, anche se ammesso ai sensi dell'art. 6 L. n. 49 del 2009, consistente nella demolizione e successiva ricostruzione con diversa sagoma e diversa volumetria, integri gli estremi della nuova costruzione e non della ristrutturazione mediante demolizione e successiva ricostruzione, a prescindere dall'espressa qualificazione normativa in termini di sostituzione edilizia (cfr. Tar Liguria, I, 4.11.2014, n. 1539;
id., 27 giugno 2013 n. 966).

Si tratta di una giurisprudenza formatasi sulla vecchia definizione di ristrutturazione edilizia, che – a differenza di oggi - escludeva senz’altro dall’ambito della ristrutturazione gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti e sedime (art. 3 comma 1 lett. d) del D.P.R. n. 380/2001).

La questione, a partire dal 30 giugno 2017 (data di entrata in vigore della L.R. 28 giugno 2017, n. 15), è stata definitivamente risolta dalla legislazione regionale, che, all’art. 14 della L.R. n. 16/2008, definisce di nuova costruzione gli interventi di sostituzione edilizia consistenti nella demolizione e successiva ricostruzione di edifici esistenti che necessitano di riqualificazione sotto il profilo urbanistico, paesistico, architettonico ed ambientale, e comportanti eventuale incremento della volumetria originaria, avendo cura di precisare (comma 2- bis ) che “gli interventi di nuova costruzione consistenti nell'ampliamento all'esterno della sagoma fino al 20 per cento sono assentibili senza applicazione dell'indice di edificabilità previsto dai piani urbanistici” , in coerenza con l’analoga definizione della ristrutturazione “pesante”, che parimenti ammette ampiamenti volumetrici entro soglie percentuali determinate dai piani urbanistici, comunque non eccedenti “il 20 per cento del volume geometrico” (cfr. art. 10 comma 2 lett. f) L.R. n. 16/2008) .

Prescindendo per un momento dalla fattispecie concreta (l’intervento de quo agitur non prevede incremento volumetrico), e concentrandoci sull’interpretazione della fattispecie astratta di cui all’art. 6 comma 4 L.R. n. 49/2009, risulta chiaro - a questo punto - in cosa consista la possibile deroga ex lege ai piani urbanistici, e quando invece si renda necessaria una variante.

Posto infatti che nei casi di “sostituzione edilizia” - in sito o fuori sito - la legge regionale ammette ordinariamente incrementi di volumetria fino ad un massimo del 20% “senza applicazione dell'indice di edificabilità previsto dai piani urbanistici” , il beneficio straordinario concesso una tantum dalla legge regionale sul piano casa consiste esclusivamente nell’ammettere incrementi volumetrici fino al 35%, in deroga alle minori percentuali ammesse dagli strumenti urbanistici vigenti.

Dunque, in disparte la perplessità e l’incertezza del rinvio operato dall’art. 6 comma 4 L.R. n. 49/2009 all’art. 2 comma 1, lettera c), n. 2) - cioè ad una definizione che, concernendo gli edifici “suscettibili di riqualificazione urbanistica, architettonica e/o ambientale” , pare piuttosto letteralmente riferirsi all’edificio da demolire e, dunque, alla zona ed alla disciplina urbanistica di decollo dei volumi - l’esclusione dalla necessità di variante per “gli interventi ricadenti nella fattispecie di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c), n. 2)” consente di operare “in deroga” laddove l’incremento volumetrico ammesso dal PUC per gli interventi di sostituzione edilizia sia inferiore a quello consentito dalla L.R. sul piano casa (fino al 35 per cento).

Depone chiaramente in questo senso anche l’inciso finale dell’art. 6 comma 4, laddove chiarisce che gli interventi di ricostruzione fuori sito “sono assentibili dal Comune previa approvazione da parte della Regione delle varianti concernenti parametri diversi da quelli dell'incremento volumetrico di cui ai commi 1 e 1-bis” (che, per l’appunto, è l’unico derogabile ex lege ).

V’è da chiedersi, a questo punto, quid iuris nel caso in cui il progetto preveda - come nel caso di specie (da D2 a PBS) - la ricostruzione dell’immobile demolito in una zona territoriale omogenea diversa, con diversi limiti “inderogabili” di densità edilizia di cui al D.M. 2 aprile 1968, n. 1444.

Orbene, è opinione del collegio che la eccezionale disposizione derogatoria di cui all’art. 6 comma 4 della L.R. n. 49/2009 implichi e presupponga, ai fini della esclusione della variante - altrimenti necessaria - che il decollo dei volumi da demolire ed il loro atterraggio avvengano nell’ambito della medesima zona territoriale omogenea: l’espressione “delocalizzazione al di fuori del sito” di cui all’art. 6 comma 4 L.R. n. 49/2009 evoca coordinate “di fatto” meramente spaziali e significa, letteralmente, soltanto ricostruzione dell’edificio su di un altro appezzamento di terreno posto ad una distanza “superiore a 50 metri rispetto al sedime originario dell'edificio” (art. 2 lett. f- bis L.R. n. 49/2009), non certo in una distinta zona territoriale omogenea, che è un concetto “di diritto” ben diverso, che ha un significato “proprio” ex art. 12 comma 1 disp. prel. cod. civ. ed attiene alla idoneità “giuridica” dell’area (cfr. l’art. 17 della legge 6.8.1967, n. 765 e l’art. 2 del D.M. 2.4.1968).

La qual cosa, tra l’altro, spiegherebbe agevolmente anche la (a questo punto, apparente) imprecisione del rinvio operato dall’art. 6 comma 4 alla fattispecie di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c), n. 2) della L.R. n. 49/2009, stante l’indifferenza del richiamo alla zona urbanistica di decollo o di atterraggio dei volumi, ove se ne predichi l’omogeneità quanto a limiti di densità edilizia: nel caso di demolizione e ricostruzione di volumi “fuori sito”, ma nella medesima zona o ambito omogenei, ai fini della densità edilizia della zona urbanistica si tratta sempre di un’operazione “a somma zero” (tanto demolito, tanto ricostruito), salvo soltanto l’eventuale incremento volumetrico una tantum , operante in deroga.

Dunque, riassumendo:

- la demolizione con ricostruzione “fuori sito” ex art. 6 comma 4 L.R. n. 49/2009 costituisce sempre nuova costruzione, e, se posta in essere nell’ambito della medesima zona urbanistica, consente in deroga anche incrementi volumetrici fino al 35%, in eccedenza alla percentuale minore ammessa dalla pertinente disciplina urbanistica per la sostituzione edilizia, senza necessità di approvazione di una variante sul punto;

- la demolizione con ricostruzione “fuori sito”, ma in una zona territoriale non omogenea rispetto a quella di decollo, postula invece il venir meno di ogni e qualsiasi traccia o rapporto con il precedente edificio (cfr. Cons. di St., II, 6.4.2020, n. 2304), anche sotto il profilo della zonizzazione ex art. 2 D.M. 2.4.1968, sicché l’intervento di nuova costruzione sconta la relativa disciplina urbanistica in punto di densità edilizia della zona di atterraggio.

Del resto, a ben vedere, è la stessa legge regionale n. 16/2008, all’art. 14 comma 2 lett. a) ultimo periodo, a confermare tale ricostruzione, posto che, negli interventi di sostituzione edilizia, “La ricostruzione può essere prevista nello stesso lotto di proprietà, ovvero nella zona o ambito omogeneo in cui è localizzato l'immobile originario, o in altra specifica zona o ambito individuati come idonei dallo strumento urbanistico e comunque in conformità alle indicazioni del vigente PTCP” .

Il che equivale a dire: 1) che la ricostruzione può essere prevista anche al di fuori del lotto di proprietà (fuori sito), ma nella medesima zona o ambito territoriale omogeneo in cui è localizzato l'immobile originario: in tal caso, qualora non vi sia incremento volumetrico (ammesso in deroga dalla L.R. n. 49/2009), nulla questio , in quanto la zona omogenea non registrerà neppure aumenti del carico insediativo (demolito = ricostruito);
2) che, se invece la ricostruzione è effettuata, oltre che fuori sito, anche al di fuori della zona o ambito territoriale omogeneo in cui è localizzato l'immobile originario, essa deve avvenire in altra specifica zona o ambito individuati come “idonei” dallo strumento urbanistico, cioè a dire in zone che ammettono una residua potenzialità edificatoria: in tal caso, infatti, la zona urbanistica di atterraggio registrerà sempre e comunque un aumento del carico insediativo, pari, nel minimo (cioè, anche al netto di eventuali incrementi volumetrici) al 100% dei volumi demoliti in altra zona urbanistica non omogenea.

Ulteriore e definitiva conferma si trae dalla disciplina recata dall’art. 29- ter (inserito dall’art. 34, comma 1, L.R. 2 aprile 2015, n. 11, e significativamente rubricato: Riqualificazione edilizia o urbanistica e credito edilizio) della legge regionale n. 36/1997 sui cosiddetti “crediti edilizi”, che vale la pena di riportare: “1. Il PUC può individuare negli ambiti e nei distretti di trasformazione gli edifici o complessi di edifici esistenti suscettibili di riqualificazione edilizia o urbanistica caratterizzati da: a) condizioni di rischio idraulico o di dissesto idrogeologico;
b) condizioni di incompatibilità per contrasto con la destinazione d'uso dell'ambito o del distretto di trasformazione o per la tipologia edilizia;
c) situazioni di degrado strutturale, funzionale od igienico-sanitario che richiedono un insieme sistematico di opere od interventi;
d) situazioni di interferenza con la previsione di realizzazione di servizi pubblici o di infrastrutture pubbliche.

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