TAR Torino, sez. II, sentenza 2024-03-12, n. 202400264

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Torino, sez. II, sentenza 2024-03-12, n. 202400264
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Torino
Numero : 202400264
Data del deposito : 12 marzo 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 12/03/2024

N. 00264/2024 REG.PROV.COLL.

N. 00764/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 764 del 2017, proposto da Vema s.r.l. (Già Fravema S.r.l.), in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati A G e P P G, con domicilio digitale come da PEC risultante dal Registro di Giustizia;

contro

Comune di Moretta, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati T B e F T, con domicilio digitale come da PEC risultante dal Registro di Giustizia;

per l’annullamento:

- della convenzione di PEC 24.11.2003 n. 20 nella parte in cui - all’articolo 26 derubricato “ Norma derogatoria ” - ha imposto alla parte proponente il versamento del corrispettivo derivante dal computo metrico allegato per un totale complessivo di €. 287.254,08, a fronte dell’impegno dell’Amministrazione comunale di procedere alla realizzazione diretta della “ pavimentazione della nuova Piazza e della relativa illuminazione e arredo urbano della stessa, compreso il porticato di collegamento tra il fabbricato A e il fabbricato B ”, per inadempimento del Comune di Moretta alle obbligazioni assunte;

- con ogni conseguente effetto e, in ogni caso, con il diritto al risarcimento dei danni subiti e subendi.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Moretta;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 novembre 2023 la dott.ssa Stefania Caporali e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La società Vema s.r.l. ha proposto ricorso per la risoluzione della convenzione di PEC del 24.11.2003 n. 20 nella parte in cui - all’articolo 26 derubricato “ Norma derogatoria ” - ha imposto alla parte proponente il versamento del corrispettivo (per un totale complessivo di € 287.254,08) derivante dal computo metrico alla medesima allegato, a fronte dell’impegno dell’Amministrazione comunale di procedere alla realizzazione diretta della “ pavimentazione della nuova Piazza e della relativa illuminazione e arredo urbano della stessa, compreso il porticato di collegamento tra il fabbricato A e il fabbricato B ”, per inadempimento del Comune di Moretta alle obbligazioni assunte, con ogni conseguente effetto e, in ogni caso, con il diritto al risarcimento dei danni subiti e subendi.

La ricorrente, in particolare, ha dedotto di aver stipulato con il Comune di Moretta una convenzione urbanistica - rep. 42453/racc. 18512 - avente a oggetto il piano esecutivo convenzionato n. “20” per l’utilizzazione edilizia ed urbanistica del lotto, all’epoca in proprietà della società, censito al N.C.E.U. del Comune di Moretta al foglio 12, mappali 1063, 1064, 1065, 1066, 1067, 1069, 1070, 1071, 1072, 1073, 1074, 1077.

La società Vema s.r.l. ha inoltre dedotto di aver ceduto le aree previste per le opere di urbanizzazione secondaria e di aver realizzato le opere di urbanizzazione primaria indicate nel PEC, oltre ad aver integralmente corrisposto il contributo di costruzione previsto per gli interventi progettati.

Il progetto di PEC in questione prevede anche la realizzazione di una nuova piazza interna all’edificato, da collegare funzionalmente a Piazza del Castello (doc. 3 di parte ricorrente) e la relazione tecnica al progetto ha individuato e descritto le caratteristiche della suddetta piazza (“ il progetto prevede per la piazza un andamento rettangolare scandito da un porticato architravato posto al piano terra dei due fabbricati (quello ristrutturato e quello nuovo) ”, con indicazione dei materiali richiesti per la pavimentazione, l’area verde, l’illuminazione e l’arredo urbano (cfr. all. A al PEC, doc. 4 di parte ricorrente).

L’art. 26 della convenzione stipulata dalla società Vema s.r.l. e dal Comune di Moretta stabilisce che: “ in ragione della volontà espressa dell’Amministrazione Comunale di procedere alla realizzazione diretta della pavimentazione della nuova Piazza e della relativa illuminazione ed arredo urbano della stessa compreso il porticato di collegamento tra il fabbricato A ed il fabbricato B si stabilisce convenzionalmente che la parte proponente verserà all’Amministrazione comunale il corrispettivo derivante dal computo metrico ”, per un totale di euro 287.254,08, da versare in tre rate.

La ricorrente deduce quindi di aver versato all’amministrazione i seguenti importi:

-in data 09.02.2009 la somma di euro 191.502,72 (doc. 6 di parte ricorrente);

- in data 19.10.2009 la somma di euro 95.751,36 (doc.7 di parte ricorrente).

Espone ancora la ricorrente che il Comune ha realizzato una nuova piazza del tutto difforme da quella prevista nel progetto di PEC (doc. 8 di parte ricorrente), essendo state costruite opere diverse e minori rispetto a quelle previste. In conseguenza, con lettera raccomandata a.r. del 21.04.2016, la società ha contestato al Comune l’inadempimento alla convenzione de qua , ha evidenziato l’intervenuta decadenza del PEC a far data dal 24.11.2013 e ha richiesto la restituzione della somma di euro 287.254,08, oltre interessi.

La società Vema s.r.l., nel proprio ricorso, dà atto che con deliberazione della Giunta Comunale n. 91 del 12.06.2012, il Comune ha approvato il progetto definitivo dei lavori, per un importo di euro 350.000,00 e che, tuttavia, dalla relazione tecnica allegata si evince che l’intervento in questione ha escluso la realizzazione del porticato coperto di collegamento tra i due edifici posti ad est e a ovest. Inoltre, con successiva delibera n. 102 del 3.07.2013 la Giunta Comunale ha approvato un nuovo progetto preliminare delle opere, predisposto dall’ufficio tecnico comunale, riducendo l’importo delle opere in questione a euro 75.000,00, destinato a una mera sistemazione a verde della piazza. Successivamente, con deliberazione n. 105 del 24.07.2013, la Giunta Comunale ha poi approvato il nuovo progetto definitivo delle opere di realizzazione dello spazio pubblico pedonale “Piazza Salina”, confermando il suddetto importo di euro 75.000,00. Sono poi state definite e affidate alla società “Dafne Costruzioni s.r.l.” di Torino le “opere connesse” per un importo di euro 25.760,00.

La piazza in questione è stata, da ultimo, denominata “Piazza Europa”.

La società ricorrente, alla luce delle suddette delibere comunali, ha dunque dedotto che le “ opere compiute dal Comune non corrispondono - neppure in minima parte - al progetto di PEC approvato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 33 del 25.9.2003;
e neppure vi è coincidenza con le opere riportate nel computo metrico estimativo approvato e allegato alla convenzione urbanistica 24.11.2003, opere che la ricorrente ha invece anticipatamente pagato al Comune perché le realizzasse direttamente
” (cfr. p. 8 del ricorso).

Stante l’inadempimento dell’amministrazione alle obbligazioni convenzionali, la società ha dunque adito questo TAR per chiedere la risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c. della convenzione di PEC del 24.11.2003, nella parte in cui ha previsto a carico del soggetto privato proponente il SUE, di anticipare gli importi quantificati per la realizzazione diretta di piazza Europa da parte del Comune di Moretta e con richiesta di ripetizione delle somme versate per la realizzazione di tali interventi, non effettuati, pari a euro 287.254,08 e, in ogni caso, con richiesta di risarcimento del danno subito.

In subordine, la società ha chiesto la condanna del Comune al pagamento di quanto conseguito dal comune di Moretta a titolo di indebito arricchimento ex art. 2041 c.c..

In via di ulteriore subordine, la società Vema s.r.l. ha poi chiesto “ la condanna del Comune di Moretta - a titolo di indebito arricchimento - alla restituzione delle somme commisurate al costo delle opere di urbanizzazione non eseguite” (cfr. p. 13 del ricorso) .

Si è costituito in giudizio il Comune di Moretta per chiedere il rigetto del ricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 73 d. lgs. n. 104/2010 e hanno chiesto il passaggio in decisione della causa, senza previa discussione orale.

All’udienza del 23.11.2023 il Collegio ha trattenuto la causa in decisione.

DIRITTO

Il ricorso è fondato nei termini che seguono.

Con il primo motivo la ricorrente ha chiesto la risoluzione della convenzione, limitatamente all’art. 26, con conseguente diritto alla restituzione di quanto pagato come corrispettivo per l’esecuzione diretta da parte del Comune delle opere specificate in tale clausola.

Il motivo merita accoglimento.

Risulta in via documentale che la società ricorrente ha stipulato con il Comune di Moretta una convenzione per la realizzazione di opere in attuazione del Piano Esecutivo, contenente - all’art. 26 - una norma derogatoria che prevede la realizzazione della pavimentazione, illuminazione e arredo (compreso il porticato di collegamento tra il fabbricato A e il fabbricato B) di piazza Europa direttamente da parte dell’amministrazione (cfr. doc. 2 di parte ricorrente).

Le parti hanno convenzionalmente stabilito, con riferimento alla suddetta piazza, che “ la parte proponente verserà all’Amministrazione comunale il corrispettivo derivante dal computo metrico … pari a un totale complessivo di Euro 287.254,08” (cfr. pp. 36-37 della convenzione, doc. 2 di parte ricorrente).

A fronte di tale pattuizione risulta pacifico (perché ammesso dallo stesso Comune a pag. 6 della memoria ex art. 73 d. lgs. n. 104/2010 “ Venendo meno la possibilità di esecuzione diretta di dette opere” ) che le opere effettivamente realizzate in esecuzione del citato art. 26 della convenzione non corrispondono al progetto di PEC approvato, né a quelle riportate nel computo metrico estimativo approvato e allegato alla convenzione urbanistica 24.11.2003 (cfr. docc.ti 4-5 di parte ricorrente), nonostante l’intervenuto pagamento anticipato della somma pattuita da parte della società ricorrente (cfr. docc.ti 6-7 di parte ricorrente).

Stante la difformità tra quanto pattuito e quanto realizzato, la società ricorrente chiede la risoluzione della convenzione, limitatamente all’art. 26.

Il Comune eccepisce, in via preliminare, l’inammissibilità della richiesta risoluzione in parte qua sul rilievo che il rimedio azionato dovrebbe necessariamente investire l’intero impianto della convenzione, non potendo focalizzarsi solo su un suo specifico patto.

L’eccezione non merita accoglimento.

Sul punto è sufficiente richiamare il consolidato orientamento che applica i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti alle convenzioni urbanistiche: “ Giova rammentare che, con specifico riferimento alle convenzioni urbanistiche, la giurisprudenza amministrativa ha riconosciuto l’attitudine di tali accordi amministrativi a costituire (anche) fonte di obbligazioni civilistiche, affermando che, per l’ipotesi di inadempimento della parte privata o, come in questo caso, della parte pubblica, sono praticabili tutti i rimedi offerti dall’ordinamento ad un creditore che derivi la sua posizione da un contratto di diritto privato per poter realizzare coattivamente il proprio interesse. Granitica giurisprudenza precisa, anzi, che i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti sono certamente applicabili alle convenzioni urbanistiche (Consiglio di Stato, IV, 7 marzo 2018, n. 1475;
T.A.R. Lombardia, Milano, II, 5 marzo 2021, n. 610;
23 giugno 2020, n. 1166;
3 aprile 2014, n. 879).

Deve dunque ritenersi proponibile dinanzi al giudice amministrativo l’azione civilistica di risoluzione dell’accordo e di risarcimento del danno, anche senza il previo esperimento dell’azione di annullamento ( ex multis , cfr. Cons. Stato, IV, 4 maggio 2010, n. 2568;
T.A.R. Toscana, sez. III, 14 febbraio 2020, n. 196;
T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 8 gennaio 2021, n. 257;
T.A.R. Veneto, sez. II, 12 giugno 2019, n. 693;
T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 7 agosto 2019, n. 4308;
T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 11 giugno 2010, n. 1800).

L’applicazione in specie dei canoni civilistici implica che, in considerazione della struttura oggettivamente complessa della convenzione, può esserne richiesta la risoluzione limitatamente alla specifica pattuizione per cui è causa, che, pur preordinata alla comune finalità di attuazione del piano, per il suo carattere aggiuntivo e derogatorio, si connota di autonomia funzionale rispetto alle restanti parti della convenzione (si veda Cassazione civile sez. III, 16/11/2020, n. 25845 per cui: “ la risoluzione parziale del contratto, esplicitamente prevista dall'articolo 1458 del codice civile per i contratti a esecuzione continuata o periodica, è possibile anche per il contratto a esecuzione istantanea, quando il relativo oggetto sia rappresentato […] non da un'unica cosa infrazionabile, ma da più cose aventi propria individualità, quando, cioè, ciascuna di queste, separata dal tutto, mantenga un'autonomia economico-funzionale, che la renda definibile come bene a sé, suscettibile di diritti o di negoziazione distinti ”).

L’amministrazione nega, inoltre, i presupposti del censurato inadempimento, contestando l’interpretazione della portata derogatoria dell’art. 26 resa da parte ricorrente. Sostiene, in particolare, il Comune che “ per la società ricorrente è derogatoria del diritto (generale) che il privato proponente avrebbe alla realizzazione diretta delle opere e successivo scomputo: in quest’ottica si argomenta che, ove non ci fosse stato l’art. 26, o meglio se non si fosse derogato al diritto allo scomputo, la ricorrente avrebbe realizzato la piazza sulla scorta del computo metrico allegato al PEC (2003) e successivo studio di fattibilità (2005) e “risparmiato”, non versandoli al Comune, € 287.254,08.

In realtà, lo scomputo è, come noto, una mera possibilità/facoltà del privato cui non spetta un diritto pieno ma dipendente da una scelta discrezionale della Pubblica Amministrazione (TAR MILANO n. 954/2018), con l’ulteriore conseguenza che la deroga posta dall’art. 26 non è ad un astratto diritto allo scomputo bensì più semplicemente al precedente art. 7 dello stesso pec” (cfr. pp. 5-6- della memoria ex art. 73 cod. proc. amm., depositata dall’amministrazione) .

Diversamente, la convenzione prevede, all’art. 5 il costo della realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria, che sono a carico del privato e all’art. 7 la realizzazione delle opere di urbanizzazione secondaria, che sono anch’esse a carico del privato. L’art. 26, tuttavia, riserva al Comune l’esecuzione di una parte delle opere di urbanizzazione secondaria, pur mantenendone il relativo onere a carico del privato. “ Venendo meno la possibilità di esecuzione diretta di dette opere, il privato è tenuto a versare, ed ha provveduto effettivamente a versare al Comune, l’importo di € 287.254,08 a titolo di oneri di urbanizzazione secondaria (corrispettivo di diritto pubblico) e ciò per poter conseguire il titolo abilitativo l’intervento edificatorio cui aspirava ed in forza del quale ha potuto realizzare il proprio complesso edilizio ” (cfr. p. 6 della memoria ex art. 73 cod. proc. amm., depositata dall’amministrazione).

Reputa il Collegio che l’ermeneutica delle clausole convenzionali proposta dall’amministrazione non sia meritevole di positivo apprezzamento.

La convenzione prevede, infatti, già specifiche disposizioni per il calcolo dei contributi dovuti per l’esecuzione delle opere.

Nel dettaglio, l’art. 3 disciplina puntualmente la cessione delle aree dalla società al Comune per la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria (doc. 2 di parte ricorrente) e l’art. 4 quantifica il contributo forfettario dovuto per le spese di urbanizzazione (doc. 2 di parte ricorrente che prevede: “ Si conviene di determinare il contributo forfettario per le spese di urbanizzazione agli effetti dello scomputo delle … opere eseguite dalla proponente, nel seguente modo: … Totale Urbanizzazione Primaria 66.440,17 Euro … Totale Urbanizzazione secondaria 76.296,92 Euro” ). Il successivo art. 9 della convenzione in parola prevede inoltre che i contributi dovuti per gli oneri di urbanizzazione di cui al numero 3 art. 51 della legge regionale n. 56/1977 saranno liquidati in base all’onere unitario corrispondente alle tariffe comunali vigenti al momento del rilascio di ogni permesso di costruire, alla superficie di calpestio ed al volume abitativo degli edifici oggetto di concessione (cfr. doc. 2 di parte ricorrente). Per ciò che concerne infine il costo di costruzione, l’art. 12 afferma che: “ Si applicano le disposizioni di cui agli artt. 3 e 6 della Legge 28 gennaio 1977 numero 10 e dell’art. 7 della Legge 24 dicembre 1993 numero 537.

Resta inteso che il contributo è a carico del richiedente il Permesso di Costruire per ogni autonomo intervento edilizio e pertanto ogni determinazione al riguardo deve essere intrapresa in relazione alle disposizioni vigenti all’atto della domanda del Permesso di Costruire stesso”.

Dopo le previsioni concernenti le opere e i costi dovuti, i contraenti - nella parte finale della convenzione - hanno, quindi, aggiunto un’ulteriore pattuizione, di natura derogatoria, che riserva l’esecuzione delle opere della nuova piazza al Comune, dietro pagamento di uno specifico corrispettivo da parte del proponente. La somma così corrisposta è, dunque, finalisticamente destinata a finanziare la realizzazione delle opere descritte nella suddetta clausola derogatoria.

Tale espresso vincolo di scopo esclude che la previsione de qua possa essere ricondotta al sistema degli oneri di urbanizzazione secondaria.

È noto, al riguardo, il consolidato orientamento giurisprudenziale formatosi per distinguere tali oneri dal costo di costruzione: “ Gli oneri concessori, con particolare riguardo alla parte correlata agli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, hanno la chiara funzione di contribuire alle spese da sostenere dalla collettività in riferimento alla realizzazione delle relative opere, sicché l’unico criterio per determinare se essi siano dovuti o meno e in che misura consiste nel valutare il carico urbanistico derivante dall’attività edilizia, con la precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più intensamente quelli esistenti (cfr. sul punto Cons. Stato, Sez. VI, 7 maggio 2018, n. 2694). In linea di diritto, cioè, mentre la quota del contributo di costruzione commisurata al costo di costruzione risulta ontologicamente connessa alla tipologia e all’entità (superficie e volumetria) dell’intervento edilizio e assolve alla funzione di permettere all’amministrazione comunale il recupero delle spese sostenute dalla collettività di riferimento alla trasformazione del territorio consentita al privato istante (ossia, a compensare la c.d. compartecipazione comunale all’incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore, a seguito della nuova edificazione), la quota del contributo di costruzione commisurata agli oneri di urbanizzazione «assolve alla prioritaria funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona, con la precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più intensamente quelle già esistenti» (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 7 maggio 2015, n. 2294) ” (cfr. sentenza Consiglio di Stato, n. 4633/2021). Peraltro, la giurisprudenza ritiene anche che “ nel caso in cui il privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire, ovvero quando sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla Pubblica Amministrazione, anche ai sensi dell’art. 2033 o dell’art. 2041 c.c., l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e, conseguentemente, il diritto del privato a pretenderne la restituzione. Il contributo concessorio, infatti, è strettamente connesso all’attività di trasformazione del territorio e, quindi, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell'originaria obbligazione di dare, cosicché l'importo versato va restituito. La giurisprudenza è concorde pure nel ritenere che il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente, tenuto conto che sia la quota degli oneri di urbanizzazione, che la quota relativa al costo di costruzione sono correlati, sia pur sotto profili differenti, all’oggetto della costruzione, per cui l’avvalimento solo parziale delle facoltà edificatorie comporta il sorgere, in capo al titolare, del diritto alla rideterminazione del contributo ed alla restituzione della quota di esso che è stata calcolata con riferimento alla porzione non realizzata ( ex multis Consiglio di Stato, sez. IV – 7 marzo 2018, n. 1475) ” (cfr. sentenza Consiglio di Stato, n. 4633/2021).

Ciò posto, osserva il Collegio che nel caso di specie la pattuizione di cui al citato art. 26 della convenzione , è fonte di una specifica obbligazione di risultato, che vincolava l’amministrazione a realizzare un’opera conforme alle caratteristiche architettoniche e di consistenza ivi puntualmente concordate e definite, sulle quali è stato commisurato l’ammontare del corrispettivo corrisposto dal privato.

La pacifica, oggettiva difformità tra quanto concordato e quanto in concreto realizzato, determina un’alterazione funzionale del sinallagma, che priva l’obbligazione pecuniaria adempiuta dalla società ricorrente della sua giustificazione funzionale (cfr. Cass., sez. III, 15.04.2010 n. 9052, secondo cui: “ qualora venga acclarata la mancanza di una causa acquirendi – tanto nel caso di nullità annullamento, risoluzione o rescissione di un contratto, quanto in quello di qualsiasi altra causa che faccia venir meno il vincolo originariamente esistente – l’azione accordata dalla legge per ottenere la restituzione di quanto prestato in esecuzione del contratto stesso è quella di ripetizione di indebito oggettivo ( ex plurimis , Cass. 01/08/2001, n. 10498;
04/02/2000, n. 1252)
).

L’inadempimento del Comune all’obbligazione che il patto derogatorio poneva a suo carico determina, di conseguenza, il diritto della ricorrente a domandare la risoluzione della convenzione in parte qua, unitamente al diritto alla ripetizione della somma anticipata da parte ricorrente in esecuzione della suddetta pattuizione, oltre agli interessi al saggio legale dal giorno della domanda fino al soddisfo.

L’accoglimento del primo motivo di censura consente di non esaminare gli ulteriori motivi di ricorso, che restano assorbiti.

Non può trovare accoglimento, invece, la domanda di risarcimento del danno, atteso il mancato assolvimento di parte ricorrente all’onere probatorio ex art. 2697 c.c.

La peculiarità della controversia giustifica la compensazione delle spese di lite.

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