TAR Cagliari, sez. II, sentenza 2016-09-26, n. 201600729

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Cagliari, sez. II, sentenza 2016-09-26, n. 201600729
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Cagliari
Numero : 201600729
Data del deposito : 26 settembre 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/09/2016

N. 00729/2016 REG.PROV.COLL.

N. 00513/2006 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 513 del 2006, proposto da:
S G, deceduta l’8 novembre 2008, e proseguito da O M G G e da O M M, eredi di S G;
S G M, rappresentati e difesi dall'avvocato G P J, con domicilio eletto presso il suo studio in Cagliari, Via Roma n. 231;

contro

il Comune di Pattada, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato F M F, con domicilio eletto presso l’avv. Alessio Atzeni in Cagliari, piazza Deffenu 9;
la Regione Autonoma della Sardegna, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Roberto Murroni e Floriana Isola, con domicilio eletto presso l’Ufficio Legale della Regione in Cagliari, viale Trento, n. 69;

per la condanna

al risarcimento dei danni conseguenziali all'annullamento giurisdizionale del Piano di zona per l'Edilizia Economica e Popolare denominato "Binza 'e Cheia", del Comune di Pattada, pronunciato con decisione del Consiglio di Stato Sezione IV n. 3046/2001 del 6.6.2001, passata in giudicato il 21.1.2002 o, al più tardi, il 22.7.2002.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Pattada e di Regione Autonoma della Sardegna;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 giugno 2016 il dott. G M e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. – I ricorrenti affermano di essere comproprietari pro indiviso dell’immobile ubicato nel territorio del Comune di Pattada (censito in catasto al foglio 45, mappale 999, di mq. 10.523), originariamente classificato come area fabbricabile, su cui insistono edifici e infrastrutture realizzati dal medesimo Comune nell’ambito del piano di zona di edilizia economica e popolare (PEEP). L’immobile in questione era infatti ricompreso nell’ambito del PEEP adottato con deliberazione del Consiglio Comunale di Pattada n. 37 del 3 marzo 1980, approvato, dapprima, con decreto dell’Assessore Enti Locali, Finanze e Urbanistica della Regione Sardegna, n. 1041/U del 21 luglio 1980;
e riapprovato con decreto assessorile n. 395/U del 25 maggio 1982.

2. - Decisione contestata da alcuni proprietari degli immobili inclusi nel piano di zona (fra i quali l’odierna ricorrente S G), che - mediante ricorsi giurisdizionali al T.A.R. Sardegna - chiedevano l’annullamento del piano attuativo, nonché degli atti di approvazione regionali. Con sentenza del T.A.R. Sardegna, 18 luglio 1991, n. 1038, i ricorsi proposti furono dichiarati in parte improcedibili (per il sopravvenuto difetto di interesse) e in parte inammissibili (per carenza di interesse originaria);
con sentenza del 30 giugno 1994, n. 1041, furono dichiarate improcedibili anche i ricorsi il ricorso proposti per l’annullamento del decreto di approvazione n. 395/U del 25 maggio 1982.

Con la sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, 6 giugno 2001, n. 3046, la pronuncia del T.A.R. Sardegna, n. 1041/1994, cit., è stata riformata e, per l’effetto, sono stati annullati il decreto dell’Assessore Enti Locali, Finanze e Urbanistica della Regione Sardegna n. 395/U del 25 maggio 1982, il decreto del Sindaco n. 2 del 26 maggio 1982, di occupazione d’urgenza, e l’avviso di immissione in possesso emesso dal Sindaco di Pattada il 26 maggio 1982, n. 2504. Decisione passata in giudicato fin dal 22 luglio 2002.

3. - Come si è accennato, nelle more del contenzioso, sull’immobile sopra identificato l’amministrazione comunale ha costruito edifici e infrastrutture;
opere che i ricorrenti, in conseguenza dell’annullamento del piano di zona, ritengono eseguite del tutto illecitamente e senza titolo.

4. – Con il ricorso in esame, richiamato il quadro giurisprudenziale e normativo entro il quale si colloca la vicenda delle espropriazioni illegittime di immobili destinati alla realizzazione di opere pubbliche, i ricorrenti articolano l’azione risarcitoria ( «qualora non sia possibile, o comunque non venga effettuata, la restituzione dei beni illecitamente sottratti» ) nelle seguenti voci di danno:

1) il danno materiale per la mancata restituzione degli immobili pari al loro valore attuale, compreso il valore degli edifici realizzati sul fondo;

2) il danno per il mancato godimento dei beni, dal 28 giugno 1982 (data dell’occupazione) fino alla data dell’effettivo soddisfo;

3) il risarcimento del danno morale, per le sofferenze derivanti dal senso di impotenza e frustrazione per l’illegale sottrazione dei beni;

4) il rimborso delle imposte dovute sulle somme liquidate a titolo di risarcimento per le voci di cui sopra.

5. - In via meramente subordinata, chiedono che il danno subito sia liquidato in misura pari all’integrale valore di mercato dell’immobile di cui trattasi, al momento della irreversibile trasformazione, oltre al risarcimento per il periodo di illecita occupazione temporanea.

6. - In ogni caso, si chiede la rivalutazione e gli interessi legali sulle somme rivalutate anno per anno.

7. - Infine, poiché la responsabilità per l’illegittima espropriazione deve essere imputata a tutti gli enti e amministrazioni che hanno contribuito a porre in essere gli atti della procedura, dei danni - ad avviso dei ricorrenti - debbono rispondere in solido il Comune di Pattada e la Regione Autonoma della Sardegna.

8. – Si è costituito in giudizio il Comune di Pattada, eccependo in via preliminare l’intervenuta prescrizione, ai sensi dell’art. 2947 del codice civile, che fissa in cinque anni dal fatto illecito il termine per valere il diritto al risarcimento del danno extracontrattuale. Nel merito, chiede che il ricorso sia respinto in ragione della sua infondatezza.

9. – Si è costituita in giudizio anche la Regione Sardegna, chiedendo che il ricorso sia respinto.

10. - All’udienza pubblica del 15 giugno 2016, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. – Preliminarmente occorre vagliare la fondatezza dell’eccezione di prescrizione sollevata dall’amministrazione comunale intimata.

1.1. - L’eccezione deve essere respinta.

1.2. - Come accennato, la pretesa risarcitoria fatta valere col ricorso in esame deriva dall’attività amministrativa illegittima, che ha portato alla illecita occupazione degli immobili dei ricorrenti. Illegittimità, definitivamente accertata con la sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, 6 giugno 2001, n. 3046, passata in giudicato dal 22 luglio 2002. Secondo la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, in mancanza di una valida dichiarazione di pubblica utilità, l'occupazione del bene è sine titulo , sicché la successiva costruzione di opera pubblica si connota come attività materiale lesiva del diritto dominicale, con i connotati dell'illecito permanente. Ne consegue che il termine di prescrizione per il privato che intenda esercitare il diritto al risarcimento del danno per equivalente, in applicazione del principio "contra non valentem agere non currit praescriptio" , decorre dal passaggio in giudicato della sentenza del giudice amministrativo che abbia annullato l'approvazione del piano per l'edilizia economica e popolare nella quale è insita la dichiarazione di pubblica utilità (si veda, in particolare, Cass. civ., Sezione Prima, 16 luglio 1997, n. 6515, che in motivazione, sul punto della decorrenza della prescrizione, ulteriormente precisa come «la pronuncia del giudice amministrativo [ha] l'effetto, per un verso, di rivelare la natura illecita della condotta e, per altro verso, di rimuovere, per l'esercizio del diritto al risarcimento del danno, l'ostacolo costituito dalla dichiarazione di p.u. insita nel Peep e dal decreto di occupazione d'urgenza. Soltanto dal passaggio in giudicato di quella pronuncia, quindi, [è possibile] esercitare il diritto ad ottenere il risarcimento del danno e soltanto da quel momento […], conseguentemente, [inizia] a decorrere il termine quinquennale di prescrizione, a mente dell'art. 2935 c.c. […] come ripetutamente affermato da questa Corte» ).

1.3. - Applicando tali principi al caso di specie, considerato che il ricorso in esame è stato avviato alla notifica il 30 maggio 2006;
e che, come visto, la sentenza di annullamento è passata in giudicato il 22 luglio 2002, ne deriva che - al tempo della proposizione dell’azione risarcitoria – la prescrizione quinquennale del diritto fatto valere dalle ricorrenti non risultava ancora maturata.

2. - Passando al merito, occorre muovere dall’osservazione secondo la quale l'occupazione sine titulo, anche se accompagnata dalla irreversibile trasformazione del fondo, costituisce un fatto meramente materiale e quindi inidoneo a determinare l'effetto traslativo della proprietà del bene occupato;
esito, questo, non consentito dall'art. 1 del Protocollo Addizionale CEDU, come costantemente interpretato dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ( ex multis terza Sezione, 12 gennaio 2006, Sciarrotta c. Italia, n. 14793/02). Conclusione di recente autorevolmente ribadita sia dalle Sezioni Unite civili della Cassazione (con la sentenza del 19 gennaio 2015, n. 735) sia dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (con la pronuncia n. 2 del 2016), sottolineando come «alla luce della costante giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, quando il decreto di esproprio non sia stato emesso o sia stato annullato, l'occupazione e la manipolazione del bene immobile di un privato da parte dell'Amministrazione si configurano, indipendentemente dalla sussistenza o meno di una dichiarazione di pubblica utilità, come un illecito di diritto comune, che determina non il trasferimento della proprietà in capo all'Amministrazione, ma la responsabilità di questa per i danni. In particolare, con riguardo alle fattispecie già ricondotte alla figura dell'occupazione acquisitiva, viene meno la configurabilità dell'illecito come illecito istantaneo con effetti permanenti e, conformemente a quanto sinora ritenuto per la c.d. occupazione usurpativa, se ne deve affermare la natura di illecito permanente, che viene a cessare solo per effetto della restituzione, di un accordo transattivo, della compiuta usucapione da parte dell'occupante che lo ha trasformato, ovvero della rinunzia del proprietario al suo diritto, implicita nella richiesta di risarcimento dei danni per equivalente. A tale ultimo riguardo, dissipando i dubbi espressi dall'ordinanza di rimessione, si deve escludere che il proprietario perda il diritto di ottenere il controvalore dell'immobile rimasto nella sua titolarità. Infatti, in alternativa alla restituzione, al proprietario è sempre concessa l'opzione per una tutela risarcitoria, con una implicita rinuncia al diritto dominicale sul fondo irreversibilmente trasformato (cfr. ex plurimis, in tema di occupazione c.d. usurpativa, Cass. 28 marzo 2001, n. 4451 e Cass. 12 dicembre 2001, n. 15710);
tale rinuncia ha carattere abdicativo e non traslativo: da essa, perciò, non consegue, quale effetto automatico, l'acquisto della proprietà del fondo da parte dell'Amministrazione (Cass. 3 maggio 2005, n. 9173;
Cass. 18 febbraio 2000 n. 1814).»
(così Cass. SS.UU. n. 735 /2015 cit.).

E’ pacifico, pertanto, che anche nel caso di specie, i proprietari odierni ricorrenti abbiano sempre mantenuto la proprietà dell'area oggetto del procedimento espropriativo, pur avendone perduto la concreta disponibilità a causa della occupazione e della successiva realizzazione dell’opera pubblica.

3. - Ne deriva come ulteriore conseguenza che il risarcimento del danno ottenibile dai proprietari (i quali, come emerge dalla precedente esposizione, non hanno chiesto la restituzione del bene illecitamente occupato dall’amministrazione) può riguardare il solo valore d'uso del bene, ossia il danno per il mancato godimento, a far data dalla sua illegittima occupazione (eseguita il 28 giugno 1982, come risulta dal relativo verbale, all. 17 della produzione documentale di parte ricorrente) e fino al momento in cui l’amministrazione provvederà alla restituzione dell’immobile o alla legittima acquisizione del diritto di proprietà sull'area (mediante accordo con i proprietari ovvero l’adozione del provvedimento autoritativo di acquisizione sanante ai sensi dell’art. 42- bis del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327).

Tale valore d'uso, corrispondente al danno sofferto dal proprietario per l'illecita, prolungata occupazione dei terreni di sua proprietà, può essere quantificato, in linea con le richieste formulate da parte ricorrente e con il parametro indicato dalla legge nell’art. 42 bis comma 3, d.P.R. n. 327 del 2001, nell'interesse del cinque per cento annuo sul valore venale del bene al momento dell’occupazione (28 giugno 1982), oltre alla rivalutazione monetaria e interessi legali sulle somme rivalutate anno per anno.

4. - Quanto al valore venale da porre alla base di tale calcolo, esso può essere determinato sulla scorta delle indicazioni ricavabili dalla perizia giurata depositata in giudizio dalle parti ricorrenti (cfr. all. 26 della produzione documentale di parte ricorrente del 5 maggio 2016).

Si può quindi determinare il valore di mercato dell’area fabbricabile di cui al foglio 45, mappale 999, di mq 10.523, alla data del 28 giugno 1982, muovendo dal valore unitario di euro 16,98 a mq, per un valore complessivo pari a euro 178.681,30.

Sulle somme così liquidate spettano, altresì, la rivalutazione monetaria e gli interessi legali sulle somme rivalutate anno per anno. Nonché, gli interessi legali dalla data della presente sentenza fino all’effettivo soddisfo.

5. - I ricorrenti chiedono, altresì, la liquidazione del danno non patrimoniale conseguente a quello che la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (v. tra le prime la sentenza Carbonara e Ventura del 30 maggio 2000) ha definito come il senso di impotenza e di frustrazione di fronte allo spossessamento illegale dei beni.

5.1. - La domanda non è fondata.

5.2. - In termini generali, si deve senz’altro aderire a quanto affermato anche dal Consiglio di Stato (cfr. sez. IV, 9 gennaio 2013, n. 76, che accoglie integralmente le statuizioni della sentenza della Cassazione, Sezioni Unite civili, 11 novembre 2008, n. 26972), secondo cui la risarcibilità dei danni non patrimoniali è subordinata alla sussistenza di tre condizioni, costituite dal rilievo costituzionale dell’interesse leso, dalla gravità della lesione lamentata (nel senso che l'offesa superi una soglia minima di tollerabilità, anche in ragione del dovere di solidarietà di cui all'art. 2 Cost.) e dalla rilevanza del danno (che non deve consistere «in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita od alla felicità»).

5.3. – Tuttavia, la domanda in esame pone, innanzitutto, la questione della prova del danno (sotto il profilo dell’ an e del quantum ). Nel caso di specie, infatti, i ricorrenti, sui quali grava - secondo i principi generali – l’onere di provare in giudizio la sussistenza di ciascuno degli elementi che compongono la descritta fattispecie risarcitoria, non allegano alcun elemento probatorio riguardo ai danni non patrimoniali asseritamente subiti. Né è possibile rimediare al mancato rispetto degli oneri probatori appellandosi ai poteri del giudice di valutazione equitativa del danno ai sensi dell’art. 1226 del codice civile, posto che - secondo il costante orientamento della Cassazione - è possibile operare la valutazione equitativa solo se (pur apparendo certa l’esistenza dei danni lamentati: cfr. Cass. Civ., sez. I, 29 luglio 2009, n. 17677) ricorra anche l’ulteriore presupposto richiesto dalla norma codicistica, costituito dalla relativa impossibilità di fornire la prova del danno da parte del ricorrente ( si veda sul punto Cass. Civ., sez. III, 15 maggio 2009, n. 11331).

Alla luce dei principi appena esposti, e considerato che, nel caso concreto, per il tipo di danno lamentato, gli elementi probatori rilevanti rientrano nella sfera di disponibilità dei ricorrenti (danneggiati), i quali, pertanto, anche per il noto principio della c.d. vicinanza della prova, avrebbero potuto allegarli e produrli in giudizio, si deve giungere necessariamente alla conclusione della infondatezza della domanda risarcitoria in esame.

6. - In conclusione, il ricorso deve essere accolto in parte, con la conseguente condanna del Comune di Pattada al risarcimento del danno per illecita occupazione, quantificato nei termini sopra specificati.

Non può essere accolta, invece, la richiesta di parte ricorrente di condannare, in solido, anche la Regione Sardegna, considerato che l’approvazione del piano di zona non ha contribuito, sotto il profilo causale, alla produzione del danno.

7. - Non è superfluo, infine, ribadire (in conformità a quanto di recente statuito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza 9 febbraio 2016, n. 2;
e a quanto costantemente affermato dalla Sezione in precedenti, e del tutto analoghe, occasioni: si veda T.A.R., II, 5 febbraio 2013, n. 94) che il Comune di Pattada potrà, in sede di ottemperanza della presente sentenza, avviare, sempreché sussistano i presupposti di legge, il procedimento di cui all'art. 42 bis del D.P.R. n. 327/2001, finalizzato all'adozione di un provvedimento motivato di acquisizione dei terreni in oggetto;
in questa ipotesi si dovrà riconoscere ai ricorrenti, oltre al danno da mancato godimento del bene secondo quanto stabilito con la presente sentenza anche il danno derivante dalla perdita definitiva della proprietà, da liquidarsi nel rispetto dei criteri indicati dalla disposizione citata.

8. - Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

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