TAR Napoli, sez. IV, sentenza 2009-12-28, n. 200909638

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. IV, sentenza 2009-12-28, n. 200909638
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 200909638
Data del deposito : 28 dicembre 2009
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05144/2007 REG.RIC.

N. 09638/2009 REG.SEN.

N. 05144/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 5144 del 2007, proposto da:
G R, rappresentato e difeso dagli avv. C M, R M, con domicilio eletto presso C M in Napoli, via Provinciale n.132;

contro

Comune di Napoli, rappresentato e difeso dall'avv. Avvocatura Municipale, con domicilio eletto presso Giuseppe Tarallo in Napoli, Avv. Municipale - p.zza S. Giacomo;

per l'annullamento

previa sospensione dell'efficacia,

RIPRISTINO STATO DEI LUOGHI:

DISPOSIZIONE DIRIGENZIALE N.

379 DEL 15.5.2007.


Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Napoli;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25/11/2009 il dott. Fabrizio D'Alessandri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

In data 15.5.2007, in seguito al verbale di sopralluogo degli agenti di Polizia Municipale del 14.12.2006, veniva emessa ordinanza n.379, notificata il 22.6.2007, che contestava alla ricorrente la realizzazione, in Napoli, Via Comunale Margherita, 455, su suolo agricolo di “sterro e riporto di terreno di circa mq.1.200;
manufatto di mq.130,00 x 4,00 d’altezza al colmo del tetto di copertura a strutture portanti in ferro perimetralmente chiusa in muratura e pannelli di lamiere coibentate”, in assenza di permesso di costruire, ordinando il ripristino dello stato dei luoghi.

Il ricorrente impugnava, con ricorso notificato il 26.7.2007, l’ordinanza di demolizione chiedendone l’annullamento, previa sospensione per i seguenti motivi:

1. Lamentava in sostanza la ricorrente l’eccesso di potere, il difetto d’istruttoria, la carenza di motivazione e la violazione di legge ed, in particolare, la carenza di motivazione del provvedimento gravato che non indicherebbe, in difformità di quanto previsto nell’art.3 legge n.241/90, i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che hanno determinato la decisione sanzionatoria, limitandosi a richiamare apoditticamente l’art.31 del D.P.R. n.380/2001.

Il provvedimento impugnato, inoltre, non avrebbe avuto alcun riguardo alla reale portata dell’intervento ed ai concreti interessi urbanistici violati, anche in considerazione della circostanza che la zona risulta ampiamente urbanizzata e l’immobile in questione sarebbe suscettibile di sanatoria.

Deduceva, infine, l’impossibilità di demolire le opere realizzate senza danneggiare le strutture preesistenti e legittime, invocando l’applicazione dell’art.34, n.2, del D.P.R. n.380/2001;

2. Lamentava ancora la ricorrente l’omesso dell’avviso della pendenza del procedimento, ex art.7 legge n.241/90, e, conseguentemente, della comunicazione del nominativo del responsabile del procedimento, deducendo l’inapplicabilità, nel caso di specie, dell’art.21 octies della legge n.241/90.

3. Deduceva inoltre la ricorrente, in via generica e senza indicare alcun riferimento normativo, che il procedimento amministrativo andava sospeso in attesa della definizione del procedimento penale che pendeva dinanzi alla Procura della Repubblica di Napoli, a seguito dell’apposizione dei sigilli e sequestro delle opere, anche considerato che le opere stesse non erano più nella disponibilità della stessa;

4. Lamentava infine la ricorrente, anche qui in via generica, che il procedimento sanzionatorio sarebbe dovuto essere sospeso fino al termine previsto per la definizione della domanda di condono o accertamento di conformità, ex art.36 legge n.380/01, che la stessa avrebbe avuto intenzione di presentare.

Si costituiva il Comune intimato spiegando argomentazioni difensive.

La causa veniva discussa all’udienza pubblica del 25 novembre 2009 e trattenuta in decisione.

DIRITTO

1) Quanto al primo motivo di ricorso il Collegio rileva come lo stesso è infondato.

Il Comune ha motivato la misura di riduzione in pristino con l’assenza di permesso di costruire e l’appartenenza degli interventi realizzati alla tipologia di intervento di nuova costruzione per i quali l’art.31 D.P.R. n.380/2001 prevede la sanzione demolitoria in caso di assenza di titolo, indicando peraltro che “le opere eseguite costituiscono organismo edilizio con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile” ed in tali termini la motivazione del provvedimento appare del tutto congrua e sufficiente.

Né appare fondato il rilevo relativo alla circostanza che il provvedimento gravato non riporta alcuna motivazione in ordine all’interesse pubblico alla riduzione in pristino del manufatto.

Rileva il Collegio che i provvedimenti che irrogano sanzioni previste dalla legge in materia edilizia non necessitano di alcuna specifica motivazione in ordine all’esistenza dell’interesse pubblico al ripristino della situazione conforme a legge.

Tale orientamento è assolutamente consolidato in giurisprudenza (Tar Veneto, Sez. II - sentenza 13 marzo 2008 n. 605;
Tar Veneto, Sez. II - sentenza 26 febbraio 2008 n. 454;
Tar Lombardia - Milano, Sez. II - sentenza 8 novembre 2007 n. 6200) dove si rilevano pronunce discordanti solo nel caso, non dedotto nei motivi del ricorso in questione, in cui l’ordinanza di demolizione sia stata adottata dopo molto tempo dalla data di realizzazione dell’opera abusiva (Cons. Stato, Sez. V, 29 maggio 2006, n. 3270;
Cons. Stato, V, 25 giugno 2002 n. 3443;
C.G.A.R.S. 23 aprile 2001 n. 183;
Cons. Stato, V, 19 marzo 1999 n. 286).

Allo stesso modo l’Amministrazione non aveva l’obbligo di motivare la potenziale condonabilità delle opere in questione, dovendo la stessa solo provvedere in ordine alle domande di sanatoria già effettivamente presentate al momento in cui prende in esame la possibilità di esercizio del potere sanzionatorio.

L’Amministrazione non ha difatti alcun onere di determinarsi in via preventiva in ordine ad un fatto futuro ed incerto quale la presentazione di una istanza di condono.

Ancora infondata è la doglianza relativa all’applicabilità dell’art.34, del D.P.R. n.380/2001, sull’irrogazione della sanzione pecuniaria, in luogo di quella demolitoria, nel caso in cui “in base ad un motivato accertamento dell’ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile”.

Al di là dell’erroneità del riferimento normativo richiamato dal ricorrente, in quanto la previsione dell’impossibilità è contenuta nell’art.33, comma 2, del D.P.R. n.380/2001, il motivo è del tutto generico, non avendo parte ricorrente specificato con un minimo di dettaglio tali ragioni oggettive di impossibilità, né, men che meno, dato alcuna dimostrazione dell’esistenza della stessa che rimane circostanza meramente affermata dal ricorrente, non risultante da alcun atto del giudizio.

Inoltre, il citato articolo 33 si riferisce agli interventi di ristrutturazione edilizia mentre quello in questione appare configurabile come nuova costruzione.

Peraltro il motivo in esame risulta essere anche ambiguo poiché il ricorso, pur riportando testualmente il dettato dell’art. nell’art.33, comma 2, del D.P.R. n.380/2001, si richiama all’art.34 del medesimo D.P.R. deducendo, anche qui in via del tutto generica e senza alcuna specificazione, che la demolizione la comprometterebbe irrimediabilmente le strutture preesistenti e legittime.

Ora l’art.34 citato prevede per gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire che “quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell'ufficio applica una sanzione” pecuniaria.

Anche qualora parte ricorrente avesse voluto riferirsi a tale ultimo articolo il motivo risulterebbe in ogni caso del tutto generico ed infondato perché il medesimo articolo si applica solo alle opere realizzate in parziale difformità dal permesso di costruire, che qui invece è del tutto assente, e poichè non vengono indicate con precisione quali sono le parti di immobili realizzate in base ad un titolo legittimo, né i titoli in questione.

Inoltre la circostanza del pregiudizio alla parte eseguita in conformità risulterebbe meramente affermata e del tutto indimostrata.

2) Infondato è anche il secondo motivo di ricorso basato sull’omessa comunicazione di avvio del procedimento e del nominativo del suo responsabile.

Innanzitutto il Collegio, sulla scorta della giurisprudenza che interpreta sulla base di considerazioni sostanzialistiche la funzione e natura dell’avviso di avvio del procedimento per gli atti vincolati, ritiene che l’omissione o l’inesatta formulazione della comunicazione di cui all’art.7 della legge n.241/90 possa assumere rilevanza solo nei casi in cui i presupposti di fatto sottostanti l’emissione del provvedimento siano contestati e la partecipazione del privato agli accertamenti di fatto che precedono l’atto finale sia proficua, potendo il soggetto destinatario dell’azione amministrativa far rilevare circostanze ed elementi tali da indurre l’amministrazione a recedere dall’emanazione di provvedimenti restrittivi (Consiglio di Stato, Sez. V - sentenza 14 dicembre 2006 n. 7404).

Tali circostanze non paiono ricorrere nel caso in questione dove il soggetto non nega i fatti sottostanti il provvedimento gravato, ovverosia l’assenza di titolo, né contesta la consistenza e natura delle opere realizzate come indicate nell’atto sanzionatorio.

In ogni caso il Collegio, in considerazione di quanto indicato nel punto 1, ritiene applicabile al caso in esame il disposto dell’art.21 octies, legge n.241/90, secondo cui non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti, vertendosi nel caso di specie in ambito provvedimentale vincolato e risultando che il contenuto dispositivo del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Né alcuna valenza autonoma viziante può rivestire, anche per quanto anzidetto, la mancata comunicazione del responsabile del procedimento.

In particolare, argomentando ex artt. 4 e 5 della legge n. 241/1990 (che individuano tale responsabile nel dirigente del Servizio, in assenza di altre indicazioni), deve escludersi che l’eventuale omissione della comunicazione del nominativo del responsabile del procedimento e dell'ufficio in cui poter prendere visione degli atti, incida sulla legittimità del provvedimento finale, risolvendosi piuttosto in una mera irregolarità.

In tal caso si considera responsabile del procedimento il funzionario preposto alla competente unità organizzativa (Cons. Stato, sez. VI, 6 maggio 1999, n. 597;
T.A.R. Friuli V.G. 9 dicembre 1996, n. 1241;
T.A.R. Sicilia, sez. II, 30 novembre 1996, n. 1730;
T.A.R. Campania, sez. IV, 5 febbraio 2002, n. 691, 18 marzo 2002, n. 1413, 14 giugno 2002, n. 3490).

3) Del tutto generico ed infondato è anche il terzo motivo di ricorso, in quanto la ricorrente non ha prodotto alcun atto e nemmeno indicato gli estremi del procedimento penale in presenza del quale l’iter sanzionatorio amministrativo doveva essere sospeso.

Né ravvisa il Collegio alcuna ragione giuridica perché il procedimento amministrativo sanzionatorio degli abusi sarebbe dovuto essere sospeso a causa della contestuale pendenza di un procedimento penale aperto in relazione alla repressione dei medesimi abusi e del sequestro penale dell’area, attesa l’autonomia del procedimento e del processo amministrativo rispetto al procedimento penale e l’insussistenza di una pregiudizialità penale, considerato altresì che nello stesso ordine di demolizione era specificato che l’eventuale rimozione dei sigilli ai fini della demolizione andava richiesta alla Procura della Repubblica e comunicata all’amministrazione.

E’ sufficiente al riguardo evidenziare che, secondo una consolidata giurisprudenza, anche di questa Sezione (ex multis, sentenza 4 febbraio 2003, n. 614;
sentenza 23 marzo 2005, n. 3780) tale circostanza non osta all’adozione dell’ordine di demolizione dal momento che è possibile motivatamente domandare all’autorità giudiziaria il dissequestro dell’immobile proprio al fine di ottemperare al predetto ordine.

Pertanto è legittima l'ingiunzione a demolire emessa in pendenza di sequestro penale sul manufatto abusivo, dal momento che è onere del responsabile motivatamente domandare all'autorità giudiziaria il dissequestro dell'immobile e che, pertanto, qualora il soggetto obbligato neppure dimostri di aver richiesto il dissequestro del bene allo scopo di demolirlo, non può successivamente far valere il fatto del sequestro quale causa di forza maggiore impeditiva della demolizione (T.A.R. Campania, sez. III, sent. 6792/07).

4) Infondato è, infine, anche il quarto motivo di ricorso, in quanto l’amministrazione non aveva alcun obbligo di sospendere il procedimento sanzionatorio in considerazione della ipotetica possibilità che la ricorrente potesse presentare una istanza di accertamento di conformità ex art.36 del D.P.R. n.380/01.

Né peraltro risulta che tale istanza sia stata poi di fatto presentata.

Per le suesposte ragioni il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

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