TAR Catanzaro, sez. I, sentenza 2024-03-21, n. 202400436

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Catanzaro, sez. I, sentenza 2024-03-21, n. 202400436
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Catanzaro
Numero : 202400436
Data del deposito : 21 marzo 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 21/03/2024

N. 00436/2024 REG.PROV.COLL.

N. 01360/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1360 del 2021, proposto da E T, rappresentato e difeso dall'avvocato G C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale Catanzaro, domiciliataria ex lege in Catanzaro, via G. Da Fiore, 34;
Inps, rappresentato e difeso dall'avvocato Angela Maria Lagana', con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

Per il riconoscimento

del diritto al riconoscimento, nella base di calcolo dell’indennità di buonuscita, dei sei scatti stipendiali previsti dall’art. 6- bis del d.l. n. 387 del 1987 e ss.mm.;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di Inps;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 febbraio 2024 la dott.ssa Simona Saracino e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il ricorrente, Sig, Terranova Ercole, congedato a domanda in seguito al compimento di 57 anni di età, e dopo aver maturato più di 38 anni di anzianità contributiva, agisce nei confronti dell’INPS e del Ministero dell’Interno per l’accertamento del diritto al riconoscimento, nella base di calcolo per la liquidazione del proprio Trattamento di Fine Servizio (TFS), dei sei scatti stipendiali previsti dall’art. 6- bis del D.L. 387/87 (come modificato dall’art. 21 L. 232/90) e per la condanna dell’INPS alla rideterminazione del TFS già liquidato e versato ed al conseguente pagamento al Sig. Terranova della differenza.

2. Il ricorso è affidato ad un unico motivo così articolato:

I) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. art. 6 bis D.L. n. 387/1987, così come modificato dall’art. 21 Legge 232/1990. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 L. 241/1990. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione : il deducente lamenta sostanzialmente, di aver ricevuto un trattamento di fine servizio (TFS) liquidato in misura difforme da quanto previsto dalla citata norma, per essere stata esclusa dal conteggio la maggiorazione dei sei scatti normativamente attribuibili anche al personale delle forze di polizia cessato a domanda (art. 6- bis , comma 2 del D.L. n. 387/1987). E, dunque, il ricorrente, congedato a domanda, ha presentato presso gli uffici preposti apposita istanza volta ad ottenere l’inclusione dei sei scatti nel computo della base di calcolo del TFS. Tuttavia, l’INPS ha sostenuto che la maggiorazione della base di calcolo spetti solo al personale che ha cessato la funzione “ per età o perché divenuto permanentemente inabile al servizio o perché deceduto ”.

3. In data 05.08.2021 si è costituito il Ministero dell’Interno eccependo in primis difetto di legittimazione passiva e di giurisdizione del giudice amministrativo in favore della Corte dei Conti, stante la giurisdizione esclusiva di tale Istituto in materia pensionistica e chiedendo la reiezione nel merito del gravame in quanto infondato.

4. Con memoria depositata in data 01.04.2022 si è costituito l’Ente previdenziale, eccependo irricevibilità e inammissibilità del ricorso e rilevando che non sussistono i presupposti per il riconoscimento del beneficio di cui al citato art. 6- bis , comma 1 (previsto per le sole cessazioni dal servizio nelle ipotesi di inabilità, decesso, vecchiaia) né di quello di cui al comma 2 secondo cui “ Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche al personale che chieda di essere collocato in quiescenza a condizione che abbia compiuto i 55 anni di età e trentacinque anni di servizio utile .”

Con riguardo a quest’ultima disposizione, l’Ente resistente ha sostenuto la tesi della sussistenza di un legame tra il campo applicativo dell’art. 6- bis del d.l. 387 del 1987 e quello del collocamento in quiescenza per anzianità.

I requisiti per la pensione di anzianità, alla data di cessazione dal servizio del ricorrente (con domanda del 27.02.2017 e collocamento in quiescenza a far data dal 9.10.2017) non erano più di 55 anni di età e 35 anni di servizio, essendo stato progressivamente innalzato il requisito anagrafico in adeguamento alla maggiore aspettativa di vita calcolata dall’ISTAT, prima a 57 anni e 3 mesi di età (dal 2013) e poi a 57 anni e 7 mesi di età dal 2016 (art. 12, comma 12 bis, del d.l. 78 del 2010, conv. in l. 122 del 2020;
d.l. n. 201 del 2011, conv. in 214 del 2011, c.d. riforma “Monti Fornero”;
D.M. 06.12.2011;
D.M. 16.12.2013).

In ogni caso, afferma l’Ente previdenziale, l’articolo 4 della legge 30 aprile 1997, n. 165, espressamente intervenendo nella materia disciplinata dal più volte citato articolo 6- bis ha espressamente escluso l’applicazione dei benefici ivi previsti nel caso di cessazione dal servizio a domanda, salvo pagamento della restante contribuzione previdenziale calcolata in relazione ai limiti di età anagrafica previsti per il grado rivestito , sicchè anche se si ritenesse che al ricorrente si applichi l’articolo 6- bis , comunque non gli spetterebbe il beneficio, perché esso è stato escluso per i collocamenti a riposo a domanda dalle citate previsioni dell’articolo 4 della legge 165 del 1997 che è norma tuttora in vigore non essendo stata abrogata.

Secondo tale tesi, in definitiva l’articolo 4 citato avrebbe chiaramente voluto ripristinare l’originario ambito applicativo del beneficio del riconoscimento dei sei scatti stipendiali limitandolo – coerentemente con la sua originaria ratio di carattere premiale – ai casi di cessazione dal servizio per morte, inabilità fisica o raggiungimento dei limiti di età e con esclusione del collocamento a riposo a domanda, salvo “ pagamento della restante contribuzione previdenziale di cui al comma 3, calcolata in relazione ai limiti di età anagrafica previsti per il grado rivestito ”. Non risultando che il ricorrente abbia effettuato il pagamento della relativa contribuzione previdenziale, in applicazione del comma 2 dell’art. 4 della citata fonte normativa, non potrebbe essere riconosciuta l’attribuzione dei sei scatti stipendiali.

5. Ciò posto, va scrutinata preliminarmente l’eccezione di difetto di giurisdizione di questo adito giudice amministrativo sollevata dal Ministero dell’Interno, sull’assunto che la stessa apparterrebbe alla Corte dei Conti in quanto giudice unico in materia pensionistica ai sensi dell’art. 5 della legge 205/2000, come modificato dalla legge 18 giugno 2009 n. 69.

6. L’eccezione deve essere disattesa.

Il collegio, pur consapevole di un certo orientamento giurisprudenziale, anche della Corte di Cassazione, conforme all’eccezione proposta, ritiene di condividere l’opposto orientamento, espresso costantemente dal giudice di appello (cfr. tra le tante, Cons. Stato, sez.VI, 16.9.2008, n. 4364;
Cons. Stato, sez. VI 3.9.2008, n. 4144) e ribadito recentemente dai giudici di primo grado (T.A.R. Friuli-V. Giulia Trieste, Sez. I, n. 158 del 2022;
T.A.R. Lombardia Milano, Sez. IV, Sent. n. 1849 del 2023), in materia di inclusione dei c.d. sei scatti nella base imponibile pensionabile, con la quale è stata affermata, implicitamente o esplicitamente, la giurisdizione del giudice amministrativo e non della Corte dei conti, vertendosi in materia connessa con il rapporto di pubblico impiego.

Ciò nella considerazione che oggetto della controversia in esame è la rideterminazione della base imponibile, ai fini del calcolo della base pensionabile e della liquidazione dell'indennità di buonuscita, con la eventuale inclusione o meno dei c.d. sei scatti stipendiali;
questioni attinenti immediatamente e direttamente al rapporto di pubblico impiego e solo di riflesso incidenti sul trattamento pensionistico.

7. Proseguendo nello scrutinio preliminare delle questioni di rito, occorre ora esaminare l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dal Ministero dell’Interno e la conseguente richiesta di estromissione dal giudizio.

8. Ritiene il Collegio che l’eccezione sia fondata.

Come chiarito dalla giurisprudenza amministrativa, con conclusioni da cui il Collegio ritiene di non doversi discostare, “ l’unico soggetto obbligato a corrispondere l’indennità di buonuscita è il competente Ente previdenziale (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 6/9/2010, n. 6465, Cons. Stato, sez. VI, 31 gennaio 2006, n. 329), nei cui esclusivi confronti, quindi, doveva essere ritualmente instaurata la controversia ” (cfr. Cons. di Stato, Sez. III, 22.02.2019, n. 1231;
 sez. VI, 6 settembre 2010 n. 6465;
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 7.04.2022, n. 782;
Id., 28.10.2021, n. 2386).

La questione di cui si discute, peraltro, è stata già esaminata anche con riferimento ai rapporti intercorrenti tra le due amministrazioni convenute.

Il Consiglio di Stato – riferendo al Ministero dell’Interno considerazioni svolte in analoghe vicende in relazione alla partecipazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze – ha precisato come la circostanza che il Ministero “ debba eventualmente partecipare al procedimento amministrativo prodromico alla definizione della buonuscita non incide sulla legittimazione a partecipare, dovendosi gestire all’interno del rapporto di diritto pubblico fra i due enti, connotato dal principio di leale collaborazione, atteso che solo l’Inps rappresenta il soggetto debitore nei confronti degli appellati (C.G.A.R.S., 28 giugno 2022, n. 770) ” (cfr. Cons. di Stato, Sez. II, 21.03.2023, n. 2874;
Cons. di Stato, Sez. II, 23.03.2023, n. 2979).

Ne consegue che, nel caso di specie, l’INPS risulta essere l’unico soggetto titolare della legittimazione passiva in giudizio, mentre deve essere disposta l’estromissione dal giudizio del Ministero dell’Interno.

9. Prima di passare all’esame del merito va infine respinta l’eccezione genericamente formulata dall’INPS di inammissibilità del gravame per tardività – essendo trascorso più di un anno dalla liquidazione del TFS - in quanto l’impugnazione non mira ad accertare l’illegittimità del silenzio della p.a. ma a contestare il mancato riconoscimento di un asserito diritto ed in quanto dagli atti di causa emerge che l’interessato abbia avuto contezza del diniego dell’istanza da parte della Prefettura di Catanzaro solo in data 23 giugno 2021.

Peraltro, quand’anche si ritenessero applicabili i termini decadenziali prescritti dal c.p.a. per i giudizi di natura demolitoria, risalendo al 30.07.2021 la notifica del ricorso ed al 04.08.2021 il suo deposito, lo stesso risulterebbe tempestivamente presentato con conseguente infondatezza, anche per tal via, delle relative eccezioni.

10. Passando ora all’esame del merito della controversia, ritiene questo Tribunale che le censure articolate dal ricorrente siano fondate e meritevoli di positiva valutazione.

L’art. 6- bis del D.L. 21 settembre 1987, n. 387, nel quadro della progressiva omogeneizzazione del trattamento economico e previdenziale di tutto il personale del comparto sicurezza, ha previsto che “ 1. Al personale della Polizia di Stato appartenente ai ruoli dei commissari, ispettori, sovraintendenti, assistenti e agenti, al personale appartenente ai corrispondenti ruoli professionali dei sanitari e del personale della Polizia di Stato che espleta attività tecnico-scientifica o tecnica ed al personale delle forze di polizia con qualifiche equiparate, che cessa dal servizio per età o perché divenuto permanentemente inabile al servizio o perché deceduto, sono attribuiti ai fini del calcolo della base pensionabile e della liquidazione dell'indennità di buonuscita, e in aggiunta a qualsiasi altro beneficio spettante, sei scatti ciascuno del 2,50 per cento da calcolarsi sull'ultimo stipendio ivi compresi la retribuzione individuale di anzianità e i benefici stipendiali di cui agli articoli 30 e 44 della legge 10 ottobre 1986, n. 668, all'articolo 2, commi 5, 6 e 10 e all'articolo 3, commi 3 e 6 del presente decreto .”

Il comma 2, della citata norma stabilisce che “ 2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche al personale che chieda di essere collocato in quiescenza a condizione che abbia compiuto i 55 anni di età e trentacinque anni di servizio utile;
la domanda di collocamento in quiescenza deve essere prodotta entro e non oltre il 30 giugno dell’anno nel quale sono maturate entrambe le predette anzianità;
per il personale che abbia già maturato i 55 anni di età e trentacinque anni di servizio utile alla data di entrata in vigore della presente disposizione, il predetto termine è fissato per il 31 dicembre 1990
.”

Il successivo comma 3 stabilisce che: “ 3. I provvedimenti di collocamento a riposo del predetto personale hanno decorrenza dal 1 gennaio dell'anno successivo a quello di presentazione della domanda;
per le domande presentate entro il 31 dicembre 1990 la decorrenza dei provvedimenti di collocamento a riposo è fissata per il 1° luglio 1991
.”

Ciò posto, ritiene questo collegio di aderire all’impostazione di quella parte della giurisprudenza amministrativa che, chiamata a pronunciarsi su situazioni similari, ha ritenuto che la tesi difensiva sostenuta dall’INPS sovrapponga due regimi giuridici aventi diverso oggetto, cioè quello dettato dall’art. 6- bis d.l. 387 del 1987 in materia di determinazione del TFS per il personale delle forze di polizia che dispone l’applicazione del beneficio pari a sei scatti stipendiali (richiamato poi dall’art. 1911, comma 3, del d.lgs. 66 del 2010 recante il Codice dell’ordinamento militare), e quello relativo ai presupposti per il conseguimento della pensione di anzianità.

E’ stato infatti affermato che la corrispondenza tra i relativi requisiti – esistente in origine ma venuta meno per effetto di sopravvenienze normative -, non può indurre a condividere la predicabilità di una permanente ed inscindibile connessione tra gli stessi anche a fronte delle citate modifiche normative e che quindi la disciplina dell’art. 6- bis citato recepisca automaticamente le novità apportate nel tempo alle disposizioni previdenziali in punto di età pensionabile e ciò a prescindere dalla considerazione che l’intenzione originaria del legislatore possa essere stata nel senso di operare un parallelismo tra gli istituti.

Va rilevato, peraltro, che il comma 2 non opera un rinvio o un richiamo all’istituto della pensione di anzianità (richiamo contenuto, ex adverso , nel comma 1 che fa riferimento alle ipotesi di cessazione dal servizio “ per età o perché divenuto permanentemente inabile al servizio o perché deceduto ”) ma si limita a esplicitare, mediante espressioni numeriche dal significato univoco, il dato anagrafico, indicato in “55 anni di età” e quello contributivo, vale a dire del possesso di “35 anni di servizio” richiesti per accedere al beneficio della maggiorazione della base di calcolo del TFS.

L’interpretazione fornita dall’INPS violerebbe innanzitutto il criterio interpretativo letterale della legge cioè quello che impone di attribuire rilievo al senso proprio delle parole scelte dal legislatore (art. 12 preleggi).

E’ stato poi affermato in giurisprudenza, con considerazione che appare condivisibile a questa Sezione, che un eventuale difetto di coordinamento, ove effettivamente riscontrabile, dovrebbe trovare correzione in sede legislativa, non certo attraverso un’interpretazione che contravviene al chiaro tenore letterale delle disposizioni rilevanti.

Condivisibile e pertinente si rivela, infine, il richiamo operato da parte ricorrente all’orientamento espresso di recente dal Consiglio di Stato (Sez. II, n. 2985 del 23 marzo 2023), secondo cui anche la cessazione del servizio a domanda fa sorgere il diritto al beneficio, in presenza del duplice presupposto rappresentato dall'anzianità anagrafica e retributiva, precisando altresì che l'art. 4 del D.Lgs. n. 165 del 1997, comma 2, che riconosce i sei scatti al personale che cessa dal servizio a domanda ma previo pagamento della restante contribuzione previdenziale, calcolata in relazione ai limiti di età anagrafica previsti per il grado rivestito, si applica ai soli fini del calcolo della base pensionabile e non modifica, pertanto, il regime di calcolo del trattamento di fine servizio.

Ciò posto con riferimento alla portata del perimetro soggettivo ed oggettivo di applicabilità delle norme in rassegna, ritiene il collegio che non sia persuasiva la tesi dell’INPS incentrata sulla decadenza per intervenuto spirare dei termini entro i quali avrebbe dovuto presentare domanda (entro e non oltre il 30 giugno dell'anno nel quale erano maturate le anzianità anagrafica e di servizio) ai sensi del più volte citato art. 6- bis , comma 2, né quella imperniata sulla prescrizione del diritto per decorso del termine quinquennale.

Per confutare la prima asserzione è sufficiente considerare che ove il legislatore avesse voluto far discendere dalla mancata osservanza del termine del 30 giugno dell’anno in cui maturano i due requisiti la conseguenza della decadenza dalla facoltà di chiedere ed ottenere il beneficio, attesa l’incisività di tale effetto, lo avrebbe previsto espressamente.

Milita inoltre nel senso appena delineato altresì la considerazione del collegamento ravvisabile, anche in virtù della collocazione nel medesimo contesto testuale delle disposizioni, tra la seconda parte del comma 2, ai sensi del quale “ la domanda di collocamento in quiescenza deve essere prodotta entro e non oltre il 30 giugno dell'anno nel quale sono maturate entrambe le predette anzianità;
per il personale che abbia già maturato i 55 anni di età e trentacinque anni di servizio utile alla data di entrata in vigore della presente disposizione, il predetto termine è fissato per il 31 dicembre 1990
” ed il comma 3 dello stesso articolo, il quale prevede che “ I provvedimenti di collocamento a riposo del predetto personale hanno decorrenza dal 1 gennaio dell'anno successivo a quello di presentazione della domanda;
per le domande presentate entro il 31 dicembre 1990 la decorrenza dei provvedimenti di collocamento a riposo è fissata per il 1° luglio 1991
”.

Dalla lettura in combinato disposto delle due prescrizioni, è possibile dedurre che “ il rispetto del termine del 30 giugno è funzionale a consentire la decorrenza del collocamento a riposo a partire dal primo gennaio dell’anno successivo (cfr. Consiglio di Stato, Sez. II, Sent. n. 2985/2023 del 23 marzo 2023), con conseguente esclusione, ad avviso di questo collegio, della soluzione preclusiva dovuta agli asseriti effetti decadenziali.

Sullo specifico tema la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha avuto modo di precisare che “ anche a ritenere (soltanto) ambigua la disposizione sul termine del 30 giugno, detta ambiguità “non consente di far discendere, dal mancato rispetto del termine di presentazione della domanda di collocamento in quiescenza di cui al citato art.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi