TAR Roma, sez. 3Q, sentenza 2019-03-04, n. 201902845
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Pubblicato il 04/03/2019
N. 02845/2019 REG.PROV.COLL.
N. 08861/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8861 del 2018, proposto da:
N C, rappresentata e difesa dagli avvocati E F, L S, con domicilio eletto come da PEC registri giustizia;
contro
Ministero della Salute, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
1. del provvedimento del Ministero della Salute – Direzione Generale delle Professioni Sanitarie e delle Risorse Umane del Servizio Sanitario Nazionale - prot. n. DGPROF 0026150 – P – 16/05/2018, datato 16 maggio 2018 e successivamente comunicato, ad oggetto: “Diniego riconoscimento titolo professionale” (doc. n. 1);nonché di ogni altro atto e provvedimento connesso e/o presupposto, anche non noto al ricorrente, ivi compresa la nota prot. n. 52868 – P del 17/10/2017, nonché della nota del Ministero della Salute – Direzione Generale delle Professioni Sanitarie e delle Risorse Umane del Servizio Sanitario Nazionale - prot. n. 0005481 – P del 31.01.2018 con la quale sono stati comunicati i motivi ostativi l'accoglimento dell'istanza (doc. n. 2).
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 febbraio 2019 il dott. Massimo Santini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Viene impugnato il provvedimento ministeriale, in epigrafe indicato, con cui è stata rigettata l’istanza di riconoscimento del titolo professionale di specialità medica in medicina interna conseguita dalla ricorrente nella Repubblica di Moldavia. Motivo del diniego: mancato raggiungimento del numero di ore minime (corrispondenti a 5 anni di corso, secondo quanto previsto dall’art. 34, comma 1, e dall’allegato V al decreto legislativo n. 206 del 2007) previste nell’ordinamento italiano.
2. Questi i motivi di ricorso:
A. Violazione degli artt. 34 e 22 del decreto legislativo n. 206 del 2007 (d’ora in avanti, il “decreto 206”), recante recepimento della direttiva 2005/36/CE, nonché della Convenzione di Lisbona sul riconoscimento delle qualifiche professionali. L’amministrazione avrebbe tutt’al più dovuto disporre misure compensative ai sensi dell’art. 22 del decreto 206;
B. Eccesso di potere sotto il profilo della disparità di trattamento atteso che altri soggetti, in situazioni del tutto analoghe, avrebbero al contrario ottenuto, a loro tempo, l’anelato riconoscimento per mano del Ministero qui intimato;
3. Si costituiva in giudizio il Ministero della salute per chiedere il rigetto del gravame.
4. Tutto ciò premesso il collegio ritiene di non doversi discostare dalla conclusioni cui è già pervenuto con propria decisione n. 13043 del 25 ottobre 2018. Si osserva in particolare che:
a) l’art. 49 del DPR n. 394 del 1999 (c.d. Regolamento Immigrazione) prevede per i titoli professionali conseguiti all’estero il solo meccanismo del riconoscimento generale e non anche di quello automatico (riservato ai soli titoli comunitari). Il comma 3 della citata disposizione opera infatti un espresso riferimento alle “misure compensative” (prova attitudinale o tirocinio formativo) che il Ministero competente deciderà discrezionalmente di adottare dopo avere effettuato la prescritta comparazione tra titolo conseguito all’estero (ossia in paese extra UE) e percorso di formazione previsto dall’ordinamento italiano per le singole professioni;
b) il citato art. 49 del DPR 394 e l’art. 60 del decreto 206 operano nell’insieme, ai fini del suddetto riconoscimento dei titoli esteri, un riferimento complessivo al titolo III del medesimo decreto 206. Il riferimento è comunque effettuato nei limiti di compatibilità con natura e durata della formazione conseguita all’estero;
c) tra le norme di cui al citato Titolo III figurano, in particolare: il citato art. 34 (ed il connesso Allegato V), nella parte in cui si stabiliscono durata minima e contenuti essenziali della formazione per la professione di medico specialista in “medicina interna” (requisiti minimi, come del resto richiesto in base al decimo considerando della predetta direttiva 2005/36/CE);il citato art. 22, il quale prevede tra l’altro i presupposti onde accedere al riconoscimento generale, quello ossia mediato dalla adozione di misure compensative;
d) le misure compensative costituiscono pertanto una sorta di strumento idoneo a recuperare la eventuale carenza (gap) di taluni requisiti minimi in capo ai singoli titoli conseguiti all’estero: entro questi termini l’art. 34 (ed il connesso Allegato V) del decreto 206 – diversamente da quanto opinato dalla difesa di parte ricorrente – costituisce più propriamente parametro per stabilire entità e dimensione delle misure compensative e dunque per ottenere il riconoscimento di tipo generale, non solo di quello automatico;
e) ebbene, sino alla emanazione del decreto legislativo n. 15 del 28 gennaio 2016 le carenze da recuperare mediante misure compensative potevano tra l’altro riguardare sia il gap temporale (durata minima corso di laurea) sia il gap contenutistico (materie affrontate nel corso di studio all’estero);
f) in seguito alla entrata in vigore del citato decreto legislativo n. 15 del 2016 è stata tuttavia abrogata la lettera a) del comma 1 dell’art. 22 del decreto 206, ossia il presupposto relativo al gap temporale;
g) di conseguenza, se tale specifico presupposto per la applicazione delle suddette misure compensative (il gap temporale) è dal 2016 venuto meno, lo stesso non potrà più parallelamente mancare, ab origine, in capo al peculiare titolo (estero, in questo caso) di cui ora si chiede il riconoscimento;
h) in altre parole, con la abrogazione della suddetta lettera a) si potrà procedere al riconoscimento generale mediante applicazione di misure compensative dei soli titoli in cui si riscontri un certo gap contenutistico, non anche di quelli in cui si registri altresì un gap di natura temporale: il requisito della durata minima del corso di laurea dovrà pertanto essere sempre indefettibilmente rispettato. E ciò probabilmente allo scopo di evitare il riconoscimento di corsi di laurea frequentati all’estero che si rivelino “leggeri” oltre misura, ossia per garantire un certo livello minimo di qualificazione necessario a preservare la qualità delle relative prestazioni professionali (cfr. undicesimo considerando della direttiva 2005/36/CE)”.
Alla luce di quanto sopra riportato il primo motivo deve allora essere rigettato, atteso che il corso di laurea sostenuto all’estero (Repubblica Moldavia) aveva una durata (3 anni) sensibilmente inferiore rispetto a quanto richiesto dall’ordinamento italiano (5 anni).
Il motivo sub B) deve parimenti essere rigettato in quanto il Ministero, in presenza di una simile lacuna (obiettiva insufficienza, ossia, delle ore di insegnamento relative al corso di laurea sostenuto all’estero), si trova dinanzi ad una attività amministrativa di tipo vincolato, a nulla rilevando le pur brillanti attestazioni accademiche e professionali che l’interessato possa avere eventualmente conseguito dopo il corso di laurea.
A ciò si aggiunga che gli esempi prodotti in giudizio riguardano casi affrontati dal Ministero in epoca sicuramente anteriore (più precisamente, nel 2007) rispetto alla entrata in vigore del citato decreto legislativo n. 15 del 2016 [abrogazione predetta lettera a)].
Il ricorso deve conclusivamente essere rigettato per le ragioni sopra partitamente indicate.
Con compensazione in ogni caso delle spese di lite, data la peculiarità della questione esaminata.