TAR Roma, sez. IV, sentenza 2023-01-30, n. 202301639

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. IV, sentenza 2023-01-30, n. 202301639
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202301639
Data del deposito : 30 gennaio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 30/01/2023

N. 01639/2023 REG.PROV.COLL.

N. 08816/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8816 del 2016, proposto da
V C, rappresentato e difeso dall'avvocato R F, domiciliato presso la Segreteria del TAR Lazio in Roma, via Flaminia, 189;

contro

Ministero dell'Economia e delle Finanze, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

della determinazione del Comando Interregionale dell'Italia Centrale della Guardia di Finanza del 13.6.2016, con cui si è disposta la sua sospensione dall’impiego per la durata di sei mesi a decorrere dal 14.6.2016 al 13.12.2016.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Economia e delle Finanze;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 27 gennaio 2023 il dott. Angelo Fanizza e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Il sig. V C, maresciallo capo della Guardia di Finanza, ha impugnato e chiesto l’annullamento della determinazione del Comando Interregionale dell'Italia Centrale della Guardia di Finanza del 13.6.2016, con cui si è disposta la sua sospensione dall’impiego per la durata di sei mesi a decorrere dal 14.6.2016 al 13.12.2016.

L’impugnato provvedimento ha fatto seguito ad una inchiesta formale avviata in data 17.12.2015 dal Comandante Regionale Lazio della Guardia di Finanza in relazione ai fatti oggetto del procedimento penale n. 58033/03 R.G.N.R., istruito dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Roma, in ordine alle ipotesi delittuose di cui agli artt. 582, 585 (lesioni personali aggravate), 612 (minaccia), 56, 635 (tentato danneggiamento) c.p. e 4 della legge n. 110/1975 (porto abusivo di armi), nell'ambito dei quali:

a) il Giudice monocratico presso il Tribunale ordinario di Roma ha emesso, in data 19.5.2008, la sentenza n. 10876, con cui ha dichiarato l'imputato colpevole dei reati a lui ascritti, ad eccezione del reato di cui all'art. 4 della legge 110/1975, estinto per intervenuta prescrizione, condannandolo, tra l'altro, alla pena di anni 2 di reclusione (pena sospesa);

b) la Corte d'Appello di Roma, pronunciandosi in data 22.11.2012 sul ricorso proposto dal militare, ha emesso la sentenza n. 8433 con cui, in riforma del giudizio di primo grado, ha dichiarato non doversi procedere in ordine ai reati per i quali il ricorrente aveva riportato condanna, perché estinti per intervenuta prescrizione.

Nei confronti del ricorrente, nondimeno, è stato avviato il procedimento disciplinare basato sulla contestazione “ perché, in qualità di Maresciallo Capo, in servizio alla Compagnia Fiumicino, a seguito di un incidente stradale occorso tra la propria autovettura, di cui era alla guida con a bordo altro ispettore e un minore di anni quattro, ed un camion, inveiva con epiteti volgari contro il conducente del suddetto automezzo, aggredendolo e prendendolo ripetutamente a schiaffi sul volto. Estraeva, poi, un coltello a serramanico, avente lama lunga circa cm 10, e, impugnandolo in direzione del viso dell'autista del camion, proferiva la frase: "adesso ti taglio la faccia", colpendolo con il citato coltello al braccio sinistro e cagionandogli ferite all'arto ed escoriazioni al volto, successivamente refertate al pronto soccorso e giudicate guaribili in 10 giorni. Compiuto l'atto, si dirigeva verso la propria autovettura da cui prelevava un martello da carpentiere, riprendeva a schiaffeggiare il malcapitato sul volto minacciandolo di colpirlo alla testa con il martello e pronunciando le frasi: "ti rompo tutto il camion" e "non ti ammazzo perché non vale la pena pagarti". Terminata la colluttazione, invitava la vittima a seguirlo in caserma. A seguito del rifiuto di quest'ultimo ad ottemperare al suddetto invito, causa il sanguinamento della ferita nonché della decisione di procedere alla denuncia dell'aggressore, l'ispettore si qualificava come Maresciallo della Guardia di Finanza, mostrando il relativo tesserino. Il personale dell'Arma dei Carabinieri, il cui intervento era stato richiesto da un passante, procedeva a riportare alla calma il militare ed a sequestrargli il martello ed il coltello a serramanico che venivano spontaneamente consegnati dall'ispettore. Fatti occorsi in Roma - Ostia, il 10 ottobre 2000 ”.

Il Comando ha, perciò, “ ritenuto che sia pienamente condivisibile il giudizio di meritevolezza a conservare il grado formulato dalla Commissione di Disciplina nei confronti dell'ispettore in quanto, procedendo ad una doverosa. valutazione della rilevanza disciplinare degli accadimenti, effettuata tenendo conto degli interessi pubblici di settore lesi dal comportamento del militare, si evince come dalla vicenda traspare una dinamica degli eventi che fa ritenere fa condotta effettivamente grave ma non sintomatica di totale inaffidabilità del militare o di una definitiva compromissione dei requisiti minimi di moralità necessari a permanere nelle file del Corpo;

considerato che

a carico del Maresciallo Capo Ciciarello Vincenzo deve essere quindi irrogato un provvedimento sanzionatorio di carattere correttivo quale è la sospensione disciplinare dall'impiego che, nel caso di specie, appare congrua nella misura massima di mesi 6 (sei), essendo in tal modo: equa e proporzionata alla gravità della condotta sopra stigmatizzata e dolosamente posta in essere dall'inquisito;
idonea a tutelare e garantire l’imparzialità dell'istituzione ed essenziale al fine di assicurare il legittimo esercizio del potere disciplinare dell'Amministrazione, che costituisce una delle forme più pregnanti per affermare concretamente il principio costituzionalmente garantito del buon andamento della stessa
”.

A fondamento del ricorso sono stati dedotti i seguenti motivi:

1°) violazione e falsa applicazione art. 1392, commi 1 e 3 del d.lgs. n. 66/2010;
decadenza dall'azione disciplinare;
eccesso di potere per difetto di istruttoria e motivazione e violazione dell’art. 2 della legge 241/1990.

Il ricorrente, in prima battuta, ha contestato “ la tempestività e conseguente decadenza della pretesa sanzionatoria, non potendosi far coincidere il dies a quo per l'esercizio del potere sanzionatorio con l'effettiva acquisizione del provvedimento presupposto al protocollo atti dell'Amministrazione, a maggior ragione in ipotesi, quale quella in discorso, in cui il ritardo è dipeso unicamente da un cattivo esercizio del potere amministrativo in capo all'Amministrazione di appartenenza ”;
e ciò in quanto il Comando Regionale del Lazio sarebbe stato a conoscenza “ a far data dal mese di maggio 2013, dell'intervenuta conclusione di detto procedimento, rispetto al quale iniziò a richiederne copia della sentenza munita della attestazione di passaggio in giudicato ” (cfr. pag. 4).

Si è, quindi, censurata la legittimità di una “ verifica limitata alle risultanze emergenti "dai terminali", per verificare se sia stato o no proposto gravame avverso il provvedimento, ovvero se lo stesso sia divenuto irrevocabile per mancata opposizione ” (cfr. pag. 5).

Ha, pertanto, confutato la fondatezza “ dell’assunto, sostenuto dall'Ufficiale inquirente nel proprio rapporto finale, secondo cui in sede di rilevamenti periodici, la competente Autorità Giudiziaria attestava che dal terminale risultava che la sentenza non era ancora passata in giudicato, come da annotazione manoscritta datata 09/04/2015, apposta sul foglio nr 156253/15 datato 07/04/2915 del I Gruppo Guardia di Finanza Roma e, pertanto, sino all'effettiva acquisizione al protocollo dell'amministrazione, il provvedimento non poteva considerarsi acquisito e non poteva decorrere il termine d'avvio del procedimento disciplinare ” (cfr. pag. 7).

2°) Violazione degli artt. 1 e 3 della legge 241/1990;
eccesso di potere per difetto di motivazione ed istruttoria, falsità del presupposto, incongruità ed irragionevolezza, violazione del diritto di difesa.

Il ricorrente ha soggiunto che “ all'interno della determina oggetto del presente ricorso, il Comandante Interregionale non menziona, né offre alcuna considerazione e/o commento in ordine alle argomentazioni difensive ”;
ha lamentato, in particolare, che “ non è dato rinvenire alcun passaggio o menzione alle censure relative alla denunciata decadenza nell'esercizio del potere sanzionatorio, alla mancata verifica circa il comportamento complessivo del militare, ivi incluso il suo comportamento successivo, lo stato di servizio, le caratteristiche episodiche del fatto oggetto di accertamento, ed il notevole lasso temporale (oltre 16 anni), tra la data di presunta commissione del fatto ed il provvedimento disciplinare ” (cfr. pag. 8).

3°) Violazione dell'art. 1 e 2 della legge 241/1990;
dell’art. 97 della Costituzione;
degli artt. 1397 e 1398 del codice dell’ordinamento militare;
eccesso di potere per irragionevolezza, violazione del principio di trasparenza, buon andamento ed imparzialità dell'azione amministrativa.

Il ricorrente ha, infine, dedotto che “ l’aver ritenuto legittima l'apertura e l'adozione di un provvedimento sanzionatorio a distanza di oltre 3 anni dalla pronuncia della sentenza conclusiva dell'accertamento, riferibile ad un fatto risalente ad otre 16 anni prima, rappresenta un chiaro indice di illegittimità dell'atto, privo del carattere della tempestività, irrispettoso del diritto di difesa, ed il cui avvio ha risentito di un enorme ritardo imputabile unicamente ad una negligente azione amministrativa, la quale ha portato all'applicazione sine die del provvedimento a distanza talmente lontana dal pronunciamento dell'atto presupposto, da renderlo completamente avulso ed inadatto a soddisfare le ragioni sottese al procedimento sanzionatorio ” (cfr. pagg. 10 – 11).

Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Economia e delle Finanze, che nella memoria depositata il 23.8.2016 ha opposto che “ la sentenza in data 22.11.2012 della Corte di Appello di Roma - divenuta irrevocabile in data 08.02.2013 - è stata acquisita formalmente dalla Guardia di Finanza in data 13.10.2015 (…), mediante i previsti periodici rilievi eseguiti dall’Amministrazione nelle sedi giudiziarie preposte ” (cfr. pag. 15);
che “ il conseguente procedimento amministrativo è stato ordinato dal Comandante Regionale Lazio della Guardia di Finanza in data 17.12.2015 e notificato all’inquisito con la contestazione degli addebiti in data 05.01.2016 ”, concludendosi in data 13.6.2016, da ciò derivando che “ dal conseguente calcolo temporale si evince che il procedimento amministrativo è stato notificato all’interessato in 84 giorni decorrenti dalla formale acquisizione della sentenza di Appello (l’art. 1392 – comma 1° del C.O.M. ne prevede un massimo di 90 giorni) e si è concluso in 244 giorni decorrenti sempre dalla formale acquisizione della suddetta sentenza (l’art. 1392 – comma 3° ne prevede un massimo di 270) ” (cfr. pag. 16);
ha, inoltre, eccepito che ove il ricorrente “ fosse entrato in possesso della sentenza definitiva di proscioglimento della Corte di Appello di Roma prima dell’Amministrazione, avrebbe dovuto, nel suo primario interesse, consegnarla a quest’ultima per le opportune valutazioni, anche in considerazione dell’art. 748 del Testo unico delle disposizioni Regolamentari in materia di Ordinamento Militare che impone l’obbligo al militare di comunicare all’Amministrazione di appartenenza “gli eventi in cui è rimasto coinvolto e che possono avere riflessi sul servizio ” (cfr. pag. 17);
ha, infine, sottolineato che “ nella determina, infine, è esplicitato inequivocabilmente: (…) l’acclaramento, in sede di procedimento amministrativo, della responsabilità del ricorrente in ordine ai gravi addebiti contestati;
(…) la valutazione della tesi giustificativa addotta dal medesimo e la sua comparazione con le risultanze istruttorie;
(…) l’esecrabilità del comportamento tenuto e la sua contrarietà alle finalità della Guardia di Finanza ed ai doveri di correttezza e lealtà assunti con il giuramento
” (cfr. pag. 19).

Con ordinanza n. 5461 del 16 settembre 2019 è stata respinta la domanda cautelare.

Nessuna, ulteriore, memoria è stata depositata in vista dell’udienza di discussione del ricorso nel merito, fissata per il 27 gennaio 2023 e, a tale udienza, la causa è stata trattenuta per la decisione.

Il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto.

Non coglie nel segno il primo motivo.

Dispone l'art. 1392 del d.lgs. 66/2010 (Codice dell'ordinamento militare) che il procedimento disciplinare di stato, quale è quello di cui è causa, a seguito di giudizio penale deve essere instaurato con la contestazione degli addebiti all'incolpato, entro 90 giorni dalla data in cui l'amministrazione ha avuto “ conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale irrevocabili ”, che lo concludono, ovvero del provvedimento di archiviazione (comma 1) e deve concludersi entro 270 giorni dalla data in cui l'amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale, divenuti irrevocabili, ovvero del provvedimento di archiviazione (comma 3).

Sulla base delle disposizioni sopra richiamate il dies a quo da cui far decorrere i termini di instaurazione e di ultimazione del procedimento disciplinare coincide con la data in cui l'Amministrazione ha avuto conoscenza integrale del provvedimento giurisdizionale a seguito del quale è instaurato il procedimento penale, non già con la data in cui la pronuncia penale è divenuta irrevocabile (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 4 ottobre 2018, n. 5700;
TAR Veneto, 4 gennaio 2018, n. 16;
Consiglio di Stato, sez. IV, 26 novembre 2015, n. 5367;
TAR Abruzzo – Pescara, 20 luglio 2016, n. 278);
e, in particolare, secondo la giurisprudenza l’art. 1392 “ fa evidentemente riferimento ad una conoscenza giuridicamente certa, che può derivare solo dall'acquisizione di copia conforme della sentenza completa dell'attestazione di irrevocabilità ” (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 19 agosto 2016, n. 3652;
id., 17 luglio 2018, n. 4349).

Il ricorrente ha sostenuto che l’Amministrazione “ già dal 31.01.2012 fosse a conoscenza del procedimento pendente dinanzi alla Corte di Appello di Roma nei confronti del ricorrente e, a far data dal mese di maggio 2013, dell'intervenuta conclusione di detto procedimento, rispetto al quale iniziò a richiederne copia della sentenza munita della attestazione di passaggio in giudicato ” (cfr. pag. 4);
non è, quindi, in alcun modo provato – né, di conseguenza, addebitabile – un’inerzia responsabile dell’Amministrazione;
e costituisce, dunque, una mera congettura il rilievo secondo cui quest’ultima avrebbe “ dilatato oltre misura i termini per l'avvio del procedimento, facendoli dipendere da un proprio arbitrario comportamento derivante dal malfunzionamento delle proprie procedure interne ” (cfr. pag. 5);
affermazione che si rivela, addirittura, paradossale, considerate le richieste – ben quindici – reiteratamente formulate alla Corte di Appello per ottenere copia conforme della sentenza munita degli estremi di irrevocabilità (29.5.2013;
5.12.2013;
10.2.2014;
6.5.2014;
11.6.2014;
14.7.2014;
10.9.2014;
23.10.2014;
15.12.2014;
17.2.2015;
7.4.2015;
25.5.2015;
4.8.2015;
20.8.2015;
6.10.2015).

Al contrario, la concreta diacronìa degli eventi, sostanziata dalla documentazione in atti, dimostra che appena è stata acquisita l’integrale copia della sentenza irrevocabile (13.10.2015) è stato avviato l’inchiesta formale che ha originato il procedimento disciplinare conclusosi con l’adozione dell’impugnato provvedimento, e ciò nei tempi scanditi dal predetto art. 1392, come ha persuasivamente eccepito la difesa erariale.

Parimenti infondati sono, poi, il secondo e terzo motivo, che per affinità tematica possono essere esaminati congiuntamente.

Non è provato che, nel corso del procedimento disciplinare, non sia stata garantito al ricorrente il diritto di difesa, ossia che al ricorrente non sia stato consentito, ai sensi dell’art. 1387 del codice dell’ordinamento militare, di intervenire nel procedimento “ con l'assistenza di un ufficiale difensore, per svolgere oralmente le proprie difese e di far pervenire alla commissione, almeno cinque giorni prima della seduta, eventuali scritti o memorie difensive ”;
o che non siano state udite le ragioni a difesa ai sensi del successivo art. 1388.

All’opposto, nella motivazione dell’impugnato provvedimento è stato riportato, in modo pressoché cronachistico, quanto verificato in occasione dell’episodio che ha dato origine al procedimento penale e, soprattutto, è stato riportato quanto evidenziato dalla Corte di Appello, la quale, nonostante la dichiarata estinzione dei reati per prescrizione, ha sottolineato che “ dall’esame delle emergenze processuali non si evincono condizioni per un proscioglimento nel merito. Va condivisa, infatti, l’ampia e circostanziata motivazione del giudice di prime cure che ha significativamente posto in rilievo tutti gli elementi di prova a carico del giudicabile. I verbali di sequestro redatti dai Carabinieri attestano il possesso del martello e del coltello;
la documentazione medica riversata in atti evidenzia la natura e l’entità delle lesioni
”.

Ciononostante, è stato ritenuto “ pienamente condivisibile il giudizio di meritevolezza a conservare il grado formulato dalla Commissione di Disciplina nei confronti dell'ispettore in quanto, procedendo ad una doverosa valutazione della rilevanza disciplinare degli accadimenti, effettuata tenendo conto degli interessi pubblici di settore lesi dal comportamento del militare, si evince come dalla vicenda traspare una dinamica degli eventi che fa ritenere fa condotta effettivamente grave ma non sintomatica di totale inaffidabilità del militare o di una definitiva compromissione dei requisiti minimi di moralità necessari a permanere nelle file del Corpo ”: il che prova, ad avviso del Collegio addirittura con tratti di singolare apertura, la considerazione dei profili di difesa del ricorrente.

In conclusione, il ricorso va respinto.

Le spese processuali seguono la soccombenza e vengono quantificate, ai sensi del DM 55/2014, in €. 2.000,00, oltre accessori, che il ricorrente dovrà corrispondere al Ministero dell’Economia e delle Finanze.

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