TAR Roma, sez. 1T, sentenza 2014-03-26, n. 201403360
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N. 03360/2014 REG.PROV.COLL.
N. 08836/2005 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8836 del 2005, proposto da:
Car s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti G L e Antonio Cpagnola, con domicilio eletto presso lo studio dei difensori, situato in Roma, via Lutezia n. 8;
contro
Regione Lazio, in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa dall'avv. R S ed elettivamente domiciliata presso il difensore nella sede dell’Avvocatura dell’Ente, situata in Roma, via Marcantonio Colonna n. 27;
Comune di Vicovaro, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. S Crapolicchio, con domicilio eletto presso lo studio del difensore, situato in Roma, via Belsiana n. 100;
nei confronti di
M E e M Mario, rappresentati e difesi dagli avv.ti Pietro Carlo Pucci e Barbara Del Vecchio, con domicilio eletto presso lo studio dei difensori, situato in Roma, via Riccardo Grazioli Lante n. 9;
per l'annullamento
- della determinazione della Regione Lazio, Dipartimento Economico, Direzione Regionale Agricoltura, Area usi civici e diritti collettivi, n. C/0296 del 5 marzo 2004, con la quale è stata disposta – ai sensi dell’art. 9 della legge 16 giugno 1927, n. 1766 - la legittimazione della occupazione di terreno di demanio collettivo in Comune di Vicovaro a favore dei sigg. Mario ed E M;
- della deliberazione della Giunta Comunale di Vicovaro n. 50 dell’8 giugno 2004, che ha disposto l’affrancazione del canone enfiteutico, gravante sul terreno in esame, a favore dei medesimi sigg. M;
- di tutti gli atti comunque connessi con quelli impugnati;
con la conseguente declaratoria di inefficacia
dell’atto di affrancazione stipulato dal delegato comunale con i sigg. M il 21 settembre 2004, per rogito del notaio Carlo Gaddi di Roma, rep. 6445/4533;
nonché per il risarcimento dei danni;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Lazio, del Comune di Vicovaro e dei sigg. M E e M Mario;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 dicembre 2013 il Consigliere Antonella Mangia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Attraverso l’atto introduttivo del presente giudizio, notificato in data 20 settembre 2005 e depositato il successivo 10 ottobre 2005, la società ricorrente impugna la determinazione con cui, in data 5 marzo 2004, la Regione Lazio ha disposto la legittimazione della occupazione di un terreno di demanio collettivo, sito nel Comune di Vicovaro, distinto in catasto al foglio 24, p.lle 115, 117 e 118, a favore de sig.ri M Mario e M E, ai sensi dell’art. 9 della legge n. 1766 del 1927, nonché la deliberazione con cui, in data 8 giugno 2004, la Giunta Comunale di Vicovaro ha disposto l’affrancazione del canone enfiteutico gravante sul terreno in esame, a favore dei medesimi sig.ri M.
Nel contempo, chiede il risarcimento dei danni.
In particolare, la ricorrente espone quanto segue:
- a seguito di sentenza della Giunta d’Arbitri del 26 luglio 1902, il terreno di cui sopra – originariamente di proprietà privata – “era divenuto demanio collettivo di proprietà indivisa dei Comuni di Vicovaro, Marcellina e San Polo dei Cavalieri” e poi di proprietà esclusiva del Comune di Vicovaro, il quale lo cedette in enfiteusi al sig. P con atto del 17 giugno 1958, n. 461;
- “quest’ultimo procedimento si concluse con atto pubblico di affrancazione” del 5.7.1969, in virtù del quale il sig. P acquistò la proprietà piena dell’immobile;
- nello stesso anno il sig. P cedette, poi, la proprietà del terreno alla coop. Edil. Verde Gaudio, la quale – a sua volta – la cedette alla società Centro Studi Edile Legale Tributario;
- a seguito di incorporazione con la società Centro Studi Edile Legale Tributario a r.l., nel 1992 acquistava la proprietà del terreno di cui sopra;
- tuttavia, nel 1995 veniva spogliata del possesso ad opera dei sig.ri M, proprietari dell’area confinante (cfr. verbale Carabinieri del 16 novembre 1995);
- a seguito della promozione di azione possessoria, con ordinanza del 30 giugno 1997 il Pretore di Tivoli disponeva la sua reintegrazione nel possesso dell’area;
- a seguito di appello da parte dei sig.ri M, tale ordinanza veniva riformata dal Tribunale di Tivoli con sentenza n. 17929 del 29 settembre 1999;
- proponeva ricorso per cassazione ma lo stesso veniva respinto “per ragioni di rito”;
- nel frattempo e precisamente in data 19 gennaio 1999, i sig.ri M chiedevano alla Regione Lazio la legittimazione dell’occupazione abusiva dell’area, ai sensi degli artt. 9 e 10 della legge n. 1766/1927, sulla base di una certificazione del Comune di Vicovaro che classificava il terreno come “demanio civico” gravato da usi civici;
- venuta a conoscenza di tale iniziativa, comunicava alla Regione Lazio la propria ferma opposizione;
- con note del 31.3.1999 e 23.6.1999 la Regione Lazio sospendeva la procedura di legittimazione;
- i sig.ri M proponevano, pertanto, ricorso al Commissario per gli Usi Civici di Roma al fine di sentire dichiarare “la demanialità civica delle terre site in Vicovaro foglio 24, partt. 115, 117 e 118”;
- visto anche l’esito della CTU all’uopo disposta, il giudizio si concludeva con sentenza n. 16 del 2003 di accoglimento della domanda dei sig.ri M, con cui il Commissario dichiarava, tra l’altro, la nullità dell’atto di affrancazione del 1969 e di tutti i successivi atti dispositivi;
- nelle more del giudizio di cui sopra, la Car proponeva dinanzi al Tribunale Civile di Tivoli azione di rivendicazione del terreno;
- senza attendere l’esito di tale giudizio e precisamente in data 5 marzo 2004, i sig.ri M ottenevano la conclusione del procedimento avviato il 19 gennaio 1999, mediante l’adozione del provvedimento di legittimazione dell’occupazione del terreno;
- con deliberazione della Giunta Regionale di Vicovaro dell’8 giugno 2004, i sig.ri M ottenevano, altresì, l’affrancazione del canone enfiteutico, gravante sul terreno.
Avverso tali provvedimenti – di cui la ricorrente afferma di essere venuta a conoscenza in virtù del deposito di atti da parte dei sig.ri M all’udienza del 9 giugno 2005 del giudizio civile di rivendica – la già citata ricorrente insorge deducendo i seguenti motivi di diritto:
A) VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 9 E 10 DELLA LEGGE N. 1766 DEL 1927 - ECCESSO DI POTERE PER TRAVISAMENTO DEI PRESUPPOSTI DI FATTO E DI DIRITTO E PER ERRORE O CARENZA D’ISTRUTTORIA. Nel caso di specie, i sig.ri M non potevano vantare il presupposto soggettivo richiesto per la legittimazione, ossia il possesso decennale. Ciò si trae anche dai verbali dei Carabinieri del 16 novembre 1995 e del 25 gennaio 1996 e da ulteriore documentazione in possesso della ricorrente, quale quella attinente alle imposte sugli immobili ed ai contratti di costituzione di servitù sul terreno.
B) VIOLAZIONE DELL’ART. 7 DELLA LEGGE 7 AGOSTO 1990, N. 241, E DELL’ART. 30 DEL R.D. 332/1928 – ECCESSO DI POTERE PER TRAVISAMENTO DEI PRESUPPOSTI DI FATTO E DI DIRITTO, PER DIFETTO ASSOLUTO DI ISTRUTTORIA, PER CONTRADDITTORIETA’. La ricorrente – in qualità di “soggetto interessato” – avrebbe dovuto ricevere la determinazione regionale di legittimazione ma ciò non è avvenuto. Più specificamente, la Regione ed il Comune hanno ritenuto di attenersi alla procedura di pubblicazione e notifica del progetto di legittimazione di cui all’art. 30 r.d. n. 332 del 1928, “senza tuttavia darne alcuna notizia alla Soc. Car, unico soggetto realmente e direttamente interessato nella vicenda”. In tal modo sono state violate le norme indicate e commessi “gravi eccessi di potere”.
C) VIOLAZIONE DELLA LEGGE 1766 DEL 1927, IN PARTICOLARE DEGLI ARTT. 9 E 10, NONCHE’ DEI PRINCIPI DI BUON ANDAMENTO DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA DI CUI ALL’ART. 97 DELLA COST. – ECCESSO DI POTERE PER TRAVISAMENTO DEI PRESUPPOSTI DI FATTO E DI DIRITTO, PER CARENZA DI ISTRUTTORIA E PER CONTRADDITTORIETA’. La determinazione regionale che ha legittimato l’occupazione abusiva del terreno è stata adottata in violazione del diritto di enfiteusi precedentemente concesso (ai sensi della legge n. 1766/1927) a favore del sig. P con l’atto n. 461 del 1958, diritto poi “ipso iure trasferito ai successivi aventi causa di questo: tra i quali – e per ultimo – la soc. Car”. In altre parole, l’atto di cessione può essere considerato nullo per quanto riguarda il trasferimento dell’area ma non per il trasferimento del diritto di enfiteusi, “che le parti avrebbero senz’altro posto in atto se a conoscenza della reale condizione del suolo, erroneamente certificata dal Comune stesso come libera da usi civici”.
D) ECCESSO DI POTERE PER TRAVISAMENTO DEI PRESUPPOSTI DI FATTO, CONTRADDITTORIETA’ E VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI TRASPARENZA E CHIAREZZA DEGLI ATTI AMMINISTRATIVI NONCHE’ PER INSUFFICIENTE MOTIVAZIONE. Della numerazione che individua il terreno – p.lle 115, 117 e 118 del foglio 24 – vi è traccia unicamente nella determinazione regionale di legittimazione, mentre nella deliberazione della G.C. a questi numeri si aggiungono più volte lettere – atte ad indicare altre e diverse particelle - e nell’affrancazione “la indicata numerazione si perde del tutto” (stante il riferimento alle p.lle “308, 310, 311, 313, 314, 315 e 317” del foglio 24). Tale constatazione determina l’insorgenza di dubbi per la sussistenza di un evidente “contrasto documentale”.
In ultimo, la ricorrente – oltre a chiedere il risarcimento del danno - propone “istanza per la proposizione della querela di falso”, posta in relazione alla “palese inattendibilità delle dichiarazioni rese” dai M al “pubblico ufficiale, ai sensi della l. 15/68”.
Con atto depositato in data 24 ottobre 2005 si è costituita la Regione Lazio, la quale – nel prosieguo e precisamente in data 1 giugno 2010 – ha prodotto memoria difensiva, caratterizzata – in sintesi – dal seguente contenuto: - il ricorso è irricevibile per tardività, atteso che la determinazione impugnata è stata pubblicata nel supplemento ordinario n. 4 del “Bollettino Ufficiale” n. 17 del 19 giugno 2004;- il ricorso è, altresì, inammissibile per carenza di interesse;- non sussistono i presupposti per affermare che i sig.ri M abbiano perpetrato uno spoglio ai danni della ricorrente, atteso che il Tribunale Civile di Roma ha rigettato la domanda di reintegra nel possesso avanzata da quest’ultima con sentenza n. 17929 del 1999, confermata dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 15784 del 2002;- di conseguenza i sig.ri M “possedevano da oltre vent’anni il terreno in questione come dagli stessi dichiarato nel verbale reso ai carabinieri in data 1995”;- a conferma di ciò, si ricorda che il presupposto per la legittimazione del terreno di demanio civico è il fatto obiettivo dell’occupazione abusiva del fondo continuata per almeno dieci anni senza che a tal fine rilevi l’animus dell’occupatore;- alcuna prova è stata fornita dalla ricorrente “che il terreno … fosse da essa stessa effettivamente occupato e coltivato”, atteso che – a tale fine – non vale richiamare l’avvenuto pagamento delle imposte sugli immobili ovvero l’esistenza di contratti costitutivi di servitù, accertati peraltro come nulli;- per l’ultradecennalità del possesso, giova poi ricordare che, ai fini della legittimazione dell’ultimo occupatore, è possibile considerare anche il periodo di occupazione degli occupatori precedenti, sicché l’inizio dell’occupazione abusiva può essere chiaramente ricondotta almeno al 1969, anno in cui il sig. P, senza averne titolo, alienava il terreno;- la ricorrente non era titolare di alcun interesse qualificato a partecipare al procedimento;- in ogni caso, il provvedimento impugnato non avrebbe potuto avere un diverso contenuto, con connessa operatività dell’art. 21 octies, ed è stata rispettata la pubblicità degli atti all’uopo prevista.
Con atto depositato in data 11 novembre 2005 si è costituito il Comune di Vicovaro, il quale – con memoria prodotta il successivo 11 giugno 2010 – ha inizialmente rappresentato che: - anche il Tribunale di Roma, adito dalla CAMAR per l’accertamento della proprietà nonché per vedersi riconoscere l’usucapione ventennale, ha accertato la nullità dell’atto di affrancazione in favore del sig. Passantilli con sentenza n. 1726 del 2007, riconoscendo l’appartenenza dei fondi de quibus al demanio collettivo; - avverso tale sentenza, la ricorrente ha proposto appello in data 19 gennaio 2009, depositando solo il successivo 2 aprile 2010 copia di un atto di citazione per querela di falso in ordine a pretesi vizi che inficerebbero la sentenza commissariale del 2003. Nel prosieguo, ha eccepito: - l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del giudice adito, adducendo che il gravame è stato proposto nel tentativo di rimuovere gli effetti della già indicata sentenza del Commissario Usi Civici Lazio n. 16 del 10 aprile 2003, ormai passata in giudicato per mancata impugnazione;- l’inammissibilità dell’impugnativa per carenza di interesse a ricorrere;- la tardività del ricorso. Per quanto riguarda il merito, il Comune ha poi rilevato che: - la nozione di occupazione abusiva di cui alla legge sugli usi civici non si identifica con la nozione comune del possesso;- in ogni caso, ai sig.ri M mai potrebbe negarsi la qualifica di “possessori”, “avendo questi esercitato per oltre dieci anni, sui terreni de quibus, un potere di fatto sulla cosa in tutto e per tutto corrispondente al diritto di proprietà;- l’addotto spoglio del 1995 è stato completamente smentito dal Tribunale Civile di Roma con la sentenza n. 17929 del 1999, di rigetto della domanda della CAMAR di reintegra nel possesso;- per confutare l’occupazione dei sig.ri M, consistente nell’utilizzazione effettiva continua del fondo, a nulla valgono il pagamento dei tributi afferenti il terreno o, anche, contratti relativi alla costituzione di servitù sul terreno medesimo;-l’ultimo occupatore può poi unire alla sua occupazione quella degli occupatori precedenti e, dunque, l’inizio dell’occupazione abusiva risale quantomeno al 1969, anno in cui è stato prodotto l’atto di affrancazione;- la CAMAR non aveva titolo per essere qualificata “interessato”, ai sensi dell’art. 7 l. 241/90;- alcuna prova risulta fornita in ordine alla natura pubblicistica dell’enfiteusi concessa nel 1958 ed, anzi, nessun dubbio può sussistere sulla natura squisitamente privatistica della stessa;- in ogni caso, in carenza dell’affrancazione alcun diritto poteva essere trasferito;- la diversa numerazione denunciata dalla ricorrente “niente altro è se non la conseguenza del doveroso frazionamento delle particelle”.
In data 4 giugno 2010 la ricorrente ha prodotto copia dell’atto di citazione per querela di falso, proposta avverso gli atti di indagini sugli usi civici del Comune di Vicovaro, la CTU acquisita nel giudizio instaurato dinanzi il Commissario Usi Civici, poi definito con la sentenza del 2003, ed il “Progetto di legittimazione delle terre del demanio civico del Comune di Vicovaro”, redatto in data 10 gennaio 1999.
Con memorie depositate in data 14 giugno 2010 e in data 16 novembre 2010 i controinteressati hanno ribadito le eccezioni ed i rilievi già formulati.
Con decreto n. 2937 del 3 marzo 2012 il ricorso è stato dichiarato perento.
Anche a seguito di quanto rappresentato dalla ricorrente con atto depositato in data 27 marzo 2012, con successivo decreto n. 7051 del 17 aprile 2012 tale decreto è stato revocato.
In date 16 e 17 maggio 2013 la ricorrente ha prodotto documenti, tra cui copia della sentenza n. 8910 del 2012, con cui il Tribunale civile di Roma ha dichiarato inammissibile la domanda dalla medesima proposta con la querela di falso.
Con memoria depositata in data 22 maggio 2013 i controinteressati hanno nuovamente insistito sulla propria posizione.
Il successivo 27 maggio 2013 la ricorrente ha prodotto una memoria, con cui – dopo aver ripercorso le vicende giudiziarie inerenti il terreno – ha ribadito: - di aver avuto conoscenza dei provvedimenti impugnati solo a seguito del deposito degli stessi - in data 14 giugno 2005 - da parte dei sig.ri M, nel corso del giudizio pendente dinanzi al Tribunale civile di Tivoli;- che la sua natura di controinteressato è indiscutibile “in virtù del contenzioso in essere circa la titolarità di diritti-reali sul terreno”;- che, nel caso di specie, “è indubitabile l’assenza del requisito della durata almeno decennale” dell’occupazione anche in ragione di quanto dichiarato dal sig. M ai carabinieri in data 16 novembre 1995 (cfr. all. 14);- che il contenzioso possessorio della ricorrente è stato inficiato da false testimonianze rese dal sig. M Giuseppe, relativamente ad una dichiarazione in cui si precisava che le attività “volte sul terreno non avevano alcun intento di spoglio”;- proprio avvalendosi dell’occupazione del bene così conseguita, i sig.ri M hanno proposto ricorso al Commissario per gli usi civici, il quale dichiarò il terreno “demanio collettivo di pertinenza della Collettività di Vicovaro”;- che sussisteva l’obbligo di comunicazione ex art. 7 l. n. 241 del 1990;- che, stante l’inammissibilità della querela di falso, dichiarata dal giudice ordinario, “rimane ferma la contestazione da parte della società ricorrente circa gli evidenti errori dei consulenti tecnici ed in particolare del Corradini”.
Con memoria depositata in data 5 giugno 2013 la ricorrente ha insistito, poi, sulla “presenza di validi impedimenti per negare ai M la legittimazione dell’occupazione abusiva del terreno”, sulla validità del diritto di enfiteusi nonché sulla falsità delle dichiarazioni rese dai M in ordine al possesso “ultraventennale del suolo”.
Con memoria prodotta in data 6 giugno 2013 il Comune di Vicovaro ha insistito sulle eccezioni di inammissibilità ed irricevibilità formulate nonché sull’infondatezza del ricorso.
Con ordinanza n. 7543 del 24 luglio 2013 il Tribunale ha disposto incombenti istruttori a carico delle parti.
In dichiarata ottemperanza a quanto richiesto, la Regione Lazio ha depositato documenti in data 7 ottobre 2013.
All’udienza pubblica del 12 dicembre 2013 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. In via preliminare, deve essere oggetto di esame l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del giudice adito, sollevata dal Comune di Vicovaro.
Tale eccezione è infondata.
Come noto, la materia degli usi civici è a tutt’oggi disciplinata dalla legge 16 giugno 1927, n. 1766, la quale – sotto il profilo della giurisdizione – all’art. 29, comma 2, dispone che: “ i commissari decideranno tutte le controversie circa la esistenza, la natura e la estensione dei diritti suddetti, comprese quelle nelle quali sia contestata la qualità demaniale del suolo o l’appartenenza a titolo particolare dei beni delle associazioni, nonché tutte le questioni a cui dia luogo lo svolgimento dello operazioni loro affidate”.
E’, dunque, evidente che sussiste la giurisdizione dei commissari per la liquidazione degli usi civici in relazione a tutte le controversie relative all’accertamento, alla valutazione ed alla liquidazione dei diritti di uso civico, allo scioglimento delle promiscuità ed alla rivendicazione e ripartizione delle terre e, quindi, in sostanza, con riferimento ad ogni controversia avente ad oggetto l’esistenza, la natura e l’estensione dei diritti di uso civico e degli altri diritti di promiscuo godimento delle terre spettanti agli abitanti di un comune o di una frazione – comprese quelle nelle quali venga in contestazione la qualità demaniale del suolo o l’appartenenza a titolo particolare dei beni delle associazioni – nonché con riferimento a tutte le controversie nelle quali la soluzione di alcuna delle suddette questioni si ponga come antecedente logico giuridico della decisione (cfr. Cass., SS.UU., 19 novembre 2002, n. 16268;Cass., SS.UU., 14 giugno 1995, n. 6689;Cass., SS.UU. 26 ottobre 1994, n. 8778) ovvero si pone una questione in ordine allo svolgimento delle operazioni affidate ai commissari stessi (cfr. Cass., SS.UU., 20 maggio 2003, n. 7894).
Per contro, va riconosciuta la giurisdizione del giudice amministrativo per le ipotesi in cui non sia necessario accertare la “qualitas soli” né in via principale né in via incidentale (Cass., SS.UU., 27 marzo 2009, n. 7429) e/o non venga in contestazione l’appartenenza dell’area alla collettività civica (Cass., SS.UU., 26 giugno 2003, n. 10158;C.d.S., Sez. V, 8 febbraio 2005, n. 346): id est in tutte le ipotesi in cui la controversia risulti incentrata sul contestato esercizio del potere di legittimazione e/o sulla violazione delle norme che disciplinano il procedimento di legittimazione sugli usi civici e non direttamente sulla sottesa situazione proprietaria (Cass., SS.UU,, 28 dicembre 2007, n. 27181;Cass., SS.UU., 29 aprile 2008, n. 10841;TAR Cpania, Salerno, Sez. I, 15 gennaio 2002, n. 3;TAR Calabria, Catanzaro, Sez. I, 10 ottobre 2011, n. 1265).
Ciò detto, il Collegio ritiene che l’ipotesi in trattazione – specificamente afferente l’asserita illegittimità del provvedimento con cui la Regione Lazio ha disposto la legittimazione dell’occupazione abusiva del terreno, ai sensi dell’art. 9 della su indicata legge, e della successiva l’affrancazione del canone enfiteutico – non possa che essere ricondotta nell’ambito della giurisdizione del giudice amministrativo (cfr., tra le altre, TAR Sicilia, n. 432 del 2009).
E’ innegabile che la ricorrente introduce anche questioni riguardanti, tra l’altro, profili attinenti alla proprietà e/o qualificazione dell’area ma – a differenza di quanto sostenuto dai controinteressati - tali profili vanno posti in relazione alla verifica del possesso ultradecennale, senza intaccare in alcun modo quanto già statuito dal Commissario Usi Civici del Lazio con la sentenza n. 16 del 10 aprile 2003.
In termini più generali, appare evidente che – al fine del decidere in questa sede – è necessario valutare la correttezza dell’operato dell’Amministrazione relativamente all’adozione del provvedimento di legittimazione dell’occupazione abusiva, mentre in alcun modo possono essere vagliati aspetti differenti – attinenti, ad esempio, alla corretta qualificazione del terreno o, ancora, alla veridicità o meno di dichiarazioni rese nell’ambito dei differenti giudizi instaurati dalle parti – nel rispetto dei principi che presidiano le competenze delle diverse autorità giurisdizionali nonché per l’impossibilità di mettere in discussione pronunce già emesse, tanto più se passate in giudicato, le quali rappresentano – nel presente giudizio - meri elementi di fatto da cui non è possibile prescindere – per quanto di rilevanza – e, comunque, elementi di cui è necessario tener conto.
2. Per quanto attiene alle ulteriori eccezioni di inammissibilità sollevate dalle parti resistenti, il Collegio ritiene di poter soprassedere, atteso che il ricorso è infondato per le ragioni di seguito indicate.
2.1. Come riportato in fatto, con il primo motivo di ricorso la società Car denuncia l’insussistenza dei presupposti dell’art. 9 della legge 1766 del 1927 ed eccesso di potere sotto svariati profili, in quanto sostiene che i controinteressati fossero privi del “requisito del possesso”, tanto più “ultradecennale”.
Al fine di verificare l’effettiva sussistenza del requisito in trattazione, con ordinanza n. 7543 del 24 luglio 2013 la Sezione aveva esperito un’istruttoria per acquisire, tra l’altro, copia della sentenza del Tribunale di Roma n. 17929 del 29 settembre 1999 - con cui risulta respinta l’azione possessoria di reintegra nel possesso, promossa dalla ricorrente – richiamata con insistenza dalle parti resistenti a supporto delle proprie difese.
Tale sentenza non è stata prodotta in giudizio (cfr., in particolare, deposito della Regione Lazio in data 7 ottobre 2013).
In ogni caso, il Collegio ritiene di poter decidere anche sulla base della documentazione agli atti.
Al riguardo, preme ricordare che:
- la legittimazione dell’occupazione abusiva è disciplinata dall’art. 9 della legge n. 1766 del 1927, la quale prescrive la sussistenza dei seguenti presupposti:
a) che l’occupante abbia apportato delle migliorie sostanziali e permanenti;
b) che la zona occupata non interrompa la continuità del demanio;
c) che l’occupazione duri da almeno dieci anni;
- ai sensi dell’art. 25 del regolamento di esecuzione della legge di cui al r.d. n. 332 del 1928, la su indicata disposizione si applica alle terre “da chiunque possedute per le quali manchi il titolo”;
- ciò premesso, numerose sono state le disquisizioni in giurisprudenza in ordine al significato da attribuire all’espressione “occupazione”, riportata nell’art. 9, ed, in particolare, circa la necessità o meno dell’animus possidendi (è, infatti, noto che l’occupazione si riferisce esclusivamente ad un atto reale o ad un’operazione che il privato pone in essere nell’ambito della sua autonomia, mentre il possesso costituisce un vero e proprio istituto giuridico che si manifesta nell’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale e qualificato dagli elementi di cui all’art. 1140 c.c., sicché – in definitiva – l’occupazione è semplicemente uno degli elementi costitutivi del possesso ma non si identifica con quest’ultimo);
- secondo l’orientamento prevalente della giurisprudenza, la circostanza che l’art. 25, r.d. 332/1928, abbia definito soggette alla legittimazione le terre “da chiunque possedute” e non “da chiunque occupate” non significa “che il legislatore abbia limitato la possibilità di acquisire le terre già destinate ad uso civico sulle quali fosse stato esercitato un possesso legittimo o qualificato ed escluso il detentore della possibilità di chiedere la legittimazione dell’occupazione” ed, anzi, “la possibilità di richiedere la legittimazione” anche “a favore dei possessori privi di titolo o del quale non sia riconosciuta la validità a norma delle leggi vigenti in ciascuna regione all’epoca della concessione sta ad indicare l’intento del legislatore di considerare la sola situazione di contiguità fra il soggetto e la res, ferma restando la facoltà anche per il detentore di presentare analoga richiesta. E’ perciò da escludere che il possesso in senso civilistico sia requisito necessario per ottenere la concessione della legittimazione a richiedere l’acquisto del bene” (cfr. C.d.S., Sez. V, n. 6793 del 2007).
Ciò detto, nel caso di specie tale relazione tra i sig.ri M ed il terreno in discussione va riconosciuta come sussistente, in quanto comprovata dall’esito dell’azione di “reintegra” esperita dalla ricorrente a circa metà degli anni ’90.
Esclusivamente la carenza del possesso in capo alla Car poteva giustificare, infatti, la proposizione da parte di quest’ultima dell’azione in argomento.
La circostanza che l’azione de qua sia stata proposta nei confronti dei sig. M dimostra, invece, la sussistenza di un rapporto diretto tra quest’ultimi ed il bene (pena il difetto di legittimazione passiva che, nel concreto, non risulta opposto né accertato dal giudice).
Del resto, è da aggiungere che - a fronte della riferita circostanza – alcuna rilevanza possono assumere il pagamento delle imposte sugli immobili e, ancora, la stipula di contratti di servitù sul terreno, addotti dalla ricorrente, trattandosi di elementi di carattere astratto, inidonei – in quanto tali - a sconfessare la sussistenza di un rapporto di contiguità tra il bene ed altri soggetti (nel caso di specie, i sig.ri M).
Chiarito tale profilo, permane da considerare la durata dell’occupazione da parte dei sig.ri M.
Posto che non appare condivisibile la ricostruzione giuridica delle parti secondo cui – ai fini dell’accertamento dell’ultradecennalità dell’occupazione – sarebbe possibile unire il periodo di occupazione di un occupante a quello di occupanti precedenti, il Collegio osserva che:
- risulta prodotta all’Amministrazione “dichiarazione personale sostitutiva di atto di notorietà”, datata 11 dicembre 1998, in cui il sig. M Mario afferma “di essere possessore illegittimo, insieme con il proprio figlio, M E …. da oltre venti anni del terreno sito in Vicovaro …. distinto al catasto al foglio 24, particelle 115, 117 e 118, della superficie complessiva di Ha 5.32.40, e del fabbricato rurale annesso alla particella 117”;
- identica dichiarazione è resa dal sig. M E;
- tali dichiarazioni, di sicuro valore per l’Amministrazione ai sensi dell’art. 47, comma 3, del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 (la quale – in ogni caso – conserva un potere di controllo, doveroso nei casi in cui sorgano dubbi allorché quanto dichiarato si mostri palesemente non corrispondente al vero – cfr. C.d.S., Sez. IV, 3 agosto 2011, n. 4641), trovano, altresì, conferma o, comunque, risultano in linea:
a) con le dichiarazioni rese ai Carabinieri dal sig. M Mario in data 25 gennaio 1996. In tale occasione, il sig. M ha sì riconosciuto il diritto di proprietà del terreno del sig. C (amministratore della società cooperativa edilizia “Verde Gaudio” che, nell’atto di compravendita del 22 dicembre 1969, figura come acquirente del terreno, oggetto di nuovo contratto di compravendita al Centro Studi Edile Legale Tributario con atto del 21 ottobre 1988) ma – nel contempo - ha dichiarato di aver pulito e lavorato il terreno per venti anni e, dunque, affermato di vantare “un diritto di possesso”, “asserendo, altresì, che il padre del C circa venti anni or sono gli aveva chiesto di custodire il terreno in contesto” e che “era in corso procedimento civile per il riconoscimento del possesso ultra ventennale del terreno” (cfr. verbale del Comando Regione Carabinieri Lazio – Stazione di Vicovaro del 25 gennaio 1996 – all. n. 14 al ricorso);
b) con quanto risulta dalla consulenza tecnica d’ufficio, resa nel corso del giudizio dinanzi al Commissario per gli Usi Civici. In tale documento si afferma, infatti, che il terreno è “posseduto dai fratelli M Mario ed E, coltivatori diretti, i quali assumono di possedere detto fondo da oltre venti anni e di averlo migliorato con opere di bonifica, impianto di frutteto ed uliveto…”;
c) con la già richiamata sentenza n. 17929 del 29 settembre 1999. Con tale pronuncia, il Tribunale di Roma ha, infatti, respinto l’azione possessoria proposta dalla Car per la reintegra nel possesso del bene, escludendo così che i controinteressati avessero posto in essere – nel 1995 – uno “spoglio”.
Ciò detto, il Collegio non ravvisa elementi che possano indurre ad escludere l’occupazione decennale del terreno da parte dei sig.ri M, tanto più ove si consideri che:
- la ricorrente non ha prodotto alcun elemento atto a comprovare l’occupazione dell’area – nel corso degli ultimi dieci anni – da parte di soggetti diversi dai sig.ri M;
- nonostante le numerose vicende che hanno interessato nel corso degli anni il terreno in questione, dai documenti prodotti agli atti non emergono dichiarazioni rese dal sig. C e/o da altri, atte a sconfessare la relazione di fatto con il bene vantata dai M;
- risultano sì instaurati giudizi penali in ordine alla vicenda de qua ma, comunque, si rivelano inidonei a privare di contenuto le reiterate dichiarazioni rese dai sig.ri M, di cui è stato dato conto. La prima ha, infatti, riguardato il disconoscimento da parte del sig. M Giuseppe di una scrittura privata. Seppure il giudizio penale si sia concluso con la condanna del sig. M Giuseppe alla “pena di un anno e 4 mesi di reclusione”, lo stesso giudice penale esclude espressamente l’influenza delle dichiarazioni in contestazione “sull’esito della controversia civile presso il giudice monocratico di Tivoli dinanzi al quale le stesse erano state rese”. La seconda riguarda il reato di cui all’art. 393 c.p., ossia l’“esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle persone”, e non se ne conosce l’esito;
- risulta anche proposta dalla ricorrente “querela di falso dell’atto di indagine sugli Usi Civici del Comune di Vicovaro – Certificazione Generale – Relazione sugli usi civici del Comune di Vicovaro redatto dall’arch. Alberto Corradini………. nonché, se e per la parte per cui potesse occorrere, della Consulenza Tecnica d’Ufficio redatta dal geometra Angelo Benedetti nella causa” innanzi al Commissariato Usi Civici e ancora, in ordine al “progetto di legittimazione del possesso delle terre del demanio civico del Comune di Vicovaro”, con riferimento, tra l’altro, anche alle espressioni afferenti la durata dell’occupazione dei M per dieci anni. Il giudizio così instaurato è stato definito dal Tribunale Civile di Roma con sentenza n. 8910/2012, in cui viene dichiarata l’inammissibilità della domanda;
- nel ricorso si fa anche riferimento all’intenzione di proporre querela di falso in ordine alle dichiarazioni rese dai sig.ri M al pubblico ufficiale, ai sensi dell’art. 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15, ma non risulta che ciò sia avvenuto.
In ragione di quanto esposto, il Collegio perviene alle seguenti conclusioni:
- i sig.ri M “occupavano” del terreno;
- per quanto attiene alla durata decennale dell’occupazione, alcun rimprovero può essere mosso alla Regione Lazio per aver ravvisato il possesso di “almeno dieci anni”, richiesto dall’art. 9 della legge n. 1766 del 1927, e ciò anche in ragione della constatazione che – a fronte dell’evolversi della vicenda e delle dichiarazioni ripetutamente rese dai M – alcun valido e concreto elemento di prova risulta prodotto dalla ricorrente, a supporto dei fatti dedotti in giudizio, in spregio dell’art. 2967 c.c. (ed ora dell’art. 64 c.pr.amm.).
In conclusione, la censura in esame è infondata.
2.2. La ricorrente denuncia, ancora, la violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990 e delle regole in materia di partecipazione al procedimento amministrativo.
Anche tale motivo di ricorso non è meritevole di positivo riscontro.
Al riguardo il Collegio rileva che:
- quanto riportato nell’atto introduttivo del giudizio ma anche la documentazione agli atti (in particolare, la nota della Regione Lazio del 23 giugno 1999 - all. n. 10) dimostrano che la Car era a conoscenza del procedimento attivato dai sig.ri M per la legittimazione dell’occupazione, poi sfociato nell’adozione dei provvedimenti impugnati, ed ha anche avuto modo di intervenirvi;
- in ogni caso, non sussistono ragioni – in linea con quanto già osservato dalla Sezione in una recente pronuncia (sent. 7 febbraio 2013, n. 1369) – per cui, in presenza di provvedimenti del tipo di quello in esame, chiunque si ritenga titolare di diritti reali sui beni oggetto dell’occupazione in virtù di atti di disposizione tra privati possa vantare la posizione di “soggetto nei confronti del quale il provvedimento finale è destinato a produrre effetti reali” o di “soggetto a cui deriva un pregiudizio “individuato o facilmente individuabile, diverso dai diretti destinatari”, ai sensi dell’art. 7, comma 1, della legge n. 241 del 1990, e ciò in ragione del regime che connota i terreni gravati da diritto di uso civico, secondo cui non possono costituirsi proprietà private o altri situazioni soggettive di vantaggio in carenza di un titolo proveniente dall’autorità che ha il potere di disporne (Trib. Cassino, 7 aprile 2010;App. Roma, Sez. IV, 8 novembre 2006);
- risulta, comunque, dimostrato che le autorità pubbliche coinvolte nel procedimento hanno proceduto nel rispetto delle regole di pubblicità prescritte dal r.d. 332 del 1928, attraverso – in primis – la pubblicazione del progetto di legittimazione attiva nell’Albo Comunale.
Nell’eventualità, poi, che la Car si riferisca alla violazione di un obbligo di comunicazione del provvedimento conclusivo del procedimento, è da osservare che:
- le leggi che regolamentano la materia non prevedono alcun obbligo in tal senso;
- un tale obbligo non è altrimenti desumibile in via implicita;
- l’eventuale violazione dell’obbligo di comunicazione del provvedimento conclusivo del procedimento non inficia la legittimità del provvedimento stesso, bensì eventualmente incide sulla decorrenza dei termini prescritti per l’impugnazione.
In definitiva, la censura in esame non è meritevole di condivisione.
2.3. La ricorrente lamenta, poi, la “violazione del diritto di enfiteusi precedentemente concesso (ai sensi della legge n. 1766/27) a favore del sig. P”, diritto nel quale poi la predetta subentrò a seguito degli atti di alienazione in seguito stipulati.
Il motivo in esame è privo di giuridico pregio.
In proposito, il Collegio rileva che la situazione di cui sopra non trova conferma nella documentazione prodotta agli atti ed, anzi, è da questa sconfessata.
In particolare, non può che convenire con le parti resistenti che l’enfiteusi vantata dalla ricorrente fu disposta iure privatorum, ossia prescindendo dall’unica procedura a tal fine utile, prevista dagli artt. 13 e 19 della legge n. 1766 del 1927.
Al fine di comprovare l’enfiteusi in questione, la ricorrente ha, infatti, prodotto un contratto stipulato in data 17 maggio 1958 tra il Sindaco del Comune di Vicovaro ed il sig. P.
In tale contratto si afferma espressamente che il terreno è di proprietà comunale, “libero da pesi, vincoli, ipoteche”, e, ancora, si richiama un provvedimento con cui, in data 30 ottobre 1956, il Consiglio Comunale ha deliberato di “commutare in enfiteusi perpetua … le colonie ad estaglio relative a fondi e concessionari espressamente indicati”.
Ciò detto, appare evidente – oltre la carenza di qualsiasi riferimento alla volontà di concedere in enfiteusi un terreno soggetto ad uso civico – la mancata redazione di qualsiasi “piano tecnico di sistemazione fondiaria” e, ancora, di un “piano di ripartizione” – prescritti, invece, dagli artt. 13 e 19 di cui sopra - ma anche il mancato intervento del Commissario agli usi civici.
Soprassedendo in ordine a considerazioni che possono trarre origine dal rilievo che l’enfiteusi de qua era – comunque – venuta meno in esito all’affrancazione risalente al 1969 e non poteva rivivere a seguito della nullità ab origine di quest’ultima, dichiarata dal Commissario per la Liquidazione Usi Civici nella sentenza del 10 aprile 2003, tenuto anche conto di quanto in quest’ultima riportato il contratto in questione non può che essere riconosciuto nullo (cfr., tra l’altro, Cass. Civ., Sez. III, 3 febbraio 2004, n. 1940), con conseguente intrasmissibilità dello stesso, in linea – del resto – con quanto affermato nel progetto di legittimazione del perito demaniale, pubblicato all’albo pretorio dal 14 novembre 2003 al 14 dicembre 2003, e negli scritti difensivi delle parti resistenti.
Di conseguenza, il motivo in esame è infondato.
2.4. In ultimo, la ricorrente rileva carenza di identità tra le particelle indicate nella determinazione regionale di legittimazione e quelle riportate nella deliberazione della Giunta Comunale di Vicovaro e, in seguito, nella affrancazione.
Al riguardo, afferma che “con ogni evidenza sia la deliberazione comunale di affrancazione, che lo stesso atto di affrancazione si riferiscono al terreno in esame, e ciò perché sono gli occupanti che li hanno depositati in giudizio come portanti la loro titolarità”, ma “permangono molti dubbi” perché sussiste un contrasto documentale evidente.
Tale censura non può trovare positivo riscontro in quanto generica.
In ragione di quanto illustrato dalla ricorrente, non è dato, infatti, comprendere l’effettiva illegittimità denunciata o, meglio, non è dato comprendere in che termini la situazione sopra riportata possa incidere – in particolare – sulla legittimità del provvedimento di legittimazione dell’occupazione abusiva del terreno, l’unico veramente lesivo degli interessi sottesi vantati dalla Car, e, ancora, in che termini un eventuale errore nel riporto delle particelle nella delibera di affrancazione e nella successiva affrancazione possa ledere gli interessi di quest’ultima.
In ogni caso, la discrasia in evidenza risulta sufficientemente giustificata – come, tra l’altro, rappresentato anche dal Comune di Vicovaro (cfr. memoria depositata in data 11 giugno 2010) - già da quanto riportato nella deliberazione della Giunta Comunale n. 50 dell’8 giugno 2004, laddove si fa riferimento all’esigenza, “prima di procedere all’affrancazione dei suddetti terreni, di scorporare le aree che costituiscono la strada sorta per servire una serie di fondi limitrofi della zona” nonché al deposito del tipo di frazionamento, comportante la conseguenza che le particelle da affrancare sono le “115/a – 115/c – 117/a – 117/c – 117/d – 118/c, come da dimostrazione del frazionamento” e quelle da scorporare le “115/b – 117/b – 118/b”.
3. Tenuto conto dell’infondatezza delle censure formulate, la domanda di risarcimento del danno – alquanto “generica” - va dichiarata infondata e, pertanto, non può essere accolta.
4. In conclusione, il ricorso va respinto.
In ragione della complessità della vicenda, si ravvisano giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.