TAR Roma, sez. I, sentenza 2018-03-02, n. 201802330
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Pubblicato il 02/03/2018
N. 02330/2018 REG.PROV.COLL.
N. 02090/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2090 del 2017, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Ticketone S.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati prof. F C, G L P e P G, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via Vittoria Colonna, 32;
contro
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti di
- Associazione Codici Onlus – Centro per i Diritti del Cittadino, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato Ivano Giacomelli, con domicilio eletto presso l’Ufficio legale dell’associazione in Roma, via G. Belluzzo. 1;
- Unione Nazionale Consumatori e Altroconsumo, non costituiti in giudizio;
per l'annullamento
1) quanto al ricorso introduttivo e previa sospensione:
del provvedimento dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato prot. 18853 del 9 febbraio 2017, notificato nella medesima data, recante la comunicazione del termine di conclusione della fase istruttoria ai sensi dell'art. 16, comma 1, del “ Regolamento sulle procedure istruttorie in materia di pubblicità ingannevole e comparativa, pratiche commerciali scorrette, violazione dei diritti dei consumatori nei contratti, violazione del divieto di discriminazioni e clausole vessatorie ”, adottato dall'Autorità con delibera dell'1 aprile 2015, in relazione al procedimento PS/8035, nonché della comunicazione di avvio del procedimento PS/8035 del 12 ottobre 2016, notificata in data 18 ottobre 2016;
2) quanto ai motivi aggiunti:
del provvedimento dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato prot. 26534 del 5 aprile 2017, notificato in data 13 aprile 2017, adottato a conclusione del procedimento PS8035, con il quale l'Autorità ha sanzionato TicketOne S.p.A. per una asserita violazione dell'art. 20, comma 2, del Codice del Consumo ed ha irrogato una sanzione amministrativa di euro 1.000.000,00;
di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguenziale.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e dell’Associazione Codici Onlus – Centro per i Diritti del Cittadino, con la relativa documentazione;
Vista l’ordinanza cautelare di questa Sezione n. 1437/2017 del 23.3.2017;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del 31 gennaio 2018 il dott. I C e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con rituale ricorso a questo Tribunale, la TicketOne s.p.a. (Ticket) – quale società attiva in Italia nei servizi di biglietteria, marketing, informazione e commercio elettronico per eventi di musica, spettacolo, sport e cultura - chiedeva l’annullamento, previa sospensione, del provvedimento di comunicazione del termine di conclusione della fase istruttoria e della relativa comunicazione di avvio del procedimento adottati dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM o Autorità) e inerenti accertamenti sulla condotta di Ticket consistente nel non aver adottato idonee misure e procedure per prevenire, “ex ante”, ovvero per controllare, “ex post”, l’acquisto da parte solo di alcuni soggetti di un numero considerevole di biglietti per i principali eventi sui propri canali di vendita, consentendo così che molti consumatori risultavano impossibilitati ad acquistare tali titoli al prezzo fissato dal “promoter” per conto dell’artista.
In sintesi, la ricorrente lamentava: “ I. Violazione e falsa applicazione degli artt. 18, 19, 20, 24 e 27 del Codice del Consumo. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della Direttiva 2005/29/CE. Difetto di potere. Carenza assoluta di potere”, in quanto l’Autorità non aveva competenza specifica sulla fattispecie, in cui non si riscontravano i requisiti minimi per la configurabilità di una pratica commerciale, non risultando alcun contatto con il consumatore che comportava un pregiudizio diretto, derivante invece dall’acquisto sul mercato secondario, non riconducibile alla ricorrente;né, tantomeno, era configurabile una pratica commerciale aggressiva.
Il ricorso era considerato ammissibile dalla ricorrente, in quanto risultava giurisprudenza che ammette l’impugnazione di atti endoprocedimentali se è rilevata, al fine di un arresto procedimentale, la carenza in concreto di potere dell’Autorità.
Si costituiva in giudizio l’AGCM, rilevando in memoria per la camera di consiglio l’inammissibilità del ricorso nonché la sua infondatezza.
Con l’ordinanza in epigrafe questa Sezione si avvaleva della disposizione di cui all’art. 55, comma 10, c.p.a., fissando direttamente l’udienza di trattazione del merito della causa.
Nelle more, con rituale atto per motivi aggiunti, Ticket chiedeva l’annullamento del provvedimento conclusivo del procedimento, nel frattempo adottato dall’Autorità, con il quale era riscontrata la violazione dell'art. 20, comma 2, del Codice del Consumo (Codice) e irrogata una sanzione amministrativa di euro 1.000.000,00.
In tale provvedimento l’AGCM, riassumendo l’”iter” del procedimento, richiamando le evidenze acquisite, le argomentazioni difensive del professionista e il parere reso dall’AgCom, affermava, in sintesi, quanto segue.
La pratica commerciale contestata (ai sensi dell’art. 18, lett. d), del Codice) consisteva nell’omessa adozione di misure e procedure, nella piena disponibilità del professionista, atte a contrastare l’acquisto multiplo di biglietti sui propri canali di vendita, con conseguente incisione sulla libertà di comportamento economico del consumatore medio, costretto a rinunciare ad assistere all’evento o a rivolgersi al mercato secondario a costi più onerosi.
Premettendo che, all’esito dell’istruttoria, non si configuravano ipotesi di condotta aggressiva, ex art. 24 del Codice, pur in origine contestata, o di pubblicità ingannevole, ex artt. 21 e 22 del Codice, l’AGCM ripercorreva la configurazione del mercato “primario” entro il quale operava Ticket e la consistenza del c.d. “contratto Panischi” del 2002 con i maggiori organizzatori di eventi, evidenziando che in quest’ultimo era chiaramente stabilito l’obbligo per la ricorrente di agire in funzione “anti-bagarinaggio” e di porre un limite al numero di biglietti venduti per ogni acquirente.
Ticket, invece, non aveva predisposto – almeno fino al luglio 2016 - adeguate misure di controllo, ritenendole estranee al proprio ruolo, poiché non aveva adottato misure dirette a contrastare l’acquisto attraverso procedure automatizzate (i c.d. “bot”), non aveva previsto regole, procedure e vincoli diretti a limitare gli acquisti plurimi di biglietti riconducibili alla medesima identità, non aveva effettuato controlli “ex post”.
Con i suddetti motivi aggiunti, quindi, la ricorrente lamentava - altrettanto in sintesi - quanto segue.
“ I. Violazione e falsa applicazione degli artt. 18, 19, 20 e 27 del Codice del Consumo. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 e 5 della Direttiva 2005/29/CE. Difetto di potere. Carenza assoluta di potere.” .
La ricorrente riproponeva, anche contro l’atto definitivo, la censura di cui al ricorso introduttivo, soffermandosi sulla deduzione per la quale l’art. 20, comma 2, del Codice (come richiamato dall’Autorità a fondamento della sanzione), facendo riferimento a pratiche scorrette, aveva in realtà introdotto nell’ordinamento solo una clausola generale, quale “genus”, nel cui ambito potevano essere configurate sole le “species” delle pratiche aggressive o ingannevoli, peraltro escluse nel caso di specie.
Anche considerando l’art. 20, comma 2 cit. quale norma di fattispecie autonoma, comunque non ne sussistevano i presupposti, in quanto la condotta presa in considerazione non era connessa direttamente a un’operazione commerciale tra l’autore e il consumatore, funzionalmente connessa a enfatizzare un “prodotto” e influenzare le decisione correlate, di natura commerciale, del consumatore stesso. Nel caso in esame, infatti, si deduceva che nessun pregiudizio era direttamente collegabile alla condotta di Ticket come contestata, in quanto esso era originato da chi provvedeva a comprare “in eccesso” per poi rivendere i biglietti sul mercato secondario.
I consumatori, inoltre, consapevolmente acquistavano su tale mercato, i cui operatori erano gli unici a conseguire vantaggi diretti dalla vicenda focalizzata dall’AGCM.
Gli acquisti multipli verificati non erano poi avvenuti tramite “bots” ma attraverso diversi acquisti di quantità contenute che avevano portato al rapido esaurimento dei biglietti e all’immissione sul mercato secondario, la cui vendita in forma professionale è peraltro punita ora come reato tributario.
L’assenza di una pratica commerciale scorretta da parte della ricorrente, quindi, non poteva che far rilevare come l’Autorità fosse intervenuta all’esterno delle sue competenze, con conseguente nullità del provvedimento ex art. 21 septies l. n. 241/90.
“ II. Violazione e falsa applicazione degli artt. 18, 19, 20 e 27 del Codice del Consumo. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 e 5 della Direttiva 2005/29/CE. Violazione di legge. Eccesso di potere per carenza di istruttoria, travisamento dei fatti ed irragionevolezza”.
La ricorrente contestava le deduzioni istruttorie su cui si era basata la decisione dell’AGCM, ponendo in evidenza che la documentazione da lei fornita smentiva le conclusioni di cui al provvedimento impugnato, dato che: non risultava alcuna evidenza di operazioni effettuate attraverso “bots”;emergeva un fenomeno di acquisto da parte di soggetti che alimentavano il mercato secondario rivendendo immediatamente il biglietto per un evento a cui in realtà non avevano mai deciso di assistere;gli stessi “promoters” e artisti alimentavano tale mercato per il quale la ricorrente non aveva alcun mezzo di contrasto.
Inoltre, Ticket aveva adottato alcune misure specifiche, contrariamente a quanto affermato dall’AGCM, attivando, e costantemente aggiornando, il c.d. “sistema WAF”, la cui efficacia era stata solo apoditticamente esclusa dall’Autorità. La ricorrente, poi, al fine di verificare le identità dei richiedenti, evidenziava di non potere avere accesso all’anagrafe nazionale dei codici fiscali, fermi restando l’impossibilità di controllare l’effettiva corrispondenza con dati anagrafici reali e l’inutilità di tale controllo per codici fiscali di stranieri non residenti sul territorio italiano.
Vi era stato, comunque, l’avvio dal luglio 2016 di misure molto concrete di controllo “ex post”, che avevano bloccato migliaia di biglietti ordinati per un solo concerto.
Risultava anche che per 20 eventi molto sentiti era risultato un acquisto medio di cinque biglietti per ciascun acquirente, residuando le altre vendite prese in considerazione dell’AGCM per eventi del tutto diversi (mostre, musei e simili).
Non esatti, infine, erano i dati sulle vendite per singoli concerti del luglio 2017, con conseguente inesistenza “in concreto” di capacità lesiva della condotta, come configurata.
“ III. Violazione e falsa applicazione degli artt. 18, 19, 20 e 27 del Codice del Consumo. Violazione e falsa applicazione degli artt. 11 e 15 l. n. 689/1981. Violazione del principio di proporzionalità. Violazione art. 3 l. n. 241/1990. Difetto di motivazione”.
Da ultimo, la ricorrente contestava anche l’importo della sanzione, ritenuto sproporzionato, anche rispetto alla prassi dell’Autorità nei confronti di società comparabili.
Si costituiva in giudizio anche l’Associazione Codici Onlus, sostenendo la correttezza dell’operato dell’AGCM.
Quest’ultima depositava una seconda memoria per l’udienza pubblica del 31 gennaio 2018, a confutazione anche di quanto lamentato nei motivi aggiunti.
La ricorrente, a sua volta, depositava una memoria “di replica” e, alla suddetta udienza, la causa era trattenuta in decisione.
DIRITTO
Il Collegio rileva, in primo luogo, l’inammissibilità del ricorso introduttivo, perché proposto avverso atto non immediatamente lesivo.
Risultano impugnati, infatti, il provvedimento recante la comunicazione del termine di conclusione della fase istruttoria, ai sensi dell’art. 16, comma 1, del relativo Regolamento AGCM, e quello di avvio del procedimento.
Ebbene, l’art. 16, comma 1, cit. indica, per quel che rileva, che: “ 1. Il responsabile del procedimento, allorché ritenga sufficientemente istruita la pratica, comunica alle parti la data di conclusione della fase istruttoria e indica loro un termine, non inferiore a dieci giorni, entro cui esse possono presentare memorie conclusive o documenti .”
Il successivo comma 2, a sua volta specifica che: “ Conclusa la fase istruttoria, il responsabile del procedimento rimette gli atti al Collegio per l'adozione del provvedimento finale .”
Appare evidente che il successivo provvedimento finale non risulta in alcun modo vincolato alle conclusioni istruttorie, dato che l’organo collegiale decidente ben potrebbe, in virtù dei contributi delle parti mediante documenti e memorie successive a tali conclusioni, propendere per una decisione “favorevole” a queste ultime, non riscontrando alcuna condotta concernente pratiche commerciali scorrette. Ciò, d’altro canto, è avvenuto, sia pure parzialmente, nello stesso caso di specie, ove, all’esito della valutazione dei contributi successivi delle parti, l’organo collegiale dell’AGCM ha escluso la sussistenza di una pratica “aggressiva” o “ingannevole” da parte di Ticket, invece prospettate nei provvedimenti impugnati con il ricorso.
In merito, la giurisprudenza è pacifica nel ritenere che, in materia di tutela del consumatore, gli atti endoprocedimentali sono posti in essere per evidenziare gli elementi essenziali della fattispecie e consentire un efficace e completo contraddittorio, al fine di consentire un pieno esercizio del diritto di difesa, “…mentre l'analiticità delle argomentazioni riguarda la fase conclusiva del procedimento, che costituisce l'esito della fase istruttoria, sicché il dettaglio analitico delle considerazioni che hanno portato l'Autorità ad agire non sempre può caratterizzare la fase di avvio, nella quale, invece, deve essere con precisione identificato il solo messaggio, o i profili della pratica commerciale, oggetto dell'indagine al fine di mettere in grado l'operatore pubblicitario di poter proficuamente partecipare all'istruttoria” (Tar Lazio, Sez. I, 24.2.11, n. 1733 e 10.5.12, n. 4212).
Ne consegue che l’effettiva lesività si concreta solo con l’adozione del provvedimento finale, unico a incidere direttamente, con l’adozione di inibitoria e l’applicazione di una sanzione, sulla posizione giuridica del professionista.
Né può valere in senso contrario, nel caso di specie, quanto sostenuto sul punto dalla ricorrente, secondo cui il ricorso sarebbe ammissibile perché volto ad ottenere un arresto procedimentale in ragione della carenza di potere in concreto dell’Autorità a condurre il procedimento, secondo una pronuncia di questa Tribunale.
In realtà, tale deduzione non pare al Collegio scalfire quanto sopra illustrato nel richiamare un principio “cardine” del processo, quale l’effettiva lesività – diretta, concreta e attuale - della posizione giuridica del ricorrente, che deve desumersi dal provvedimento oggetto di impugnazione, lesività che nel caso in esame non è quella della pendenza del procedimento ma quella dell’irrogazione della sanzione.
Inoltre, la carenza di potere “in concreto”, come definita dalla ricorrente, proprio perché tale non può che rilevarsi all’esito del procedimento e non durante lo stesso, visto il “ventaglio” di possibilità di definizione astrattamente configurabile al momento dell’impugnazione da parte di Ticket.
L’argomento proposto dalla ricorrente, quindi, ben poteva essere oggetto di motivo di censura nei confronti del provvedimento finale, come effettuato, d’altro canto, nei motivi aggiunti.
Da ultimo si aggiunga che l’orientamento giurisprudenziale sui cui si fonda la ricorrente fa riferimento, sì, alla presenza di eccezioni alla regola della non impugnabilità di atti endoprocedimentali ma solo nelle ipotesi di atti di natura vincolata (pareri, proposte e altro) idonei a imprimere un indirizzo ineluttabile alla determinazione conclusiva (e non è questo il caso, per quanto detto in precedenza) ovvero di atti soprassessori che rinviano ad avvenimenti incerti nell’”an” e nel “quando” il soddisfacimento dell’interesse dell’istante ovvero ancora di atti interlocutori idonei a cagionare, in quanto tali, la frustrazione dell’interesse della parte ma tali ultime due fattispecie operano solo in relazione a un interesse “pretensivo” fatto valere dal privato, circostanza – questa – del tutto estranea al caso di specie, ove, semmai, era prospettato un interesse “oppositivo” all’applicazione di una sanzione (per tutti: Cons. Stato, Sez. IV, 4.2.08, n. 296, TAR Lazio, Sez. I, 29.1.15, n. 1608 e 26.1.12, n. 865).
Passando all’esame dei motivi aggiunti, il Collegio ne rileva la fondatezza, nei termini che si vanno a precisare.
Anche in questi, con la prima doglianza, la ricorrente ripropone la tesi della carenza di potere dell’AGCM, nel senso che l’art. 20, comma 2, del Codice avrebbe la consistenza di una mera “clausola generale” e non sarebbe “norma di fattispecie” quale ipotesi residuale di illecito, così che la pratica commerciale scorretta costituirebbe un mero “genus”, attivo solo nelle forme (“species”) della pubblicità ingannevole o aggressiva, di cui alle norme successive dello stesso Codice.
In proposito, il Collegio osserva che l’art. 20, comma 2, del Codice stabilisce che “ Una pratica commerciale è scorretta se è contraria alla diligenza professionale, ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori .”
Si evidenzia anche che il precedente art. 19 precisa che “ Il presente titolo si applica alle pratiche commerciali scorrette tra professionisti e consumatori poste in essere prima, durante e dopo un'operazione commerciale relativa a un prodotto… ”.
Dal dato letterale di tali disposizioni normative emerge, quindi, la volontà perseguita dal legislatore delegato di ricomprendere, nell’alveo delle condotte legittimamente censurabili, tutte quelle lesive dell’interesse dei “consumatori-utenti” a vedersi corrisposto un efficiente sistema di servizi o di somministrazione di prodotti. Le condotte elusive del programma di servizi stabilito, come pure le omesse o intempestive informative in ordine a mutamenti del programma anzidetto, sono ritenute contrarie agli interessi dei singoli consumatori e ciò, in linea, anche, con l’intento, più ampio, di garantire all’utenza la piena libertà di autodeterminarsi nonché di ripararsi da improprie forme di condizionamento.
Come condivisibilmente osservato nelle difese dell’AGCM, quindi, la nozione di pratica commerciale è in sé molto ampia e può riguardare anche fasi successive all’acquisto o alla fornitura del bene o del servizio, per cui quella di “pratica commerciale scorretta”, lungi dal costituire una clausola generale, introduttiva delle specifiche fattispecie di cui agli artt. 21 e ss. del Codice, in realtà ha la consistenza di una norma orientata a sanzionare tutte le pratiche non idonee a configurare un rapporto di correttezza tra professionista e “consumatore utente”, diverse da quelle, specifiche, definite come ingannevoli o aggressive, laddove si dia luogo a una condotta antigiuridica perché contraria ai doveri di diligenza professionale potenzialmente idonea a falsare il processo di scelta del secondo (Cons. Stato, Sez. VI, 22.7.14, n. 3896 e TAR Lazio, sez. I, 18.9.14, n. 9831).
Ciò comporta che ben possano esistere, in astratto e in concreto, comportamenti dei professionisti che, pur non “ingannevoli” o “aggressivi”, possano comunque definirsi “scorretti”, come prospettato dall’AGCM nel caso di specie, per cui l’Autorità competente possiede certamente il potere di verificare la singola fattispecie al fine di stabilire se si sia dia dato luogo a un’ipotesi di slealtà commerciale, in sé oggetto di sanzione ai fini generali richiamati dalle norme applicabili (quali l’art. 5, par. 2, Direttiva 2005/29/CE e l’art. 20, comma 2, Codice).
Da quanto sopra discende l’imputabilità in concreto di una condotta non ingannevole o aggressiva ma scorretta – quale contraria alle norme di diligenza professionale idonea a falsare in misura rilevante il comportamento economico del “consumatore utente” - ai sensi e per le finalità del diritto dei consumatori, con conseguente piena applicabilità della disciplina del Codice, riconoscendosi la qualifica di “professionista” a chiunque partecipi alla realizzazione di una pratica ex art. 20, comma 2, cit., traendone uno specifico e diretto vantaggio economico o commerciale (TAR Lazio, Sez. I, 13.1.15, n. 372).
In definitiva, il Collegio condivide l’assunto dell’AGCM ribadito nei suoi scritti difensivi, secondo cui la norma deve essere interpretata nel senso di individuare come pratiche commerciali scorrette tutti i comportamenti, non definibili quali ingannevoli o aggressivi, che comunque incidono sulle scelte del consumatore in ogni fase del rapporto di consumo (TAR Lazio, Sez. I, 17.5.16, n. 5809, con ulteriori richiami), con conseguente potere di intervento dell’AGCM.
Si ricordi, inoltre, sull’orientamento delle scelte del consumatore, la costante conclusione giurisprudenziale secondo cui “Nell'assetto di interessi disciplinato dal d.lg. n. 206 del 2005, le norme a tutela del consumo delineano una fattispecie ‘di pericolo’, essendo preordinate a prevenire le possibili distorsioni delle iniziative commerciali nella fase pubblicitaria, prodromica a quella negoziale, sicché non è richiesto all'Autorità di dare contezza del maturarsi di un pregiudizio economico per i consumatori, essendo sufficiente la potenziale lesione della loro libera determinazione” (da ultimo, TAR Lazio, Sez. I, 6.2.17, n. 1877).
Chiarita l’infondatezza del primo motivo aggiunto, il Collegio ritiene, però, che l’impostazione sopra evidenziata consenta invece di concordare con la ricorrente per quanto riguarda il secondo motivo aggiunto.
Se, infatti, l’art. 20, comma 2, del Codice è applicabile, quale autonoma fattispecie, a chiunque partecipi alla realizzazione di una pratica commerciale scorretta traendone uno specifico e diretto vantaggio economico o commerciale (TAR Lazio, Sez. I, n. 372/15 cit.), ne consegue che è necessario dimostrare che sussista tale vantaggio economico del professionista nel falsare in misura rilevante il comportamento economico del “consumatore utente” attraverso la pratica su cui si incentra l’attenzione dell’AGCM.
Ebbene, il Collegio ritiene che tale presupposto nel caso di specie non sia rinvenibile né, comunque, sia stato dimostrato in concreto dall’Autorità.
Nelle “conclusioni” contenute nel provvedimento impugnato, quest’ultima ha affermato che spetta al professionista stabilire, comunicare e rendere effettive le misure necessarie per garantire che la fornitura di biglietti ai consumatori avvenga in maniera corretta, evitando forme speculative di acquisti multipli, e che, comunque, il procedimento avviato non era diretto a individuare e prescrivere specifiche misure atte a fronteggiare il problema ma solo a verificare se il professionista aveva agito con la diligenza che il suo ruolo di “esclusivista” per le vendite “on line” e gli specifici obblighi contrattuali collegati avrebbero richiesto.
L’AGCM, quindi, individua un “problema”, consistente nelle forme speculative di acquisti multipli, che non ritiene di affrontare nello specifico, limitandosi a ritenere oggetto della sua indagine solo la diligenza assunta dalla ricorrente nel fronteggiare tale “problema”.
In sostanza, che vi sia un mercato “secondario” e speculativo è circostanza nota anche all’AGCM ma non esaminata nelle sue varie conformazioni, così come non approfondito – ma neanche accennato, per la verità – è il profilo che riguarda la correlazione causale tra acquisti multipli e comportamento del consumatore utente, soprattutto riguardo la scelta di quest’ultimo di procedere comunque all’acquisto nonostante siano presenti sul mercato secondario biglietti a prezzi di molto superiore a quelli originali.
In sostanza, non è stato approfondito in alcun modo l’aspetto di natura “emotiva” e prettamente psicologica che porta il consumatore a voler acquistare ad ogni modo i biglietti per i concerti che lo interessano, pur sapendo che si trovano solo su un mercato “speculativo”.
A ciò si aggiunga che pure non si rinviene alcun approfondimento sulla circostanza per la quale la richiesta di biglietti per questo tipo di evento è di consueto di gran lunga maggiore dell’offerta, per cui un fenomeno “speculativo” ben può sorgere anche qualora si assicuri una vendita parcellare di tali titoli (“one to one”), potendo ben essere il legittimo acquirente di un solo biglietto orientato a sacrificare la visione dell’evento, al quale ben poteva dall’origine non essere interessato, in virtù del guadagno derivato dalla “rivendita” dello stesso su un mercato “speculativo”.
Non è chiarito dall’AGCM, poi, quale vantaggio economico del professionista sia stato individuato attraverso la pratica su cui si incentra l’attenzione dell’AGCM, aspetto, questo, comunque necessario nella lettura estensiva dell’art. 20, comma 2, del Codice, come condivisa dal Collegio. Ciò perché, nel falsare in misura rilevante - anche sotto il profilo del “mero pericolo” sopra richiamato - il comportamento economico del “consumatore utente” attraverso una condotta non diligente, deve comunque individuarsi un vantaggio economico per il professionista.
Nel caso di specie la distorsione al mercato è data dalle vendite speculative e il pregiudizio pare piuttosto ricondursi alla scelta - sicuramente consapevole sia pure sostenuta da aspetti emotivi - del consumatore finale che, pur di recarsi ad assistere all’evento, preferisce acquistare il relativo biglietto comunque a prezzo maggiorato sul mercato secondario/speculativo piuttosto che rinunciarvi.
In sostanza, sarebbe sufficiente che il consumatore si rifiutasse di acquistare biglietti a prezzo maggiorato, così da farli restare invenduti, per ridimensionare di molto il “problema” individuato dall’AGCM.
Tale profilo non risulta affrontato nel provvedimento e, certamente, non può essere comunque addossato alla ricorrente, anche in assenza di qualunque approfondimento e apporto motivazionale sul punto da parte dell’Autorità.
In sostanza, appare condivisibile la ricostruzione operata da Ticket, secondo la quale la stessa è stata accusata di non aver adottato misure idonee a impedire l’acquisto di biglietti “in eccesso” rispetto al normale procedimento di acquisto singolo di ciascun richiedente - cui può anche essere consentito un piccolo margine ulteriore per “favore” o liberalità – quando l’effettiva attività che danneggia i consumatori non si riscontra nel rapporto diretto tra Ticket e l’acquirente multiplo (a prezzo non maggiorato) ma nel rapporto tra quest’ultimo e il consumatore, che consapevolmente si rivolge al mercato (che a quel punto diventa ) secondario, accettando di pagare un prezzo maggiore pur di non perdere l’evento, con un evidente plusvalore non a beneficio di Ticket ma del venditore “secondario”.
In sostanza, dando per presupposto che esiste un mercato secondario “maggiorato”, l’AGCM avrebbe dovuto approfondire le caratteristiche proprie di tale mercato rispetto al comportamento dei consumatori e di Ticket.
Nel provvedimento impugnato, in realtà, è fatto un mero accenno all’interesse che la ricorrente potrebbe vantare dalla vendita del maggior numero di biglietti nel minor tempo ma tale prospettazione non appare convincente al Collegio, in quanto, per gli eventi in cui la domanda (di biglietti) e ben superiore all’offerta, come quelli presi in considerazione nel procedimento, in ogni caso gli acquisti si concluderebbero generalmente nel margine di poche ore, anche qualora i titoli fossero venduti con modalità “one to one”, per cui non è stato chiarito dall’Autorità quale vantaggio economico conseguirebbe Ticket dalla conclusione delle operazioni in un tempo “brevissimo” e non “breve”.
In sostanza, non è chiarito come la mancata diligenza contestata alla ricorrente sia stata in grado di influenzare le decisioni di natura commerciale del “consumatore utente”, a sua volta pregiudicato, in realtà, dalla sussistenza di un mercato secondario speculativo - a cui comunque egli decide di affidarsi consapevolmente - e non già da un rapporto diretto con il venditore sul mercato primario.
L’esaurimento dei biglietti in poche ore non è di per sé un elemento idoneo a configurare un comportamento distorto a danno del consumatore, mentre è la possibilità di rivendere biglietti a prezzo maggiorato che crea la suddetta distonia, rivendita – si badi bene – che potrebbe essere effettuata anche dal singolo possessore di un singolo biglietto (e, infatti, presa in considerazione dal legislatore come illecito tributario).
La ricorrente ha poi illustrato come non sia propria la decisione sul numero di biglietti da mettere in vendita ma del “promoter”, il quale può trattenere per sé una quota degli stessi, la cui collocazione sul (e su quale) mercato non risulta peraltro esaminata dall’AGCM nel procedimento in questione.
Ticket ha anche chiarito in giudizio come non sia mai risultata l’applicazione di “bots” nelle vendite multiple riscontrate, riconducibili invece ad acquisti per quantità contenute.
Né un interesse all’allocazione dei biglietti - e quindi la sanzionabilità dell’assoluto disinteresse sul punto, evidenziato dall’AGCM - poteva essere desunto dal contenuto del “contratto Panischi” del 2002, in quanto le limitazioni alla vendita per ciascun acquirente, peraltro derogabili per accordi con il “promoter”, erano orientate a tutelare le parti sottoscriventi, in particolare l’organizzatore, e non certo il consumatore, trattandosi di atto tra privati.
Risultano, poi, dalla documentazione depositata in giudizio dalla ricorrente, dati oggettivi per i quali numerosi e regolari acquisti sul mercato primario sono comunque effettuati unicamente allo scopo di trarre profitto dalla rivendita sul mercato secondario, essendo ciò desumibile dalla circostanza della (ri)collocazione dei relativi biglietti a poche ore dall’acquisto e in data ben lontana dall’evento.
In sostanza, l’effettivo pregiudizio per i consumatori è dato dalla sussistenza di un mercato secondario speculativo, cui comunque gli stessi consapevolmente si rivolgono senza per questo esserne indotti dall’impostazione delle vendite sul mercato primario da parte della ricorrente.
L’AGCM, quindi, ha dato per assodato che i consumatori si rivolgano al mercato secondario solo a causa della mancata diligenza contestata all’operatore sul mercato primario, senza però approfondire in istruttoria i vari aspetti “a monte” della fattispecie finora illustrati.
A ciò si aggiunga che anche le tre specifiche contestazioni su cui l’Autorità ha fondato il provvedimento, relative alla mancata attivazione di procedure automatizzate, alla mancata regolazione delle procedure di acquisto plurimo e all’assenza di controlli “ex post” almeno fino al luglio 2016, non appaiono convincenti alla luce di quanto dedotto dalla ricorrente.
In precedenza, infatti, si è già detto della mancata dimostrazione di intervenuti acquisti tramite “bot” nei casi specifici. Così pure, l’uso di codici “captcha” auspicato dall’AGCM non appare l’unica soluzione esistente, anche in relazione all’adozione da parte della ricorrente del sistema “WAF”, la cui inefficacia è solo apoditticamente dedotta dall’Autorità.
La ricorrente ha poi chiarito come la richiesta di un codice fiscale non eviterebbe il “problema” individuato dall’AGCM per i residenti all’estero, ferma restando l’impossibilità di accedere all’anagrafe dei dati in possesso solo dell’Agenzia delle Entrate, e che sussiste, attraverso specifici programmi informatici, la possibilità di creare codici fiscali fittizi ma coerenti con dati anagrafici esistenti.
Risultava anche che controlli “ex post” erano stati attivati sicuramente dal luglio 2016 (nelle sue difese l’AGCM li riconosce dal giugno 2016, v. pag. 17, ultima memoria) mentre il provvedimento impugnato affermava che la condotta era ancora in corso, dal gennaio 2015.
Inoltre, non era stato valutato, nei dati presi a riferimento dall’Autorità, che numerosi biglietti venduti riguardavano in realtà agenzie di viaggio estere per entrate in musei e gallerie d’arte e che l’effettiva media biglietti/acquirenti portava a un valore, del tutto accettabile, di 4,4/1 per uno dei concerti del luglio 2017.
Alla luce di quanto dedotto, quindi, si rileva la fondatezza del secondo motivo aggiunto, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato e assorbimento del terzo motivo aggiunto, orientato a contestare l’entità della sanzione.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo nei confronti dell’AGCM, potendosi compensare con l’Associazione costituita, parte non necessaria del giudizio.