TAR Lecce, sez. II, sentenza 2022-12-05, n. 202201913

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Lecce, sez. II, sentenza 2022-12-05, n. 202201913
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Lecce
Numero : 202201913
Data del deposito : 5 dicembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 05/12/2022

N. 01913/2022 REG.PROV.COLL.

N. 00349/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

Lecce - Sezione Seconda

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 349 del 2020, proposto da
F M, R B, P G, S A, E B, S L, rappresentati e difesi dall'avvocato F A, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Cosseria 2;

contro

Ministero dell'Università e della Ricerca, Università del Salento - Lecce, in persona dei rispettivi legali rappresentante pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Lecce, domiciliataria ope legis ;

per l'annullamento

-della nota del 13.11.2019 inviata a ciascuno dei ricorrenti, avente per oggetto richiesta di assunzione a tempo indeterminato nonché per quanto possa occorrere, della circolare n. 3/2017 adottata dal Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di: Ministero dell'Università e della Ricerca, Università del Salento - Lecce;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 novembre 2022 il dott. Roberto Michele Palmieri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. I ricorrenti – già titolari con l’Università degli Studi del Salento di un contratto di lavoro a tempo determinato come ricercatore di tipo A di tre anni, successivamente prorogato dal medesimo ateneo per altri due anni – hanno impugnato la nota 13.11.2019, con la quale l’Università del Salento – Lecce ha rigettato la loro istanza, volta alla stabilizzazione del suddetto rapporto di lavoro.

A sostegno del ricorso, i predetti hanno articolato i seguenti motivi di gravame, appresso sintetizzati: 1) violazione dell’art. 20 d. lgs. n. 75/17;
2) incompatibilità della normativa nazionale con il diritto eurounitario;
illegittimità costituzionale dell’art. 24 d. lgs. n. 204/10.

Hanno chiesto pertanto l’annullamento degli atti impugnati, con vittoria delle spese di lite.

Costituitesi in giudizio, le Amministrazioni resistenti hanno chiesto il rigetto del ricorso, con vittoria delle spese di lite.

All’udienza pubblica del 30.11.2022 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

2. Il ricorso, in relazione ai dedotti motivi di gravame, è infondato, e va dunque rigettato.

3. Il riformato sistema di accesso e di sviluppo della carriera in ambito universitario, come delineato dalla legge n. 240/2010, oltre ad avere disposto il collocamento in un ruolo ad esaurimento dei ricercatori a tempo indeterminato, ha introdotto la nuova figura del ricercatore a tempo determinato, disciplinata dall’art. 24, comma 3, lettere a) e b) d. lgs. n. 240/10.

Il sistema delineato dal legislatore della riforma prevede che il contratto per ricercatore universitario a tempo determinato di tipo A abbia durata triennale, prorogabile per due anni per una sola volta, previa positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte. Tale posizione corrisponde ad uno dei passaggi di un più articolato percorso teso, in potenza, all’approdo alla carriera accademica di ruolo. La posizione di ricercatore universitario di tipo A, invero, reca quale sbocco fisiologico l’accesso alla posizione di ricercatore universitario di tipo B e, come ulteriore step di carriera, la possibilità di accedere alla posizione di professore associato.

4. Il contratto di ricercatore a tempo determinato di tipo B (disciplinato dall’art. 24, comma 3, lett. b), l. n. 240/10) ha parimenti durata triennale, ed è stato esteso a coloro che sono in possesso dell’abilitazione scientifica nazionale di professore di prima o seconda fascia, o del titolo di specializzazione medica o di assegni di ricerca di cui all’art. 22 della medesima legge n. 240/2010.

5. Come evidenziato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 165/2020, la legge n. 240/2010 ha integralmente riformato il sistema di reclutamento dei professori universitari introducendo un sistema a due stadi: “ consistenti, il primo, nell’«abilitazione scientifica nazionale» per le funzioni di professore di prima o di seconda fascia nei diversi settori scientifico-disciplinari, e, il secondo, nella «chiamata» presso il singolo ateneo a seguito di una valutazione comparativa in sede locale aperta a candidati in possesso dell’abilitazione scientifica nello specifico settore concorsuale della posizione messa a bando ”.

6. Accanto a questo metodo ordinario di reclutamento dei professori associati e ordinari, la stessa legge n. 240/2010, all’art. 24, comma 5, prevede per i ricercatori universitari a tempo determinato di tipo B un meccanismo di chiamata particolare che prescinde dall’avvio di una procedura comparativa, come invece avviene per il reclutamento ordinario. Più in particolare, il legislatore ha previsto per il ricercatore universitario di tipo B un sistema di avanzamento nella carriera (da ricercatore a professore associato) ispirato al modello anglosassone del c.d. tenure-track , “ cioè a un percorso accademico connotato, alternativamente, dal carattere per così dire automatico dell’avanzamento in presenza di determinate condizioni (abilitazione nazionale ed esito positivo della valutazione dell’ateneo) ovvero dall’uscita dall’università se quelle condizioni non si sono realizzate ” (C. cost., 24 giugno 2020, n. 165).

Quindi, il ricercatore di tipo B nel corso dell’ultimo anno del contratto di ricerca, ove abbia conseguito l’abilitazione scientifica di cui all'articolo 16, è doverosamente sottoposto alla valutazione da parte dell’Università di appartenenza e, in caso di superamento positivo della stessa, viene inquadrato, alla scadenza del contratto di ricerca, nel ruolo dei professori associati. Tale sistema, per i ricercatori universitari di tipo B che abbiano conseguito l’abilitazione scientifica nazionale, costituisce il modo ordinario di immissione nel ruolo dei professori associati.

7. Il sistema così delineato è teso, dunque, a favorire un meccanismo di selezione “progressiva” e dall’interno dei professori associati che, partendo dall’incarico di ricercatore a tempo determinato di cui al comma 3, lett. a), della legge n. 240/2010, giunge fino alla possibile chiamata nel ruolo di professore associato. Il tutto, sulla base di un prefissato massimo arco temporale e di un numero parimenti prestabilito di contratti a tempo determinato.

8. In tale contesto, il delineato assetto normativo è idoneo: “ a contenere entro un limite massimo il precariato accademico [5 anni (3 + altri 2 eventuali di proroga) nella fascia A + altri 3 non prorogabili (riducibili ad 1 anno a seguito della riforma del 2020) nella fascia B] e fermo comunque restando la possibilità di accedere, previo conseguimento del prerequisito obbligatorio dell'abilitazione scientifica nazionale, al ruolo di professore di prima e di seconda fascia mediante concorsi indetti dagli atenei con procedura aperta ex art. 18 ” (TAR Bari, I, 18 febbraio 2022, n. 267).

9. Sulla base dell’anzidetta cornice normativa va quindi escluso che, nella prassi, le Università possano “abusare” dei contratti di ricerca a tempo determinato di tipo A, in violazione della disciplina eurounitaria (direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999) come attuata dagli artt. 1 e 6 del d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368, tenuto conto che in relazione a tale tipologia di contratto è prevista la possibilità di un’unica proroga biennale.

10. Tali profili sono stati valorizzati anche dalla recente sentenza della CGUE del 4 giugno 2021, ove si afferma che: “ l’art. 24, comma 3, lettera a) della Legge 240/2010 stabilisce non solo un limite per quanto riguarda la durata massima del contratto a tempo determinato dei ricercatori universitari rientranti nella categoria cui apparteneva il ricorrente, ma anche per quanto riguarda il numero possibile di rinnovi di tale contratto. Più precisamente, relativamente al contratto di tipo A, tale legge fissa la durata massima del contratto a tre anni e autorizza una sola proroga limitata a una durata di due anni. Pertanto, l'articolo 24, comma 3, della legge n. 240/2010 contiene due delle misure indicate alla clausola 5, punto 1, dell'accordo quadro, ossia limiti riguardanti la durata massima totale dei contratti a tempo determinato e il numero di possibili rinnovi [...] ”.

Sulla base di tali approdi, la CGUE ha concluso nel senso che “ la clausola 5 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale in forza della quale è prevista, per quanto riguarda l'assunzione dei ricercatori universitari, la stipulazione di un contratto a tempo determinato per un periodo di tre anni, con una sola possibilità di proroga per un periodo massimo di due anni, subordinando, da un lato, la stipulazione di tali contratti alla condizione che siano disponibili risorse "per la programmazione, al fine di svolgere attività di ricerca, di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti", e, dall'altro, la proroga di tali contratti alla "positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte", senza che sia necessario che tale normativa stabilisca i criteri oggettivi e trasparenti che consentano di verificare se la stipulazione e il rinnovo di tali contratti rispondano effettivamente a un'esigenza reale, se essi siano idonei a conseguire l'obiettivo perseguito e siano necessari a tal fine ”.

11. Alla luce di tale arresto giurisprudenziale, è di tutta evidenza sia l’assenza di contrasto della disciplina nazionale (art. 24 d. lgs. n. 240/10) con la normativa eurounitaria, sia la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale proposta in via subordinata dalla parte ricorrente. Riguardo alle quali, è sufficiente osservare che, come chiarito dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea nella citata pronuncia 4.6.2021, il regime giuridico interno del rapporto d’impiego dei ricercatori universitari, tanto di tipo A, quanto di tipo B, non presenta alcun carattere abusivo e, per questo, risulta pienamente legittimo il ricorso agli stessi. Il tutto senza trascurare che la giurisprudenza costituzionale ha avuto modo di precisare reiteratamente che: “ resta affidata alla discrezionalità del legislatore la scelta dei modi e dei tempi di attuazione della garanzia del diritto al lavoro ” (cfr. C. cost. sent. n. 303/2011;
C. cost., sent. n. 419/2000), che non è garanzia di stabilità del rapporto di lavoro – come invece sostenuto dalla parte ricorrente – ma di eliminazione di barriere di qualsiasi tipo, che impediscano di conseguirlo.

12. Alla luce di tali considerazioni, il ricorso è infondato.

Ne consegue il suo rigetto.

13. Sussistono giusti motivi, rappresentati dalla natura delle questioni esaminate, per la compensazione delle spese di lite.

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