TAR Torino, sez. II, sentenza 2024-05-29, n. 202400584

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Torino, sez. II, sentenza 2024-05-29, n. 202400584
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Torino
Numero : 202400584
Data del deposito : 29 maggio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 29/05/2024

N. 00584/2024 REG.PROV.COLL.

N. 01102/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1102 del 2021, proposto da
G T, rappresentato e difeso dall'avvocato A B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Torino, corso Galileo Ferraris 120;

contro

Agea (Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura) e Ader (Agenzia delle Entrate – Riscossione), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentate e difese dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Torino e domiciliate ex lege presso la stessa in Torino, via dell'Arsenale, 21;

per l'annullamento

-a) dell'intimazione di pagamento dell'Agenzia delle Entrate–Riscossione n. 037 2021 90000395 32/000 dell'importo di euro 53.598,28, inviata al ricorrente mediante pec del 29.10.2021, in riferimento alla cartella di pagamento Agea n. 30020180000012170000, avente ad oggetto “Prelievo latte sulle consegne” per il periodo 1996/97, notificata al ricorrente il 10.12.2018;

-b) di tutti gli altri atti presupposti, preparatori, conseguenti e comunque connessi con quelli impugnati, anche se allo stato non conosciuti, ivi compresi, occorrendo, gli atti di pignoramento dei crediti verso terzi n. 037842021 00000076001, n 037842021 00000077001 e n. 037842021 00000079001, notificati il 26.11.2021 e il 2.12.2021.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Agea - Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura e di Ader - Agenzia delle Entrate - Riscossione;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 maggio 2024 il dott. Gianluca Bellucci e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

In data 29.10.2021 è stata notificata al ricorrente (produttore di latte vaccino assoggettato al regime delle quote latte) l’intimazione di pagamento di euro 53.598, facente seguito alla cartella di pagamento insoluta riguardante il “prelievo latte sulle consegne” per il periodo 1996/1997.

Avverso la suddetta intimazione e gli atti connessi l’interessato è insorto deducendo:

1)violazione ed elusione del giudicato;
nullità ai sensi dell’art. 21 septies della legge n. 241/1990;
violazione dell’art. 2 del reg. CEE 3950/1992, dell’art. 9 del regolamento CEE 1392/2011, degli artt. 4,10,11, 13 del regolamento CE 1788/2003, dell’art. 16 del regolamento CE 595/2004 e dei principi fissati dalla Corte di Giustizia UE;
violazione dell’art. 8 ter della legge n. 33/2009, degli artt. 1, 3 e 21 nonies della legge n. 241/1990, dell’art. 97 della Costituzione;
eccesso di potere per difetto di istruttoria, carenza di motivazione, travisamento, illogicità, erroneità e ingiustizia manifesta;

2) violazione dell’art. 8 ter della legge n. 33/2009 e dell’art. 97 della Costituzione, degli artt. 1 e 3 della legge n. 241/1990;
eccesso di potere per difetto di istruttoria, carenza di motivazione, travisamento, illogicità, erroneità e ingiustizia manifesta;

3) violazione dell’art. 2946 c.c.;
prescrizione del credito di Agea;
eccesso di potere per difetto di istruttoria, carenza di motivazione, travisamento, illogicità, erroneità e ingiustizia manifesta;

4) violazione dell’art. 7 della legge n. 212/2000, degli artt. 1 e 3 della legge n. 241/1990, degli artt. 24 e 97 della Costituzione;
violazione dell’art. 8 del reg. CE 1392/2001 e dell’art. 15 del reg. CE 595/2004;
eccesso di potere per difetto di istruttoria, carenza di motivazione, travisamento, illogicità, erroneità e ingiustizia manifesta;

5) violazione degli artt. 3 bis, 6, 6 ter del d.lgs. n. 82/2005, dell’art. 16 ter del d.l. n. 179/2012 e dell’art. 3 bis della legge n. 53/1994;
nullità della cartella per inesistenza o per nullità insanabile della notificazione.

Si sono costituite in giudizio l’Agenzia delle Entrate Riscossione e Agea.

All’udienza del 21 maggio 2024 la causa è stata posta in decisione.

DIRITTO

1.L’Avvocatura dello Stato ha eccepito la carenza di legittimazione passiva dell’agente di riscossione in relazione alle censure vertenti sul merito della pretesa, le quali atterrebbero ad atti dell’ente impositore che effettuò l’iscrizione a ruolo.

L’eccezione non ha pregio.

Le questioni dedotte nel ricorso riguardano sia vizi della pretesa creditoria, sia vizi propri della cartella esattoriale, talché risultano coinvolti entrambi gli enti intimati.

Non è quindi possibile l’estromissione dal giudizio dell’Agenzia delle Entrate Riscossione. La valutazione dell’imputabilità di eventuali vizi ad Agea invece che all’agente della riscossione potrà rilevare ai fini della decisione sulla ripartizione delle spese di giudizio in sede di decisione del ricorso.

Ciò premesso, entrando nel merito dei motivi di gravame, valgono le seguenti considerazioni.

2. Con la prima censura l’interessato sostiene che Agea non ha considerato che le imputazioni di prelievo supplementare per il periodo in questione sono frutto di operazioni di compensazione effettuate in violazione del sovraordinato diritto dell’U.E. e che i dati posti a fondamento del regime delle quote latte in Italia sono erronei e non veritieri;
il ricorrente richiama al riguardo varie pronunce della Corte di Giustizia U.E..

La doglianza è inammissibile.

Come eccepito dalla difesa delle amministrazioni resistenti, la presupposta cartella esattoriale (n. 012170000, ridenominata con n. 132253000) è stata impugnata innanzi a questo TAR con ricorso n. 143/2019, dichiarato inammissibile con sentenza n. 449 del 18.4.2019, confermata dal Consiglio di

Orbene, l’impugnata intimazione di pagamento si pone quale atto conseguenziale dovuto della presupposta cartella, i cui effetti sono definitivi in relazione alla campagna 1996/1997, la quale non è stata oggetto di precedente atto di prelievo annullato. Al contrario, il prelievo supplementare cui ha fatto seguito la suddetta cartella è stato impugnato con ricorso che questo TAR ha in parte dichiarato inammissibile e improcedibile e in parte respinto (TAR Piemonte, II, 25.10.2012, n. 1125), cosicché sia il presupposto atto di prelievo, sia la presupposta cartella di pagamento costituiscono atti definitivi che hanno reso il credito di Agea pienamente esigibile.

La definitività del presupposto atto impositivo e della cartella esattoriale preclude al ricorrente la facoltà di avvalersi degli arresti della Corte di Giustizia, i quali trovano un limite nell’inoppugnabilità dell’atto (TAR Veneto, IV, 16.10.2023, n. 1455;
Cons. Stato, III, 17.5.2022, n. 3910).

3. Né può valere la disapplicazione, in quanto l’incompatibilità comunitaria affermata dalla Corte di Giustizia (27.6.2019 –causa C-348/2018;
13.1.2022 –causa C 377/2019) non ha riguardato norme nazionali attributive del potere, bensì norme nazionali indicanti i criteri da seguire per l’esercizio del potere (provvedimenti sulla compensazione nazionale e sull’imputazione del prelievo).

La violazione del diritto comunitario implica soltanto un vizio di legittimità con conseguente annullabilità dell'atto amministrativo, in quanto l'art. 21 septies l. 241/90 ha codificato in numero chiuso le ipotesi di nullità del provvedimento, senza includervi la violazione del diritto comunitario, salva l'ipotesi in cui ad essere in contrasto con il precetto del diritto dell'unione europea sia la norma attributiva del potere, e non - come nel caso in esame - le modalità di applicazione di essa. Va soggiunto che pacifici principi in merito all'efficacia oggettivamente e soggettivamente limitata del giudicato, ex art. 2909 c.c., impediscono di dare ingresso alla tesi dell'estensione alla presente res litigiosa degli effetti di statuizioni relativi ad annate o soggetti diversi (Cons. Stato, sez. III, n. 1603/2022) e che la definitività dell'imputazione del prelievo preclude la possibilità per il ricorrente di avvalersi degli effetti degli arresti della Corte di Giustizia, i quali trovano un limite non valicabile nella formazione della inoppugnabilità dell'atto. Note e plurime sono, infatti, le prese di posizione del giudice comunitario volte a ribadire la necessità che - nell'ottica di una stabilità del diritto e dei rapporti giuridici - le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l'esaurimento dei mezzi di ricorso disponibili, o dopo la scadenza dei termini previsti per tali ricorsi, non possano più essere rimesse in discussione (Corte giustizia UE sez. X, 6 novembre 2014, n. 42;
Corte giustizia UE sez. VI, 16 luglio 2020, n. 424) e lo stesso principio riguarda i rapporti esauriti per conseguita inoppugnabilità di un provvedimento autoritativo. Altrettanto chiara è l'affermazione contenuta in tali pronunce secondo cui il diritto dell'Unione non impone a un giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono forza di giudicato a una pronuncia giurisdizionale, neanche quando ciò permetterebbe di porre rimedio a una situazione nazionale contrastante con detto diritto. Le modalità di attuazione del principio dell'autorità di cosa giudicata rientrano, infatti, nell'ordinamento giuridico interno degli Stati membri in virtù del principio dell'autonomia procedurale di questi ultimi (Cons. Stato, sez. III, n. 3910/2022). In ordine al regime dei provvedimenti amministrativi nazionali assunti in violazione del diritto europeo, la giurisprudenza ampiamente prevalente ha evidenziato che il contrasto di un atto amministrativo con il diritto europeo costituisce sempre e solo motivo di annullabilità e non di nullità. In altri termini, fermo restando che il contrasto tra un provvedimento amministrativo nazionale e il diritto dell'Unione europea debba generare qualche forma d'invalidità dell'atto in questione, il Consiglio di Stato, almeno a far tempo dalla sentenza del 31 marzo 2011, n. 1983, ha affermato che l'atto amministrativo che viola il diritto dell'Unione europea è affetto da annullabilità per vizio di illegittimità sotto forma di violazione di legge e non da nullità, atteso che l'art. 21-septies della legge n. 241/1990 ha codificato in numero chiuso le ipotesi di nullità del provvedimento amministrativo e tra queste ipotesi non rientra il contrasto con il diritto dell'Unione europea. Ne consegue che la nullità è configurabile nella sola ipotesi in cui il provvedimento amministrativo nazionale sia stato adottato sulla base di una norma interna attributiva del potere incompatibile con il diritto europeo e quindi disapplicabile, la cui ipotesi non ricorre nella fattispecie in esame. La violazione del diritto europeo, quindi, implica un vizio d'illegittimità con conseguente annullabilità dell'atto amministrativo con esso contrastante e da ciò discende un duplice ordine di conseguenze: sul piano processuale l'onere dell'impugnazione del provvedimento contrastante con il diritto europeo davanti al giudice amministrativo entro il termine di decadenza di sessanta giorni, pena l'inoppugnabilità del provvedimento stesso;
sul piano sostanziale, l'obbligo per l'amministrazione di dar corso all'applicazione dell'atto, fatto salvo l'esercizio del potere di autotutela. La natura autoritativa di un provvedimento amministrativo, infatti, non viene meno se la disposizione attributiva di potere è poi dichiarata incostituzionale o si manifesta in contrasto con il diritto europeo (Cons. Stato, sez. III, 29 settembre 2022, n. 8380;
id., sez. II, 7 aprile 2022, n. 2580;
25 marzo 2022, n. 2194;
16 marzo 2022, n. 1920), a maggior ragione quando, come nel caso di specie in materia di quote latte, il contrasto con il diritto europeo non ha riguardato la disposizione attributiva del potere, ma una regola sui criteri da seguire per il legittimo esercizio del potere (Cons. Stato, sez. III, 20 luglio 2022, n. 6333). Più nel dettaglio, le due sentenze della Corte di giustizia sopra richiamate hanno accertato l'incompatibilità della normativa interna concernente (non già il prelievo supplementare a monte, ma) i criteri di riassegnazione dei quantitativi inutilizzati ovvero i (criteri relativi ai) rimborsi delle eccedenze dei prelievi supplementari. La giurisprudenza europea, nell'esercizio della sua funzione nomofilattica, ha posto ugualmente in rilievo che la certezza del diritto è inclusa tra i principi generali riconosciuti nel diritto comunitario, sicché il carattere definitivo di una decisione amministrativa, acquisito alla scadenza dei termini ragionevoli di ricorso in seguito all'esaurimento dei mezzi di tutela giurisdizionale, contribuisce a tale certezza e da ciò deriva che il diritto comunitario non esige che un organo amministrativo sia, in linea di principio, obbligato a riesaminare una decisione amministrativa che ha acquisito tale carattere definitivo" (cfr. sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, C-453/00, Kühne &
Heitz, ECLI:EU:C:2004:17). Nello stesso senso, la giurisprudenza europea successiva ha evidenziato come, nel rispetto dei principi di equivalenza ed effettività, il principio della certezza nei rapporti giuridici non determina che gli stessi, una volta esauriti, debbano essere messi nuovamente e continuamente in discussione per effetto di una sentenza della Corte di Giustizia che sancisca la sostanziale incompatibilità di un determinato atto con la normativa europea;
le stesse recenti sentenze della CGUE C-497/20, Randstad Italia, del 21 dicembre 2021 (ECLI:EU:C:2021:1037) e C-261/21, Hoffmann-La Roche del 7 luglio 2022 (ECLI:EU:C:2022:534), nel riaffermare i principi di autonomia procedurale degli Stati membri e la necessità del rispetto dei principi di effettività ed equivalenza, non pongono in discussione che un atto amministrativo, come considerato da una sentenza del giudice nazionale passata in giudicato che sia poi accertata da una sentenza della Corte di Giustizia come violativa del diritto europeo, continui a spiegare i propri effetti
” (Cons. Stato, VI, 15.11.2023, n. 9772).

4. Con il secondo motivo il ricorrente deduce che Agea non ha tenuto conto delle somme recuperate mediante trattenuta degli aiuti agricoli: il debito per prelievo supplementare sarebbe in parte estinto, in quanto in parte versato, mentre la contestata intimazione non indica l’iter logico seguito ai fini della quantificazione del prelievo;
Agea avrebbe già recuperato dal ricorrente, tra il 2008 e il 2020, euro 197.896 (come da attestazioni del sistema Piemonte, documento n. 5).

La censura non è condivisibile.

È vero che, all'interno della disciplina in materia di aiuti PAC (Politica Agricola Comunitaria), opera un meccanismo di compensazione impropria tra i debiti del produttore a titolo di prelievo supplementare e i crediti di tale produttore a titolo di aiuti agricoli, in quanto poste di dare e avere appartenenti al medesimo rapporto giuridico disciplinato dal diritto dell'Unione europea (art. 8 ter d.l. 5/2009). Tuttavia, il sol fatto che, nel corso degli anni, gli organismi pagatori nazionali abbiano operato delle trattenute sugli aiuti comunitari spettanti al produttore non dimostra che siffatte trattenute abbiano permesso di recuperare, in tutto o in parte, il prelievo supplementare oggi portato in riscossione. Infatti, stante la molteplicità delle poste reciproche di dare e avere emergenti nell'ambito di un rapporto giuridico pluriennale, le trattenute sugli aiuti agricoli potrebbero essere state effettuate per compensare altri debiti del produttore. Poiché, mediante consultazione del registro nazionale dei debiti di cui all'art. 8 ter d.l. 5/2009, il produttore ha piena contezza della propria posizione debitoria verso l'Unione, questi è onerato di dimostrare che le trattenute subite sugli aiuti agricoli (poste di credito) si riferiscano al prelievo supplementare oggetto di giudizio e lo abbiano estinto, in tutto o in parte, attraverso il suddetto meccanismo di compensazione impropria. Parte ricorrente non ha soddisfatto il proprio onere probatorio, essendosi limitata a indicare il valore complessivo delle trattenute risultante dalle attestazioni del sistema Piemonte degli aiuti agricoli trattenuti (doc. 5 ricorrente), senza alcuna dimostrazione che le stesse si riferiscano al prelievo supplementare quivi in contestazione piuttosto che ad altre poste passive a suo carico (TAR Piemonte, II, 30.3.2023, n. 288).

5. Con il terzo mezzo l’istante eccepisce la prescrizione estintiva della pretesa creditoria, deducendo che la notifica della cartella di pagamento (eseguita in data 10.12.2018) è posteriore allo spirare del termine di prescrizione, non interrotto.

La censura non ha pregio.

Premesso che gli importi dovuti a titolo di prelievo supplementare e i relativi interessi non sono debiti da pagarsi periodicamente, ma misure a carattere patrimoniale imposte per salvaguardare il sistema delle quote latte e applicate sul presupposto dello sforamento delle quote individuali, talché la prescrizione rilevante è quella decennale (TAR Veneto, IV, 16.10.2023, n. 1456;
TAR Lombardia, Brescia, II, 10.10.2023, n. 733), il Collegio osserva quanto segue.

La prescrizione maturata prima della presupposta cartella di pagamento doveva essere eccepita in sede di impugnazione della stessa (Cass., ord., 7.2.2020, n. 3005), la quale rappresenta un valido e ormai intangibile atto interruttivo, la cui impugnazione, come visto, è stata dichiarata inammissibile.

Inoltre, i giudizi culminati con le sopra citate sentenze hanno prodotto l’effetto interruttivo della prescrizione.

Vale al riguardo l'orientamento del Consiglio di Stato secondo cui “ il combinato disposto ex artt. 2943, comma 1 c.c. (ai sensi del quale "La prescrizione è interrotta dalla notificazione dell'atto con il quale si inizia un giudizio, sia questo di cognizione ovvero conservativo o esecutivo") e 2945, commi 1 e 2 c.c. (a mente dei quali, rispettivamente, "Per effetto dell'interruzione s'inizia un nuovo periodo di prescrizione" e "Se l'interruzione è avvenuta mediante uno degli atti indicati dai primi due commi dell'articolo 2943, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio") trova applicazione anche ove l'iniziativa giudiziale sia stata assunta dal debitore ed il giudizio abbia assunto forma impugnatoria. Tale lettura pare, invero, confortata sia dal dato letterale dello stesso art. 2943, comma 1 c.c. (che ricollega l'interruzione della prescrizione alla sola notificazione dell'atto introduttivo del giudizio senza indicare il soggetto che deve iniziare lo stesso) sia dalla ratio della previsione, che è quella di mettere in quiescenza il meccanismo prescrizionale fintanto che l'accertamento dell'an o quantum della pretesa creditoria risulta ancora sub judice ” (Cons. Stato, VI, 2.1.2024, n. 64).

Pertanto, poiché la pendenza del giudizio è causa di interruzione del termine di prescrizione della contestata pretesa creditoria ai sensi degli artt. 2943 e 2945 c.c., il termine medesimo è ripreso a decorrere solo dall’anno 2023, con la conseguenza che la prescrizione decennale non è maturata con riferimento al credito sottesi all’intimazione in argomento (Cons. Stato, VI, 15.11.2023, n. 9772;
TAR Veneto, IV, 30.11.2023, n. 1784).

Rileva altresì, quale causa di interruzione del termine di prescrizione, la richiesta di rateizzazione presentata il 24.7.2014 dal deducente (allegati n. 8, 9, 10 e 11 depositati in giudizio da Agea).

6. La quarta censura si incentra sul difetto di motivazione della pretesa creditoria e del computo degli interessi;
secondo il ricorrente, inoltre, il riferimento all’art. 30 del d.p.r. n. 602/1973 per gli interessi moratori, contenuto nell’intimazione e negli atti di pignoramento, sarebbe inappropriato per i debiti in questione, non avendo essi natura tributaria (la misura degli interessi avrebbe come parametro di calcolo l’art. 8 del reg. CE n. 1392/2001 e l’art. 15 del reg. CE n. 595/2004);
aggiunge che gli oneri di riscossione, non conteggiati nella presupposta cartella e di cui non sono stati chiariti i criteri di quantificazione, non sarebbero dovuti, anche perché l’attività di riscossione è stata intrapresa nel 2018 e l’Agenzia di riscossione è subentrata soltanto per l’esecuzione coattiva. Vi sarebbe dunque la violazione dei fini perseguiti dall’art. 7 della legge n. 212/2000 e dagli artt. 1 e 3 della legge n. 241/1990.

Il mezzo è infondato.

La contestata intimazione di pagamento espone il dettaglio dei debiti del ricorrente e reca un puntuale riferimento alla causale della pretesa di Agea, alle voci economiche che compongono l’oggetto della pretesa e ai presupposti della richiesta di pagamento, assolvendo all’obbligo di motivazione.

Per quanto concerne la parte riferita agli interessi moratori, il gravato provvedimento (pagina 3) puntualizza i criteri generali di calcolo, il che è sufficiente a dare contezza del conteggio effettuato, rispondente ad operazioni vincolate dal dettato normativo. Né il ricorrente ha specificato un proprio calcolo, idoneo a comprovare l’erroneità del quantum determinato dall’Agenzia delle Entrate Riscossione, limitandosi a dedurre che il computo degli interessi effettuato dall’amministrazione è inattendibile.

Occorre altresì considerare che il gravato provvedimento fa seguito alla cartella esattoriale insoluta recante a sua volta l’indicazione degli interessi di mora, con la conseguenza che l’intimazione di pagamento degli ulteriori interessi reca nella presupposta cartella la propria originaria motivazione, talché l’obbligo di motivazione è comunque soddisfatto mediante il semplice richiamo dell’atto precedente e la quantificazione dell’ulteriore importo per gli accessori (Cass., S.U., 14.7.2022, n. 22281).

Sotto altro profilo, stante la definitività degli atti presupposti, gli interessi di mora maturati sino al momento della presupposta cartella, per come in essa indicati, non sono più contestabili dal ricorrente: poiché la presupposta cartella esattoriale è divenuta definitiva per effetto delle sopra richiamate sentenze, possono essere contestati solo gli interessi di mora maturati dopo l’ultima annualità considerata, ai fini del loro calcolo, da detta cartella.

Inoltre, l'obbligo di pagamento degli interessi di mora è correttamente giustificato dal richiamo all'art. 30 del D.P.R. 672 del 1973.

Sul punto va ricordato che, per ottenere il pagamento della somma pretesa, AGEA ha affidato la riscossione ad ADER, la quale opera ai sensi delle disposizioni contenute nel D.P.R. n. 602 del 1973.

L'art. 25, primo comma, di tale decreto, stabilisce che, una volta ricevuto il ruolo, il concessionario della riscossione debba inviare al debitore una cartella di pagamento (che ai sensi del secondo comma dello stesso articolo deve essere redatta in conformità ad un modello ministeriale), invitandolo a versare quanto dovuto nel termine di sessanta giorni. Scaduto questo termine, in assenza di versamento spontaneo, sono dovuti gli interessi di mora previsti dall'art. 30 del D.P.R. n. 602 del 1973, il cui tasso è stabilito annualmente con decreto ministeriale. Si osserva poi che le previsioni contenute nei regolamenti CEE n. 536/93 della Commissione del 9 marzo 1993, (CE) n. 1392/01 della Commissione del 9 luglio 2001 e (CE) n. 1468/06 della Commissione del 4 ottobre 2006 "hanno introdotto ipotesi di mora ex lege, nel senso che la loro applicabilità nel tempo, oltre ad essere sottratta all'accordo delle parti, è connessa al momento dell'inadempimento ed è, pertanto, sottratta alle sopravvenienze normative intercorse quando perdura l'omesso pagamento del debito" (C.d.S. n. 5899/2023, che richiama la pronuncia del C.d.S., sez. III, 25 gennaio 2018 n. 511). Pertanto il debitore, applicando i criteri normativi, è in grado di verificare agevolmente la correttezza dei calcoli (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II,19 luglio 2023, n. 1901;
T.A.R. Piemonte, sez. II, 2 maggio 2023, n. 399) e non può limitarsi a dedurre la mancanza di motivazione, dovendo, al fine di dimostrare l'illegittimità dell'intimazione di pagamento, opporre alla determinazione dell'Amministrazione un proprio calcolo che porti ad un importo per interessi inferiore a quello quantificato
” (TAR Veneto, IV, 28.12.2023, n. 1995).

7. I costi del servizio della riscossione sono riconosciuti in via generale dall'art. 17 del d.lgs. n. 112/1999 che, nel testo previgente alla data di entrata in vigore della legge n. 234/2021, costituiva la normativa di riferimento al momento dell’emissione dell’atto impugnato (cioè alla data del 14.10.2021). Infatti l’art. 1, comma 17, della legge n. 234/2021 statuisce che restano fermi, nella misura prevista dalle disposizioni vigenti fino all’entrata in vigore della legge medesima, l’aggio e gli oneri di riscossione per i carichi affidati fino al 31.12.2021. Inoltre l’art. 1, comma 15, della legge n. 234/2021, nel riformulare l’art. 17 del d.lgs. n. 112/1999, prevede che sia a carico del debitore una quota correlata alla notifica non solo della cartella ma anche degli altri atti di riscossione (tra i quali rientra l’intimazione di pagamento). Lo stesso riferimento agli “altri atti della riscossione” è contenuto nel previgente testo dell’art. 17 del d.lgs. n. 112/1999 valevole, ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge n. 234/2021, per i carichi affidati fino al 31.12.2021.

8. Con il quinto motivo il ricorrente deduce la nullità degli atti impugnati perché risultano notificati a mezzo pec da un indirizzo che non figura negli elenchi ufficiali previsti dall’art. 16-ter, comma 1, del d.l. n. 179/2012.

Il rilievo non ha pregio.

Secondo l’orientamento della Corte di Cassazione, al quale questo TAR reputa di aderire, è valida la notifica proveniente da un indirizzo pec dal quale è evincibile e riconoscibile il mittente, ancorché l’indirizzo stesso sia diverso da quello indicato nei pubblici registri (Cass. Civ., VI, ord., 16.1.2023, n. 982).

Nel caso di specie gli indirizzi di posta elettronica dai quali sono stati inviati i gravati provvedimenti, riportanti il riferimento alla “agenziariscossione” (pagina 20 del ricorso), consentivano di identificare l’amministrazione da cui promanavano, con conseguente validità della contestata notificazione.

9. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come indicato nel dispositivo.

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