TAR Genova, sez. I, sentenza 2009-11-04, n. 200903074
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N. 03074/2009 REG.SEN.
N. 00102/2001 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 102 del 2001, proposto dalla Mediterranea delle Acque spa, corrente a Genova in persona del legale rappresentante in carica, avente causa dell’originaria ricorrente Acquedotto Nicolay spa, rappresentata e difesa dall’avvocato D A, presso la quale ha eletto domicilio a Genova in via Corsica 21/18;
contro
Comune di Genova in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati E O e L D P, presso i quali ha eletto domicilio a Genova in via Garibaldi 9;
Provincia di Genova;
per l'annullamento
della nota 20.11.2000, prot. 20811 del settore tributi del comune di Genova;
delle note 20.9.2000, prot. 16993, 13.4.2000, prot. 6801 e 5.10.1999, prot. 16057 del settore tributi del comune di Genova;
dell’art. 39 comma 4 del regolamento per l’applicazione del canone per l’occupazione degli spazi ed aree pubbliche approvato con deliberazione consiliare 24.4.2000, n. 28
per l’accertamento
dell’infondatezza della pretesa del comune di Genova di commisurare il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche al numero degli utilizzatori finali dell’acqua potabile, e non già al numero delle utenze formalmente attivate.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del comune di Genova
Viste le memorie depositate dalle parti;
vista la propria sentenza 2002 n. 300, vista la decisione 4577 del 2009 del consiglio di Stato;
visto l’atto di costituzione in giudizio della società ricorrente;
viste le memorie delle parti;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 ottobre 2009 il dott. Paolo Peruggia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
La spa Acquedotto Nicolay si ritenne lesa dalla determinazione 20.11.2000, n. 20811 con cui il settore tributi del comune di Genova aveva respinto la domanda di rimborso presentata, relativamente ad una parte del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche versato nel 2000, per cui impugnò anche i presupposti atti 20.9.2000, prot. 16993, 13.4.2000, prot. 6801 e 5.10.1999, prot. 16057 del settore tributi del comune di Genova e l’art. 39 comma 4 del regolamento comunale di settore, deducendo:
violazione degli artt. 3 e 53 cost., violazione degli artt. 52 e 63 del d.lvo 15.12.1997, n. 446, violazione dell’art. 3 della legge 7.8.1990, n. 241, violazione della circolare 28.2.2000, n. 32/E del ministero delle finanze, violazione dell’art. 37 del regolamento comunale Cosap, eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, illogicità, ingiustizia grave e manifesta.
Violazione degli artt. 3, 23 e 53 cost.
Il comune di Genova si costituì in giudizio con atto datato 10.5.2001, con cui chiese la reiezione della domanda, e depositò una memoria il 8.2.2002.
Con sentenza 21.2.2000, n. 300 questo tribunale amministrativo dichiarò inammissibile il ricorso, ravvisando il difetto di giurisdizione del giudice adito.
Con decisione 26.5.2009, n. 4577 il consiglio di Stato ha accolto l’appello interposto dalla ricorrente, dichiarando la competenza del giudice amministrativo, e rinviando gli atti a questo tribunale per la cognizione della domanda nel merito.
La ricorrente si è costituita in giudizio a ministero di nuovo difensore, depositando la documentazione a corredo della propria allegata legittimazione, ed ha insistito per l’accoglimento delle istanze formulate.
Le parti hanno depositato memorie il 1 e 2 ottobre 2009.
Sono impugnati gli atti con cui l’amministrazione comunale di Genova ha ingiunto alla dante causa della ricorrente il pagamento del canone per l’occupazione degli spazi pubblici, ed in particolare del sottosuolo, per la parte in cui la commisurazione del dovuto è derivata dal numero degli utenti finali del servizio idrico, e non già dai contratti stipulati. Più precisamente la ricorrente assume di aver predisposto la rete acquedottistica sul territorio di una parte del territorio comunale, ed interpreta le norme di legge in materia nel senso che la somma dovuta per il titolo contestato vada calcolata sulla base dei contratti concretamente stipulati, mentre l’amministrazione osserva che l’art. 39 4 comma del regolamento approvato istituisce il rapporto tra l’espletamento della somministrazione e tutti gli utenti finali della stessa.
Il giudizio ha già conosciuto una decisione di questo collegio, che ravvisò l’inammissibilità della domanda in conseguenza del difetto di giurisdizione del tribunale adito;tuttavia il consiglio di Stato ha pronunciato la decisione 26.5.2009, n. 4577 ed ha ritenuto che l’oggetto del contendere riguardi l’esercizio della generale potestà discrezionale ed autoritativa di commisurazione dell’importo dovuto, con ciò ravvisando la giurisdizione del tar a decidere in materia. La pronuncia del giudice di secondo grado ha osservato (punto 3, in fine della parte motiva) che la statuizione esposta non è influenzata dalla pubblicazione della recente sentenza 64 del 2008 della corte costituzionale, che ha riguardato soltanto la giurisdizione a conoscere sulla debenza del canone, e non già gli atti necessari per la sua quantificazione.
Tutto ciò premesso il collegio deve decidere nel merito, applicandosi l’art. 35 della legge 6.12.1971, n. 1034.
In tal senso vanno esaminate le eccezioni preliminari sollevate dal comune di Genova sin dalla prima memoria depositata in causa;l’amministrazione allega in tal senso che la decisione sul merito della domanda non può essere adottata, in quanto il ricorso venne notificato il 17.1.2001, e così oltre il termine di giorni sessanta dall’atto in concreto lesivo, che andrebbe individuato nella comunicazione 13.4.2000, prot. 6801, ricevuta dall’originaria ricorrente il 17.4.2000.
Il collegio osserva al riguardo che tale atto risulta corredato anche dai bollettini di versamento precompilati e delineava compiutamente i termini della pretesa del comune: dopo la ricezione di tale atto intercorse tra le parti un carteggio, con il quale la società di gestione del servizio e l’amministrazione comunale puntualizzarono le rispettive posizioni in diritto, senza tuttavia giungere ad alcun accordo.
Intervenne poi il pagamento effettuato dall’originaria ricorrente della somma richiesta, accompagnato dalla riserva di ripetere l’indebito, come è stato poi esposto nel ricorso in trattazione.
Tutto ciò premesso il collegio deve concordare con la prospettazione dell’amministrazione, che rileva che la ricorrente omise di impugnare per tempo la comunicazione 13.4.2000, prot. 6801 che conteneva tutti gli elementi lesivi lamentati con l’impugnazione proposta.
Il pagamento della somma ritenuta indebita era infatti argomentato con il richiamo alla norma (art. 39 comma 4) del regolamento per l’applicazione del canone per l’occupazione degli spazi ed aree pubbliche, che era stato approvato con deliberazione consiliare 24.4.2000, n. 28, e che poteva quindi mettere le parti sull’avviso sui profili giuridici e i contenuti economici della pretesa comunale. Si intende con ciò che il regolamento non doveva considerarsi direttamente lesivo della situazione giuridica dedotta in giudizio, e che tale era invece la comunicazione applicativa della norma locale che non venne tempestivamente gravata.
Ne consegue che non può darsi ingresso alla cognizione nel merito della pretesa dell’interessata, che ha impugnato il diniego opposto dall’amministrazione alla richiesta di rimborso dell’indebito, senza che fosse stato impugnato il precedente atto impositivo. L’atto gravato in principalità non è infatti denunciato per vizi propri, ma solo in via derivata, per cui la rilevata irricevibilità delle deduzioni proposte nei confronti della pretesa dell’amministrazione comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
Non di meno le spese di lite possono essere equamente compensate, attesa l’obiettiva incertezza esistente a proposito della giurisdizione abilitata a conoscere della questione.