TAR Napoli, sez. V, sentenza 2013-07-08, n. 201303527

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. V, sentenza 2013-07-08, n. 201303527
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201303527
Data del deposito : 8 luglio 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05856/2010 REG.RIC.

N. 03527/2013 REG.PROV.COLL.

N. 05856/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5856 del 2010, proposto da A F, rappresentato e difeso dall'avv. C E, con domicilio eletto presso C E in Napoli, via Caracciolo,15 c/o St.Laudadio;

contro

Comune Di Castellammare Di Stabia, rappresentato e difeso dall'avv. D C, con domicilio eletto presso D C in Castell.Stabia, via Raiola,44-C/0 Avvocat.Municip.;

per l'annullamento dell' atto di liquidazione presupposto alla busta paga dell'ottobre 2004, mai notificato, nè comunicato al ricorrente


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune Di Castellammare Di Stabia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 giugno 2013 il dott. C B e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Espone in fatto l’odierna parte ricorrente di agire in via di riassunzione in seguito a sentenza del Tribunale di Torre Annunziata del 2010 di declaratoria di difetto di giurisdizione con fissazione di termine di tre mesi per la riassunzione davanti al giudice amministrativo;
la vicenda trae origine da sentenza di questo TAR n.463 del 1998, confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n.8010 del 2003, di riconoscimento del diritto alla corresponsione di crediti retributivi, che l’Amministrazione intimata riteneva di eseguire con liquidazione nel 2004, mediante l’atto oggetto di impugnazione, in maniera comunque manifestamente illegittima rispetto all’importo che sarebbe spettato e che, peraltro, l’Ente non ignorava nella misura in cui era stato determinato da un consulente a ciò incaricato.

Il Comune intimato si è costituito in giudizio per contestare la quantificazione effettuata da parte ricorrente e comunque la mancata prova di quanto asserito.

All’udienza pubblica del 13 giugno 2013 la causa è stata chiamata e trattenuta per la decisione, come da verbale.

Con il ricorso in esame parte ricorrente deduce in diritto la violazione dell’art.36 Cost., dell’art.2126 c.c., il travisamento, l’erroneità dei presupposti, l’eccesso di potere e la violazione della citata sentenza di questo TAR come confermata dal Consiglio di Stato, lamentando inoltre la perdita di chance.

2. Il Collegio ritiene di dover preliminarmente constatare che il presente giudizio, sebbene introdotto con rito impugnatorio avverso l’atto di liquidazione presupposto alla busta-paga dell’ottobre 2004, in realtà mira a provocare l’esercizio da parte di questo Tribunale dei poteri inerenti al giudizio di ottemperanza al giudicato relativamente all’esecuzione delle sentenze non impugnate né sospese;
si ritiene che sussistano, nella fattispecie, i presupposti per la conversione del rito.

2.1 Peraltro, secondo l'art. 21-septies della Legge n.241 del 1990 riprodotto nel c.p.a. (art. 114, co. 4, lett. b), il provvedimento violativo del giudicato è nullo;
la conseguenza è che contro di esso non va attivato un nuovo giudizio di cognizione, ma il giudizio di ottemperanza nel termine di prescrizione dell'actio iudicati. Sul punto l'intento del nuovo codice di concentrare nel giudizio di ottemperanza tutte le questioni che sorgono dopo un giudicato, in relazione alla sua esecuzione, non si spinge, però, sino al punto di affermare che qualsivoglia provvedimento adottato dopo un giudicato e in conseguenza di esso debba essere portato davanti al giudice dell'ottemperanza;
infatti il c.p.a. dispone che presupposto per il giudizio è una inottemperanza e che ci si rivolge al giudice dell'ottemperanza, oltre che in caso di inerzia totale o parziale, in caso di atti violativi o elusivi del giudicato.

Ad avviso del Collegio giova osservare che la disciplina dell'azione di ottemperanza, lungi dal ricondurre la medesima solo ad una mera azione di esecuzione della sentenza e/o di altro provvedimento ad esse equiparabile, evidenzia profili affatto diversi non solo quanto al "presupposto" (cioè in ordine al provvedimento per il quale si chieda che il giudice disponga ottemperanza), ma anche in ordine al contenuto stesso della domanda, la quale può essere:

a) rivolta, in generale, a conseguire "l'attuazione" delle sentenze o altri provvedimenti ad esse equiparati, del giudice amministrativo o di altro giudice diverso da questi, con esclusione delle sentenze della Corte dei Conti (ex multis, Cons. Stato, IV, 26.5.2003, n.2823) e del giudice tributario o, più in generale, di quei provvedimenti di giudici diversi dal giudice amministrativo "per i quali sia previsto il rimedio dell'ottemperanza" (art. 112, comma 2). In tal caso l'ampiezza della previsione normativa impedisce di ricondurre la natura dell'azione a quella di mera "azione di esecuzione" di una sentenza pronunciata a conclusione di un giudizio di cognizione o altro provvedimento ad essa equiparato, essendo del tutto evidente la presenza di profili di accertamento e pronuncia del giudice di natura cognitoria, volti alla migliore conformazione dell'ulteriore esercizio del potere amministrativo;

b) rivolta ad ottenere la condanna "al pagamento di somme a titolo di rivalutazione e interessi maturati dopo il passaggio in giudicato della sentenza" (art. 112, comma 3). In questa ipotesi l'azione ha mera natura esecutiva ed è evidentemente "attratta" dal giudizio di ottemperanza, stante la natura di obbligazioni accessorie di obbligazioni principali, in ordine alle quali si è già pronunciata una precedente sentenza (o provvedimento equiparato);

c) rivolta ad ottenere il "risarcimento dei danni connessi all'impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato o alla sua violazione o elusione" (art. 112, comma 3). In quest'ultimo caso l'azione - che ha chiaramente natura risarcitoria, essendo in tal modo definita dal Codice - non è rivolta all' "attuazione" di una precedente sentenza e/o provvedimento equiparato, ma essa trova in questi ultimi solo il presupposto perché un nuovo e distinto comportamento dell'amministrazione, che si presenti inottemperante, violativo o elusivo del giudicato, rende impossibile il ripristino della posizione soggettiva innanzi pregiudicata dalla stessa amministrazione (anche) mediante un esercizio illegittimo del potere amministrativo ovvero sia produttivo di danno. Si tratta, a tutta evidenza, di un’azione nuova, esperibile proprio perchè è l'ottemperanza stessa divenuta impossibile, ovvero ulteriori danni sono derivati alla parte vittoriosa per mancata esecuzione, violazione o elusione del giudicato, e in ordine alla quale la competenza a giudicare è, per evidenti ragioni di economia processuale e, quindi, di effettività della tutela giurisdizionale, attribuita al giudice dell'ottemperanza.

3. Sempre in via preliminare, quanto all’ammissibilità del ricorso, detta questione può essere risolta in senso positivo, atteso l’esercizio da parte di questo Tribunale dei poteri inerenti al giudizio di ottemperanza al giudicato relativamente all’esecuzione delle sentenze non impugnate o, come nella fattispecie, confermate dal Consiglio di Stato.

Sotto ulteriore profilo di ammissibilità – in termini di giurisdizione - del gravame in epigrafe, il Collegio osserva che del tutto correttamente parte ricorrente instaurava il contenzioso definito con sentenza di questo Tribunale nel 1998, mentre il Giudice di appello definiva il relativo giudizio dopo che era mutata la normativa di riferimento;
in disparte le considerazioni già sviluppate dal Giudice ordinario in sede di declinazione della giurisdizione, anche in ossequio al principio “utile per inutile non vitiatur”, l’azione di parte ricorrente risulterebbe in ogni caso ammissibile in ragione della natura dell'actio iudicati che non è legata al termine di decadenza, ma di prescrizione di dieci anni (art. 114, co. 1 c.p.a.) e decorre dal passaggio in giudicato della sentenza. In ogni caso non si è verificata la decadenza per i ricorsi in materia di pubblico impiego ove depositati dopo il 15.9.2000, ciò perché gli effetti sostanziali e processuali connessi all'attivazione del giudizio dinanzi al Giudice ordinario (cui è seguita la declinatoria di giurisdizione) rendono tempestivo il presente gravame, indipendentemente dalla sua riconduzione al modello del giudizio di ottemperanza.

4. Venendo al caso specifico, la Sezione già in passato (cfr. 6.6.2008, n.5434) ha aderito alla tesi del Consiglio di Stato (V, 1.4.2004, n.1740) secondo cui "L'inquadramento dei giovani assunti in base alla normativa sulla occupazione giovanile va effettuato in corrispondenza alla specifica idoneità da essi conseguita in sede di formazione professionale, quale accertata attraverso l'apposita procedura concorsuale. Gli inquadramenti dei giovani disposti dalle l. n. 285 del 1977 e n. 138 del 1984, pertanto, ancorché facciano riferimento, per la individuazione delle posizioni da conferire, alle qualifiche funzionali introdotte dal D.P.R. n. 347 del 1983, non sono disciplinati dalla normativa di detto D.P.R. e, quindi, non sono disciplinate dall'art. 40 di detto decreto, ma sono regolate dalla particolare normativa che ad essi specificamente si riferisce".

Nello specifico parte ricorrente è stata assunta proprio ai sensi della Legge n.285/1977 ed è stata, in quanto tale, beneficiaria di una speciale legislazione di favore in conseguenza della quale è stata assunta a tempo determinato, con contratto di formazione-lavoro, usufruendo di successive proroghe ed è poi passata ad un rapporto di lavoro a tempo indeterminato fino all’immissione in ruolo.

4.1 Il ricorso è inoltre fondato in quanto, dalla valutazione della documentazione versata in atti, si evince che il giudicato discendente dal provvedimento giurisdizionale di cui è richiesta l’ottemperanza non è stato ancora eseguito. Da un lato si è formato il giudicato circa l’obbligo della intimata Amministrazione di corrispondere crediti retributivi afferenti ore lavorate e non pagate, dall’altro il giudicato – come è noto – copre non solo il dedotto (ciò che espressamente è stato oggetto di contestazione ed esame), ma anche il deducibile (ciò che, pur non espressamente trattato, si pone come presupposto-corollario indefettibile del thema decidendum).

In ragione della asserita persistenza da parte dell’Amministrazione del mancato adempimento di quanto prescritto con sentenza di questo Tribunale n.463/1998, confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n.8010 del 2003, anche in ragione dell’ampio lasso di termine trascorso, si dispone che con effetto immediato il Prefetto di Napoli – o funzionario da questi delegato - provveda, nella veste di Commissario ad acta di questo Tribunale, nel termine di 90 (novanta) giorni, a tutto quanto necessario per la piena ottemperanza al giudicato in questione, con liquidazione di quanto spettante a parte ricorrente previa effettuazione dei necessari conteggi. Il Commissario potrà accedere agli atti dei vari Uffici avvalendosi degli apparati burocratici dell’intimata Amministrazione, ai cui titolari è fatto espresso obbligo di garantire la massima collaborazione;
ad incarico espletato l’Amministrazione dovrà corrispondere per l’attività commissariale un unico e forfettario compenso che il Tribunale provvederà a liquidare successivamente previo deposito di specifica richiesta che dovrà tenere conto della serialità dei ricorsi.

4.2 Viceversa non appare meritevole di positiva valutazione la richiesta di un distinto risarcimento dei danni per le ragioni di seguito esplicitate.

Il Collegio aderisce a quell’orientamento giurisprudenziale (da ultimo, Cons. Stato, IV, 16.1.2013, n.259) secondo cui, quale che sia la ragione dell'impossibilità di esecuzione (sia essa oggettiva o riconducibile ad una attività o comportamento inerte dell'Amministrazione), oggetto del risarcimento per equivalente monetario è la lesione stessa della posizione sostanziale accertata dal giudice del cognitorio e coperta dal passaggio in giudicato della relativa decisione. Non a caso l'art. 112, co. 3 cod. proc. amm. evidenzia un danno "connesso" alla impossibilità dell'esecuzione e non già "conseguente" a tale impossibilità;
dunque non si tratta, necessariamente, di un danno "nuovo", bensì (anche) del danno accertato con la sentenza passata in giudicato, non più riparabile nelle forme ivi indicate. A questo primo aspetto del danno risarcibile può aggiungersi, qualora questo ricorra in concreto e laddove sia debitamente provato, l'ulteriore danno derivante ex se dall'attività dell'Amministrazione, ad esempio derivante dal provvedimento adottato in elusione o violazione di giudicato e dichiarato nullo dal giudice dell'ottemperanza;
ciò appare a maggior ragione sostenibile laddove oggetto del giudizio amministrativo siano non già posizioni di interesse legittimo, bensì posizioni di diritto soggettivo. Conseguentemente, attesa la distinta natura del danno risarcibile ex art. 112 cit., se il danno risarcibile consiste nella originaria ed accertata in cognitorio lesione della posizione giuridica sostanziale, il termine di prescrizione dell'azione di ottemperanza è di dieci anni (art. 114, co. 1) e decorre dal passaggio in giudicato della sentenza, ciò perché se il risarcimento del danno corrisponde ad una riparazione per equivalente della lesione subita dalla posizione sostanziale - per la quale non è più possibile la reintegrazione in forma specifica - non vi è alcuna ragione per ritenere che l'esercizio di tale azione risponda a termini di prescrizione diversi da quelli in generale previsti per l'actio iudicati, né che detto termine abbia diversa decorrenza. Al contrario, qualora oggetto della domanda di risarcimento, pur proposta in sede di ottemperanza, siano danni causati da attività ulteriore o inerzia dell'amministrazione (come nel caso di danno autonomamente ed ex novo derivante dal provvedimento adottato in elusione o violazione di giudicato), il termine di prescrizione per illecito (extracontrattuale) è quinquennale e non può che decorrere dall'evento causativo di danno. Poiché oggetto del risarcimento - quale forma "sostitutiva" di riparazione - è la posizione giuridica la cui lesione è stata accertata in cognitorio, non occorre, in sede di ottemperanza, accertare la sussistenza (o meno) dell'elemento soggettivo della responsabilità dell'amministrazione, come sarebbe stato, invece, necessario, laddove oggetto della domanda di risarcimento fossero stati danni "nuovi" e "diversi", nei sensi sopra evidenziati.

Ora, chiarito che ricorre una ipotesi di "sostituzione" di una forma di riparazione ad un'altra ed ambedue vanno riferite ad un danno già accertato come sussistente dalla sentenza della quale si dispone l'ottemperanza, si ritiene che nella fattispecie sia la circostanza che il protrarsi del momento del soddisfacimento della pretesa in capo a parte ricorrente è in parte dipeso dai dubbi in termini di giurisdizione e dalla difficoltà per gli interessati di individuare un chiaro percorso al riguardo, sia il dato non trascurabile che comunque in via generale non è esclusa la rivalutazione dei fatti sottoposti all’esame del giudice, inducono questo Giudice a respingere la domanda di risarcimento del danno nei confronti della P.A., ove si consideri che la giurisprudenza (Cons. Stato, V, 31.7.2012, n.4345) coerentemente afferma che, ai fini dell'ammissibilità della stessa, non è sufficiente il solo annullamento del provvedimento lesivo, ma è altresì necessario che sia configurabile la sussistenza dell'elemento soggettivo della colpa, dovendo quindi verificarsi se l'adozione e l'esecuzione dell'atto impugnato sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona fede alle quali l'esercizio della funzione pubblica deve costantemente attenersi;
segue da ciò che in sede di accertamento della responsabilità della P.A. per danno a privati, il giudice amministrativo, in conformità ai principi enunciati nella materia anche dal Giudice comunitario, può affermare detta responsabilità quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tali da palesare la negligenza e l'imperizia dell'organo nell'assunzione del provvedimento viziato, mentre può negarla quando l'indagine conduce al riconoscimento dell'errore scusabile (per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l'incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto).

5. Ciò premesso il Collegio ritiene che il ricorso vada accolto nei termini di cui in motivazione.

Sussistono ex artt.26, comma 1, c.p.a. e 92, comma 2, c.p.c. gravi ed eccezionali motivi – legati alla particolarità della vicenda e delle questioni trattate - per disporre la compensazione delle spese di giudizio, mentre resta fermo, se corrisposto, l’onere di cui all’art.13 del DPR n.115/2002, come successivamente modificato, a carico della parte soccombente.

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