TAR Firenze, sez. III, sentenza 2012-05-16, n. 201200946

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Firenze, sez. III, sentenza 2012-05-16, n. 201200946
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Firenze
Numero : 201200946
Data del deposito : 16 maggio 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02504/1999 REG.RIC.

N. 00946/2012 REG.PROV.COLL.

N. 02504/1999 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2504 del 1999, proposto da Eltimar Supermercati s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. F F e D B, con domicilio eletto presso il loro studio in Firenze, via dell'Oriuolo n. 20;

contro

Comune di Portoferraio, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. P C, con domicilio eletto presso l’avv. Claudio Bargellini in Firenze, piazza dell'Indipendenza n. 10;

per l'annullamento

- dell'ordinanza n. 21/99 del 28 giugno 1999, prot. n. 15622, notificata il 29 giugno 1999, a firma del Dirigente dell'Area 4 - Ufficio tecnico del Comune di Portoferraio, di demolizione di opere edilizie;

- di ogni atto connesso, presupposto o conseguente, tra cui in particolare, ed in quanto occorra, il rapporto dell'Ufficio di Polizia municipale prot. n. 11327 del 13 maggio 1999, e la comunicazione di avvio del procedimento in data 23 giugno 1999, prot. n. 15296.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Portoferraio;

Viste le memorie difensive delle parti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 aprile 2012 il dott. Gianluca Bellucci e uditi per le parti i difensori J. Michi delegato da F. Falorni, N. Pignatelli delegato da P. Carrozza, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La ricorrente è proprietaria di una porzione di un fabbricato con destinazione commerciale, realizzato in forza di concessione edilizia del 30.10.1995, la quale prevedeva lo sviluppo su tre piani delle quattro unità immobiliari costituenti l’edificio: un piano sotterraneo destinato ad autorimesse, un piano terreno destinato all’attività commerciale, un piano superiore suddiviso in una parte abitabile ed in una parte costituita da soppalchi non abitabili.

Durante i lavori, la ricorrente ha realizzato difformità dalla concessione edilizia, ovvero una più profonda sottofondazione, con connessa maggiore volumetria del piano interrato, dove sono state collocate alcune merci;
inoltre la copertura è stata uniformata alla quota più alta, tra le due assentite.

Il rapporto della polizia municipale del Comune di Portoferraio, datato 13.5.1999, ha evidenziato le seguenti difformità:

a) la copertura è ad un unico piano, anziché a piani sfalsati, con conseguente maggiore altezza di circa cm. 35 dei locali destinati a soppalco;

b) l’altezza di un soppalco è di m. 2,80 anziché m. 2,40;

c) i locali interrati, aventi sviluppo planimetrico ed altezza media eccedente di circa 15 cm., sono destinati a magazzino anziché a parcheggio;
il lotto C3 della ricorrente presenta un’eccedenza di superficie di mq. 100.

Il Comune, con ordinanza del 28.6.1999, ha ingiunto la demolizione delle opere difformi e l’utilizzo del piano interrato come parcheggio.

Avverso tale provvedimento la ricorrente è insorta deducendo:

1) violazione dell’art. 12 della legge n. 47/1985;
eccesso di potere per violazione del giusto procedimento e difetto di istruttoria e di motivazione;

2) violazione dell’art. 15 della legge n. 1497/1939;
eccesso di potere per violazione del giusto procedimento e per difetto di istruttoria e di motivazione;

3) violazione dell’art. 12 della legge n. 47/1985 e dell’art. 15 della legge n. 1497/1939;
eccesso di potere per perplessità e sviamento;

4) violazione dell’art. 15 della legge n. 1497/1939, in relazione agli artt. 2 e 4 della L.R. n. 52/1979;
eccesso di potere per difetto di presupposti e per violazione del giusto procedimento;

5) eccesso di potere per travisamento dei fatti e difetto dei presupposti;
violazione dell’art. 25, ultimo comma, della legge n. 47/1985 e degli artt. 3 e seguenti della L.R. n. 39/1994;

6) violazione degli artt. 31 e 32 della legge n. 47/1985, dell’art. 4 della legge n. 10/1977, degli artt. 4 ss. della legge n. 47/1985, dell’art. 7 della legge n. 1497/1939, dell’art. 82 del d.p.r. n. 616/1977, dell’art. 4 della L.R. n. 52/1979, dell’art. 51 della legge n. 142/1990 e successive modifiche e integrazioni;
incompetenza;

7) violazione dell’art. 7 della legge n. 241/1990;
eccesso di potere per violazione del giusto procedimento.

Si è costituito in giudizio il Comune di Portoferraio.

Con ordinanza n. 216 del 16.2.2000 è stata accolta l’istanza cautelare.

All’udienza del 19 aprile 2012 la causa è stata posta in decisione.

DIRITTO

In via preliminare il Collegio rileva che la ricorrente, in data 28.12.2010 e 1.2.2012, ha presentato domande dalla stessa qualificate come preordinate alla sanatoria edilizia ex artt. 136 e 139 della L.R. n. 1/2005 (documenti depositati in giudizio in data 8.3.2012), riferite ad alcune delle opere oggetto dell’impugnata ordinanza di demolizione.

Tuttavia tali istanze, che sarebbero in corso di definizione (secondo quanto precisato nella pagina 7 della memoria difensiva depositata in giudizio dal Comune il 19.3.2012), non sono preordinate ad una vera e propria regolarizzazione dell’abuso edilizio, quale quella prevista dall’art. 140 della L.R. n. 1/2005, ma all’applicazione delle sanzioni pecuniarie previste dai citati artt. 136 e 139.

Esse non sono quindi assimilabili alla domanda di condono o di sanatoria edilizia, giacchè la sanzione pecuniaria in materia edilizia non ha effetto sanante (TAR Toscana, II, 19.9.2006, n. 3984;
Cass. pen. III, 22.4.2010, n. 19538).

Pertanto nel caso di specie non può trovare applicazione l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui, una volta presentata la domanda di attestazione di conformità, i provvedimenti repressivi perdono efficacia in quanto devono essere sostituiti o dal permesso in sanatoria o dal diniego;
in altri termini, le predette istanze della deducente non comportano il riesame della natura abusiva dell’opera allo scopo di accertarne la sanabilità, scopo che è eccezionalmente proprio ed esclusivo della richiesta ex art. 140 della L.R. n. 1/2005 o della domanda di condono edilizio e che porta a superare gli effetti dell’ordine di demolizione (TAR Lazio, Roma, I, 17/4/2009, n. 3937;
TAR Sicilia, Palermo, III, 22/12/2005, n. 8159).

Nè la ricorrente, sulla base della definizione della domanda di applicazione dell’art. 136 della L.R. n. 1/2005 quale risulta dai documenti depositati in giudizio l’8 marzo 2012, ha dichiarato in parte qua la sopravvenuta carenza di interesse, ma ha formulato, con nota depositata in giudizio il 16.3.2012, richiesta di rinvio della discussione dell’impugnativa, non accordato dal Presidente di questa Sezione, ed ha insistito per l’accoglimento del gravame per il caso, verificatosi, di denegato rinvio.

Entrando nel merito della trattazione dell’impugnativa, si osserva quanto segue.

Con la prima censura la ricorrente deduce l’impossibilità di ripristinare lo stato dei luoghi senza pregiudizio della parte conforme al titolo edilizio;
aggiunge che il Comune ha omesso di verificare la possibilità tecnica di effettuare la demolizione, in contrasto con l’art. 12 della legge n. 47/1985.

Il rilievo è infondato.

La ricorrente non ha fornito alcuna prova circa il nocumento che deriverebbe alla parte conforme dall’esecuzione dell’ordine di demolizione.

Inoltre, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale al quale il Collegio ritiene di aderire, l’impossibilità del ripristino senza pregiudizio della parte eseguita in conformità deve essere valutata dall’Ente solo nella fase esecutiva, cioè quando il privato non ha ottemperato all’ingiunzione a demolire: la mancanza di tale valutazione non può costituire un vizio dell’ordinanza di demolizione, ma può rilevare soltanto nella fase successiva, dell’esecuzione in danno (TAR Campania, Napoli, III, 10.5.2010, n. 3418;
idem, V, 4.2.2011, n. 716;
TAR Basilicata, I, 6.4.2011, n. 159).

Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 15 della legge n. 1497/1939, il quale impone la motivazione della scelta della demolizione dell’opera contrastante con il vincolo di tutela delle bellezze naturali;
aggiunge che le opere in questione non interferiscono sul paesaggio, essendo invisibili dall’esterno.

La doglianza non è condivisibile.

Il provvedimento impugnato, pur dando atto che le opere abusive interessano un’area tutelata ai sensi della legge n. 1497/1939, è stato assunto in dichiarata applicazione dell’art. 12, comma 1, della legge n. 47/1985, sulla cui osservanza da parte del Comune il Collegio si è pronunciato in sede di trattazione della precedente censura.

Con il terzo motivo l’esponente afferma che l’amministrazione non poteva applicare contestualmente l’art. 12 della legge n. 47/1985 e l’art. 15 della legge n. 1497/1939.

L’assunto non è condivisibile.

L’applicazione dell’art. 12 della legge n. 47/1985 risulta sia dalla premessa della contestata ordinanza, sia dalla nota di comunicazione di avvio del procedimento, riferita a “procedimento per l’applicazione delle disposizioni di cui al capo I della legge n. 47/1985”. In tale contesto il riferimento, espresso nella gravata ingiunzione, alla mancanza dell’assenso paesaggistico nulla toglie alla validità della scelta di attivare la misura repressiva prevista dalla legge n. 47/1985.

Con il quarto rilievo l’istante lamenta la mancata acquisizione del parere della Commissione edilizia integrata.

La censura è infondata per i motivi esposti nell’esame delle precedenti due doglienze: la ragione decisiva dell’impugnata ingiunzione è la difformità dal titolo edilizio rilasciato, rispetto alla quale nessun rilievo può assumere il parere della Commissione edilizia integrata.

Con il quinto motivo la ricorrente afferma che non si è verificata alcuna modifica di destinazione dei locali interrati, in quanto li avrebbe solo temporaneamente adibiti a magazzino;
aggiunge che comunque si tratta di mutamento avvenuto senza opere, non richiedente titolo edilizio.

Il rilievo è infondato.

L’utilizzo solo occasionale dei predetti vani come magazzino è smentito dalla recente presentazione della richiesta di sanzione pecuniaria ex art. 136 della L.R. n. 1/2005: se si fosse trattato di utilizzo contingente, circoscritto all’epoca dell’accertamento dell’abuso edilizio e dell’adozione dell’ingiunzione a demolire, sarebbe stato agevole per la ricorrente dare atto dell’avvenuto spontaneo ripristino della destinazione a parcheggio.

Inoltre, non ricorre un’ipotesi di cambiamento di destinazione d’uso meramente funzionale, giacchè la destinazione a magazzino si è accompagnata alla realizzazione di un’altezza e di una superficie eccedente quella assentita, idonee così ad assicurare un maggior approvvigionamento di merci e quindi connessi alla nuova destinazione dei locali interrati.

La sesta doglianza è incentrata sull’incompetenza del dirigente ad adottare il contestato provvedimento, e muove dall’assunto che la competenza apparterrebbe invece al Sindaco.

Il rilievo non può essere accolto.

L’ingiunzione a demolire abusi edilizi costituisce atto di gestione amministrativa, e come tale rientra nelle attribuzioni del dirigente in virtù della normativa in vigore al momento dell’adozione dell’atto impugnato.

Invero il sistema di separazione delle competenze tra organo elettivo ed organo burocratico è divenuto ancora più chiaro e incisivo con l’art. 45 del d.lgs. n. 80/1998 (secondo cui le precedenti norme che attribuiscono agli organi politici l’adozione di atti di gestione vanno intese nel senso che la relativa competenza appartiene ai dirigenti) e, poi, con l’art. 2 della legge n. 191/1998 (vigente dal 5 luglio 1998), che ha aggiunto, tra gli atti di gestione individuati dall’art. 51, comma 3, della legge n. 142/1990, i provvedimenti di riduzione in pristino e di irrogazione delle sanzioni repressive degli abusi edilizi.

Orbene, le sopraggiunte disposizioni del 1998 inducono a ritenere che la competenza ad adottare le ordinanze di demolizione faccia capo direttamente al dirigente, a prescindere da una corrispondente previsione del regolamento o dello Statuto comunale.

Con la settima censura la ricorrente, nel dedurre la violazione dell’art. 7 della legge n. 241/1990, lamenta che il Comune, con la comunicazione di avvio del procedimento, non ha prospettato altra possibilità che l’adozione di un provvedimento di ripristino, e cioè non ha paventato la possibilità alternativa della sanzione pecuniaria.

Il motivo è infondato.

L’amministrazione, con nota del 23.6.1999, ha comunicato l’avvio del procedimento di ripristino sfociato nell’impugnata ordinanza, richiamando il capo I della legge n. 47/1985.

Non occorreva, ai fini dell’attivazione del contraddittorio con l’interessato, l’indicazione delle possibilità di applicazione della sanzione pecuniaria, in quanto le stesse erano desumibili dalla disciplina legislativa riguardante le ordinanze di demolizione. In altri termini, i presupposti di applicazione della sanzione pecuniaria, a fronte di opere abusive oggetto di procedimento teso alla rimessa in pristino, erano desumibili dall’art. 12 della legge n. 47/1985.

Inoltre, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 241/1990 l’amministrazione è tenuta a comunicare l’avvio del procedimento che intende attivare, e non anche a preannunciare tutte le possibili soluzioni alternative alla scelta amministrativa effettuata.

In conclusione, il ricorso va respinto.

Le spese di giudizio, inclusi gli onorari difensivi, sono determinate in euro 3.000 (tremila) oltre IVA e CPA, da porre a carico della ricorrente.


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